Libri > Harry Potter
Segui la storia  |       
Autore: starlight1205    22/01/2023    3 recensioni
Edimburgo, 1996
Diana Harvey è una normale ragazza che vive con la zia e lavora nel negozio di antiquariato di famiglia. Una serie di circostanze e di sfortunati eventi la porteranno a confrontarsi con il mondo magico, con il proprio passato e con un misterioso oggetto.
Fred Weasley ha lasciato Hogwarts e, oltre a dedicarsi al proprio negozio Tiri Vispi Weasley insieme al gemello George, si impegna ad aiutare l'Ordine della Fenice nelle proprie missioni.
Sarà proprio una missione nella capitale scozzese a far si che la sua strada incroci quella di una ragazza babbana decisamente divertente da infastidire.
[La storia è parallela agli eventi del sesto e settimo libro della saga di HP]
- Dal Capitolo 4 -
"Diana aveva gli occhi verdi spalancati e teneva tra le dita la tazza di tè ancora piena.Non riusciva a credere a una parola di quello che aveva detto quel pazzo con un'aria da ubriacone, ma zia Karen la guardava seria e incoraggiante. Il ragazzo dai capelli rossi nascondeva il suo ghigno dietro la tazza di ceramica, ma sembrava spassarsela un mondo. Diana gli avrebbe volentieri rovesciato l'intera teiera sulla testa per fargli sparire dal viso quell'aria da sbruffone."
Genere: Avventura, Azione, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bellatrix Lestrange, Fred Weasley, George Weasley, Mundungus Fletcher, Nuovo personaggio | Coppie: Bill/Fleur
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Lord Voldemort era seduto sullo scranno intarsiato dall’alto schienale rivolto verso le fiamme che crepitavano nel camino. Era rimasto solo nella stanza, perchè nessun altro riusciva a sopportare il tepore del focolare. Era estate, ma lui, come un rettile, sentiva sempre il bisogno di avere una fonte di calore accesa. Nagini, così simile a lui, era attorcigliata intorno alle sue caviglie e aveva il muso appoggiato sulle sue ginocchia, docile come un gattino. 
Voldemort accarezzò la pelle fredda e squamosa, senza distogliere lo sguardo dalle fiamme danzanti.

Albus Silente era morto. 
Il Ministero della Magia era caduto. 
Eppure il giovane Potter continuava a sfuggirgli e lo stesso faceva quella stupida babbana proprietaria del Blackhole, solo perchè i suoi inetti scagnozzi non erano in grado di catturare il primo nè di sfilare uno stupido ciondolo a una sudicia essere inferiore.

Nagini sollevò impercettibilmente la testa per osservare la porta chiusa della vasta stanza e Lord Voldemort scivolò con naturalezza a leggere la mente del serpente. 
Nagini, con i suoi sensi sviluppati, aveva già captato che qualcuno fosse di ritorno e che stesse risalendo le scale del Malfoy Manor per raggiungerlo.
Voldemort picchiettò le lunghe dita pallide sul bracciolo della sedia e si voltò a guardare la porta, che poco dopo si aprì rivelando tre figure.
- Mio signore - dissero tutti e tre a capo chino.
Voldemort li accolse con un cenno della mano e, contenendo a stento lo sdegno che provava nei loro confronti, con un movimento silenzioso e fluido, si alzò.
- Lo avete preso? - domandò a voce bassissima.
- Potter è fuggito - disse Bellatrix Lestrange alzando appena lo sguardo per cercare di incrociare il suo, mentre Voldemort sentiva già montare la collera nell’udire sempre la solita risposta negativa - ma...
- Ma ho il Blackhole, mio signore - si fece avanti l’altro uomo porgendo l’orologio da taschino.
Voldemort sentì i muscoli contrarsi in una smorfia che forse, tempo prima, avrebbe potuto essere un sorriso, mentre osservava il vecchio orologio da taschino, compiaciuto, non tenendo minimamente in considerazione colui che glielo stava porgendo.
- Ricordati che senza di me non avresti preso un bel niente, schifosa sanguisuga - dichiarò con rabbia Fenrir Greyback.
Voldemort alzò la mano per zittire Greyback e continuò a osservare l’orologio da taschino, senza decidersi ad afferrarlo.
- Codaliscia - ordinò Voldemort. 
Anche se non lo vedeva, poteva percepire la presenza del vile servo che attendeva i suoi ordini fuori dalla porta della stanza. 
Riusciva a fiutare l’odore della sua paura, mentre gli sembrava di vederlo torcersi le mani per l’angoscia.
Codaliscia apparve, pallido e tremante, tormentandosi la mano argentata, proprio come Voldemort aveva immaginato.
- Prendi il Blackhole e andiamo a fare una chiacchierata con il nostro ospite - sentenziò Voldemort.

Si smaterializzò all’interno delle celle umide e fredde al di sotto del Malfoy Manor, dove raggomitolato in un angolo e coperto di stracci, si trovava un anziano uomo magro, emaciato e dai capelli grigi incrostati di sporcizia. Non appena percepì la sua presenza, il vecchio parve farsi ancora più raggrinzito e un moto di terrore gli attraversò il viso, mentre si appiattiva contro alla parete di mattoni umidi.
Alle sue spalle, Voldemort sentì Codaliscia entrare nelle segrete, aprendo le sbarre cigolanti.
- Ho il Blackhole, Olivander - annunciò Lord Voldemort tetramente soddisfatto.
Il fabbricante di bacchette sbattè più volte le palpebre per metterlo a fuoco, come se vedesse la luce dopo tanto tempo passato al buio, e aprì e richiuse la bocca senza emettere alcun suono, mentre il suo sguardo si alternava tra Voldemort e Codaliscia che, con espressione riluttante, reggeva il Blackhole nella mano argentata.
- Da domani vi metterete al lavoro -  Lord Voldemort impartì l’ordine in tono perentorio.
Nessuno osò fiatare, perciò Voldemort continuò: - Olivander, ti è ritornata la memoria in merito alla Bacchetta?
- Io...Io...- balbettò Olivander non smettendo di tremare.
Voldemort emise un basso ringhio e esclamò: - Legilimens!
In un attimo fu proiettato all’interno della mente di Olivander, ordinata e tremendamente simile al suo negozio di Diagon Alley, se non per la differenza che lì, al posto delle bacchette, l’uno sull’altro erano stipati i suoi ricordi. 
Sinuosamente, strisciò tra gli scaffali fino ad avvicinarsi al reparto che lo interessava mentre ciò che cercava affiorava dai ricordi nebulosi come un galleggiante.
Si ritrasse bruscamente dalla mente polverosa dell’uomo, che rimase a terra, scosso da tremiti e tenendosi la testa tra le mani.
Un fruscio delle vesti scure e Voldemort lasciò la cella, incrociando Bellatrix che lo aspettava fuori dalle segrete, in attesa di ordini.
- Starò via per un po’. Chiamatemi solo se ci sono notizie degne della mia presenza.

 


Diagon Alley



Le gocce scivolavano silenziosamente sul vetro appannato, mentre il cielo fuori dalla finestra pareva aver risucchiato ogni colore distendendo una coltre grigia e nebbiosa sul quartiere magico.
Diana Harvey faticava a credere che quella che si stagliava davanti a lei fosse parte della città di Londra.
La ragazza appoggiò il palmo della mano sul vetro come a cercare di afferrare una di quelle gocce, ma riuscì solo a sentire la superficie fredda della finestra, mentre vedeva i passanti muoversi furtivi lungo la strada, guardandosi intorno più volte come per controllare di non essere seguiti.
Le gocce di pioggia continuavano a rincorrersi lasciando delle umide scie dietro di loro, come piccole stelle cadenti.

Si sentiva strana.
Come se si trovasse in riva al mare con i piedi che, mentre l’acqua si ritraeva, affondavano sempre più nella sabbia bagnata, in attesa che un’onda la colpisse nuovamente.
Ma quell’onda non arrivava mai.
Non aveva più con sè il Blackhole, eppure era riuscita caparbiamente a contenere la propria disperazione, consapevole che l’indomani sarebbe esplosa, tornando ad essere devastata e senza speranza, proprio come dopo la morte di zia Karen. 
Invece, l’indomani era di nuovo lì, in piedi e in angosciosa attesa della tempesta che minacciava continuamente di raggiungerla senza, però, colpirla mai.
Inaspettatamente, una piccola parte di lei si era sentita sollevata, libera.
Ormai, nessuno le avrebbe dato più la caccia.
Era tornata ad essere una persona normale.
Anche Fred e George erano sembrati sorpresi dalla sua reazione così pacata: di tanto in tanto, Diana li coglieva ad osservarla di sottecchi come se si aspettassero che da un momento all’altro andasse fuori di testa.
Il vero motivo per cui Diana non aveva perso la testa era che, in realtà, si sentiva ancora esattamente identica a quando possedeva il Blackhole. Non si era nemmeno accorta di non averlo più fino a che non si era guardata allo specchio.
Le sembrava ancora di sentire il leggero ronzio vibrante emanato dal ciondolo, esattamente come se lo avesse ancora al collo.
Le pareva quasi di percepirne ancora il potere, ma probabilmente era soltanto una sua suggestione mentale. Più volte, per abitudine, aveva portato la mano al collo ad afferrare il ciondolo, per poi sentirsi smarrita nel ricordare che quello non c’era più.
Lei non aveva mai voluto dei poteri magici, anzi, fino all’anno precedente non sapeva nemmeno dell’esistenza della magia, ma da quando aveva imparato a padroneggiare il Blackhole era cambiata: le sue insicurezze, che prima sembravano insormontabili, si erano lentamente appianate, lasciando spazio a un coraggio che non credeva di avere. Da quando conosceva Fred e la famiglia Weasley era cambiata: si era aperta ad un mondo che all’inizio le era solo sembrato ignoto e spaventoso e che al momento, invece, era tutto ciò che ancora la teneva in piedi.
E ora era tornata ad essere solo la babbana indifesa.
Era tremendamente semplice riuscire ad affrontare con razionalità i suoi timori e le sue ansie durante il giorno; nel buio della notte, invece, era tutta un’altra faccenda, perchè gli incubi non avevano tardato a raggiungerla.

Strofinò i palmi delle mani l’uno contro l’altro.
Era passata più o meno una settimana dal loro arrivo a Diagon Alley e, ad eccezione della prima notte in cui era crollata addormentata ed esausta, tutte le altre notti erano state costellate da sogni inquietanti e sconnessi. La maggior parte delle volte udiva la risata maligna di Bellatrix Lestrange riecheggiarle in mente o le sembrava di sentire le grinfie di Greyback stringersi sul suo collo, tanto da svegliarsi con il respiro mozzato per il terrore. 
C’erano poi altri sogni, sfocati e confusi: esplosioni, incantesimi, lei che si affannava a cercare una nebulosa figura dai capelli rossi, percependo un retrogusto di pericolo.
Proprio quella notte, si era svegliata di soprassalto, madida di sudore, mentre Fred, al suo fianco, dormiva, ignaro degli incubi che continuavano a tormentarla.
Il battito del suo cuore le rimbombava ancora nelle orecchie nel rivivere il vivido sogno che per la prima volta le aveva fatto visita. 

Si trovava all’interno di casa sua, l’appartamento al di sopra del negozio Harvey, ma c’era qualcosa di strano, perchè i mobili non erano disposti come ricordava.
Non c’era il divano color senape.
Non c’era il tavolino di vetro al centro del soggiorno.
Non c’era la televisione nell’angolo accanto alla cucina.
Non c’era nemmeno il pianoforte a coda di Benjamin e persino la prospettiva da cui assisteva alla scena nel sogno sembrava ribassata e distorta. 

Si era incamminata, come se le sue gambe fossero malferme, tra le varie stanze, mentre l’immagine del corridoio sfarfallava come quella di una vecchia tv con l’antenna mal sintonizzata, in cerca di qualcosa, fino a che, quasi davanti alla porta della stanza degli ospiti, i suoi piedi non avevano slittato su qualcosa di viscido e lei non era caduta rovinosamente a terra.
Era decisamente un sogno, perchè non aveva sentito nessun dolore nel atterrare malamente sul pavimento di legno. 
Aveva abbassato la testa per appoggiare le mani a terra e rimettersi in piedi quando un moto di terrore le aveva strizzato lo stomaco nel realizzare che ciò che le aveva fatto perdere l’equilibrio fosse una grossa e tiepida macchia scarlatta.
Aveva sollevato i palmi delle mani e il grido di orrore le si era strozzato in gola nel realizzare che quello che le grondava dalle mani fosse sangue.
Aveva alzato lo sguardo sulla porta aperta per metà vedendo altre chiazze di sangue.
Proprio quando, tremante e nauseata, si stava sporgendo per aprire maggiormente la porta, un bagliore azzurro l’aveva accecata
impedendole di vedere l’interno della stanza.
Poi il corridoio e lo spazio attorno a lei si erano dissolti in una nebbia vorticante, mentre lei si sentiva solo cadere nel vuoto con il peso del terrore a spingerla sempre più verso l’abisso.


Si era svegliata di soprassalto con ancora cucita addosso quella terribile sensazione di caduta verso il basso, totalmente presa dal panico e madida di sudore.
Era rimasta sveglia per parecchio tempo a rimuginare su quello strano incubo, senza avere il coraggio di svegliare Fred.
I timpani le dolevano e fischiavano mentre il cuore le rimbalzava nel petto, il respiro non accennava a rallentare e, compulsivamente, si osservava i palmi delle mani per cercare una traccia del sangue che, fino a pochi attimi prima, sembrava ricoprirle.
Aveva dovuto reprimere un conato di vomito nel ricordare la vischiosa sensazione delle mani imbrattate.
Fissava le sue mani tremanti, accaldata dall’orrore di quell’incubo, mentre i contorni del suo sguardo si offuscavano di piccole macchie scure.
Inspirare.
Espirare.
Inspirare.
Espirare.
Le piccole macchie scure parvero dileguarsi in una lenta retromarcia e il suo respiro rallentava la sua corsa.
Si era appoggiata allo schienale del letto e si era soffermata ad osservare Fred dormire. La fioca luce proveniente dalla strada si diffondeva nella stanza attraverso la finestra priva di imposte illuminando appena il viso del ragazzo: la bocca semiaperta, una mano infilata sotto al cuscino e i capelli rossi arruffati.
Diana aveva sentito il respiro calmarsi lentamente, mentre contemplava il viso di quello che era diventato il suo ragazzo.
Sentiva ancora una stranza sensazione allo stomaco nel realizzare che lei e Fred Weasley stessero davvero insieme.
Non lo aveva preventivato.
Ancora riusciva a ricordare il fastidio che, inizialmente, il ragazzo le provocava solo rivolgendole una battuta o aprendosi in un sorriso, mentre, in quel momento, si accorgeva che senza vedere quel sorriso si sarebbe sentita vuota.
Nonostante le terribili circostanze che aveva dovuto affrontare, non riusciva a non ritenersi fortunata per aver trovato Fred e per averlo avuto sempre al suo fianco. Non riusciva ad immaginare come avrebbe potuto fare senza di lui.

La luce che attraversava le finestre era aumentata.
La mattina era sempre più vicina e con la sua luce estiva riusciva a rendere meno spaventoso il ricordo della notte.

Si era ormai del tutto tranquillizzata ed era scivolata tra le lenzuola al fianco di Fred per cercare di riaddormentarsi, pensando già a quale battuta il ragazzo si sarebbe inventato se si fosse svegliato e se l’avesse sorpresa a fissarlo.
Sicuramente qualcosa sul fatto che lui fosse bellissimo e che lei non fosse in grado di staccargli gli occhi di dosso.
Diana aveva sorriso a quell’eventualità e aveva chiuso gli occhi, mentre il sogno, che era sembrato così dannatamente reale, sbiadiva e si faceva nebuloso fino a svanire nel nulla.

- Pronta, Pixie? 
La voce di Fred la riportò alla realtà e Diana distolse lo sguardo dalla strada per voltarsi e incontrare lo sguardo del ragazzo che, appoggiato allo stipite della porta della camera, le sorrideva a braccia conserte. Quel giorno, stranamente, Diana era riuscita a convincerlo ad indossare una semplice (e triste, a detta di Fred) t-shirt blu.
Diana annuì, gli andò incontro sfiorandogli la mano con le dita e lui, prontamente, le afferrò la mano per stringerla nella sua.
Il suo sguardo si posò nuovamente sulla sua mano libera dalla stretta di Fred e, istintivamente, strofinò il palmo sui pantaloni. L’idea delle mani sporche di sangue la fece rabbrividire, facendola sentire quasi una novella Lady Macbeth.
Rabbrividì una seconda volta nel ricordare un pomeriggio in cui aveva aiutato Aileen a memorizzare le battute dell’opera shakesperiana, quando la sua migliore amica aveva provato proprio la parte della donna in preda al suo folle delirio.

La ferita di Lee Jordan non aveva permesso spostamenti prima di quel momento, ma quella mattina lui e George si erano recati a Edimburgo per cercare di scoprire qualcosa in merito alla famiglia Harvey-Murray. 
Fred si era opposto al fatto che Diana li accompagnasse, come lei, invece, avrebbe voluto, sostenendo che sarebbe stato troppo rischioso, e Diana, di contro, si era opposta al fatto che Fred agisse nuovamente senza calcolarla, perciò, il compromesso aveva fatto ricadere la scelta su Lee e George.
- Sono tornati? - chiese Diana a Fred.
Uno schiocco rispose implicitamente alla sua domanda e i due ragazzi comparvero in mezzo al soggiorno.
- Allora? - domandò Diana ansiosa di avere qualche risposta.
- Il negozio era chiuso - spiegò George - siamo entrati per cercare qualche indizio, ma non c’era nulla di strano e quindi siamo andati sul negozio di Princes Street, come mi avevi detto, e abbiamo trovato Robert.
L’espressione di Fred mutò nell’udire quel dettaglio: - E? - incalzò il fratello affinchè parlasse, mentre anche Diana si avvicinava in attesa di delucidazioni.
- O finge di non sapere nulla, e nel caso finge molto bene, oppure davvero non ne sa niente! - George si lasciò stancamente cadere sul divano e, rivolgendosi a Diana, proseguì - sembrava davvero preoccupato per te, per Ben e anche per tuo padre! Mi ha tempestato di domande pensando che ne sapessimo qualcosa in più!
- E non sa dove sia Ben? - domandò Fred a braccia conserte e con lo sguardo assottigliato.
- Dice di no - Lee Jordan scrollò le spalle rivolgendosi a Diana - certo che hai proprio una strana famiglia...
- Che gli hai detto di me? - si informò Diana ignorando totalmente il commento di Lee.
- Gli ho detto che stai bene - continuò George - dovevi vederlo! Era fuori di sè! Mi sa che è dimagrito pure di qualche chilo! Mi ha chiesto di fargli sapere qualcosa su Ben e Daniel e gli ho detto di fare lo stesso...sai, se fosse lui ad avere informazioni per primo!
- Beh, ora saprà che Diana è con noi - constatò Fred tra sè e sè - non possiamo rimanere qui...
Diana si accigliò. Il suo inconscio le diceva che Robert era innocuo, ma stava prendendo troppe cantonate per fidarsi ancora del suo intuito.
- Se Robert facesse la spia con qualcuno, ci metterebbero poco a capire che sei qui oppure alla Tana - continuò a ragionare Fred camminando avanti e indietro per il soggiorno, mentre Lee, George e Diana lo seguivano con lo sguardo.
Si fermò davanti a Diana e sentenziò: - Facciamo questa cosa e poi troviamo un altro posto dove stare.
- Potremmo provare da me - propose Lee Jordan - in un quartiere babbano dovremmo stare tranquilli!
- Buona idea - annuì Fred dando una pacca sulla spalla all’amico - grazie Lee.

I quattro ragazzi raccolsero velocemente le proprie cose e Fred e George chiusero il negozio.
Diana si infilò le scarpe e disse: - Ok, sono pronta! Possiamo andare!
Fortunatamente, Molly Weasley era riuscita a farle avere la sua valigia rimasta alla Tana, altrimenti avrebbe dovuto indossare magliette di Fred per il resto dei suoi giorni. 
- Diana Harvey, mi concederebbe l’onore di appoggiarsi al mio braccio per eseguire l’incantesimo di smaterializzazione? - chiese Fred in finto tono formale piegando il braccio ad angolo retto in attesa che lei vi si aggrappasse e abbassandosi in un profondo inchino.
Diana sbuffò una risata mentre afferrava il braccio di Fred e rispose: - Credo che sia la prima volta che mi chiami “Diana Harvey”...
In tutta risposta, lui si limitò a farle un occhiolino, mentre George alzava gli occhi al cielo spazientito e borbottava: - Quante smancerie...
- Sei solo invidioso - lo punzecchiò Lee con una risatina.
- Invidioso? - rispose George scoppiando in una scandalizzata risata - e di cosa? Di mio fratello che si è totalmente rimbambito? No, grazie!
Tre sonori crack risuonarono e i quattro ragazzi apparvero in una tranquilla strada della periferia di Londra, disseminata di villette azzurrine tutte identiche, perfette e squadrate con i loro giardini dal prato curato e verde.
- Fate presto, Romeo e Giulietta - sentenziò George con sarcasmo guardando il fondo della via alberata, trascinando la valigia di Diana e caricandosi un grosso zaino sulla spalla.
Diana roteò gli occhi al cielo: - Ancora con questi Romeo e Giulietta...
- Ci vediamo dopo - si mise in mezzo Lee con uno zaino in spalla e l’altro in mano.

Diana e Fred si congedarono da Lee e George, che si diressero in fondo al viale alberato, verso casa Jordan.
Diana prese la mano di Fred intrecciando le sue dita a quelle del ragazzo, mentre si incamminavano verso la fermata della metropolitana più vicina. 
Si sentiva un po’ stupida, ma quando la sua mano si trovava racchiusa in quella di Fred le sembrava che tutto andasse meglio. Si sentiva un po’ più forte. Si sentiva come se avesse potuto affrontare qualsiasi cosa insieme a lui.
Avevano deciso di muoversi il più possibile con mezzi babbani per evitare di dare nell’occhio e arrivare al Bedlam Royal Hospital, dove il padre di Diana era stato negli anni precedenti. Avrebbero iniziato a cercare qualche indizio da quel luogo, ossia l’unico che Diana potesse ricondurre al padre.
Fred si era detto d’accordo al mescolarsi tra i babbani, ma continuava a guardarsi attorno con la bocca spalancata, stupito dalle varie tecnologie. Prima era stato rapito dalle insegne luminose alle fermate degli autobus e poi aveva avuto una specie di shock di fronte ai tornelli della metropolitana che sembravano, a parer suo, aprirsi per magia.
- Per favore, calmati - sibilò Diana sorridendo mentre Fred si chinava a osservare attentamente la fessura dove si inseriva il biglietto della metropolitana - oppure quando saliremo sulle scale mobili ti verrà un infarto! Sembri tuo padre...
Fred la guardò torvo, ma poi si aprì in un sorriso stupito nel vedere le persone trasportate verso l’alto dai gradini in movimento.
Una volta saliti sul vagone, la situazione non migliorò, perchè Fred continuava a guardarsi intorno come se avesse avuto un’apparizione divina.
Fortunatamente, il viaggio fu abbastanza breve e riemersero presto in superficie.

Il Bedlam Royal Hospital era una costruzione cubica, grigia e triste conficcata tra altri edifici altrettanto tristi e spenti. Aveva smesso di piovere, ma le pareti dell’edificio squadrato erano ancora lucide e scintillanti.
L’ingresso era spoglio, con delle poltroncine in pelle scura che probabilmente non vedevano una bella ripulita da molto tempo. Diana arricciò istintivamente il naso all’odore di disinfettante che la colpì una volta varcata la porta girevole. Fred si limitò a voltarsi indietro e ad osservare la porta con curiosità.
Un via vai di pazienti e personale medico affollava l’atrio, mentre il telefono della segretaria nascosta dietro una grossa scrivania non smettava di squillare insistentemente. 
Si diressero proprio verso l’impiegata che con il ricevitore telefonico schiacciato tra l’orecchio e la spalla, li scrutava con aria scocciata già solo per il fatto che si trovassero lì.
La donna aveva continuato a studiarli, mentre si avvicinavano, poi si era spinta gli occhiali sul naso con un rapido gesto e, ruminando freneticamente una gomma da masticare, era tornata a rivolgere lo sguardo sui fogli sparpagliati disordinatamente sulla scrivania.
Diana e Fred si fermarono di fronte al bancone, ma la donna non rialzò nemmeno la testa e finse seraficamente di non vederli. Aspettarono educatamente che concludesse la telefonata prima di rivolgerle la parola.
La targhetta appuntata sulla sua camicetta beige recava a caratteri neri il nome Patricia, sotto al logo dell’ospedale.
- Buongiorno, Patricia - salutò cordialmente Fred in tono affabile - speravamo che lei potesse darci una mano...
Patricia sollevò lo sguardo quando si sentì chiamare per nome e poi, continuando a masticare il suo chewing-gum, posò lo sguardo su Fred, mentre afferrava un raccoglitore ad anelli color verde scuro.
- Buongiorno - salutò Diana sorridendo - mi chiamo Diana Harvey, mio padre è stato un vostro paziente fino a poche settimane fa e mi chiedevo se fosse possibile visionare la sua cartella clinica!
- No - rispose seccamente Patricia facendo scattare bruscamente gli anelli del raccoglitore  - per visionare le cartelle cliniche è necessario un permesso. Se vuoi fare richiesta - continuò prendendo un foglietto striminzito da un cassetto e sventolandoglielo sotto al naso - devi compilare questo e poi ti faremo sapere.
Diana guardò il foglietto e poi tornò a guardare Patricia: - Ma io sono sua figlia... - tentò di dire, come se quello potesse garantirle un permesso speciale.
- E quindi? - domandò Patricia in tono acido agitando una mano a mezz’aria e tornando a spingersi gli occhiali sul naso.
Diana incrociò lo sguardo di Fred, che fino a quel momento era rimasto in silenzio, e tornò a rivolgersi a Patricia, non riuscendo a mascherare il fastidio che quella donna le provocava: - Ok, mi dia una penna, così le compilo il foglio!
Patricia spinse verso di lei una penna e Diana inserì i propri dati sul modulo, mentre Fred sbirciava da sopra la sua spalla.
- Hai un anno più di me? - domandò Fred sconvolto prendendole il foglio dalle mani.
- Fred, non è il momento - lo zittì Diana con un’occhiataccia, riprendendosi il modulo, mentre Patricia osservava interessata i due ragazzi. Diana tornò a rivolgersi proprio alla scorbutica segretaria: - Ecco fatto - e con un sorriso le porse il modulo.
Patricia lo osservò per un attimo e poi lo gettò in cima a una pila di scartoffie.
- Ehm, aspettiamo qui? - domandò Diana dubbiosa indicando la sala d’attesa.
- Per due settimane? - chiese Patricia con un sorrisetto velato da un’inaspettata ironia.
- Due settimane? - Diana quasi si strozzò con la sua stessa saliva nell’assimilare le parole della donna.
Si voltò a guardare Fred. 
Non avevano così tanto tempo a disposizione.
- Suvvia, Patricia - provò a dire Fred appoggiandosi al bancone con i gomiti e passandosi una mano tra i capelli - sono sicuro che un’impiegata capace e con la sua esperienza potrà benissimo fare in modo che la cosa sia velocizzata...possiamo... - si bloccò stranamente a corto di parole.
- Possiamo pagarla! - azzardò Diana di getto.
Patricia, lo sguardo aggrottato dietro alle lenti cerchiate di bianco, osservò prima Fred e poi Diana e rispose: - Se non ve ne andate, chiamo la sicurezza. 
Diana si rabbuiò. Non pensava che le avessero negato la possibilità di visionare dei documenti riguardanti suo padre e non voleva rinunciare all’idea di scoprire qualcosa in più su Daniel Harvey; d’altra parte, aspettare due settimane era parecchio rischioso.
Guardò allarmata Fred, che però sembrava aspettarsi una reazione del genere e, facendo scivolare dalla tasca la bacchetta, mormorò: - Confundus
Patricia rimase cristallizzata in un’espressione ebete per poi sorridere in modo vacuo e alzarsi dalla scrivania mormorando che aveva un urgente bisogno del bagno.
- Eravamo d’accordo di non attirare l’attenzione... - guardandosi intorno per vedere se qualcuno li avesse notati, Diana ammonì Fred che stava di nuovo nascondendo la bacchetta nella tasca.
Fred alzò le spalle rispondendo allegramente: - Avresti dovuto vedere me e George l’ultima volta che abbiamo voluto attirare l’attenzione! Abbiamo fatto comparire una palude in un corridoio a scuola...mi hanno detto che nessuno è riuscito a farla sparire per settimane e che i professori dovevano traghettare gli studenti con delle barche per portarli a lezione!
Diana sbattè le palpebre di fronte a quella notizia, sforzandosi di immaginare almeno vagamente la scena, mentre faceva il giro dietro alla scrivania per aprire i cassetti alla ricerca di qualsiasi informazione utile.
C’erano poche cartelle cliniche, ordinate scrupolosamente in ordine alfabetico, ma il nome Harvey non era riportato da nessuna parte.
- Qui non c’è nulla... - sbuffò Diana mentre rovistava freneticamente.
- Forse dovremo cercare qui - propose Fred facendo roteare tra le mani una chiave con la targhetta “Archivio”; si era allungato con il busto oltre la scrivania per afferrare la chiave.
Diana gliela sfilò dalle dita con un sorriso e si incamminò nel corridoio alla ricerca degli uffici.

Il corridoio era deserto, visto che la zona riservata ai pazienti si trovava nell’ala opposta della struttura.
- Grazie amore mio - la prese in giro Fred fingendo una voce femminile e seguendola lungo la sfilata di porte chiuse - sei proprio bravo, bello, affascinante e...
- Shhh - lo zittì Diana mettendogli una mano sulla bocca e spingendolo nella rientranza del corridoio che si apriva alla loro destra.
- Pixie - mugugnò lui da dietro il palmo della sua mano e poi in tono malizioso aggiunse - non sai proprio resistermi! Possiamo benissimo fare queste cose a casa più tardi...
- Ho sentito un rumore, scemo - e infatti poco dopo una donna che spingeva un carrello per le pulizie si fece avanti lungo il corridoio opposto.
Rimasero schiacciati nella rientranza ad aspettare che l’inserviente terminasse lentamente il giro.
- Hai davvero un anno più di me? - tornò alla carica Fred inarcando un sopracciglio.
Diana roteò gli occhi al cielo e si rimise a tenere d’occhio la donna delle pulizie mormorando: - Piantala! Tecnicamente sono pochi mesi! Sono nata a novembre! - e siccome Fred stava per aprire bocca per ribattere, Diana lo silenziò tappandogli nuovamente la bocca con una mano.
Una volta che la donna ebbe lasciato la zona, si rimisero cautamente alla ricerca dell’archivio.
- E’ divertente! - riprese a dire Fred sorridendo - sembriamo due agenti sotto apertura!
- Copertura - lo corresse Diana alzandosi sulle punte dei piedi per sbirciare dal riquadro trasparente delle varie stanze che si susseguivano nel corridoio - agenti sotto copertura! Non so come hai fatto ad andare in missione con l’Ordine...
Fred aveva fatto scattare la serratura di una porta smaltata di blu con la magia, si era infilato nella stanza e ne era riemerso con aria soddisfatta facendole cenno di entrare e dicendo: - Forse perchè sono bravo?
Diana lo seguì all’interno della stanza.
Quello davanti a loro era decisamente un archivio.
Gli fece una linguaccia per poi aprirsi in un sorriso: - Potevamo anche evitare di prendere le chiavi, visto che ci sei tu... -  Fred gonfiò il petto con aria di superiorità e poi scoppiò a ridere.
Cominciarono ad aprire gli schedari alla ricerca della lettera “H”. Il lavoro durò molto più del previsto, perchè la sola lettera occupava almeno tre cassetti stipati di cartelline, ma dopo circa quindici minuti, Diana intravide una cartelletta dalla copertina marrone sgualcita con indicato il nome di Daniel Harvey: si inginocchiò sul pavimento per consultarla e Fred la imitò.
La cartellina si aprì scricchiolando e Diana iniziò a scorrere a fatica le sottili pagine che sembravano quasi essersi appiccicate tra loro, come se qualcuno non le sfogliasse da molto tempo.
- Non è possibile... - esalò incredula tenendo gli occhi incollati alle pagine ingiallite.
- Cosa? - chiese Fred allungando la testa per leggere.
- Qui...dice che mio padre è stato dimesso nel 1990! Ma non è possibile. Lui ha detto di essere stato dimesso pochi mesi fa... - Diana cercava di dare un senso a quello che aveva davanti - deve esserci un errore!
- Oppure non ti ha detto la verità - concluse Fred.
- E anche questa, effettivamente, non sarebbe una novità - brontolò Diana continuando a fissare la pagina, come se si aspettasse che, da un momento all’altro, le parole stampate mutassero in ciò che si era aspettata di leggere - ma se non è stato qui, allora dove è stato per tutto questo tempo?

Fred scosse la testa con aria vacua, mentre Diana iniziava a tempestarsi di domande. 
Aveva accettato il fatto che Daniel non fosse mai tornato da lei perchè c’era qualcuno che glielo impediva, ma ora tutti i suoi timori di bambina abbandonata erano tornati a percuoterla con forza.
Nessuno aveva impedito a suo padre di tornare da lei.
Non era recluso nè prigioniero.
Semplicemente non aveva voluto tornare da lei.
E le aveva anche rifilato l’ennesima bugia.

- Guarda qui - Fred picchiettò con l’indice un punto della pagina risvegliandola dai suoi pensieri - c’è un indirizzo di riferimento! Ti dice qualcosa?
Diana lesse l’indirizzo indicato da Fred. 
N.1 Caochan Ruadh, Drumnadrochit.
- No... - ammise Diana sforzandosi di ricordare qualcosa in merito a quel luogo dal nome così bizzarro.
No, era certa di non averlo mai sentito nominare prima.
Diana percorse la pagina con lo sguardo un’ultima volta per fermarsi in fondo.
- Sempre peggio - sussurrò indicando la parte terminale del foglio, perchè nello spazio apposito e riservato alla firma di una persona di riferimento presente al momento delle dimissioni, spiccava il nome di Benjamin Murray.
Mentre entrambi ancora fissavano la cartella clinica increduli, dei passi echeggiarono nel corridoio.
- Oh oh...credo che Patricia abbia finito la sua visita al bagno... - sussultò Fred rimettendosi in piedi.
- Ma... - cercò di protestare Diana contrariata.
- Andiamo! - Fred le prese la cartella appoggiata sulle ginocchia e la rimise al suo posto chiudendo il cassetto con un rapido gesto, mentre anche Diana si rimetteva in piedi.
Nel corridoio, Patricia camminava lentamente guardandosi intorno con aria stupita come se vedesse il posto dove lavorava per la prima volta e accarezzando le pareti con aria rapita.
- Arrivederci, Patricia - la salutò con la mano Fred sorridendo con la sua miglior faccia da schiaffi, mentre la superavano per raggiungere l’uscita - è stata veramente gentile!
- Arrivederci, ragazzi! - si sbracciò lei sorridendo - è stato bello avervi qui a cena! Tornate presto!
Diana, divertita da quell’affermazione fuori contesto, si voltò per osservare nuovamente la donna prima di infilarsi nella porta girevole automatica: Patricia stava girando su sè stessa con aria estatica e osservava il soffitto.
- E’ normale che si comporti così? - domandò Diana perplessa - sembra ubriaca...
- Si si! Perfettamente nella norma - la liquidò Fred con un sorriso, mentre Patricia incespicava nei propri piedi ridendo - almeno credo...

-----
Buonasera!
Sono tornata! Vi chiedo scusa, ma queste settimane sono state deliranti e la concentrazione che questa parte della storia merita è andata a farsi benedire! So che sembra che a ogni capitolo ci siano sempre più misteri, ma giuro che a tempo debito tutto sarà svelato (sperando che nel frattempo non vi rompiate le scatole di questa storia..XD)
A parte questo, ho cercato di portarmi abbastanza avanti con i capitoli in modo da cercare di non lasciarvi senza mie notizie per così tanto tempo :)
Se vi va fatemi sapere cosa ne pensate! 
A presto! P.S. Non so per quale problema di Efp, la numerazione dei prossimi due capitoli è sballata. L’ordine di lettura corretto è il seguente: - “La casa infestata” - “Vecchie conoscenze e nuove scoperte”
  
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Harry Potter / Vai alla pagina dell'autore: starlight1205