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Autore: Ciuscream    19/01/2023    7 recensioni
[Questa raccolta partecipa alla "To Be Writing Challenge 2023" indetta da Bellaluna sul Forum Ferisce più la penna]
1. L'una per me (Mundungus Fletcher/Emmeline Vance)
Ne insegue le tracce di un profumo di cui non sa riconoscere l’aroma. È sempre stato abbandonato tra puzza e squallore – come ci si avvicini a quel corpo magro e altero, quale sia la strada più adatta, più breve, non riesce a vederlo nella mappa a brandelli che è la sua vita.
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Emmeline Vance, Mundungus Fletcher
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Più contesti
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L’una per me

 

Pelle di luna.
Se Emmeline ha un lato oscuro che nasconde, Mundungus non sa dirlo. 

Sa solo che la quieta e irremovibile luce che emana – la sua pacata e impalpabile possenza – non pare riflessa. Non siede mai; alle riunioni, si incastra negli angoli remoti della stanza, sempre ritta, intrappolata solitamente dove i raggi (del sole, della luna) lasciano filtrare uno spiraglio tiepido e nebuloso, in cui vorticano stelle e coriandoli di polvere. Non lo guarda mai, come se fosse invisibile, come se i suoi occhi gli passassero attraverso, come se fosse fatto di nebbia: non ha la consistenza solida dei suoi ideali, né la granicità di una morale qualsiasi. Lui è della stessa sostanza gassosa del grigiore, quello che sfuma nella terra di mezzo che separa il giusto e lo sbagliato, nella continua altalena da una e dall’altra parte di una barricata che lui non sa vedere e che, invece, per lei è un muro invalicabile. 
Ha pelle bianca ed occhi duri – la volontà molle di Mundungus non sa (non può) sorreggerla.

 

Occhi di terra.
Se Emmeline ha una casa, un posto dove i suoi piedi si fanno radici, Mundungus non sa dirlo. 

Ne insegue le tracce di un profumo di cui non sa riconoscere l’aroma. È sempre stato abbandonato tra puzza e squallore – come ci si avvicini a quel corpo magro e altero, quale sia la strada più adatta, più breve, non riesce a vederlo nella mappa a brandelli che è la sua vita. Non sa immaginare come Emmeline sia quando si spoglia delle vesti, con quali gesti brevi sganci bottoni, sciolga nodi e svuoti asole. Nemmeno nei sogni si figura quale sia la piega di un suo sorriso, come gli occhi e il viso si trasformino quando, lontana, salva, lascia andare la corazza della guerra e diventa semplicemente donna, amante, compagna. 
Un brivido lo attraversa, il Firewhisky scende – lo taglia – lungo la gola, una risposta arriva rapida, fruscia come una Maledizione: non lo sa, non lo saprà mai. Perché c’è chi è terra, chi ci vive sotto: nel sottosuolo della vita, Mundungus ha costruito il suo regno. 

 

*

Mani di foglie.
Emmeline fiorisce ad ogni stagione, come ciliegio in un clima che ha perso ogni logica. Questo, Mundungus, sa dirlo.
Non sa dire, però, come ci riesca. 

La guarda, mentre muove la bacchetta e disegna un incantesimo, scuotendo l’aria. Guarda le sue mani: sono bianchissime, screziate da un reticolo di capillari sottili e fecondi, che le intrappolano e le intessono la pelle di una geometria tutta loro. Gli ricordano una foglia, foglia di fronda che è il suo scialle di seta, verde di clorofilla e scintillante di brina. Le guarda: l’anulare è vuoto, abbandonato, sottile e solo, come lei, che sembra sempre altro, altrove, da lui. Come olio ed acqua, mondi che non sono destinati a mescolarsi – nemmeno ad avvicinarsi. 

Mundungus la guarda, la ammira. La bacchetta di Emmeline si muove leggera, è legno di noce scuro come i suoi occhi, come il buio che rischiara con un Lumos che è un sospiro leggero. Il turno di guardia è appena iniziato, il suo profumo già gli fa mancare l’aria, si incastra nei polmoni insieme agli scarti nodosi del fumo. Le parole, sospinte dall’aria che i bronchi non si sanno trattenere, gli escono dalla bocca, come le mani dalle tasche di fronte a qualcosa di prezioso. 
Gazza ladra, lingua lunga, scarto, pezzente.
Lui, tutti quei nomi, tutte quelle verità. Lui, e quelle parole che gli rimbombano in gola da notti antiche, quelle parole che sa essere le più sbagliate, le più assurde, le più insensate. 
Come lui.
 

“Emme… ma tu, mi sposeresti?”

Sono uscite, si sono fatte palpabili, si sono fatte d’acciaio. Mundungus sente l’aria creparsi a metà, sente le lettere sbattere una sull’altra in un tintinnio fastidioso, cacofonico, asincrono. Sente la lama di quella domanda tagliare lo spazio che li divide. 

Emmeline si volta leggera, una sorpresa che le piega sottili rughe ai lati degli occhi. Non c’è scherno nel suo sguardo, non c’è traccia di risata. C’è la solita serietà quieta, c’è lo scialle che si slaccia piano dal suo collo e lascia scoperta la valle bianca alzata da una clavicola, la pelle che si distende e affonda. Mundungus ci scivola dentro, per un attimo breve, e immagina tutti i dirupi del suo corpo, spigoli sui quali mai potrà scontrarsi. Strade che non potrà percorrere.

Emmeline allunga una di quelle mani bianche, fa per poggiargliela in viso. Si ferma a qualche millimetro, sulla linea sottile che separa la verità dalla speranza. 

Qualcosa nel petto di Mundungus si schianta. 

Sente il freddo della sua pelle sottile, quello mosso da quel movimento: lo sente sulla sua barba ispida, su giorni di dimenticanze e sciatteria. Lo sente – per un attimo brevissimo, il tempo di un lampo, anche se quello che gli esplode nelle orecchie forse è l’avvertimento di un tuono. Di un tonfo. Di un’implosione. 

La mano cade, torna al suo posto, scivola accanto al fianco – stancaStanca come sembra lei.

“Andiamo, Mun. Montiamo la guardia tra poco”

Mundungus annuisce breve, la testa che vibra, l'ombra della sua mano – il suo ricordo – che ancora sosta accanto alla sua pelle vizza. Uno sbuffo d'alcol gli risale dall'esofago.


Se lo dice: se Silente gli ha spiattellato in faccia la sostanza senza forma delle seconde possibilità, è solo Emmeline che gli ha insegnato a modellarla – senza saperlo. Con le sue mani di foglia, coi suoi occhi di terra, con la sua pelle di luna. Con i suoi sguardi schivi, con il suo mostrargli, silenziosa, quanto sia invisibile, sporco, perduto. Giudicandolo senza giudizio, condannandolo senza processo, puntando dita contro il suo cuore informe.

Con i suoi no, con tutti i suoi infiniti e muti no, gli ha insegnato che il suo amore è l’unica cosa che non può riuscire a rubare.
L'unica cosa per cui varrebbe la pena farlo.
 

 

 

Note: Questa storia partecipa alla “To Be Writing Challenge 2023” indetta da Bellaluna sul Forum “Ferisce più la penna”. La sfida è quella di scrivere 12 storie, una al mese, per tutto il 2023. Una per ogni tematica vincitrice. Quella che ho scelto per questo mese (e per questa storia) è quella dell’unrequited love. Come personaggi ho scelto Mundungus Fletcher e Emmeline Vance. Ho pensato a questa coppia ormai molto tempo fa, in una challenge che sfidava a scrivere una storia al giorno, e quindi permetteva poco tempo per pensare e agire “razionalmente”. Infatti, questa coppia è venuta su a caso e a caso torna per quest’altra challenge. Perché appena ho letto la tematica ho pensato di nuovo a loro e quindi dovevo tornare qui. 
La mia idea per questa challenge è quella di sviluppare una raccolta di brevi OS (voleva essere di flash e ho già sforato ma voglio mantenere il limite di mille parole), una per tematica, così da riuscire magari a portare a termine l’impresa, con questo numero ridotto di caratteri. Ma vedremo, magari cambierò idea già dalla prossima volta!
Il titolo è ripreso dalla canzone “L’una per te” di Vasco Rossi.
Intanto, grazie a chi si è avventurato in questa storia e in questa coppia strampalata per queste poche righe!
Vi abbraccio forte, a presto.


 
   
 
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