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Autore: Marti Lestrange    25/01/2023    3 recensioni
L’Istituto Correttivo per Giovani Maghi e Streghe di Haydon Hall non è un bel posto, e basta una sola occhiata per dirlo, ma James Sirius Potter è costretto a trascorrervi un intero anno, per scontare una punizione che in fondo sa di meritare. Quando mette piede nella Scuola non si aspetta, però, che l’atmosfera da incubo lo trascinerà in un incubo vero, con radici profonde in parti della storia magica che nessuno vuole più ricordare, segreti di famiglia e purezza di sangue, lacrime e morte. Una storia in cui la giovane Emma Nott, studentessa ribelle appena arrivata alla Scuola, non può non rimanere invischiata, il richiamo del suo stesso sangue troppo forte per opporsi.
[ dal testo: Nessuno sa quando tutto è cominciato, qui alla grande casa. C’è chi dice che l’inverno del 1981 sia stato uno dei più duri, sia per coloro che vivevano al villaggio, sia per chi abitava tra queste mura fredde e spoglie; c’è chi asserisce che non ci sia stata primavera più bella di quella che ne è seguita, quando cespugli di rose sono cresciuti, a maggio, nei giardini e tra le siepi, e si sono arrampicati sulla facciata ovest, per poi morire ai primi freddi successivi. ]
Genere: Horror, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: James Sirius Potter, Michael Corner, Nuovo personaggio, Pansy Parkinson, Theodore Nott
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace, Nuova generazione
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- Questa storia fa parte della serie 'GENERATION WHY.'
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Nelle puntate precedenti…

 

La visita spettrale all'infestata vecchia magione dei Rosier ha portato a tante risposte, ma i dubbi di Emma e James rimangono. Dopo aver finalmente scoperto l'identità della Dama di Heydon Hall e il suo collegamento ad Emma, restano loro le ultime domande: qual è la misteriosa identità di E.M.R., la nonna di Emma? e com'è finita ad Heydon Hall, sola e triste e incinta? Rimane loro un'ultima visita da fare, gli ultimi fantasmi da espiare: Cassandra Lestrange potrà donare loro gli ultimi pezzi di verità mancante? Forse, soltanto allora Eliza potrà ricevere la pace che merita.

 

[ DISCLAIMER: tutto l’headcanon riguardante la famiglia Rosier e la famiglia di Eliza (di cui al momento non posso/voglio fare spoiler, ma capirete) - a parte il canon - è stato inventato da me ]

 


 

 

THE HAUNTING OF HEYDON HALL

 

CAPITOLO TREDICI

 

“Il dolore fu immenso,
qualcosa che,
se fosse stato un rumore,
sarebbe stato un tuono.”
S. King, Mucchio d’ossa

 

Rosier Hall, Norfolk, 24 settembre 2023

Il buio si era ritirato negli angoli, le ombre erano state assorbite dai muri, i fantasmi dormivano - era la luce del sole che li faceva fuggire. 

 

[UN NUOVO GIORNO]

 

Un raggio obliquo color arcobaleno fendeva la guancia di James, delicato, un’ombra di barba sulla mascella. Sembrava che stesse dormendo e così Emma ne accarezzò il profilo, dapprima con lo sguardo, poi con le dita, piano, ché non voleva rischiare di svegliarlo. 

Avevano ancora una cosa da fare, un ultimo passo incontro alla verità, e molto presto, forse, avrebbero saputo tutto quanto. C’era stato un momento, durante quella notte eterna, in cui Emma avrebbe bussato alla porta di casa Zabini senza indugio, nonostante l’ora tarda, avrebbe bussato fino a farsi sanguinare le mani, se necessario, solo per essere ascoltata, solo per sapere come. Era sicura che Cassandra Lestrange avesse tutte le risposte che cercava, ma se così non fosse stato? E se la donna si fosse rifiutata non solo di dire loro ciò che sapeva, ma anche solo di ascoltare? Allora Emma cos’avrebbe fatto? 

 

[COME DOVEVA ESSERE STATA LA VITA A ROSIER HALL?]

 

Cercò di scacciare via quei pensieri, in quel momento non l’aiutavano. Si guardò intorno, e si chiese come doveva essere stata la vita a Rosier Hall, quando i suoi occupanti ci vivevano e ne occupavano le stanze. Da ciò che aveva capito di Damien e Medea Rosier, non dovevano essere stati una coppia felice, e quella magione non doveva aver contenuto serenità, o affetto famigliare, o una calda accoglienza al rientro a tarda sera. Eppure, alla luce del sole, quel salotto sembrava solo un salotto. Un po’ impolverato, certo, e l’arredamento era davvero datato, trasudava vecchiume, ma Emma poteva immaginare una normale giornata di sole, magari in giugno, e le finestre aperte sul giardino, e una limonata fresca. Chissà come aveva vissuto la sua infanzia suo nonno, lì dentro. Chissà se anche lui aveva paura delle ombre che, quatte, si annidavano negli angoli, pronte a saltarti addosso. Chissà se anche lui preferiva di gran lunga stare fuori, dove niente e nessuno avrebbe potuto afferrarlo. 

“Sento i tuoi pensieri fare rumore.”

 

[JAMES È SVEGLIO]

 

Emma si voltò: James la guardava sorridendo, un po’ assonnato. 

“Scusa, ti ho svegliato?”

Lui scosse la testa. “Come stai?”

“Meglio.”

“Sei ancora sicura di voler andare dagli Zabini?”

Emma annuì. “Sì. Spero che Cassandra ci voglia ascoltare.”

“Sono sicuro che lo farà.”

Si sorrisero, mentre la mano di James trovava la sua, e tutto sembrava più vivo. 

 

🥀

 

Chelsea, Londra, 24 settembre 2023

Casa Zabini occupava un intero palazzo a Chelsea. Emma ci era andata numerose volte, sia come ospite di Cassandra Zabini, sia insieme ai suoi genitori durante uno dei tanti ritrovi di antiche famiglie, a Natale o a Pasqua. Le erano sempre piaciuti i muri bianchissimi, il cancelletto all’ingresso, le colonnine a segnarne la soglia, e l’edera che, regale, scendeva dal cornicione del piano superiore. Era tutto ben curato, quasi perfetto, e un po’ asettico, ma a Emma piaceva: era molto diversa dalle case di campagna che era solita frequentare con i suoi genitori, grandi magioni come Rosier Hall, contenenti manufatti ammuffiti di un tempo che fu, antiche vestigia di una nobiltà ormai estinta; casa Zabini era elegante, sì, ma mai affettata, ordinata pur senza essere scialba, tranquilla e diretta; non nascondeva nessun fantasma nelle sue nicchie e nelle sue sale. 

 

[CASA ZABINI, LONDRA]

 

Emma e James si Materializzarono all’ombra di una macchia di alberi nel giardinetto antistante la fila di case, tutte uguali, lungo la via, che a quell’ora della domenica mattina era tranquilla. Non si vedeva anima viva. Percorsero i pochi metri che li dividevano dalla casa senza dire una parola. Emma aveva ormai capito che i silenzi, con James, erano silenzi che poteva permettersi, silenzi in cui poteva trovare rifugio, in cui poteva indugiare e attendere, senza affanni. 

Esitò un attimo davanti alla porta d’ingresso verde scuro. Erano le undici, sperava davvero che non avrebbero disturbato nessuno. 

Guardò James ancora una volta e lui le restituì lo sguardo. Annuì. 

Emma bussò e attese. 

 

[ALHENA ZABINI APRE LORO LA PORTA]

 

La porta si aprì quasi subito. Alhena Zabini, dall’altra parte, la guardò negli occhi con curiosità e sorpresa. 

“Emma? Emma Nott?” esclamò. 

I capelli scuri erano raccolti dietro la nuca, e indossava un completo morbido camicia e pantalone blu, ed era a piedi scalzi. In mano teneva una tazza, come se l’avessero sorpresa ancora seduta al tavolo della colazione. 

“Scusa il disturbo,” Emma iniziò. “Se non fosse stato importante non sarei mai venuta qui la domenica mattina.”

“È successo qualcosa?” gli occhi azzurri della donna lampeggiavano. 

Emma scosse la testa. Vide Alhena indugiare su James, ma non fece domande. 

“Avremmo bisogno di parlare con tua madre, se è possibile.” 

“Mia madre? E per cosa?”

“Vorremmo sapere la verità su Eliza. Eliza Rosier, mia nonna.”

Alhena rimase in silenzio, ma un’altra voce spezzò l'immobilità di quel momento. “Da quanto tempo non sento pronunciare quel nome…”

 

[CASSANDRA LESTRANGE]

 

Si voltarono: Cassandra Lestrange era in piedi sulla porta del salotto, teneva in mano un vaso cinese con dei fiori all’interno. Era alta, e magra, vestita di scuro, i capelli completamente grigi, gli occhi verdi socchiusi. Emma non l’aveva mai vista nè conosciuta: ricordava che, alla fine del precedente anno scolastico, la sua amica Cassandra le aveva raccontato che sua nonna si era da poco trasferita da loro, aveva deciso di lasciare la casa di famiglia nello Yorkshire, ormai troppo grande per lei, e la figlia Alhena, dopo numerosi inviti, aveva finalmente ottenuto che la madre li raggiungesse a Londra. Cassandra Lestrange non appariva neanche più nei ritrovi tra famiglie, faceva vita ritirata praticamente da sempre, per quanto ne sapeva Emma.

“Mamma…” iniziò Alhena, ma l’altra donna alzò una mano a fermarla. 

“Va tutto bene. Venite avanti, voi due.” E così dicendo sparì di nuovo in salotto.

“L’avete sentita,” aggiunse Alhena con un sospiro. 

 

🥀

 

I primi minuti servirono loro per accomodarsi sul divano di fronte a Cassandra, e servirono ad Emma per presentarsi, e per presentare James, che venne studiato con attenzione, in quanto figlio del famoso Harry Potter, pur senza alcun giudizio o pregiudizio, e servirono ad Alhena per portare loro del tè e qualcosa da mangiare, dietro richiesta della madre. 

 

[NEL SALOTTO DI CASA ZABINI]

 

L’ambiente era raffinato, e saturo di ricordi. C’erano quadri dai soggetti più o meno recenti alle pareti, e fotografie sparse su ogni superficie. Cassandra occupava il centro del divano di fronte al loro, e Alhena si accomodò su una poltrona lì accanto. Emma e James bevvero del tè e mangiarono degli scones alla marmellata: si erano accorti di stare effettivamente morendo di fame, non mangiavano da qualche ora ormai. Cassandra lasciò loro il tempo di rifocillarsi. 

“E così volete sapere la verità su Eliza,” iniziò quindi la donna. 

“Sì, per favore,” rispose Emma annuendo. 

 

[EMMA RACCONTA A CASSANDRA DI HEYDON HALL]

 

Le raccontò ciò che stava succedendo a Heydon Hall, del fantasma di Eliza e della sua ira, di Rosier Hall e di quello che avevano scoperto tramite le lettere, e anche delle visioni di Emma di quella notte. Non tralasciò nulla: se voleva la verità da Cassandra Lestrange, era giusto che le desse verità lei stessa, e non bugie. 

Alla fine del resoconto, Cassandra si limitò ad annuire, silenziosa. Sembrava un gatto, valutava la sua preda e se ne stava acquattata in attesa di balzare. Era pericolosa, Emma se ne rendeva conto, e lo era stata, molto più di ora, un tempo. 

“Va bene,” disse quindi sospirando. “Siete intenzionati a sapere, e saprete. Senza sconti.”

Nessuno dei due replicò. 

E Cassandra Lestrange cominciò a raccontare.

 

[IL RACCONTO DI CASSANDRA]

 

“Conobbi Eliza soltanto a Hogwarts, quindi fu lei a raccontarmi della sua famiglia: i Moody. Abitavano in una casa semplice e modesta a Rosham Village, e tutto il villaggio dipendeva da Rosier Hall. I Rosier erano un po’ i signori locali, e la tenuta dava lavoro a non poche persone, tutte residenti in quelle vie. La popolazione non era poi molta, e nonostante non fosse un villaggio di soli maghi, come per esempio Hogsmeade, anche quei pochi Babbani che vi risiedevano sapevano, perché in qualche modo erano collegati a qualche mago o strega loro più o meno direttamente imparentato. 

I Rosier erano dei signori non poco severi, e freddi, poco inclini ai favori e alla misericordia. I Moody se ne tenevano ben lontani, fieri di non dover dipendere in alcun modo da loro. Il signor Moody, il padre di Eliza, lavorava al Ministero in un piccolo ufficio, la madre si occupava della casa e dei figli, Alastor ed Eliza. Conducevano una vita semplice. Ai ragazzi era severamente vietato anche solo avvicinarsi a Rosier Hall, ma Eliza non obbedì mai. Aveva otto anni quando conobbe Evan, e i due divennero amici, e complici. Non fecero parola con nessuno della loro amicizia e dei giochi che ideavano nell’immenso parco di Rosier Hall. E nessuno sembrava badare a loro, alla grande casa. 

Alastor era finito a Grifondoro, e quando Eliza arrivò a Hogwarts, pronta per lo Smistamento, si ritrovò divisa tra due fuochi: la preoccupazione di deludere la sua famiglia, e il segreto desiderio di finire insieme al suo amico Evan in una casa che, a casa Moody, era vista solo e soltanto in un modo. Il male. Come potete vedere, e come penso saprete, i pregiudizi erano duri da estirpare. Lo sono sempre stati.

Eliza alla fine finì a Serpeverde, per somma costernazione di suo fratello, che chiese persino a Silente se fosse possibile rifare lo Smistamento. Immaginate l’insolenza. Detto ciò, niente e nessuno poté modificare il responso del Cappello Parlante, e così si creò la prima, piccola frattura, come una crepa su una parete, nella famiglia Moody. Ma Eliza era felice, davvero felice, e questa era la cosa più importante, come mi disse anche lei. Avrebbe affrontato i suoi genitori, e la loro più che certa delusione, soltanto a Natale. Aveva tempo. 

Inutile dirvi che Eliza ci conquistò tutti. Era gentile, non giudicava nessuno, era sempre pronta ad ascoltare e a rivolgere buone parole a chiunque ne avesse bisogno. Le volemmo tutti bene quasi all’istante, e divenne una delle mie migliori amiche, quasi come la sorella che non avevo mai avuto. 

Vidi crescere il sentimento che la legava a Evan, mio cugino - era figlio di Damien, il gemello di mia madre Daphne. Volevo bene a Evan come a un fratello, e fui quindi la prima complice e testimone della nascita della loro storia d’amore. Crebbe pian piano, mutando da amicizia a qualcosa di più. Li aiutai a tenerlo segreto, ché nessuno fuori dalla nostra cerchia doveva sapere, altrimenti la voce sarebbe senz’altro arrivata ad Alastor, e non volevamo che facesse una scenata ad Eliza in mezzo a qualche corridoio, di fronte a tutta la scuola, magari facendola sentire in colpa, o addirittura che Evan si azzuffasse con lui per difenderla. 

Il segreto resse. D’altronde, eravamo bravi a tenere i segreti, ad agire nell’ombra. Eravamo i migliori. Gli anni di Hogwarts trascorsero quindi relativamente tranquilli, e trascorsero ancora più tranquillamente quando infine Moody si diplomò, prese i suoi M.A.G.O. e lasciò il castello per entrare all’Accademia per diventare Auror. Certo, la notizia lasciò l’amaro in bocca ad Eliza, soprattutto perché il fratello non ne aveva mai fatto parola con lei o davanti a lei, e i genitori, se sapevano, avevano fatto altrettanto. Si sentì tradita, ma in fondo, non se ne stupì più di tanto: era chiaro quale parte i signori Moody avevano deciso di prendere, e non fu certo la sua. 

Quando anche noi ci diplomammamo e lasciammo Hogwarts, Moody era ufficialmente diventato un Auror, ed Eliza decise che non poteva più tenere segreto alla sua famiglia ciò a cui teneva di più al mondo, cioè l’amore per Evan. E così raccontò tutto quando tornò a casa. Non la presero benissimo, ma neanche malissimo come si era aspettata. I suoi genitori si limitarono a rispondere che ormai era adulta e poteva fare le sue scelte da sola, e che, nonostante non approvassero la famiglia Rosier, speravano che Evan potesse in qualche modo renderla felice. Era un po’ come se fossero venuti a patti con la perdita della figlia minore già anni prima, nel momento in cui era stata Smistata in Serpeverde. Alastor invece non disse nulla, rimase solo lì a guardarla come se avesse avuto di fronte uno scarto della natura, qualcosa di immondo e putrido che meritava di essere tenuto lontano. Eliza mi raccontò tra le lacrime che non si era mai sentita tanto male, prima, non come sotto quello sguardo di pietra. Non mi era mai piaciuto suo fratello, ma da quel giorno lo odiai. 

Eliza non se la sentiva però di rimanere a casa Moody, non sotto l’occhio indagatore e sospettoso del fratello maggiore, così trovò rifugio a Rosier Hall, dietro invito di Evan. I due si sposarono nel giugno del 1975, se non ricordo male, nonostante le parziali ritrosie dei miei zii. Non erano particolarmente entusiasti della famiglia di Eliza, e lo manifestarono al figlio, ed Evan ne parlò con me e con Rabastan, che di recente era diventato mio marito. Avevano paura che Alastor Moody avrebbe dato loro dei problemi, ed effettivamente furono profetici. 

Eliza non viveva benissimo la vita a Rosier Hall, mi scriveva che era una casa sinistra che la sera e la notte sguinzagliava intorno i suoi fantasmi e i suoi demoni, e aveva spesso incubi, soprattutto quando Evan era fuori in missione e lei dormiva sola. Ma accettò la situazione, in fondo non aveva alternativa. Gli anni trascorsero all’insegna della preoccupazione e della tensione. Gli uomini che amavamo rischiavano la vita, e mettetevi nei nostri panni: eravamo solo mogli preoccupate che attendevano il loro ritorno a casa.

Durante quegli anni, Eliza vedeva raramente la sua famiglia, nonostante fossero a poca distanza, lì a Rosham Village. Intratteneva rapporti solo con sua madre Alicia, le due si vedevano fuori dalla tenuta, ovviamente, e si scambiavano regolari missive all’oscuro degli uomini Moody. L’unica sua certezza era Evan. Evan e l’amore che si erano giurati. Evan acquistò, segretamente dai suoi genitori, Heydon Hall, una tenuta parzialmente da ristrutturare sempre nel Norfolk, promettendo a Eliza che presto sarebbe diventata casa loro. Eliza poteva ovviamente contare su di me, avrei fatto qualsiasi cosa per aiutarla. 

La notizia della gravidanza arrivò provvidenziale. Rischiarò la vita di Eliza ed Evan, infuse loro speranza per quel futuro tanto nero che si intravedeva un po’ più in là. Ahimè, quel futuro prese forma nel novembre del 1980. Tutto ciò che so, lo so da chi era con Evan, da chi assistette alla scena. Moody lo riconobbe. A Evan cadde la maschera, e Moody lo vide, lo guardò dritto in viso, ma non esitò a scagliargli addosso qualsiasi maledizione conoscesse, tutto pur di vederlo cadere. Evan si difese, e strenuamente. Ma non bastò. La ferocia di Moody ebbe la meglio. 

Mi dissero che non esitò, né provò una qualche forma di rammarico per ciò che aveva indirettamente fatto a sua sorella, portandole via l’amore della sua vita. Niente di niente. Eravamo noi quelli cattivi. Certo. È una litania che è sempre bene ripetersi, ma che a tratti stride sinistra. Siamo tutti i buoni della propria storia, e i cattivi nella storia di qualcun altro. 

Eliza era a casa mia, quando la notizia arrivò insieme a mio marito, che era rimasto ferito nella lotta. Incolume ma ferito, e non solo nel corpo. Aveva perso un buon amico, quella notte. Ma Eliza aveva perso il marito, l’amore della sua vita, e il nostro dolore non meritava di offuscare il suo, così fummo forti per lei, non piangemmo, lasciammo che fossero le sue lacrime a bagnarci le guance. Non ci sentivamo nemmeno degni di piangerlo, non in confronto ad Eliza. 

Una volta passata la prima fase di dolore, però, Eliza riguadagnò abbastanza freddezza e fermezza da prendere la decisione di partire, di lasciare casa nostra per trovare rifugio a Heydon Hall. Mancava ancora qualche mese alla gravidanza, ma, morto Evan, nulla avrebbe impedito ai suoi suoceri di riportarla a Rosier Hall, e lì sarebbero senz’altro venuti a sapere della gravidanza, ormai troppo evidente da nascondere. Eliza non voleva che sapessero, aveva paura che le avrebbero strappato via il suo bambino alla nascita. Quel bambino non ancora nato rappresentava il frutto della sua unione con Evan, e anche l’ultimo ricordo del figlio che avevano appena perso, il figlio adorato, l’unico figlio che fossero mai riusciti ad avere. Quel bambino era sangue del sangue di Evan. L’erede dei Rosier. 

Eliza voleva impedirlo, e lottò fino alla fine per proteggere suo figlio. O sua figlia, come sarebbe meglio dire. Furono inutili i miei tentativi di convincerla a restare. Anche mio marito le promise protezione, avremmo fatto qualsiasi cosa per tenerla al sicuro e lontano dalla presa dei Rosier, ma Damien Rosier era potente, molto potente, le sue mani arrivavano rapide e ovunque, era uno della vecchia guardia, e nonostante non facesse più parte del braccio armato del gruppo, era tenuto in altissima considerazione. Roland, il padre di Rabastan, mio suocero, era un suo buonissimo amico. Mia madre stessa era nata Rosier. E poi, Eliza concluse, non voleva metterci in pericolo. Avevamo una bambina piccola a cui pensare. 

E così la lasciammo andare, anche se a malincuore. Promise di scriverci, e di darci sue notizie. Disse che avrebbe scritto a sua madre, chiedendole aiuto e assistenza con la gravidanza. Inutile dirvi che questo rimane uno dei miei più grandi rammarichi, ancora oggi penso a lei, e mi sento una vigliacca. Penso tuttora di non aver fatto abbastanza per aiutarla, e starle vicino, e proteggerla. Convivo con la mia parte di colpa ancora oggi. 

Ciò che accadde dopo mi arrivò frammentario, tramite Alicia Moody e la lettera che mi spedì prima di partire. Seppi che Eliza era morta di parto, un giorno di marzo del 1981. La signora Moody arrivò troppo tardi. In quella lettera, mi scrisse che la bambina era morta insieme ad Eliza, e che avevano scavato una fossa a Heydon Hall, e vi avevano messo una lapide a ricordarne per sempre il sacrificio. Lei e il marito avrebbero lasciato l’Inghilterra per sempre, lì non rimaneva loro più niente. Mi chiesi spesso cosa intendessero, visto che, a quanto mi risultava, avevano ancora un figlio, ma forse avevano imputato la perdita di Eliza anche ad Alastor, e alla sua mancanza di comprensione e affetto, o semplicemente erano troppo stanchi per continuare a vivere in quel mondo pericoloso. 

Non mi feci più domande sui Moody, finché Victoria Rosier non comparve nella mia vita, molto tempo dopo, quasi come un fantasma. Era l’immagine dei suoi genitori, Eliza ed Evan fusi insieme e di nuovo vivi, davanti ai miei occhi, belli e giovani. Victoria dipanò per me una parte di storia, così come io feci per lei. I suoi nonni le avevano raccontato solo una parte, e io fui in qualche modo orgogliosa di restituirle i ricordi mancanti. Lei mi raccontò che sua nonna aveva finto la sua morte, non ne aveva fatto parola con nessuno, neanche Alastor sapeva. Non potevano permettere che i Rosier venissero a sapere di lei, o sarebbero andati a cercarla anche in capo al mondo. Quando Victoria tornò in Inghilterra, dopo la Seconda Guerra Magica, Damien era morto ormai da tempo, in realtà morì qualche anno dopo i processi. Non si riprese mai dalla notizia della morte del figlio, gli venne un colpo, quindi gli fu consentito di rimanere nei confini di Rosier Hall a scontare la sua pena. Solo Medea resisteva ancora, ma era ferma nel suo letto, in quella casa da incubo. Delirava. E soprattutto, non rappresentava più alcuna minaccia per Victoria. E Victoria non ne aveva paura, d’altro canto. 

Trovai sollievo in lei, nelle parole affettuose che mi rivolse, nei ringraziamenti che mi riservò. Trovai ammenda. Non completamente, ma almeno in parte. Vederla viva, e così intelligente e bella, fu per me motivo di immensa gioia e conforto. Mio cugino e la mia amica sarebbero stati così fieri di lei… 

 

La voce di Cassandra andò scemando, e la donna si concesse di bere del tè dalla tazza che teneva tra le mani. Emma si distrasse osservandone le lunghe dita, cercando di elaborare tutte le rivelazioni che erano state fatte in quel salotto, in quella chiara mattina di fine settembre. 

 

[ELIZA MOODY ROSIER]

 

Sembrava tutto così surreale, così incredibile. Eliza era una Moody, Moody come quell’Alastor eroe di guerra, l’Alastor dei libri di storia, l’Alastor che tanti della generazione di suo padre avevano conosciuto, l’Alastor che aveva combattuto al fianco di Harry Potter, e lo aveva protetto, l’Alastor la cui statua campeggiava da qualche parte al Ministero, insieme ad altri martiri delle due guerre. 

 

[AUROR E MANGIAMORTE]

 

L’Alastor che aveva fatto così tanto per il Mondo Magico, e per le libertà di tutti loro, era molto diverso dal fratello che aveva ucciso a sangue freddo il cognato, l’amore della vita di sua sorella, senza nemmeno un indugio. Emma non era così sciocca da credere ciecamente a quell’unica versione della storia, e purtroppo Alastor Moody non era più lì per raccontarle la sua, di versione, ed era abbastanza sensata e razionale da pensare che, in fondo, la missione dell’Auror era quella, e non solo la sua, ma di tutti gli Auror: sterminare i Mangiamorte, e i maghi oscuri. Moody non aveva avuto esitazioni, neanche di fronte ad un viso conosciuto come quello di Evan Rosier. E doveva tenere a mente che di fronte a lei sedeva una moglie e una figlia di Mangiamorte che, nonostante ormai vivesse nella pace insieme a tutti loro, un tempo era stata complice di azioni inenarrabili, di nefandezze irripetibili. Emma era erede dei Nott, una delle famiglie più antiche e oscure, ma ne condannava aspramente l’operato, e si vergognava dell’eredità con cui tutti loro, figli della pace, dovevano fare i conti ogni giorno. 

“Scusate se non ho edulcorato il mio racconto,” proseguì Cassandra. Poggiò la tazza sul tavolino con un sospiro. “Ho pensato foste adulti abbastanza per ascoltarlo interamente.”

Emma annuì. “Ti ringrazio per la schiettezza. Era proprio ciò che volevo.”

L’aveva interrotta raramente, Emma. Effettivamente il racconto di Cassandra era stato così fitto, la sua voce così musicale e cadenzata, che l’aveva quasi ipnotizzata. Domande le affollavano la testa, ma sapeva che non avrebbe potuto porgergliele tutte. Non ne avevano il tempo, e Cassandra sembrava improvvisamente stanca, come se quel lungo parlare le avesse risucchiato via ogni forza.

“Mamma,” iniziò infatti Alhena, la voce preoccupata. “Dovresti riposare. Dovrebbe riposare, ora,” aggiunse rivolta ad Emma e James. 

 

[UN’ULTIMA DOMANDA]

 

“Penso che Emma abbia qualcosa da chiedermi, prima,” rispose invece la donna. Guardò Emma negli occhi, ed era come se potesse leggerle dentro - e forse poteva. Legilimanzia? Emma ne aveva sentito parlare a lezione, aveva studiato l’argomento. Ma in fondo, essere “letta” da Cassandra Lestrange non le importava poi così tanto. 

“Come hai fatto?” le chiese quindi. “Come hai fatto a venire a patti col tuo passato?, a rinunciare a chi eri?, a tradire le tue origini?”

 

[FIGLI DELL’OSCURITÀ]

 

“Vedi, mia cara, non penso di aver tradito le mie origini, non fino in fondo. Devi capire che a volte la vita ti mette davanti delle scelte, e queste scelte possono davvero determinare il destino di tante persone e, se non di tante, almeno di quelle che contano davvero per te.” Fece una pausa. “Io, come tanti altri, ero il prodotto di qualcosa. Mio padre era Antonin Dolohov, braccio destro di Voldemort, suo migliore amico dai tempi di Hogwarts, se si vuole credere che Voldemort abbia avuto amici, e mia madre era una Rosier, con tutto ciò che ne consegue. Ho poi sposato un Lestrange, e sapete tutto sui Lestrange senza che debba dirvelo io. Tutto questo per farvi comprendere che sono nata così, sono nata nell’oscurità, e nell’oscurità sono cresciuta. Era tutto normale, quello che i grandi facevano più o meno segretamente, era tutto normale vedere mio padre rincasare tardi, le mani sporche di sangue. Era normale rivivere la stessa scena con mio marito. Quella era la mia vita. Io amavo quelle persone, erano la mia famiglia. Eroi e cattivi, ricordate cosa vi ho detto?”

Emma annuì soltanto. James, accanto a lei, sembrava come impietrito. Non aveva quasi parlato, e lo capiva. 

“Eravamo un prodotto di un’epoca, un’epoca in cui scegliere da che parte stare poteva davvero determinare la differenza tra la vita e la morte. Bastava poco, era un confine labile. La sera potevi esserci e il mattino dopo potevi non esserci più. Eravamo abituati ad aspettarci qualsiasi cosa, in qualsiasi momento. Quella non era vita, ma l’ho capito soltanto dopo.”

“Voldemort ci capiva, lui aveva questo innato potere di attrarre, come falene con la luce. E noi gli ci siamo stretti intorno, lo ascoltavamo, e facevamo tutto ciò che era necessario, tutto ciò che lui ci chiedeva di fare perché era ciò che era giusto, per noi. Un’ottica distorta, certo, ma all’epoca non ne vedevamo le crepe. Ci credevamo tutti. Voldemort ha solo dato risposta ai nostri desideri più reconditi, ha dato forma alle manie di grandezza e predominio di una generazione.”

“Eravamo perduti, bambini cresciuti troppo in fretta che avevano perso di vista ogni valore, ogni remora. Eravamo pronti a tutto. Noi donne stavamo nelle retrovie, proteggevamo la casa e i nostri figli quando i mariti erano fuori, e cucivamo le ferite al loro ritorno. Non sempre erano ferite visibili. Molto spesso erano invisibili, erano fratture nell’animo, crepe che nessuno sarebbe riuscito a colmare, neanche noi, per quanto ci sforzassimo.”

“Dal canto mio, amavo mio marito. Non posso parlare a nome di tutte le altre, ma posso dire che fu ciò che mi salvò, e che salvò mia figlia, dal baratro. La Prima Guerra Magica ci lasciò sconfitti, un branco di derelitti privati dei propri cari. Alcuni erano morti, altri erano finiti ad Azkaban per non fare più ritorno. Un destino forse peggiore della morte.”

“Vivemmo nell’ombra, e nella vergogna. La Seconda Guerra Magica vide molti di noi ripetere le stesse scelte sbagliate della Prima, e che alternative avevamo? Chi ha cercato di svignarsela è morto, vi dice niente il nome Karkaroff? In quel periodo la vedemmo solo come una retribuzione del destino, un fío che quell’uomo aveva pagato per averci traditi tutti. Non fu facile rinunciare a tutto quanto una volta finita anche quella guerra. Ne uscimmo peggio che nella Prima, ma per sopravvivere, e per proteggere mia figlia, e permetterle di crescere libera, avrei fatto qualsiasi cosa. Essere stata cresciuta da mia madre mi aveva insegnato a essere spietata, ed ero pronta ad essere la più spietata per difendere la mia famiglia dal crollo.”

“Non ho potuto proteggere l’uomo che amavo. E in parte era giusto così. Mio marito aveva preso una strada sulla quale non potevo seguirlo, e non perché non lo amassi, ma perché lui amava me. Non mi avrebbe mai permesso di perdermi con lui, e con noi nostra figlia. E io ero troppo razionale per perdere di vista l’obiettivo: vivere per Alhena, solo e soltanto per lei.”

Madre e figlia si guardarono, e Cassandra prese tra le sue una delle mani della figlia, che la lasciò fare, silenziosa, forse in parte sopraffatta.

“Quindi, per rispondere alla tua domanda, Emma,” riprese Cassandra. “Sono scesa a patti con più di qualcosa, nella mia vita, e tutto per la donna che ora mi siede al fianco. E sono fiera di averlo fatto, non mi pento di nulla. Tutto il mio mondo, il mondo in cui sono nata e cresciuta, è andato distrutto per sempre, ma ho ritrovato tante cose che credevo di aver perso, persone che non pensavo avrei mai riabbracciato. Tante altre sono rimaste là, vive solo nei miei ricordi, per sempre giovani, proprio come i tuoi nonni. Qualcun altro è meglio invece che rimanga sepolto. I morti vanno lasciati in pace. Quindi, per favore, state lontani da Rosier Hall. Non c’è nulla di buono e sano in quel posto, è soltanto pieno di fantasmi carichi di risentimento. Non c’è nulla per i vivi, tra quelle vecchie mura.”

Emma annuì. “Non abbiamo alcuna intenzione di rimetterci piede. Da quanto mi risulta, mia madre non c’è andata mai.”

“Tua madre è stata molto saggia e prudente.”

 

[LE SCUSE DI CASSANDRA]

 

“Mi dispiace, giovane Potter,” disse ancora Cassandra. “Mi dispiace se ho detto qualcosa che ti ha ferito, o urtato. Mi rendo conto di aver parlato di persone importanti, e di aver toccato temi che fanno parte della tua eredità, del sacrificio che tuo padre ha compiuto per salvare questo mondo. Ti prego di perdonarmi, in fondo sono solo un’anziana donna che ancora indugia nei ricordi, e oggi mi avete fatto rammentare un’epoca della mia vita che non avevo nessun interesse a rammentare. Sto bene nella mia vecchiaia, circondata dai miei affetti.”

“È okay,” disse solo James. “Nessuna offesa.”

“Nessuna offesa può smuovere i vincitori, dico bene?” Cassandra si alzò con un mezzo sorriso e un sospiro, ed Emma capì che quello era un congedo. 

Si alzò anche lei, e James la imitò. 

“Grazie per averci raccontato questa storia,” disse quindi. “Grazie per il tuo tempo.”

“I diretti interessati non possono più raccontarvi la loro, spero di essere riuscita ad avvicinarmi alla verità il più possibile. Lo dovevo ad Eliza. E ad Evan.”

 

🥀

 

Una volta fuori, l’aria frizzante di quell’inizio autunno a Londra restituì ad Emma una scossa. Sentì i pensieri turbinarle nella testa furiosi e impazziti, il cuore le batteva forte. Non ci poteva credere: ora sapeva

 

[IL PENSIERO DI EMMA CORRE A SUA MADRE]

 

Il pensiero andò immediatamente a sua madre, e si chiese quanto sapesse della sua stessa storia, ma immaginò che sapesse pressappoco tutto quanto, grazie a ciò che le aveva detto sua nonna - la madre di Eliza - e grazie al racconto di Cassandra Lestrange, che anche lei aveva ascoltato molti anni prima. Capì molto meglio il suo essere schiva riguardo al suo passato, il non volerlo rivangare e ricordare, il non volergliene parlare. Era una ferita che non si sarebbe mai rimarginata del tutto, Emma lo sapeva. Improvvisamente, desiderò abbracciare sua madre, senza tante parole, solo per farle capire quanto ci tenesse, e quanto volesse starle vicina. 

“A cosa pensi?” le chiese James prendendole la mano. 

“A mia madre. Mi dispiace essere stata così dura, e avercela avuta con lei solo perché non voleva raccontarmi la verità. Mi sento una bambina.”

“Non sei una bambina, sei solo molto testarda. E poi non potevi certo immaginare che il passato di tua madre contenesse tutto questo, giusto?”

“No, certo. Pensavo solo che riguardasse il suo essere una Rosier, e tutti i problemi che ne conseguono.”

“Tua madre è stata molto coraggiosa, e anche tu lo sei stata. Sei arrivata alla fine di quel racconto tutta intera. Non è da tutti.”

“Si arrabbierà molto, vero? Con me? Per aver ficcato il naso? Per aver preteso di sapere quando lei stessa non voleva dirmi nulla?”

James scosse la testa e l’attirò a sé, tenendola stretta, ed Emma affondò nel suo abbraccio caldo, respirò il suo profumo buono, di casa e di sapone. 

“Tua madre ti vuole bene, Emma. E ormai sai tutto, che senso avrebbe arrabbiarsi?”

“Dobbiamo tornare a Heydon Hall. Subito,” disse lei, risoluta. “Dobbiamo porre fine a questa storia.”

“Va bene. Possiamo Smaterializzarci anche subito.”

“Tu come stai? Mi dispiace per quello che abbiamo scoperto su Alastor Moody, so come la pensi su di lui…”

 

[ALASTOR MOODY È STATO UN GRANDE AUROR]

 

“Va tutto bene. Sto bene,” rispose James scrollando le spalle. 

“Moody è stato un grande Auror, James. Nessuno mette in dubbio i suoi sacrifici. E il racconto di Cassandra era ovviamente di natura molto personale. Moody ha sempre fatto il suo dovere, né più né meno. Sarebbe stato incoerente a risparmiare Evan, e sarebbe andato contro tutto ciò in cui credeva e per cui combatteva.”

“Papà mi diceva sempre che era un uomo molto solo, quasi triste. Non sembrava aver mai conosciuto l’affetto, o l’amore.”

“Ha perso tutto anche lui, con la morte di Evan, e poi di Eliza. Ha perso sua sorella, e i suoi genitori se ne sono andati via tenendogli segreta l’esistenza di una nipote, e lasciandolo qui, solo, nel mezzo di una guerra. Non penso abbia vissuto una vita piena e felice, sai?”

“Sono d’accordo con te.”

“Ovviamente per Cassandra non ha avuto dubbi, né rimorsi, ma non possiamo saperlo. La sua storia è morta con lui.”

“Non lo sapremo mai.”

Emma scosse la testa. “Non lo sapremo mai.”

Soffiò un leggero venticello, che scompigliò loro i capelli e le chiome degli alberi intorno. 

“Torniamo a Heydon Hall?” le chiese quindi James. Emma prese la mano che lui le tendeva. 

 

🥀

 

Heydon Hall, Norfolk, 24 settembre 2023
 

[RITORNANO A HEYDON HALL]

 

La situazione a Heydon Hall era peggio di quanto si aspettassero. Si Materializzarono ai confini del parco e si diressero a passo spedito verso la scuola senza esitare. Si sentivano urla e schiamazzi e rumori di oggetti che si rompevano con fragore. 

Una volta arrivati più in prossimità della villa, notarono che tutta la scuola si era riversata sul prato lì di fronte, in preda all’agitazione. Le doppie porte dell’ingresso erano spalancate. In molti si voltarono verso di loro vedendoli arrivare e, tra questi, Emma riconobbe il viso sorpreso e sconvolto di Archie spuntare da sopra altre teste. Il ragazzo si staccò dagli altri e corse loro incontro, deciso.

 

[DI NUOVO CON ARCHIE]

 

“Dove cazzo eravate finiti, voi due?” esclamò quando li ebbe raggiunti. Li abbracciò entrambi, uno dopo l’altro. Emma lo lasciò sfogare. “Pensavamo che foste morti, per Merlino, o peggio, che il fantasma vi avesse rapiti e portati via con lui da qualche parte nell’aldilà, io vi ammazzo, lo giuro, vi ammazzo con le mie mani, mi avete fatto spaventare come un marcio, dannazione…” Andò avanti così ancora per un po’, senza quasi interrompersi, finché Emma non lo prese per le spalle e lo abbracciò di nuovo, e Archie si lasciò abbracciare, ora finalmente in silenzio. 

“Avevo paura di avervi persi, stronzi,” bofonchiò ancora, il viso nascosto nel collo di Emma. 

“Siamo qui, Fletcher, siamo tutti interi.”

“Buon per voi.”

“Cos’è successo, Archie?” chiese quindi James.

 

[IL RESOCONTO DI ARCHIE]

 

“Un casino. Il fantasma si è incazzato come una bestia e ha cominciato a far volare oggetti dappertutto. Nemmeno Corner è riuscito a far qualcosa. Tyler è stato sfiorato dal portaombrelli della Pince e Pansy gli sta ricucendo il sopracciglio, là,” e indicò un gruppetto di gente tra i quali potevano vedere Tyler, seduto sull’erba, e Pansy inginocchiata di fronte a lui, una bottiglietta in mano. “Forse è la volta buona che la vecchia pipistrella si decide a buttarlo, quel portaombrelli della malora…”

“Archie, ho bisogno che tu prenda in mano la situazione. Vai da Pansy e dille che ti ho detto di radunare gli studenti e di portarli al campo da Quidditch. È meglio che nessuno sia nei paraggi della scuola…”

“Avete intenzione di entrare, vero?”

James annuì. “Dobbiamo porre fine a questa storia.”

“Tanto non potrò dire nulla che vi faccia cambiare idea, suppongo?”

“Mi spiace, Archie,” intervenne Emma. “Sta a noi.” 

Archie annuì e sospirò. “Ok, d’accordo. Solo, state attenti. Promettetelo.” 

“Promesso,” disse Emma, e James la seguì a ruota.

 

[DENTRO]

 

Risalirono la poca distanza che li separava dalla casa insieme e poi si divisero senza parlare. Sentivano addosso gli occhi di tutta la scuola. Emma non si girò a incontrare lo sguardo di nessuno. Man mano che si avvicinavano, i rumori salivano di intensità e si facevano ancora più selvaggi e caotici. Era come se all’interno soffiasse un forte vento, o imperversasse un tornado. Oggetti di qualsiasi tipo volavano da ogni parte e, dall’altra parte della hall, il preside Corner e suo padre Theodore stavano aggrappati a uno stipite per cercare di non essere trascinati via con il resto, le bacchette spianate in un inutile tentativo di porre rimedio al disastro. 

Theodore li vide e fece per venire avanti, ma Emma alzò una mano a trattenerlo, e lui le obbedì. Sapeva cosa fare: avanzò, e si fermò al centro esatto dell’ingresso. James tentò di fermarla, sentì la sua mano sfiorarle un polso, ma lei non esitò. Il caos intorno sembrava non riguardarla affatto, come se camminasse in una bolla. Sapeva che Eliza non le avrebbe mai fatto del male. 

“Eliza,” la chiamò quindi. “Eliza, sono tornata. Sono qui.”

 

[LA CALMA]

 

Il vento si placò tutto d’un colpo, gli oggetti che, fino a un secondo prima, se ne stavano sospesi a mezz’aria come in un vortice, caddero fragorosamente al suolo, rompendosi in mille pezzi. Emma vide gli altri tre accucciarsi a terra, a ripararsi le teste da eventuali schegge impazzite. Lei non se ne preoccupò. 

 

[LA PROMESSA DI EMMA]

 

“Te la porterò qui,” continuò a gran voce. Era sicura che Eliza la stesse ascoltando, ovunque fosse nella casa. “Ti porterò qui tua figlia.”

 

🥀

 

Victoria apparve ai confini del parco, Materializzandosi nell’aria ancora tiepida del primo pomeriggio. 

 

[VICTORIA NOTT ARRIVA A HEYDON HALL]

 

Theodore le aveva inviato un Patronus, chiamandola a Heydon Hall con urgenza, e intanto erano riusciti a convincere Corner a raggiungere il resto della scuola al campo da Quidditch dietro richiesta di “tenere tutti al sicuro”. Erano rimasti solo Emma, suo padre e James - oltre che Eliza. 

Emma fece un passo avanti, desiderosa di raggiungere sua madre e di spiegarle, ma suo padre la trattenne. “È meglio che le parli io,” disse. 

Emma non protestò, nemmeno rispose. Semplicemente guardò suo padre caracollare giù per il prato, mentre sua madre cominciava a risalirlo per raggiungerli. 

 

[LA VICINANZA DI JAMES]

 

James non le disse nulla, la prese solo per mano, e attese con lei. Emma ricambiò la stretta. Gli era così grata, era così grata a James per ogni segno di vicinanza, per ogni manifestazione pacata di affetto, per ogni silenzio che mai si era sforzato di riempire con parole inutili e vane, ma che aveva semplicemente retto per lei, ché sapeva che il silenzio era esattamente ciò che lei anelava. 

 

[ALTRE RIFLESSIONI DI EMMA SU VICTORIA]

 

Guardando i suoi genitori parlare tra loro e discutere, una macchia di colore in lontananza, Emma rifletté sul fatto che quella doveva essere la prima volta che sua madre metteva piede a Heydon Hall, in più di quarant’anni di vita. Si chiese come doveva essere, per lei, piombare in uno dei luoghi dai quali era stata lontana, di sua volontà, tutto questo tempo. Non è che sua madre non avesse avuto occasione di venire a Heydon Hall, no, semplicemente non aveva mai voluto farlo, non aveva mai avuto alcun interesse a metterci piede. Emma la capiva. Ora che sapeva tutta la storia, la capiva molto più di prima. Le dispiacque averla trascinata lì nonostante tutto, e si chiese come sua madre dovesse sentirsi, a tornare nel posto in cui era nata e dal quale era stata strappata via - nel posto in cui era morta sua madre, dandola alla luce. 

 

[L’ABBRACCIO DI VICTORIA]

 

Quando finalmente i suoi genitori li raggiunsero, sua madre non disse niente, non pronunciò neanche una parola, solo attirò Emma a sé e l’abbracciò, la strinse forte tra le sue braccia, le accarezzò la schiena, e i capelli, le toccò le spalle e le braccia, come a volersi assicurare che fosse tutta intera. 

“Mamma-” cominciò Emma, ma Victoria non le lasciò il tempo di aggiungere altro.

“Va tutto bene,” disse. “Io sto bene, avevo solo paura che ti fosse successo qualcosa.”

Emma scosse il capo, mentre sua madre le prendeva le guance tra i palmi delle sue mani, calde, ed Emma si sentiva di nuovo una bambina. 

“Sto bene,” disse quindi.

“Ti ha fatto del male?”

“No, mai. Neanche una volta.”

Victoria annuì, poi si voltò verso James e gli sorrise. Gli tese una mano, che lui strinse ricambiando il sorriso. 

“Giovane Potter, noi ci vediamo sempre in occasioni particolari, vedo.”

“Temo che sia così, signora Nott,” rispose lui, il tono di voce dispiaciuto.

“Victoria, per favore. Qui non siamo in un’aula di tribunale.” Non smise di sorridergli. 

“Mamma, lo metti in imbarazzo,” intervenne Emma. 

“Oh, non era mia intenzione.”

“È tutto okay,” disse James. “Nessun imbarazzo.”

“Grazie per esserle stato accanto,” gli disse quindi Theodore mentre si decidevano a entrare a Heydon Hall. 

“Sarebbe andata lo stesso fino in fondo a questa storia, anche senza di me,” convenne James.

“Esatto,” concordò Emma. 

 

[VARCANO LA SOGLIA]

 

Nella hall, tutto era rimasto esattamente come pochi istanti prima: caos, e oggetti sparsi e rotti dappertutto. Avrebbero dovuto riparare e sistemare parecchie cose, una volta finita quella storia. 

Sua madre si guardava intorno, il viso alzato verso la balconata e la scala e i soffitti. Emma notò che le porte dell’ala proibita erano aperte. Oltre quelle, si estendeva l’oscurità, densa e fitta. 

“Per di qua,” disse quindi, prendendo sua madre per mano e accompagnandola in quella direzione. 

“Ne sei sicura?”

“Sì, è qui dove è successo.”

Si fermarono di fronte alle doppie porte, con Theodore e James che le seguivano da vicino. 

“Mi ero aspettata che avrei sentito qualcosa, entrando qui dentro,” cominciò Victoria a bassa voce. “Ma non sento niente. Solo vuoto, un vuoto immenso…”

“Pensavo che Eliza si sarebbe manifestata, una volta che avessi messo piede dentro la casa, ma a questo punto penso che mi abbia presa in parola, poco fa, e che ci stia aspettando oltre queste porte.”

Si voltarono verso i due uomini. 

“Non posso chiederti di seguirmi,” cominciò Emma rivolgendosi a James. “Potrebbe essere pericoloso, lì dentro.”

 

[IL SANGUE DI ELIZA]

 

“Noi non verremo,” disse Theodore prima che James potesse anche solo aprire bocca. 

“Non verrete?” chiese Victoria, stupita.

“È giusto che siate voi due. Siete la sua famiglia. E non so come potrebbe prendere la nostra presenza…”

“Non ha mai fatto alcun male a Jamie,” spiegò Emma. 

“Capisco cosa intende tuo padre,” intervenne Victoria annuendo. “È qualcosa che dobbiamo risolvere noi, e non perché lui abbia paura, o non voglia starci accanto, ma perché siamo noi il sangue di Eliza. Siamo delle Rosier.”

Emma annuì. Forse capiva cosa volevano dire. Si girò a guardare James, che la guardava a sua volta, sorridendole incoraggiante. 

“Andrà tutto bene,” le disse prendendole una mano. “E sarò qui fuori. Ti basterà chiamarmi e correrò da te.”

Emma lo abbracciò, incurante che ci fossero i suoi genitori, non provava alcun imbarazzo. James ricambiò la stretta, ed Emma gli depositò un piccolo e rapido bacio sul collo, dove sapeva che nessuno avrebbe visto, per poi posargliene un altro su una guancia. 

“Grazie,” disse solo. 

“Andate, ora,” Theodore le incoraggiò. 

Victoria non disse altro, e nemmeno Theodore. Le due donne si guardarono in viso, risolute. Annuirono, e poi, per mano, superarono le porte aperte e ne varcarono la soglia. 

 

🥀

 

Emma si era aspettata di trovare tutto come lo ricordava, e invece si fermò poco oltre l’ingresso, sorpresa da ciò che i suoi occhi stavano guardando, la bocca semiaperta, mentre ancora teneva la mano di sua madre nella sua.

 

[L’ALA PROIBITA È DI NUOVO VIVA]

 

Ogni traccia di polvere e abbandono era svanita nel nulla. L’aria era cosparsa di una vaga luce dorata, e un allegro fuoco era acceso nel caminetto. Emma poteva sentirne il calore sul viso. Tutto era in ordine, i bei tappeti a coprire il pavimento, i quadri appesi alle pareti, i divani e le poltrone come nuovi. Dalle finestre si vedeva il parco, e il cielo che, gradatamente, passava dal tramonto alla sera. Si intravedevano le prime stelle. 

“È tutto diverso,” sussurrò. Non riusciva a smettere di guardarsi intorno. Da lì poteva però intravedere le cornici sulla mensola sopra il camino, ed erano tutte vuote. C’era qualche particolare che strideva: la credenza non conteneva nessun piatto o pezzo di argenteria o bicchiere; il carrello dei liquori era vuoto, non c’era neanche una bottiglia; non c’erano fiori nel vaso cinese accanto alla finestra. Era tornato tutto a com’era quando Eliza era morta, ma Emma ricordò che quella era una casa che non era mai stata abitata. Nessuno si era mai seduto su quei divani a conversare dopo una lunga giornata, o durante i pomeriggi oziosi della domenica, nessuno aveva riempito la credenza o pensato di esporre foto e ricordi qua e là. Solo Eliza vi aveva vissuto, per un breve periodo, sola e in attesa di partorire, ben sapendo di aver perduto per sempre suo marito - ben sapendo che il suo cuore aveva smesso di battere e non sarebbe mai più tornato a casa, da lei, e dal bambino che stava aspettando. 

“Quando James e io siamo venuti qui, era tutto impolverato e abbandonato, e ora…” spiegò a sua madre.

“Emma…” iniziò però l’altra, tirandola per la mano e indicandole un punto poco distante.

 

[QUALCUNO LE ATTENDE]

 

C’era qualcuno, seduto su uno dei divani. Dava loro le spalle, e potevano intravederne solo la testa, dai lunghi capelli scuri. Il cuore di Emma cominciò a batterle forte nel petto. Sapeva chi era. Sapeva chi era la persona seduta. Le stava aspettando. 

Emma guardò sua madre e annuì. Non ebbero bisogno di parlare e spiegarsi. Fecero qualche passo avanti e, una volta superato il divano, la videro.

 

[ELIZA]

 

Era seduta esattamente al centro, ed era vestita di bianco, proprio come l’aveva sempre vista Emma nelle sue fugaci apparizioni lì a Heydon Hall. I capelli scuri erano sciolti ai lati del viso magro e sano. Gli occhi, altrettanto scuri, ma caldi, lampeggiarono quando le vide, quando finalmente ne incontrò lo sguardo. Si portò una mano alla bocca, quasi come se fossero stati loro i fantasmi. 

“Eliza…” cominciò Emma.

“Vi prego,” disse lei. La sua voce era quasi musicale. Emma si sentì accarezzata. “Vi prego, sedete.”

Obbedirono, ed Eliza allungò una mano oltre il tavolino che le separava, in un silenzioso e disperato gesto di vicinanza, in un’accorata preghiera. Emma vide sua madre guardare quella mano, ma poi anche lei allungò la sua a stringergliela, e gli occhi di Eliza si riempirono di lacrime a quel contatto. In un automatismo altrettanto silenzioso, si alzarono entrambe e si abbracciarono, ed Emma rimase a guardarle, era come se fossero due amiche, o due sorelle, e non madre e figlia, ma Victoria poteva stringere il corpo di sua madre, ed Eliza poteva stringere quello di sua figlia. Anche se su due piani diversi, erano di nuovo insieme.

 

🥀

 

[RICONGIUNGIMENTI]

 

Eliza volle abbracciare anche Emma. La ringraziò per averle creduto, per aver deciso di andare fino in fondo nello scoprire la verità, e le chiese di perdonarla per ciò che aveva fatto agli altri studenti e a Pansy. 

“Non era mia intenzione ferirli, ho sbagliato. Volevo solo proteggerti. Perdonami, Emma.”

“Staranno bene,” la rassicurò Emma. “Ti perdono.”

Sedettero, Eliza sul suo divano, ed Emma e sua madre su quello di fronte. 

“Mi dispiace per come sono andate le cose, Victoria,” iniziò. “Mi dispiace averti lasciata sola.”

Victoria scosse la testa. “Che scelta avevi? Non hai deciso tu di morire, no?”

“Ovviamente no.”

“Ora lo so. Quando sono nati i gemelli ho capito. Sono diventata madre anche io, e ho capito che ero stata egoista, e capricciosa, e ingrata, nell’odiarti come ti avevo odiata per tutti quegli anni.”

Emma vide Eliza mordersi le labbra, ma la donna non disse nulla. 

 

[IL DOLORE DI VICTORIA]

 

“Ti ho odiata per avermi abbandonata. Da quando ho saputo, da quando i nonni mi hanno raccontato com’eri morta, io non ho capito. Non ho capito, e ho preso a detestare persino il tuo ricordo, e non volevo che mi dicessero che ci assomigliavamo, non volevo avere niente di te, in me.”

“Lo so, è ingiusto. Mi dispiace raccontarti tutto questo, ma penso di doverti la mia sincerità. Odiavo tutto di me, e odiavo anche il mio nome, e le mie origini. Rosier. Quel cognome significava morte, e vergogna, e azioni talmente oscene e malvagie che per anni ho creduto che le nefandezze compiute da quel nome sarebbero venute a chiedermi il conto per tutta la morte che chi lo portava aveva arrecato al mondo. Generazione dopo generazione.”

“Tuo padre ti amava tanto…” disse Eliza. “Ancora prima di conoscerti. Avrebbe fatto qualsiasi cosa per te. Per noi.”

“Sono scesa a patti con tante cose, nella mia vita. Una di queste è Evan Rosier. Ho deciso di sforzarmi di ricordarlo come un padre, il padre attento e benevolo che forse sarebbe potuto essere, se solo fosse vissuto, chi lo sa, e il marito che tanto mia madre aveva amato, e dal quale era stata tanto amata, almeno secondo i racconti della nonna.”

“Non ti ha mai mentito. Fidati di me.”

“Come lo sai?”

“Lo so e basta. Con la morte si sanno molte cose che si ignorano in vita.”

“Mi dispiace per averti odiata,” ora la voce di Victoria si spezzò, e la donna si coprì il viso con le mani tremanti. Emma le cinse le spalle, mentre Eliza si alzava per sederle accanto. Le prese le mani, le tenne tra le sue. 

“Non devi piangere per me,” disse. “Non te lo permetto.”

 

[IL DOLORE DI ELIZA]

 

“Piuttosto, a me dispiace averti lasciata sola,” aggiunse, tornando a sedersi sul suo divano. Emma continuò a cingere le spalle di sua madre con un braccio. Si sentiva impotente, ma tutto ciò che poteva fare era stare ad ascoltare. “Non ho lottato abbastanza per te, avrei dovuto cercare di battere la morte, tutto solo per poterti stare accanto. E invece ti ho delusa, e ti ho lasciata sola. Il mio rimpianto più grande.”

“Eri sola,” intervenne Emma. “Eri tutta sola in questa casa vuota.”

“Mia madre arrivò troppo tardi per me, ma non per te, Victoria,” continuò Eliza dopo aver rivolto ad Emma un sorriso riconoscente. “Le feci promettere di portarti via, via da questa casa piena di tristezza e morte, via da questo paese in guerra, via dai Rosier. Le feci promettere di andare molto lontano, dove niente e nessuno di questa vita e questo mondo avrebbe mai potuto trovarti e farti del male. Le feci promettere di non dire niente, nessuno doveva sapere che eri viva, neanche mio fratello, o Cassandra. Le feci promettere di chiamarti Victoria Rosier e di raccontarti tutto, un giorno, di raccontarti chi eravamo, e di dirti che ti amavamo tanto. Tantissimo.”

“Lo ha fatto. Ha fatto tutto ciò che le hai chiesto.”

“Hanno sofferto?”

Victoria scosse la testa. “Se ne sono andati l’una dopo l’altro. In pace.” 

“Anche tuo fratello è morto. Tanto tempo fa, ormai,” spiegò Emma.

Eliza annuì. “Li incontrerò tutti nuovamente, penso. Forse.”

 

[IL PERDONO]

 

“Ti perdono,” disse quindi Victoria. Eliza si girò a guardare la figlia. “Ti perdono. Per tutto quanto.”

Gli occhi di Eliza si riempirono di lacrime e la donna aprì le braccia in un silenzioso invito, ed Emma e Victoria la raggiunsero sul suo divano, e si lasciarono abbracciare. 

“Grazie per tutto, Emma,” sussurrò sui suoi capelli. “Grazie per aver voluto sapere la mia storia.”

“La tua amica Cassandra non ti ha mai dimenticata,” spiegò Emma. “Ti vuole sempre molto bene, proprio come allora.”

“Cara Cassandra. Cara, cara Cassandra,” mormorò Eliza, sognante, rammentando ricordi di un passato ancora vivido. 

Emma sentiva il corpo di Eliza sfuggirle, come se stesse svanendo piano piano. 

“Eliza…” cominciò.

 

[IL TEMPO DI ELIZA STA PER FINIRE]

 

“Il mio tempo sta per scadere. Non c’è più nulla che mi tenga prigioniera di questa casa, attaccata a questo mondo terreno. Ho sistemato tutto ciò che avevo in sospeso.”

“Non te ne andare,” la pregò Victoria. “Resta ancora un po’.”

“Non è bene indugiare troppo in compagnia dei morti, figlia mia,” rispose Eliza accarezzandole una guancia. “Soprattutto quando ci sono i vivi ad attenderci.”

“Theodore capirà.”

“Theodore ti ama tanto.”

“Come papà amava te.”

Eliza annuì. “Lo so che ha fatto cose orribili, ma io lo amavo. Era così buono, con me. Lo è sempre stato.”

“Lo perdono,” disse ancora Victoria. “Forse l’ho perdonato tanti anni fa, quando sono tornata in Inghilterra e mi sono presentata come Victoria Rosier.”

Eliza le sorrise. “Sono molto fiera di te. Anche tuo padre lo sarebbe. Anzi, sono sicura che lo sia.”

Ora Emma poteva quasi vedere sua madre attraverso il corpo di Eliza. Sua nonna stava svanendo. 

 

[IL COMMIATO DI ELIZA]

 

“Chiudete gli occhi,” disse quindi la donna. Le strinse ancora di più a sé, ed Emma obbedì. Era sicura che anche sua madre fece altrettanto. “Vi voglio bene. E, anche se ora me ne andrò, e raggiungerò il mio caro Evan, sarò sempre con voi. Noi saremo sempre con voi.”

Emma sentì una lacrima calda colarle lungo la guancia. Un alito di aria fredda la riscosse, e l’attimo dopo aprì gli occhi, ed Eliza non c’era più, ed era il corpo di sua madre quello che stringeva, e che la stringeva a sua volta. La stanza intorno a loro era tornata grigia e polverosa. La magia si era spezzata. 

 

[PACE]

 

Le due donne si guardarono, e tornarono ad abbracciarsi, piangendo silenziose. Intorno a loro, l’aria non vibrava più come un tempo. Il fantasma di Eliza era passato oltre. Non avrebbe mai più abitato quei corridoi e quelle sale. Aveva trovato pace.

 

🥀

 

Rimasero abbracciate ancora un po’, finché non sentirono rumore di passi affrettati che le raggiungevano, e le voci di James e Theodore che chiamavano i loro nomi.

 

[JAMES E THEODORE ACCORRONO]

 

“State bene?” chiese Theodore abbracciandole. 

“Abbiamo sentito qualcosa, come uno strappo,” spiegò James. Emma lo sentì sedersi accanto a lei e, sgusciando via dall’abbraccio dei suoi genitori, si rifugiò in quello di James, e lui l’accolse come sempre. Il suo collo era caldo e rassicurante. 

“Se n’è andata,” spiegò, la voce attutita dal pianto. “Eliza se n’è andata.”

 

[L’ULTIMO REGALO DI ELIZA]

 

“Emma,” la chiamò James. La tirò per una manica, e lei si scostò. Tra le mani, James stringeva due cose: una fotografia e una rosa. “Erano poggiate sul tavolino,” spiegò. 

“Un ultimo regalo di mia nonna…”

La rosa era bellissima, sembrava appena sbocciata. Ma le rose fiorivano in maggio. Emma sorrise tra sè e sè. La fotografia era in movimento, e raffigurava Eliza, seduta sull’erba, vestita di bianco, il pancione già visibile, ed Evan era accanto a lei, un braccio dietro la sua schiena, ed entrambi sorridevano a chiunque li stesse fotografando.

“L’unica foto di famiglia,” sussurrò Emma. 

“Erano felici,” convenne James.

Emma annuì. Sorrise. “Molto felici.”

 

🥀

 

Regnava una strana quiete, a Heydon Hall. 

 

[LA QUIETE DOPO LA TEMPESTA]

 

Intorno a James c’erano ancora i resti del disastro causato da Eliza, e il resto della scuola non era ancora rientrato dal campo da Quidditch. Corner era stato richiamato da Theodore prima che l’uomo raggiungesse nuovamente la sua famiglia. Corner li aveva fatti sedere nel suo studio, dove avrebbero potuto godere di un po’ di tranquillità e di pace. James camminava nella hall, le mani in tasca. Diede un calcio a un pezzo di intonaco. I suoi occhi si soffermavano su tutto e su niente. 

Non poteva quasi credere che fosse tutto finito. Pensandoci, non era passato nemmeno un mese da quando aveva messo piede ad Heydon Hall, ed era davvero successo di tutto. Se qualcuno glielo avesse detto, probabilmente non ci avrebbe creduto. Avrebbe negato e si sarebbe fatto una risata. E invece… 

 

[I PENSIERI DI JAMES]

 

Gli eventi degli ultimi giorni lo avevano travolto, e l’unica cosa alla quale riusciva a pensare ora era Emma, seguita a ruota dai suoi genitori. Cos’avrebbero detto quando fossero venuti a sapere quello che era successo? Si sarebbero preoccupati, e subito dopo lo avrebbero guardato con delusione? Gli sembrava di aver lasciato qualcosa di irrisolto con suo padre, dopo il caso Jenkins e la sua punizione, gli sembrava che qualcosa fosse rimasto in sospeso. E ora questo. Non avrebbe mai riguadagnato la loro fiducia. Non sarebbero mai più stati capaci di guardarlo come lo guardavano una volta, con orgoglio misto a speranza. E fierezza. 

Si passò una mano sul viso e Corner apparve al fondo delle scale.

 

[CORNER]

 

“Potter, tutto bene?” gli chiese. 

Era piuttosto sconvolto, Corner, il completo gilet e pantalone marrone che indossava ricoperto di polvere, le maniche della camicia arrotolate, i capelli spettinati. Una delle lenti dei suoi occhiali si era rotta. 

James gli sorrise. “Temo che la stanchezza mi stia chiedendo il conto.”

“Lo capisco. Lo capisco davvero tanto,” rispose l’altro poggiandogli una mano sulla spalla e stringendo amichevolmente. “Vuoi andare a riposare un po’? Ho aiuto a sufficienza, sai?”

James scosse la testa. “No, non si preoccupi. Mi riposerò più tardi. Come stanno gli altri? Tutti bene?”

“Scossi, però sono tutti interi. Grazie per aver chiesto a Fletcher di portarli via di qui, prima non ho avuto modo di ringraziarti, nella concitazione, sai… Pan— La signorina Parkinson,” si corresse in fretta, arrossendo, “mi ha detto tutto.”

James sorrise. “Ho agito d’istinto, tutto qui. Pansy sta meglio?”

“Molto meglio. Non appena è scoppiato il putiferio è corsa in mio aiuto senza esitare. È una risorsa molto preziosa per questa scuola.”

“Sono contento che stia meglio.”

“James,” aggiunse Corner, ondeggiando un po’ sui talloni. “Ho mandato a chiamare tuo padre. Ho pensato fosse giusto avvertire lui e tua madre di quant’era successo.”

James se l’aspettava, ovviamente, solo non se lo aspettava così presto. Non protestò, però. “D’accordo. Mi sembra giusto.”

“Penso che stia arrivando.” Corner indicò un punto alle sue spalle, e James si voltò. 

 

[HARRY POTTER A HEYDON HALL]

 

Suo padre aveva quasi raggiunto il portone, e camminava deciso. Sul volto aveva dipinta un’espressione preoccupata. James fece qualche passo avanti.

“James…” cominciò Harry Potter, la giacca infilata al contrario e gli occhiali leggermente storti sul naso. 

“Ciao, papà.”

 

🥀

 

James ed Harry camminavano lungo il sentiero sterrato sul retro della casa, entrambi con le mani in tasca, entrambi silenziosi e pensierosi. 

 

[DEL TEMPO CON HARRY]

 

Harry aveva voluto sapere tutto, da cima a fondo, e aveva ascoltato come suo solito: senza interromperlo, senza replicare, senza interventi inutili. Annuiva e mugugnava qualche “sì” o “hm-hm” come a volergli dire “sto ascoltando” o “vai avanti”, ma nulla di più. James apprezzava la sua capacità di ascoltare, gli dava modo di raccogliere le idee e di non perdersi. In più, pensava davvero di avere voce in capitolo in ciò che esponeva e nelle argomentazioni che presentava. 

Sedettero su una panchina, dalla quale si poteva vedere la lapide di Eliza. La pietra era freddissima sotto di loro. Harry si prese ancora qualche minuto, al termine del racconto di James, forse per ponderare il tutto, o forse per pensare ad una risposta sensata. 

“Papà,” lo chiamò James quando il silenzio stava cominciando a protrarsi troppo a lungo. “Dì qualcosa, per favore.”

“Non sono arrabbiato,” disse quindi l’altro con un sospiro. “Se è questo che stai pensando.”

“Lo sto pensando, sì. L’ho pensato per tutto il tempo.”

“Non sono arrabbiato, e neanche tua madre lo è.”

Harry gli aveva spiegato che era stata bloccata al lavoro e lui invece era riuscito a sganciarsi e venire fin lì. Harry le aveva mandato subito un messaggio per tranquillizzarla e dirle che James stava bene. 

“Davvero, James. Eravamo entrambi molto preoccupati quando Michael ci ha mandati a chiamare, si capisce. Quando qualcuno ti avverte e ti dice che riguarda uno dei tuoi figli non puoi che preoccuparti.”

“Mi spiace avervi fatto preoccupare.”

Suo padre scosse la testa. “Noi siamo dispiaciuti, Jamie.”

James non replicò, aggrottò solo le sopracciglia, stupito. 

“Io e tua madre ne abbiamo parlato tanto, dopo la sentenza, e anche in queste ultime settimane… Temiamo di averti in qualche modo trascurato, di non averti fatto capire abbastanza quanto in verità ci teniamo, a te, quanto ti vogliamo bene. E che ci dispiace per come sono andate le cose l’anno scorso, con il caso Jenkins e tutto il resto, ci dispiace se ti sei sentito solo durante l’estate, o in qualche modo non capito da noi, e ci dispiace averti lasciato partire a settembre con tutti questi sentimenti dentro di te, questo caos… Avremmo dovuto fare di più. E adesso questo. Comincio a pensare che siano i guai a trovarti, e non il contrario, ma con un cognome come Potter, be’... penso sia inevitabile.”

James attese, nel caso suo padre volesse aggiungere altro, ma siccome l’uomo non parlò, allora lui si sentì autorizzato a replicare.

“Non mi sono sentito solo. O non capito. Solo, pensavo di avervi deluso. Pensavo che non mi avreste mai più guardato come mi guardavate, e che non sareste mai più stati fieri di me. Ho rovinato tutto…”

“Jamie,” lo interruppe Harry, cosa nuova per lui. Si girò a sedere sulla panchina per incontrarne lo sguardo. “Ascoltami bene. Quante cose ha combinato Albus in questi sei anni di scuola? E sedici anni di vita?”

A entrambi venne da sorridere al ricordo di Albus. 

“Non poche,” convenne James scrollando le spalle.

“Esatto. E ti sembra che lo guardiamo in modo diverso? Che lo abbiamo mai guardato in modo diverso? È nostro figlio. C’è una vasta gamma di cose e idiozie e guai che un figlio può combinare prima che un genitore lo guardi in modo diverso, sai? E voi non ci siete neanche vicini, a quel massimo. Vi vogliamo bene, e questo non cambia. Ci potreste dire, tutti e tre, che andrete a studiare i Bubotuberi in Thailandia e noi vi appoggeremmo.”

Ora James scoppiò a ridere, ed Harry con lui. “Per Godric, no. Non ci penso neanche. Ma effettivamente non posso garantire per Albus e Lily…”

“Esatto. E non mettere strane idee in testa a tuo fratello, per cortesia.”

James scosse la testa.

“Ottimo. Quindi per favore, non pensare che ti guarderemmo mai diversamente, Jamie. Di tutta questa storia che mi hai appena raccontato, l’unica cosa che riesco a pensare è quanto sia fiero di te, per come hai affrontato le responsabilità del tuo ruolo qui a scuola, per come sei stato accanto ad Emma Nott in un momento di vulnerabilità e bisogno, per come hai agito coraggiosamente, e col cuore, proprio come ti ho sempre insegnato. E Corner mi ha detto che oggi hai praticamente diretto la scuola in sua vece…”

“Oh, ho soltanto dato una mano.”

“A volte una mano è tutto ciò che serve agli altri, James. Ricordatelo. Non siamo arrabbiati. Siamo fieri di te.”

James sorrise. “Be’, ho un’altra cosa da dirti.”

 

[I PROGETTI DI JAMES]

 

“Okay.”

“Ci ho pensato in questi giorni, mi è balenato per la testa come conseguenza di tante cose. Sai che fino all’anno scorso avrei dato qualsiasi cosa per giocare a Quidditch a livello professionistico.”

“Certo che sì.”

“Poi tutto è andato come è andato, anche per via dell’anno che devo trascorrere qui. Va tutto bene,” aggiunse di fronte all’espressione dispiaciuta del padre. “L’ho presa meglio di quanto immaginavo. In realtà, mi ha fatto capire cosa vorrei fare una volta lasciato Heydon Hall. Vorrei fare quello che fa Theodore.”

Harry alzò le sopracciglia, stupito, ma di uno stupore puro e autentico. “Il MagiAvvocato? Davvero?”

James annuì con convinzione. “Mi piacerebbe studiare legge per aiutare gli altri, però. Un po’ come Theodore ha aiutato me l’anno scorso.”

Harry annuì. “Mi sembra un’ottima motivazione. Tua zia Hermione ne sarebbe entusiasta. Aspetta che glielo dica…”

“Ovviamente, non so se quanto successo l’anno scorso possa in qualche modo penalizzarmi, o impedirmi di accedere al percorso di studi, ma voglio provarci.”

“Dovremmo chiedere a Theodore, sono sicuro che saprebbe indicarci al meglio.”

“Penso che gliene parlerò, non appena ne avrò l’occasione.”

“Sono contento che tu abbia un obiettivo. Potresti cominciare a studiare qualcosina mentre sei qui a Heydon Hall a terminare l’anno, no? Ne posso parlare a Hermione. Ti faccio mandare qualche libro—”

“Papà,” disse James interrompendolo. Harry lo guardò, zittendosi. “Grazie.”

Harry gli sorrise e lo abbracciò di slancio, e James chiuse gli occhi, sentendosi nuovamente un bambino, quando suo padre lo consolava dopo che Ginny lo aveva sgridato, e gli diceva che a sua madre sarebbe presto passato tutto quanto, e di cercare di fare più attenzione, la prossima volta, e di non piangere perché sarebbe andato tutto bene, e lui era comunque il loro piccolo Jamie, il bambino più buono del mondo. 

Sopra di loro splendeva il sole. Andava tutto bene.

 

🥀

 

“Sei sicuro di non voler venire con me?” Emma gli chiese di nuovo.

“Sicuro. Hai bisogno di stare tranquilla. Io me la caverò. E poi non posso abusare troppo della pazienza di Corner…” rispose James, ridendo alle sue ultime parole.

 

[JAMES ED EMMA NEL PARCO]

 

Lui ed Emma si tenevano per mano al limitare del giardino. Senza volerlo erano finiti nei dintorni del campo da Quidditch, dove non si sentiva un rumore. Corner aveva concesso ad Emma di trascorrere un paio di notti a casa, per riprendersi e per stare con sua madre. Aveva esteso il permesso anche a James: lui avrebbe potuto andare dove voleva, a casa sua o a casa Nott, aveva carta bianca. James aveva però rifiutato, preferendo rimanere a Heydon Hall. Voleva dare una mano a Corner e al resto del personale con la ricostruzione, e sapeva che il preside aveva approvato la sua decisione dal luccichio nei suoi occhi quando glielo aveva comunicato, seduti insieme nel suo studio. Suo padre Harry era ripartito da poco per tornare al Ministero.

“Sarà stranissimo stare senza di te.”

“Sarà ancora più strano per me, qui. Non ho neanche più tua nonna a farmi compagnia…” e scoppiarono entrambi a ridere. Ora potevano riderne. Era bello. 

“Hai Archie e Tyler. E ormai Pansy ti adora.”

“Ho come l’impressione che passerà gran parte del suo tempo con Corner. Ora che sono usciti allo scoperto…”

“Era ora.”

James fece ondeggiare le loro mani unite, ed Emma gli sorrise. “Mi sembra di non averti ancora ringraziato abbastanza per questi ultimi giorni. Non solo per questi ultimi, ma per tutti i giorni, a dire il vero.”

“Non hai bisogno di ringraziarmi. Sai perché l’ho fatto. Lo rifarei, se necessario.”

“Non vedo l’ora che questi due giorni passino. Mi mancherai.”

James le sorrise, appuntandole un capello dietro l’orecchio. “Anche tu mi mancherai. Cerca di riposare, però, d’accordo? Ne hai bisogno.”

“Dovresti riposare anche tu.”

“Ho tempo a sufficienza. Le lezioni sono sospese fino a nuovo ordine, quindi non ci sarà molto da fare. Un sacco di studenti andranno a casa per qualche giorno.”

“Corner è stato molto generoso.”

“Già. Qui a scuola sarà tranquillo, a parte per chi si è offerto di restare per dare una mano.”

Si incamminarono senza programmarlo, diretti nuovamente alla scuola. Theodore e Victoria stavano aspettando Emma per tornare a casa Nott, ma prima avevano concesso loro un momento per parlare e stare insieme. 

“Allora mi penserai?” le chiese. 

Emma gli diede uno spintone. “Certo, scemo. Sempre.”

“Non mi chiedi se ti penserò?” aggiunse quindi dopo un attimo di silenzio. 

“No. So già che lo farai.”

Risero insieme, e James l’attirò a sé cingendole le spalle, ed Emma scivolò nel suo abbraccio. Si baciarono, fintanto che ne avevano ancora l’occasione, prima che fossero troppo visibili dal gruppo di adulti sulla soglia di Heydon Hall. Fu un bacio tenero, e lento. 

“Chissà come farò a sopravvivere due giorni senza questo…” commentò Emma sulle sue labbra. 

“Come ha fatto tutti questi anni, signorina Nott. È stata dura senza il sottoscritto, vero?”

“Ma smettila,” esclamò lei dandogli un pugno sul braccio. “Non te la tirare troppo.”

Discussero e battibeccarono ancora un po’ lungo il tragitto fino alla casa, dove li aspettavano i genitori di Emma e il preside Corner. 

 

[DI NUOVO A HEYDON HALL PER I SALUTI]

 

Si salutarono in modo composto. Theodore e Victoria lo ringraziarono ancora una volta per l’aiuto e la sua vicinanza ad Emma. Theodore gli strinse la mano con vigore. 

“Avevi detto di avere qualcosa di cui volevi parlarmi… Puoi rimandarla a quando tornerò ad accompagnare Emma tra due giorni?”

“Certamente, Theodore,” rispose James annuendo.

“Ci conto, eh.”

James sorrise, poi strinse ancora una volta Emma in un abbraccio. 

“Ci vediamo tra due giorni,” sussurrò lei sulla sua guancia prima di dargli un bacio.

“Tra due giorni,” rispose lui sorridendole. 

I tre si avviarono lungo il prato, Theodore facendo Levitare il baule di Emma e Victoria agitando un paio di volte la mano a mo’ di saluto, un braccio intorno alle spalle della figlia. Emma si voltò due volte, e tutte e due le volte James la salutò animatamente. La terza volta, il terzetto fermo poco oltre i cancelli, si guardarono e basta, erano troppo piccoli perché James potesse mettere a fuoco le loro espressioni. Infine, si Smaterializzarono. Andati. 

 

[E RIMASERO IN DUE]

 

James sospirò. Corner gli cinse le spalle con un braccio. “Bene, ragazzo mio. Che ne dici di qualcosa di forte?”

“Preside Corner?” chiese James, interdetto, le sopracciglia aggrottate. “È sicuro di stare bene?”

“Benissimo,” continuò l’altro mentre, insieme, si avviavano all’interno. “Noi due uomini ci meritiamo di farci un bel bicchiere di Firewhisky per affrontare questo finale di giornata in modo degno. In fondo, siamo colleghi.”

James non sapeva cosa dire. Si limitò a ridacchiare. “Be’, se lo dice lei, d’accordo.”

“Lo dico, lo dico. Ci sarà bisogno di carattere e forza d’animo nei prossimi due giorni, ma da un Potter non posso che aspettarmi questo e altro. Sono molto fiducioso.”

E con queste ultime parole, si chiuse le porte di Heydon Hall alle spalle.



 

EPILOGO

 

8 mesi dopo dopo circa

“Sei sicuro di aver preso tutto, Jamie?”

“Sì, mamma, sono sicuro.”

James scese le scale di casa Potter di corsa, la borsa di cuoio a tracolla, la camicia azzurra ben stirata sotto il completo giacca e pantalone blu scuro. 

Ginny Potter lo aspettava in salotto, le braccia sui fianchi in una perfetta - e assolutamente involontaria - imitazione di nonna Molly. Era anche lei vestita per il lavoro, nella sua solita tenuta d’assalto per la Gazzetta del Profeta: jeans morbido, camicia a quadri e scarpe da ginnastica. Sembrava una ragazzina. 

“Se ti accorgi che ti manca qualcosa, sai dove si trova l’ufficio di tuo padre.”

“Non andrò da papà a chiedergli in prestito una piuma, mamma, fuori discussione.”

“Va bene, come vuoi,” rispose lei alzando gli occhi al cielo. I due si guardarono per un attimo, non sapendo bene se scoppiare a ridere o meno. “Farai un figurone,” aggiunse quindi sua madre, avvicinandosi e sistemandogli la giacca. James era sicuro non avesse niente che non andava, ma la lasciò fare. “Sei agitato?”

Lui alzò gli occhi al cielo. “No, mamma. E ci sarà Theodore ad aspettarmi nell’Atrium, andrà tutto bene.”

“Ricordagli della cena di stasera.”

“Sì, Emma mi ha scritto che non vede l’ora, tra le altre cose.”

Ginny sorrise. “E io non vedo l’ora di conoscerla.”

Lui ed Emma avevano passato le vacanze di Natale a casa Nott, dietro invito di Theodore e Victoria, e quindi i suoi genitori non avevano ancora avuto modo di conoscere ufficialmente Emma. 

“Il mio ragazzo va fuori nel mondo,” continuò Ginny sospirando.

“Mamma, mi sarei aspettato questi discorsi da papà, non da te.”

La donna scoppiò a ridere. “So essere sentimentale anche io, sai? Sarà che sto invecchiando.”

James scosse la testa, sorridendo. Alla fine, una volta terminato l’anno di “punizione” scontato a Heydon Hall, Theodore gli aveva rimediato un posto come stagista presso il suo ufficio, dove James avrebbe potuto studiare e intanto lavorare a stretto contatto con lui. Era un’occasione che, James lo sapeva, non veniva data a tutti, e per questo gli sarebbe stato infinitamente grato. Non vedeva l’ora di cominciare. 

“Sarà meglio che vada,” disse quindi. “Ci vediamo stasera a cena.”

“D’accordo. In bocca al lupo per oggi.”

“Crepi.”

Si avviò alla porta. Una volta fuori, prima di Smaterializzarsi, si toccò la tasca interna della giacca. 

“In bocca al lupo per domani. Sono fiera di te. Ti amo, Emma.” Ripensò alle parole finali della lettera di Emma ricevuta la sera prima. Sorrise tra sé e sé al ricordo. Un calore famigliare gli si irradiò nel petto. 

Alzò ancora una volta lo sguardo a casa Potter. Qualche mese fa, la lasciava con la coda tra le gambe, pronto ad affrontare un anno all’Istituto Correttivo per Giovani Maghi e Streghe di Heydon Hall, nel buco-di-culo del Norfolk, come ammenda delle sue azioni, e ora la lasciava come un nuovo James, più adulto, più responsabile, più saldo. Non vedeva l’ora di iniziare questo nuovo capitolo. Si Smaterializzò con il sorriso sulle labbra. 

 

«Hai detto che era una storia di fantasmi, ma non lo è. È una storia d’amore.» / «È la stessa cosa».
 


Note:

Come anticipato in apertura di capitolo, l’headcanon che riguarda la famiglia Moody è stato inventato da me.

 

Ebbene, chi ci crede che ho completato questa storia? Nemmeno io, figuriamoci voi lettori. Dopo 13 anni ad Azkaban (cit.), eccoci qui alla fine di questa (lunghissima) corsa. 

Non mi voglio dilungare, però dovete sapere che questo capitolo ha vissuto una genesi travagliata. Vi spiego, per tutti coloro che non hanno seguito il mio sclero su facebook: dopo aver scritto circa 30 pagine, ho pensato bene di cancellare la cartella sul pc che ne conteneva il file e, non contenta, ho svuotato il cestino. Lo so, lo so. Non ditemi nulla perché LO SO. Una completa cretina. 
Potete immaginare la mia disperazione. Quella sera ero decisa: non lo avrei mai più riscritto, non avrei mai portato a termine questa storia. Poi mia sorella Alice (somma dispensatrice di consigli/tirate d’orecchio) mi ha minacciata (sì, proprio così, è dello Scorpione, sapete) e mi ha obbligata a rimettermi al lavoro subito, il giorno successivo. E così ho fatto. Credo di aver riscritto la parte che avevo perso in due giorni. E vi dirò: mi piace persino di più della prima versione. 
 

Non so quanto mi piaccia questo capitolo nella sua interezza, sarà che l’ho aspettato tanto, sarà che tutta la storia viveva in funzione di /questo/ capitolo, sarà che non sono mai contenta, ma ci sono parti che forse avrei voluto scrivere diversamente. Ma vabbe’, è andata così. Spero solo che vi sia piaciuto (fatemi sapere soprattutto le vostre impressioni sulla rivelazione dell'identità di Eliza) e che vi sia piaciuta la conclusione di questa storia che, come vi avevo promesso, non è stata solo una storia di fantasmi, ma una storia d’amore. Che è un po’ la stessa cosa.

 

Grazie ancora a mia sorella che mi ha affiancata in tutte le fasi di creazione e stesura e controllo di questa epopea (LOL), e grazie a tutti voi che siete rimasti con me fin proprio alla fine (cit.). 

 

Mi potete trovare qui, se volete, per aggiornamenti/contenuti riguardanti la scrittura e non solo: the.bleu.hoour

Dimenticavo! Se volete leggere qualcosa sui (miei) Rosier, vi consiglio la mia Dance of Death.


Grazie ancora,

Marti 🥀

 

P.s. Qui qualcos altro bolle in pentola: non mi sono scordata di Teddy Lupin 😌 E poi pensavo: vi andrebbe di leggere qualcosa su Michael Corner?



 
   
 
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