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Autore: CedroContento    17/01/2023    2 recensioni
[Thilbo Bagginshield]
"Ricominceremo da capo, chiaro; siamo masochisti, quasi speriamo che la volta dopo le cose saranno diverse.
Potrebbero, perché no?
Allora, se siete pronti, riavvolgiamo tutto ancora una volta."
Sulla scia degli eventi del film "Lo Hobbit", questa fic racconta la storia d'amore che vorrei.
Genere: Avventura, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Bilbo, Gandalf, Thorin Scudodiquercia
Note: Missing Moments, Movieverse, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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“Uscire da un gabinetto! Cosa direbbe Durin se sapesse come ci siamo ridotti?! E no, checché ne dica la gente i nani che escono dal gabinetto non portano affatto fortuna! Anzi, se mai ti capiterà di vedere un nano che sbuca dal tuo cesso, fai attenzione, perché poco ma sicuro quel nano non sarà troppo di buon umore”. 
 
Dwalin

 

 
Aveva detto di chiamarsi Bard, l’uomo dalla voce rude e il volto severo che aveva acconsentito a dar loro un passaggio fino a Pontelagolungo a bordo della propria chiatta. Non senza richiedere una lauta ricompensa, ovviamente.
 
A Thorin non piaceva quel tizio, ma sembrava sveglio, questo glielo doveva. 
 
Quando Balin gli aveva raccontato che erano semplici mercanti, provenienti dalle Montagne Blu e in visita dai loro parenti sui Colli Ferrosi, Bard non aveva finto nemmeno per un istante di credere alla loro storia. Aveva alzato scettico un sopracciglio, e aveva lanciato uno sguardo ai barili che aveva pazientemente ripescato uno ad uno dalle acque del Fiume Selva, placide in quel punto. 
 
“Si entra a Pontelagolungo solo con il permesso del Governatore, e il Governatore ha un importante giro d’ affari con gli Elfi Silvani. Non metterà in pericolo il proprio guadagno se avete avuto problemi con loro,” aveva detto, picchiettando con fare eloquente le dita su una delle sbeccature lasciate sul legno dalle frecce. 
 
“Scommetto che ci sono modi per entrare non visti,” aveva azzardato Balin, alquanto sfacciatamente. Era sempre stato eccezionale quando c’erano affari da trattare, ed era sempre stato molto bravo a leggere le persone, anche. 
 
“Per quello vi servirebbe un contrabbandiere,” aveva ribattuto il chiattaiolo. A Thorin non era sfuggito il guizzo di furbizia che gli era passato negli occhi; l’intuito di Balin non sbagliava mai. 
 
“Un contrabbandiere saremmo disposti a pagarlo anche il doppio per quel passaggio,” aveva insistito il vecchio nano, con il tono di chi sapeva che ormai era fatta. 
 
Bard aveva taciuto a lungo, soppesando con il suo sguardo acuto la compagnia. “Benvenuti a bordo,” aveva sentenziato alla fine. 
 
Nonostante fosse ormai mattino inoltrato, una fitta nebbia fluttuava sullo specchio d’acqua gelato di Lago Lungo. L’aria era immobile, fredda, grigia. Bard, tuttavia, faceva strada all’imbarcazione con una certa sicurezza. 
 
Mentre gli altri cercavano di mettere insieme la somma che aveva chiesto loro l’uomo di Esgaroth, Thorin se ne stava appoggiato ad uno dei parapetti con le braccia incrociate, intenzionato a non perderlo d’occhio nemmeno per un istante. Se Bard avesse cercato di fregarli, non si sarebbe lasciato cogliere impreparato. 
 
I suoi sensi però non dovevano essere più quelli di una volta, e il suo cuore fece una capriola per la sorpresa, quando lo hobbit si materializzò accanto a Bard e prese a fare amabilmente conversazione. Era sgattaiolato sotto il suo naso senza che lui se ne accorgesse. 
 
“Sapete quello che fate,” osservò Bilbo, a mo’ di educato segno d’apprezzamento. 
 
“Sono nato e cresciuto in queste acque,” rispose Bard, senza distogliere lo sguardo dall’orizzonte. 
 
“Ha famiglia?” chiese lo hobbit. 
 
“Sì, tre figli. Un maschio e due femmine,” lanciando questa volta al mezzuomo un’occhiata a metà tra il divertito e la curiosità - occhiata che a Thorin non piacque per niente. 
 
“Ah! Come si chiamano?” 
 
“Sigrid è la più grande. Poi c’è Bain e la piccola Tilda,” raccontò Bard, abbassando un po’ la guardia. “E tu da dove veni? Non ho mai visto uno come te. Non sembri un nano.” 
 
“No, per carità! Non sono un nano!” E Bilbo non poté udirlo, ma Thorin grugnì a quell’accorato diniego. “Sono uno hobbit. La mia casa si trova ad occidente,” spiegò. “Molto lontano da qui,” aggiunse con nostalgia.
 
“Bilbo,” lo chiamò a quel punto Thorin, infastidito dalla confidenza con cui quei due chiacchieravano, e dal modo in cui lo hobbit si era intristito con quei sciocchi discorsi. Non voleva si mettesse in testa strane idee, tipo tornare indietro; tipo abbandonarlo. 
 
Con suo grande sollievo, Bilbo si congedò prontamente dal chiattaiolo e lo raggiunse. 
 
“Volevo chiederti se hai qualche moneta,” inventò su due piedi, quando gli fu davanti, anche se non era vero; in qualche modo avevano già raccolto il necessario. 
 
“No, ho già dato tutto ciò che avevo a Balin”. 
 
Thorin annuì. “Hai freddo?” chiese, notando che si stringeva le braccia. 
 
“In effetti sto congelando! Non so come facciate voi nani a resistere. Eppure i vostri vestiti sono fradici quanto i miei”.
 
“Non patiamo troppo presto il freddo,” fece Thorin con un mezzo sorriso, prendendogli le mani e scaldandole tra le sue. Avrebbe voluto avere uno dei suoi mantelli più caldi per avvolgerlo, ma tutto ciò che aveva era sé stesso. 
 
Anche se, forse, poteva bastare. 
 
Allargò le braccia, pronto ad accogliere Bilbo e scaldarlo, quando Kili dall’altro lato del ponte li chiamò. 
 
“Bilbo, vieni a sederti tra me e Fili! Non sarà molto, ma almeno possiamo ripararti dall’aria,” propose il giovane nano, e a Thorin non rimase che lasciar ricadere pietosamente le braccia lungo i fianchi, vedendo sfumare l’occasione di poter stringere Bilbo, mentre quest’ ultimo accettava l’invito. 
 
Quando però si voltò e il suo sguardo venne catturato dalla pozza di sangue che si stava allargando da sotto la gamba di Kili, dimenticò velocemente la delusione, ricordandosi che aveva cose ben più gravi e urgenti di cui occuparsi. 
 
Kili era stato colpito da una freccia degli orchi, e nonostante in un primo momento la ferita non fosse sembrata troppo grave, Thorin cominciava a pensare che qualcosa non stesse andando come doveva. Non gli piaceva quella ferita, non smetteva di sanguinare; il taglio avrebbe dovuto essersi coagulato ormai da un pezzo, non gli era sembrato così profondo quando lui stesso lo aveva medicato. 
 
“Stai bene, Kili?” chiese, avvicinandosi al nipote. Era solo una sua impressione il pallore? 
 
“Ce la faccio,” minimizzò quello.
 
Thorin non gli credette, e dal modo in cui suo nipote rispose al suo sguardo severo, anche Kili lo sapeva.
 
“Ho bisogno del denaro,” li interruppe Bard. 
 
“Ti pagheremo quando ci avrai dato ciò che ci devi,” ribatté Thorin, spazientito per essere stato interrotto. 
 
“Se avete cara la vita farete come vi dico. Ci sono guardie più avanti,” insistette l’uomo di Esgaroth, con fare impertinente. 
 
Thorin lo incenerì con gli occhi e, con grande irritazione, si voltò bruscamente per guardare oltre la prua, nel tentativo di capire se il chiattaiolo stesse dicendo il vero o fosse uno dei suoi trucchetti. 
 
Aguzzò la vista nel fitto della nebbia, ma non era certo di ciò che vedeva. Poteva essere che ci fosse un pontile, non troppo distante, ma non poteva esserne del tutto certo. Non aveva scelta che correre il rischio e fidarsi. 
 
Prese il sacchettino pieno di monete che gli stava porgendo Balin e lo allungò al chiattaiolo, ma poco prima che lui potesse afferrarlo lo ritirò e affilò gli occhi in segno d’avvertimento. Era meglio per Bard che non facesse il furbo con loro, o si sarebbe assicurato di farglielo rimpiangere tutta la vita. 
 
Bard annuì una volta, rapidamente. “Devi fidarti. Non credo tu abbia altre opzioni,” ribatté, intendendo che aveva recepito il messaggio, ma che non avevano tempo per quei giochetti. 
 
Thorin fece segno ai suoi di nascondersi nei barili vuoti, come avevano concordato in precedenza. Odiava dover dipendere tanto da qualcuno che non conosceva, e odiò dover aspettare, nascosto come un topolino intrappolato nella sua tana, senza poter fare nulla, se non rimanere in allerta e stare a guardare dove lo avrebbero trascinato gli eventi. 
 
Quello che Thorin aveva scambiato per un pontile si rivelò essere un grande peschereccio ormeggiato a largo, che Bard abbordò e sul quale saltò senza aspettare alcun permesso. 
 
Attraverso un foro nel legno del suo barile, Thorin lo vide parlare con un uomo, al quale dopo non molto strinse la mano. C’era una gran puzza di bruciato in quella faccenda. Perché Bard era stato tanto vago con loro sul suo piano se aveva buone intenzioni? Thorin era certo li avrebbe traditi, doveva solo capire quando avrebbe agito ed eventualmente riuscire a batterlo al suo stesso gioco. 
 
Ma niente si mosse, e Bard conversò ancora a lungo con il suo compare. 
 
Proprio quando cominciava a pensare che non sarebbe più riuscito tanto a lungo ad assistere a stupidi scambi di convenevoli, all’improvviso, un uomo avanti con gli anni e un lurido cappello calato sulle orecchie si affacciò per guardarlo dall’imboccatura del barile. 
 
Thorin si preparò a scattare, ma non ebbe modo di dire o fare nulla, perché l’uomo si ritirò rapido e immediatamente dopo qualcosa di gelido e viscido gli colpì pesantemente la testa, seguito da una cascata di altre cose gelide e viscide. Una pioggia puzzolente, puzzolente di… pesce
 
Si lasciò sfuggire un’imprecazione. Il chiattaiolo li stava facendo ricoprire di pesce fetido! Thorin non si era mai sentito tanto umiliato. 
 
Il Principe dei nani stava ancora maledicendo sé stesso per la serie di pessime scelte che lo avevano portato in quella situazione, quando la chiatta riprese la sua navigazione. 
 
Non seppe dire quanto rimase lì, con il pesce freddo come ghiaccio premuto addosso e la rabbia che gli serrava lo stomaco. Ad un certo punto, comunque, sentì una voce urlare “ALT!” e tornò subito attento e vigile. 
 
“Ispezione merci. Documenti per favore,” udì ancora. “Ah sei tu Bard!”
 
“Sono io, Percy,” disse Bard, da un punto indistinto sopra di lui. 
 
“Niente da dichiarare?”
 
“Nulla, se non che sono intirizzito e stanco. E ho voglia di casa”. 
 
“Io uguale a te,” fece la voce dello sconosciuto. “Mi sembra tutto in ordine”. 
 
“Non così in fretta,” si intromise una terza voce maschile, gracchiante e fastidiosa. “Sui documenti c’è scritto che questi barili dovrebbero essere vuoti. A me non sembra che lo siano”. 
 
“Andiamo, Alf, la gente deve mangiare. I tempi sono duri, si fa fatica a trovare qualcosa da mettere in pancia,” ribatté Bard. Thorin non mancò di cogliere la tensione che gli incrinava la voce. Chiunque fosse il nuovo arrivato, non prometteva nulla di buono. 
 
“Non è un problema mio. E nemmeno tuo, visto che la tua licenza dice che sei un semplice chiattaiolo. Svuotate i barili!” ordinò tale Alf.
 
Thorin avvertì il barile inclinarsi pericolosamente e la pressione dei pesci che aveva sulla testa diminuire, mentre con dei tonfi secchi cadevano in acqua. Si tese, pronto a saltar fuori e battersi a mani nude con chiunque ci fosse lì fuori, se fosse stato necessario. 
 
“Quando la gente si rivolterà perché ha fame, chi lo dirà al Governatore ciò che hai fatto? Allora sì che sarà un problema tuo,” aggiunse Bard, in quello che Thorin riconobbe come un ultimo tentativo disperato. 
 
Funzionò. Venne dato il contrordine. 
 
“Il Governatore ti tiene d’occhio, sa dove vivi. Bada bene a ciò che fai, piantagrane che non sei altro,” aggiunse Alf, acido. 
 
“È una piccola città, Alfrid, tutti sanno dove vivono tutti,” si congedò Bard. E la chiatta si rimise in moto. 
 
Quando Bard disse loro che potevano uscire, Thorin non se lo lasciò ripetere due volte. Balzò in piedi, sparpagliando pesce per tutto il ponte della barca. Che il chiattaiolo se lo ripulisse da sé. 
 
La prima cosa che fece fu controllare velocemente con lo sguardo che i suoi ci fossero tutti, e che fossero tutti illesi; Kili in particolare. Con grande fastidio vide anche che Bard stava aiutando Bilbo a tirarsi fuori dal suo barile, e lo stava facendo con fin troppa gentilezza. 
 
“Thorin,” fu la voce di Dwalin alle sue spalle a costringerlo a distogliere lo sguardo. Si voltò verso l’amico e quello indicò qualcosa all’orizzonte, sopra i tetti delle case di Pontelagolungo. 
 
Il Principe dei nani alzò la testa, e tutto il malcontento che aveva accumulato fino a quel momento venne dimenticato. Erebor, casa sua, illuminata dal sole del pomeriggio, vegliava sulla città di Esgaroth. Ciò gli ricordò che l’indomani sarebbe cominciato l’ultimo giorno d’autunno, e il Dì di Durin sarebbe terminato il giorno dopo ancora. Dovevano arrivare in tempo e, se la sorte non gli avesse voltato di nuovo le spalle, potevano senz’altro farcela. 
 
“Seguitemi,” disse Bard, una volta che in quattro furono riusciti a liberare anche Bombur che era rimasto incastrato. 
 
Bard fece strada attraverso le vie affollate della cittadina, una serie infinita di banchine di legno marcio sospese sull’acqua. Tutto odorava di pece e pesce, anche se forse era Thorin ad avere ancora quell’ultimo odore nel naso. 
 
Al loro passaggio, gli abitanti li scrutavano con grande curiosità - Thorin tenne per sé la considerazione che quello non era esattamente ciò che definiva ‘entrare di nascosto’ -, e non c’era da stupirsi, considerando il fatto che non dovevano essersi visti troppi nani in città negli ultimi decenni. 
 
Ma, nonostante la gran quantità di persone che stava assistendo alla scena, nessuno fiatò, e i più fingevano - non troppo bene, peraltro - di andare avanti con le proprie faccende. ln più di un’occasione Bard venne addirittura aiutato a distrarre le guardie che facevano il giro di ronda, e senza che nessuno chiedesse spiegazioni di alcun tipo. Gli abitanti di Esgaroth erano proprio bizzarri, o forse erano le autorità a non godere di particolare popolarità, così che ogni scusa fosse buona per prendersene gioco; situazione della quale Thorin prese mentalmente nota. 
 
Bard aveva appena girato un angolo e dichiarato che c’erano quasi, quando si fermò di colpo. 
 
“Casa mia è sorvegliata,” spiegò, dopo averli fatti indietreggiare. “Ma ho un’idea su come farvi entrare non visti”. E, chissà come mai, Thorin già era sicuro che la cosa che aveva in mente Bard non gli sarebbe piaciuta per niente.
 
L’unico obiettivo del chiattaiolo nella vita sembrava essere escogitare modi sempre più creativi per mortificarlo, e quasi non si stupì quando venne fuori che la brillante trovata che aveva avuto consisteva nell’immergersi nelle acque putride del canale ed issarsi attraverso la latrina del bagno di casa sua. 
 
Thorin non fu l’unico ad avere delle obiezioni: Dwalin sostenne che piuttosto sarebbe morto, Dori si preoccupò delle infezioni che potevano prendere, Gloin disse che era troppo vecchio per queste cose e Bifur bofonchiò qualcosa che nessuno ad eccezione di Oin capì. L’unico a tacere era Bilbo, che aveva l’aria stremata e non faceva che fissare pietrificato l’acqua torbida. 
 
Dopo lungo discutere, tuttavia, conclusero che non avevano altre soluzioni, o se ce n’erano erano loro ad essere decisamente troppo stanchi per elaborarle. Bard aveva promesso loro un rifugio caldo dove poter riposare un pochino, quello era il modo più veloce per ottenerlo e nessuno di loro riuscì a farsi venire in mente altro. 
 
Si arresero, e ad uno ad uno i membri della compagnia si immersero, non senza lamentarsi e protestare tutto il tempo. Dwalin in testa e Thorin per ultimo, come d’abitudine. 
 
Quando anche Fili si tuffò alle spalle di un sempre più pallido Kili, non rimase che Bilbo a dover affrontare la nuotata. Thorin si accorse che lo hobbit non osava neppure sfiorare l’acqua con la punta del piede. Era chiaro che la sola idea di dovercisi buttare dentro lo terrorizzava; comprensibile, visto che solo poche ore prima aveva seriamente rischiato di annegare. 
 
“Reggiti a me,” gli disse, cercando di suonare il più rassicurante possibile, mentre gli prendeva con estrema cautela la mano e lo guidava piano in acqua, finché questa non arrivò loro al petto. 
 
Bilbo si lasciò trascinare senza opporre resistenza. La mascella serrata e gli occhi sbarrati erano gli unici segnali di panico che mostrava. Thorin fece passare le sue mani sulle proprie spalle e cominciò a nuotare senza troppa difficoltà fino alla meta. Bilbo era leggero, e c’era qualcosa di estremamente piacevole nell’avvertire la vicinanza del suo corpo esile avvinghiato al suo. 
 
Una volta che furono a destinazione, Thorin non resistette alla tentazione di tirare davanti a sé, di attirarlo al suo petto. Le mani de lo hobbit erano ancora strette attorno al suo collo. Non erano mai stati tanto vicini. 
 
“Sei pronto?” sussurrò Thorin, arrivando a sfiorare con il suo naso la punta di quello di Bilbo; avvertiva il suo respiro sulle labbra. 
 
“Per cosa?”
 
In risposta, Thorin alzò la testa e indicò l’apertura da dove avrebbero dovuto issarsi, dalla quale spuntò anche Bofur, pronto ad aiutarli a tirarsi su. Thorin intrecciò le mani per creare un appoggio da cui Bilbo avrebbe potuto darsi una spinta, e un istante dopo era scivolato via dalle sue braccia. 
 
 
Bilbo aveva accettato di buon grado i vestiti di ricambio che gli avevano offerto le dolcissime figlie di Bard. Sentirsi di nuovo asciutto era meraviglioso, anche se gli indumenti non erano esattamente della sua taglia e odoravano di chiuso e di muffa. In realtà, tutto in quella cittadina aveva quell’odore. 
 
Decise di fare buon viso a cattivo gioco e pensò che caldo e asciutto, ma non profumato, poteva essere un buon compromesso. In ogni caso, era certo che nemmeno cento lunghi bagni caldi e una tonnellata di sapone alla lavanda sarebbero mai bastati a togliergli dai capelli il puzzo di pesce. 
 
Prese con un sorriso, che accompagnò a tanti ringraziamenti, anche la tazza di vino caldo - aromatizzato con delle spezie che non riusciva a distinguere - che gli porse Tilda, la più giovane della famiglia. Il sapore era ottimo e il liquido caldo arrivava in pancia rinfrancante. 
 
L’ultima parte del viaggio lo aveva messo particolarmente a dura prova, spinto oltre il suo fisico oltre al suo limite di sopportazione, del freddo, della stanchezza, della fame. Casa Baggins gli mancava più che mai, si sentiva completamente esausto, e la stanchezza lo intontiva, rendendolo quasi incapace di formulare un qualsiasi pensiero intelligente, proprio lui che era sempre stato considerato sempre da tutti una persona brillante. Infatti, non aveva fatto tanto altro che lasciarsi guidare dal gruppo da quando avevano lasciato il Reame Boscoso. 
 
Ma in questa situazione aveva scoperto anche che c’era una persona in grado di farlo andare avanti nei momenti più difficili, una persona cui poteva sempre guardare quando si sentiva perso e insicuro, qualcuno che poteva seguire senza riserve. Finché ci fosse stato Thorin, Bilbo avrebbe semplicemente proseguito assieme a lui. Avrebbe solo voluto essere in grado di dirglielo, quanto bene e quanto coraggioso lo faceva sentire, quanto era arrivato a fidarsi di lui.
 
“Sembri uno che ha visto un fantasma,” disse avvicinandosi al Principe dei nani, che se ne stava immobile davanti alla finestra con lo sguardo perso. 
 
Anche lui aveva ricevuto in prestito dei vecchi abiti, e - anche se Bilbo un pochino rimpiangeva  la perdita della camicia bagnata indossata da Thorin fino a quel momento, che aveva aderito perfettamente ai suoi pettorali e agli addominali scolpiti - notò come potesse indossare qualsiasi cosa, anche la più logora delle casacche, senza che questo potesse fargli perdere il suo aspetto regale e il suo indiscutibile fascino.
 
Quando Thorin lo guardò a Bilbo sembrò che ritornasse da molto lontano, fu comunque contento di notare che le labbra gli si piegarono appena in un sorriso, quando incrociò i suoi occhi. Era felice di essere di qualche conforto, seppur solo standogli vicino, e di non essere solo un inutile peso per lui. 
 
Thorin allungò una mano per accarezzargli il viso, lo sguardo ancora per metà nel presente, con lui, e per l’altra metà perso nei suoi ricordi. 
 
Improvvisamente, il tocco di Thorin gli fece tornare alla mente il momento in cui erano stati stretti nel canale, e se solo ci ripensava, Bilbo ancora si sentiva avvampare. Dovette distogliere lo sguardo dagli occhi azzurri di Thorin, il quale aggrottò le sopracciglia, forse chiedendosi quale pensiero fosse stato causa di tanto improvviso imbarazzo. 
 
“Una lancia del vento nanica,” intervenne Balin, spuntando alle loro spalle e facendoli sobbalzare entrambi. “L’ultima volta che ne abbiamo vista una, una città andava a fuoco. Fu il giorno in cui arrivò il drago e distrusse Dale,” continuò, sbirciando a sua volta fuori dalla finestra, del tutto inconsapevole di aver interrotto qualcosa. “Girion, il signore della città, tentò invano di abbattere Smaug con le frecce nere - l’unica cosa che può scalfire la pelle di un drago -, ma le esaurì tutte senza riuscire a colpirlo”. 
 
“Se la mira degli uomini fosse andata a segno, molte cose sarebbero cambiate,” commentò amaramente Thorin. 
 
“Parli come se ci fosse stato,” fece Bard, entrando nella stanza. 
 
Thorin evitò di rispondere, così Bard, guardandolo con sempre più sospetto, continuò: “C’è una profezia, la profezia della gente di Durin. ‘Il Signore delle argentee fonti, il Re delle rocce scavate, il Re che sta sotto il Monte, riavrà le cose a lui strappate. E la campana suonerà di allegrezza, quando il Re della Montagna tornerà, ma tutto si disferà con tristezza e il lago brillerà e brucerà’,” recitò.
 
Il Principe dei nani tacque ancora, ostinatamente. “Hai preso il nostro denaro, dove sono le nostre armi?” cambiò bruscamente argomento, infine. 
 
Anche senza che ci fosse bisogno dello scontento sul volto di Thorin, Bilbo capì che quelle che Bard tirò fuori non erano proprio le armi che tutti loro si aspettavano. Erano oggetti comuni improvvisati ad armi: mazze da fabbro, vecchi arpioni, perfino un pugnale fissato ad un lungo bastone con una corda. 
 
“Abbiamo pagato per delle armi!” protestò Dori. 
 
“Armi vere, forgiare in ferro!” rincarò Gloin. 
 
“È uno scherzo!” si indignò pure Bofur. 
 
“Migliori ne troverete solo nell’armeria della città,” si schermì Bard. 
 
“Thorin, prendiamo ciò che ci viene offerto e andiamo. Mi sono arrangiato con molto meno, e anche tu,” tentò di convincerlo Balin, e Bilbo si ritrovò pienamente d’accordo con lui. Basta cercare guai. 
 
Ma dall’occhiata che Thorin si era scambiato con Dwalin alla sola menzione dell’armeria, Bilbo aveva capito subito che se le armi che volevano stavano lì, loro sarebbero andati a prendersele. Eccome se lo avrebbero fatto. 
 
E infatti fu quello che fecero. 
 
Per mettersi in azione attesero il calare della notte, anche se il buio non rese facile l’impresa di trovare l’armeria nel dedalo intricato formato dalle vie della città. Bard dal canto suo, trovandosi in forte disaccordo con il piano, aveva offerto loro ben poco aiuto. 
 
Bilbo perse il conto delle volte in cui Thorin si perse e delle volte in cui finirono in vicoli ciechi, finché Dwalin non si spazientì e si mise in testa alla comitiva. 
 
Una volta che l’ebbero trovata, la famosa armeria, fu abbastanza facile per i nani intrufolarsi da una finestra lasciata incautamente socchiusa. Gli armigeri di Pontelagolungo non dovevano aspettarsi furti o incursioni da parte dei cittadini, ed evidentemente non si vedevano troppi stranieri da quelle parti. 
 
I nani si riempirono tasche, cinture, schiene e braccia di armi di ogni genere. Ognuno fu incaricato di trasportare tutto ciò che riusciva a reggere, avrebbero pensato dopo a fare una cernita. 
 
“Ce la fai?” chiese dubbioso Thorin a Bilbo, mettendogli fra le braccia la terza spada.
 
“Certo,” rispose lo hobbit, pregando tra sé e sé di non combinare un altro disastro. 
 
E con il senno di poi non fu colpa sua, non quella volta almeno. Quella fu la volta in cui fu la gamba ferita di Kili a tradirli.
 
Dapprima il giovane nano incespicò sotto il peso eccessivo dell’acciaio che si era caricato in spalla, finché la gamba dolente non cedette e Kili cadde, e con lui tutto ciò che portava rovinò sul pavimento con un gran fracasso.
 
Immediatamente, dall’esterno arrivarono esclamazioni sorprese di quella che doveva essere una sentinella. Nella notte ne riecheggiò una seconda e poi una terza.
 
Seguì un attimo di completo silenzio, un attimo in cui tutti loro si guardarono, indecisi sul da farsi. 
 
Thorin si portò l’indice alle labbra, facendo cenno a tutti di stare zitti e fermi. “Mantenete la ca-” Una porta cigolò. 
 
“SCAPPIAMO!!” urlò a quel punto Dori, scatenando il panico tra i nani che corsero disordinatamente alla finestra dalla quale erano entrati.
 
Non andarono lontano, solo due o tre di loro riuscirono ad uscire, e solo per venire prontamente catturati dalle guardie che erano accorse alle grida di allarme. 
 
I nani, tuttavia, non si sarebbero mai lasciati prendere senza opporre resistenza. In più ora, dopo aver fatto razzia, erano molto ben armati.
 
Al grido di battaglia lanciato da Dwalin, i nani rimasti si buttarono alla carica dei soldati che fecero irruzione nella stanza, e la piccola sala risuonò presto di grida e del clangore di spade e lance che cozzavano le une sulle altre, di rastrelliere che venivano rovesciate e di tavoli ribaltati. 
 
Le guardie di Esgaroth superavano abbondantemente di numero i nani, ma non dovevano essere particolarmente ben addestrato, perché lo scontro si protrasse a lungo, senza che la battaglia sembrasse volgere a favore di nessuna delle due parti. 
 
Nella confusione generale, Bilbo cercò di ritirarsi in un angolino, pensando che se non poteva essere di grande aiuto contro la gente alta, poteva perlomeno fare in modo di non intralciare i suoi compagni che si battevano con grande forza e coraggio. Ma non fu abbastanza attento e, improvvisamente, senza che avesse modo di accorgersi di nulla, si sentì colpire alla testa da dietro. 
 
L’orecchio destro esplose di dolore e Bilbo piombò violentemente a terra, con la testa che gli girava e la vista che si sfocava. I rumori della mischia svanirono all’istante, per lasciare posto ad un rumore indistinto e ovattato, che presto diventò un fischio assordante che soffocò qualsiasi altro suono. 
 
“BILBO!” la prima cosa che riuscì ad udire di nuovo fu l’urlo di Thorin; arrivava da molto lontano. Subito dopo due mani lo afferrarono con violenza per le braccia e con forza lo costrinsero in piedi, anche se non riusciva propriamente a reggersi sulle gambe, che si ostinavano a piegarsi come fossero fatte di carta. 
 
Sbatté più volte le palpebre, cercando di mettere a fuoco la stanza. 
 
Distinse Thorin, battersi come un toro infuriato, contro tre soldati contemporaneamente, dando loro un bel po’ di filo da torcere. E poi avvertì il freddo di una lama puntata alla gola.   
 
“Thorin…” sussurrò, troppo piano.   
 
Ma anche non udendolo Thorin si accorse della minaccia e si fermò all’istante. “Lascialo andare, cane!” intimò, mentre due guardie ne approfittavano per afferrare anche lui ed immobilizzarlo. 
 
“Thorin…”  Mi dispiace, avrebbe voluto aggiungere Bilbo, ma non ci riuscì.   
 
Thorin tentò di divincolarsi, con l’unico risultato che la guardia che teneva Bilbo infierì di nuovo su di lui con un pugno nello stomaco. 
 
Lo hobbit avvertì qualcosa incrinarsi nel petto, forse una o due costole. Se il pugno non gli avesse strappato dai polmoni tutto il fiato che aveva in corpo, avrebbe sicuramente lanciato un urlo fortissimo per il male, ma tutto quello che uscì dalla sua gola fu un versetto strozzato. 
 
Solo a quel punto, con un grido di rabbia e frustrazione, Thorin si arrese, e depose le armi, ordinando anche agli altri nani di fare lo stesso. Precauzione inutile, visto che erano rimasti solo Dwalin e Bombur a combattere, e presto vennero sopraffatti anche loro.
 
“Bilbo!” lo chiamò Thorin, continuando a divincolarsi, mentre li portavano tutti via. 
 
“Sto bene. Non preoccuparti per me,” rispose Bilbo, con un filo di voce. 
 
Non era del tutto vero: le orecchie gli fischiavano, il lato destro della faccia pulsava dolorosamente, e aveva così male all’addome che quasi non riusciva a stare dritto. Ma nulla faceva più male dell’essere stato, di nuovo, l’anello debole di tutta la compagnia. 
 
E se Thorin questa volta non glielo avesse perdonato? Come avrebbe fatto a guardarlo ancora negli occhi, dopo essersi dimostrato per l’ennesima volta un fallimento totale, una persona del tutto indegna del suo affetto?
 
 


 
Il re degli antri che stan sotto i monti
e delle rocce aride scavate, 
che fu signore delle argentee fonti
queste cose riavrà, già a lui strappate! 
 
La sua corona sul capo poserà, 
dell’arpa udrà di nuovo il bel canto
e in sale dorate echeggerà
di melodie passate il dolce incanto.
 
Sui monti le foreste ondeggeranno, 
ondeggeranno al sol l’erbe lucenti, 
le ricchezze a cascate scenderanno 
e i fiumi diverranno ori splendenti. 
 
I ruscelli felici scorreranno, 
i laghi brilleran nella campagna 
e dolori e tristezza svaniranno 
al ritorno del Re della Montagna. 
 
(Lo Hobbit, Capitolo X)
   
 
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