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Autore: Glenda    19/01/2023    2 recensioni
La storia si ambienta in una nazione immaginaria di un paese immaginario, in un tempo non definito, ma in realtà non così diverso da una qualunque luogo in Europa oggi.
Noam Dolbruk, giovane attivista politico, da poco eletto in parlamento, pieno di carisma e buone intenzioni ma originario di una terra piena di conflitti, ha ricevuto una serie di minacce che lo hanno costretto a essere messo sotto protezione. Adrian Vesna, l'uomo che gli fa da guardia del corpo, ha un passato che gli pesa sulle spalle e nessun desiderio di inciampare in rapporti complicati. Ma con un uomo come Noam i rapporti non possono non complicarsi, e non solo per via del suo carattere bizzarro, quanto per gli scheletri dentro il suo armadio.
Questa non è una storia di eventi ma di relazioni: è la storia dell'incontro e dello scontro tra due diversi dolori, ed anche la storia di un'amicizia profonda, con qualche tono bromance. Ci sono tematiche politiche anche impegnative ma trattate in modo non scientifico, servono solo come sfondo alle dinamiche interpersonali.
(Storia interamente originale, ma già circolata in rete, che ripubblico qui per amore dei personaggi e piacere di condividerla con altri lettori)
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Non fu facile rimettere in ordine i pensieri e ripercorrere tutti gli ultimi eventi all’indietro, riconsiderare dettagli che gli erano sfuggiti e riempire gli spazi vuoti: ma era quello che Adrian sapeva fare. Era lo spazio in cui – oltrepassato il punto di crisi che gli aveva fatto temere di perdere tutto in un solo attimo – si sentiva una mossa avanti agli altri: quegli altri che avevano cercato di fregarlo e per fortuna avevano fallito, perché a loro mancava un dettaglio, non sapevano del suo contatto con Thièl Dolbruk. Thièl era stato la variabile imprevista nel piano del nemico: era grazie a lui che aveva riconosciuto Vìrnosz, era grazie a lui che aveva capito cosa stesse veramente succedendo ed era tornato indietro appena in tempo.

Già in ospedale, quando l’effetto dell’anestesia si era attenuato e aveva ripreso lucidità, la sua mente aveva iniziato a lavorare senza tregua per ricostruire quella torbida vicenda.

Tutto era iniziato quando Noam era stato trascinato a sorpresa a casa Òraviy: quel teatrino non era stato allestito per ottenere qualcosa da lui, ma per gettare fumo negli occhi ad Adrian stesso.

Kàmil Òraviy era un uomo finemente intelligente: di certo era consapevole fin dal principio che Noam non avrebbe ceduto ad un tentativo di corruzione, ma soprattutto conosceva Adrian, e sapeva che avrebbe origliato il loro dialogo. Così si era dato da fare per impersonare al meglio il ruolo del grande industriale che pensa di poter ottenere l’amicizia di tutti aprendo il portafogli, e gli aveva riconfermato l’immagine del bravo marionettista che lui già ben conosceva.

Era stato in gamba: Adrian ci era cascato in pieno e lo aveva catalogato come un problema minore, un ostacolo che si sarebbe riproposto più e più volte sulla strada di Noam, e che avrebbe provato a muovere i fili dei suoi innumerevoli burattini – Kàrkoviy compreso – per i suoi profitti personali, ma non un pericolo per la vita di nessuno.

Invece Òraviy era un buon conoscitore della psiche umana, e si era servito di suo figlio per inculcare in Noam il solo timore che avrebbe potuto intaccare la sua integrità, prima e meglio di qualsiasi tangente: il sospetto che sostenere Màrna equivalesse a rendere il professore un bersaglio dei terroristi. Su questo timore aveva fatto leva per spingerlo a fargli perdere le elezioni.

Se Màrna avesse perso, infatti, i Tre Boss avrebbero apertamente dimostrato che gli operai del Dàrbrand stavano dalla loro parte e che le accuse di sfruttamento erano in realtà solo una messinscena politica.

E però Noam si era assunto il rischio e aveva proceduto per la propria strada, dunque Kàmil Òraviy era passato al piano B: un attentato nel Dàrbrand che non avrebbe sorpreso nessuno, e aveva già nel movimento separatista il capro espiatorio ideale. In fondo le minacce c’erano state e le imminenti amministrative avevano creato il clima giusto, anzi, forse era stato lui stesso a gettare benzina sul fuoco per inasprire gli animi: possedeva la metà delle fabbriche dell’area industriale di Mòrask e aveva alle sue dipendenze migliaia di operai che non aspettavano altro che un’occasione per scendere in piazza.

Ma qui l’opera di Òraviy padre si fermava e cedeva il posto ad un piano ben più ignobile: era stato Segùr a spingere Noam a tenere quel comizio, lo aveva convinto agendo sul senso di colpa che Noam provava per non aver accettato il consiglio di tirarsi indietro, sulla paura che Màrna corresse un rischio che invece – per via di quella arbràsk che Segùr aveva imparato a conoscere bene – voleva correre lui.

Non solo: una volta a Mòrask, aveva allestito tutto affinché Noam si trovasse da solo nel momento dell’esplosione, e ci era riuscito perché li aveva studiati entrambi con una accuratezza psicologica degna di un analista comportamentale.

Aveva creato una situazione che potesse insospettire e spaventare Màrna, poi aveva dato istruzioni errate alla scorta in modo da isolarlo: sapeva che il professore avrebbe avvertito Noam prima di tutti, e che Noam si sarebbe allarmato e avrebbe voluto andare in suo soccorso.

Ma sapeva benissimo anche che Adrian glielo avrebbe impedito, e sapeva che Noam si fidava solo di lui, ed avrebbe insistito affinché andasse là, a costo di restare scoperto.

Un sottile manipolatore, degno figlio di suo padre.

Sarebbe stato un attentato pulito: nessun danno collaterale, un solo morto e dei colpevoli perfetti su cui puntare il dito.

 

***

 

Quando Segùr rientrò a casa, quella sera, non era ancora informato che Noam e Adrian erano già tornati a Noravàl. Adrian si era adoperato bene affinché non lo sapesse.

Non appena si fu chiuso la porta alle spalle ed ebbe acceso la luce, lo trovò ad attenderlo in mezzo al salone d’ingresso, immobile in piedi, con una ferocia ben controllata nello sguardo.

Segùr sobbalzò come se fosse appena stato morso da un serpente.

“Vesna…! Che diavolo…”

Ma non c’era reale sorpresa nella sua voce, solo paura, e, in qualche angolo più profondo, cupa rassegnazione.

“Siediti, Oraviy.” gli intimò Adrian seccamente, indicandogli una sedia che aveva preventivamente spostato al centro della sala, con evidente intento intimidatorio.

Segùr ondeggiò sulle gambe, si guardò alle spalle come alla ricerca di una via di fuga, ma scartò subito il pensiero: sapeva con chi aveva a che fare. Obbedì.

“Raccontami come sono andare le cose,” lo fronteggiò Adrian, guardandolo dall’alto in basso “e cerca di essere preciso: voglio capire bene che percorso ha fatto la tua mente distorta, prima di decidere cosa devo fare di te.” roteò lo sguardo per la stanza, poi lo riportò su quello dell’interlocutore “Ah, e se per caso stessi pensando a come puoi spuntarla, ti informo che tutte le telecamere di sorveglianza di questo stabile sono state disattivate, che nessuno sa che io sono qui, e che se provi a chiamare aiuto ti ammazzo.”

“Vesna, io non capisco di cosa…”

Adrian lo fulminò con gli occhi e gli puntò la pistola dritta in faccia.

“Non provare a prendere per il culo me.”

Segùr soffocò un grido. Si rendeva conto che colui che lo stava minacciando non aveva più nulla a che fare con l’uomo metodico che aveva lavorato per suo padre senza mai aver bisogno di estrarre quell’arma, l’uomo con cui aveva condiviso chiacchierate e sigarette. In quel momento, nonostante l’apparente freddezza, la persona che aveva di fronte gli appariva pericolosa e sinceramente disposta a premere il grilletto.

“Maledizione, io avevo provato ad avvertirlo!” esplose Segùr nascondendosi la testa tra le mani “Stupido, stupido Dolbruk! Doveva solo seguire il mio consiglio e tirarsi indietro in tempo!”

 

***

 

Ad Adrian sembrava di vedersi dall’esterno, come se potesse osservare la scena attraverso una delle telecamere che aveva manomesso.

Perché era andato lì?

Per sapere come erano andate le cose?

Per sentirsi dire in faccia dove aveva sbagliato?

Per costringerlo a confessare?

No.

Era andato lì mosso da una sola emozione: la rabbia.

Rabbia per il modo in cui Segùr aveva approfittato della fiducia di Noam.

Rabbia per come lui stesso aveva permesso alla fiducia di Noam di illuminare tutto, cancellando le ombre che avrebbe dovuto scorgere da tempo nei gesti e nelle parole di quell’uomo.

Rabbia per essersi sentito strumentalizzato, raggirato, impotente.

Avevo provato ad avvertirlo. Doveva solo seguire il mio consiglio.

“Consiglio?! Quale cazzo di consiglio? Quello di perdere le elezioni?” Adrian desiderò colpirlo e trattenne a fatica la mano “Non era un consiglio, era una minaccia, come quelle di quel pezzo di merda di tuo padre!”

Le spalle di Segùr tremavano, ciò nonostante trovò il coraggio di alzare di nuovo lo sguardo.

“Non l’ho minacciato, magari avessi potuto: non avevo alcuna leva per farlo! La mia unica possibilità era spaventarlo, e l’unico modo era indurlo a credere che stava mettendo in pericolo qualcun altro! Che altro potevo fare con un uomo che non ha alcuna paura di morire? Ho sperato che, temendo per la vita di Màrna, quel pazzo si sarebbe tirato indietro!”

Aveva la voce smorzata, ma dentro di lui tutto urlava. Adrian non aveva mai visto un’espressione simile sul volto di Segùr: per un attimo pensò che quell’uomo fosse sempre stato solo il precario involucro di una furia dirompente e che prima o poi sarebbe esploso. Forse anche adesso, davanti a lui. Ne aveva colpa? Magari no, ma non gliene importava niente: se non era sua la colpa per il numeretto che aveva pescato dal sacco, per come la vita lo aveva modellato, per ciò che suo padre lo aveva reso, sua era la responsabilità di aver scelto di condannare a morte un uomo. Nessuno lo aveva costretto: aveva deciso lui.

“È stato Kamil Òraviy ad orchestrare tutto?” disse “Voglio sapere ogni cosa.”

Segùr fu scosso da un brivido, abbassò gli occhi di nuovo.

“Se anche avessi provato, non avrei potuto impedirlo…”

Stavolta la mano di Adrian fu più veloce del suo autocontrollo: uno schiaffo colpì il giovane in pieno viso.

“NON AVRESTI POTUTO? Ti rendi conto di che cazzo stai dicendo? Tu non hai voluto farlo! Ti bastava dirlo a Noam, ti bastava dirlo a me! Ma hai preferito essere complice di quel bastardo di tuo padre: non posso credere che non te ne venisse un tornaconto! Cosa ti ha offerto, eh? E non provare a dirmi che avevi solo paura: Kamil Òraviy non avrebbe certo fatto ammazzare suo figlio! Nella peggiore delle ipotesi avrebbe messo i bastoni tra le ruote alla tua carriera, ma probabilmente per te la vita di un uomo vale di meno!”

Segùr tremava come una foglia: sembrava davvero troppo piccolo, troppo fragile e inetto per aver fatto ciò che aveva fatto. Ma lo aveva fatto. Aveva scelto, maledizione. Anche le persone piccole – lo sapeva bene – sapevano fare scelte terribili.

“Mio padre ha grandi interessi nel Dàrbrand, in particolare ha in ballo un grosso affare con gli impianti estrattivi nella valle di Sad-Brask. Il sindaco uscente, Mìleuk, è un suo uomo di fiducia ed in questi anni ha lavorato per ottenere la modifica della normativa che impedisce l’estrazione dei metalli rari dalle pendici delle montagne. Un cambio della guardia sarebbe stato estremamente dannoso… mentre un attentato avrebbe creato una situazione di emergenza che avrebbe presumibilmente portato allo stallo il rinnovo dell’amministrazione. Non solo, avrebbe determinato un giro di vite contro FDL, ovvero il principale responsabile degli scioperi nell’area di Sad-Brask. Ma, Vesna, tu non hai capito: non era Dolbruk il bersaglio. Da lui mio padre sperava di poter ottenere comunque qualcosa in futuro, lo considera ingenuo e manipolabile. Inoltre, se fosse morto non gli sarebbe stato vantaggioso passare per quello che aveva avuto di che discutere con un giovane martire mitizzato dall’opinione pubblica. La vittima designata era Lant Màrna.”

Questo Adrian non se l’aspettava.

Ripercorse il ragionamento che lo aveva portato alle proprie conclusioni: cosa gli era sfuggito?

Ma sì. Gli era sfuggito Segùr Òraviy. Gli erano sfuggiti l’invidia, la frustrazione e la calibrata follia di un uomo intrappolato tra due figure di autorità che avevano deciso, deliberatamente o meno, di trasformarlo in un fantasma.

“Sei stato tu…” disse quasi a se stesso “Tu hai mandato Noam a Mòrask. Tu hai deciso chi dovesse morire…”

Segùr si morse le labbra.

“Sì.” profferì “Io ho deciso chi dovesse morire, ed ho deciso di sacrificare quello che aveva già scelto di voler fare il martire, ben prima che lo scegliessi io.”

“FIGLIO DI PUTTANA!” esplose Adrian “Noam ti credeva un amico!”

Lo colpì col calcio della pistola e lo fece rovinare a terra: poi gli fu addosso e lo prese a pugni finché non gli fece sanguinare il naso.

Non era andato lì per uccidere un uomo. Allora perché gli stava puntando la pistola alla fronte?

Segùr non ebbe alcuna reazione: chiuse gli occhi preparato al peggio, non provò a difendersi, non provò a parlare, attese immobile come una bambola di pezza afflosciata: solo il tremito del suo corpo lo faceva sembrare vivo.

Una bambola di pezza, già, ecco cosa era quell’inutile e minuscolo uomo. Una bambola nelle mani del padre e poi di Zjam Kàrkoviy: un burattino che aveva cercato di affrancarsi facendo la più efferata delle scelte, preferendo essere un assassino piuttosto che niente.

Meritava di morire per questo?

Adrian pensò per un istante che se avesse avuto il coraggio di premere il grilletto forse lui sarebbe stato meglio. Tutti sarebbero stati meglio.

E Noam, invece?

Noam avrebbe detto “Ti prego. Non rendermi le cose ancora più dure di quanto lo siano già.” ed avrebbe appoggiato la mano sul suo polso, come quella notte a Mòrask.

Come se tutto andasse bene.

Lasciò scivolare il braccio lungo il fianco e si alzò lentamente in piedi, rimettendo la pistola nella fondina.

“Complimenti” disse, atono “Sei stato bravo nelle tue previsioni. Volevi togliere un ostacolo dalla tua strada e invece hai creato un mito. Forse ti dovremmo pure essere riconoscenti…”

Gli girò le spalle e si avviò alla porta.

Mentre se la sbatteva dietro, lo sentì scoppiare a piangere.

 

***

 

“Perché condividi queste informazioni con me?”

Quante volte era stato lui a porle quella domanda? Così tante che era quasi diventato un rito tra loro. Ma adesso era Karìma a farla, confusa e sorpresa da quelle rivelazioni inaspettate ancora di più che dal fatto che Adrian avesse accettato di parlare con lei dopo gli ultimi eventi.

“Perché sei abbastanza pazza da voler mettere in piazza questi scheletri. Io non posso farlo: non mi schiererò apertamente contro il Gruppo Òraviy: so di non avere alcuna possibilità in tribunale, oltre al fatto che tutte le prove che possiedo sono state ottenute illegalmente. Non posso permettermi di imbarcarmi in questa battaglia: il mio compito è sostenere quella di Noam.”

Karìma sorrise con un solo lato della bocca.

“Quindi, se io scrivessi un articolo – supponiamo – in cui ipotizzo che l’attentato di Piazza dell’Orologio sia stato progettato da qualcuno che aveva interesse a non rinnovare l’amministrazione di Mòrask, perché il sindaco uscente stava facendo dei favoritismi a certi gruppi industriali, tu non avresti nulla in contrario…”

Adrian la guardò negli occhi serio.

“Sei consapevole che dandoti queste dritte mi sto servendo di te, perché questo è esattamente ciò che voglio, vero?”

“Ehi, mi prendi per un’idiota?”

Lui scrollò la testa e sorrise.

“Probabilmente solleverai un polverone che si sgonfierà presto, e Kàmil Òraviy ti rovinerà la carriera. Ma la gente capace di guardare un poco oltre il proprio naso saprà cosa è successo davvero.”

Karìma fece spallucce.

“Nah… uno come Kàmil Òraviy non perderà nemmeno un minuto del suo prezioso tempo per rovinare la carriera di una giornalista scandalistica o per mettersi contro una rivista-spazzatura. Magari. Almeno avrei il mio momento di gloria. Invece ci farà solo apparire ancora più spazzatura di ciò che siamo già: gente che inventa scenari improbabili per vendere un paio di copie in più. Ed io, tra parentesi, farò il possibile per farglielo credere: non mi interessa la politica, mi piace solo rendere le vite degli altri… più interessanti! Se poi mi denuncia per diffamazione…” fece una faccia contrita e imbronciò le labbra “presenterò pubbliche scuse, smentirò tutto, prometterò di fare ammenda giurando su mia madre e piangerò miseria!”

Era incredibile quanto riuscisse ad essere sfacciata.

“Non dubito delle tue qualità di attrice.” ridacchiò “Purtroppo.”

Karìma gli strizzò l’occhio, poi si alzò in punta di piedi e gli piazzò un bacio sulla fronte.

“Sei proprio adorabile, Adrian Vesna.”

E tu sei fastidiosa e incorreggibile, pensò lui. Ma pensò anche che quello che le doveva non aveva prezzo: se lei non gli avesse dato il contatto di Thièl, in quell’attentato Noam sarebbe morto.

Non l’aveva nemmeno ringraziata.

  
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