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Autore: Shadow writer    01/02/2023    2 recensioni
Nate è un ventiquattrenne disilluso e pessimista. Ha un lavoro che odia, vive in una città che non sente sua ed è rimasto intrappolato in un passato che non riesce ad accettare.
Per aiutare un amico, partecipa a una corsa automobilistica, ma questo lo porterà a invischiarsi in qualcosa di più grande di lui.
"«Si dice che tu ti stia facendo un nome in città» commentò Alison, appoggiandosi al bancone di fronte a lui.
Il ragazzo alzò gli occhi dalla bistecca e incrociò quelli civettuoli di lei.
«È stata la mia prima e ultima gara» ribadì, «l'ho già detto a Richie.»
Lei fece schioccare la lingua contro il palato in segno di disappunto.
«Mi hanno riferito che ci sai fare con le auto.»
Nate rise e si sporse verso la ragazza.
«Me la cavo bene con molte cose, Alison» quando pronunciò il suo nome, le appoggiò le dita sotto il mento, costringendola a guardarlo negli occhi, «ma ciò non significa che io sia interessato a tutte queste.»"
Genere: Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Pericolo


Il muso dell’auto inghiottiva la strada scura e il paesaggio, fuori dai finestrini, era una macchia confusa. Nate guidava con il piede schiacciato sull’acceleratore e lo sguardo fisso davanti a sé.

La pistola, al suo fianco, emetteva un calore pulsante, come un essere vivo. Guidò in trance, pensando solo ad una cosa: salvare Mila.

Richie gli aveva parlato di due appartamenti che si trovavano in edifici diversi, uno di fronte all’altro. Skull e la sua banda li usavano principalmente per lo spaccio così che da uno si poteva sempre vedere l’altro per poterlo controllare, ma lui confidava nel buio della notte.

Raggiunse il quartiere e lasciò l’auto dietro a due bidoni della spazzatura. La strada era poco ampia e l’unico lampione che avrebbe potuto illuminarla era spento, circondato dai suoi vetri rotti.

I due palazzi, due parallelepipedi grigiastri, si fronteggiavano come due giganti di cemento.

Nate si avvicinò al primo dei due e, come immaginava, riuscì ad aprire la porta con una spallata ben assestata. Richie gli aveva spiegato che l’appartamento si trovava al terzo piano, così si mise a salire le scale. Teneva la mano destra nella tasca della felpa, stringendo il freddo metallo della pistola. Gli girava la testa e allo stesso tempo si sentiva lucido come non mai. I suoi sensi erano tesi, pronti a cogliere anche il più impercettibile sibilo.

Raggiunse l’appartamento, con il respiro pesante per la salita e si fermò di fronte alla porta giallo acido. Accostò l’orecchio. Sentiva delle voci provenire dall’interno, impossibile distinguere le parole. Sollevò la mano sinistra, chiusa in un pugno tremante, e bussò. D’istinto fece un passo indietro.

La porta si aprì, rivelando il volto di un uomo abbronzato, con i capelli rasati e le sopracciglia contornate di tatuaggi.

«Che vuoi?» gli domandò brusco.

Nate lo fissò, senza parlare. La figura dell’uomo occupava interamente lo spiraglio della porta aperta, rendendo impossibile vedere alcunché all’interno.

L’altro gli rivolse uno sguardo spazientito. «Ti serve qualcosa o no?»

Nate strinse la mano intorno alla pistola e deglutì. «Voglio comprare». Sentì la sua voce più flebile di quanto si aspettasse. «Mi hanno detto di venire qui».

L’uomo sbuffò. «Non potevi dirlo subito?». Lanciò un’occhiata al corridoio intorno a loro, poi aprì la porta quanto bastava per farlo passare.

Nate si infilò all’interno e si ritrovò in uno stanza avvolta dalla penombra e cosparsa da un velo di fumo. Da un lato, alcune figure parevano intente a lavorare intorno ad un tavolo, mentre di fronte a loro, sopra un divano, un paio di uomini fumavano stravaccati tra i cuscini. Mentre il ragazzo entrava, un’altra figura uscì da quello che doveva essere il bagno e andò a unirsi con gli strafatti sul divano. «Ehi» il tatuato che gli aveva aperto la porta riattirò la sua attenzione. «Quanta ne vuoi?»

Nate tolse la mano dalla felpa ed estrasse dai pantaloni il portafoglio. «Ho solo cinquanta dollari» disse, tendendo la banconota all’uomo.

Quello gli rivolse uno sguardo bieco sotto le sopracciglia scure. Prese la banconota e gli intimò di rimanere fermo dov’era. Si avvicinò agli uomini al tavolo e parlò per qualche istante con uno di loro. Poi prese un sacchetto e tornò da Nate.

«Eccoti» gli disse, ficcandoglielo in mano. «Ora sparisci».

Il ragazzo non se lo fece ripetere due volte e uscì dall’appartamento. Nessuna traccia di Mila. Raggiunse le scale camminando normalmente, poi si lanciò di sotto saltando i gradini a due a due. Attraversò di corsa l’ingresso e ritornò all’esterno.

Al posto di attraversare direttamente la strada per raggiungere il palazzo di fronte, decise di allontanarsi lungo il marciapiede – nel caso qualcuno si fosse preso la briga di controllarlo dalle finestre del quarto piano – e quando fu sicuro di essere fuori dalla loro portata, attraversò la strada e raggiunse l’altro palazzo.

Questa volta doveva salire fino al sesto piano. Aveva appena imboccato le scale, quando una vibrazione sulla sua gamba lo fece sussultare. Richie lo stava chiamando.

«Che c’è?» bisbigliò al cellulare, continuando a salire il più silenziosamente possibile.

«L’hai trovata?»

«Sono stato nel primo appartamento, nessuna traccia. Provo nel secondo».

Sentì l’omone grugnire. «Ho fatto circolare la voce di una soffiata alla polizia. Gli organizzatori hanno disperso i concorrenti per qualche decina di minuti, ma presto si accorgeranno che non ci sei».

«Lo so».

«Stai attento. Non sei costretto a fare l’eroe».

Nate chiuse la chiamata e rimise il cellulare nei jeans. In quel momento, il Devil Wheels era l’ultimo dei suoi problemi.

Nonostante assomigliasse al suo gemello all’esterno, i corridoi del palazzo in cui si trovava avevano un’aria più curata. Fuori dalle porte c’erano piante curate, tappetini puliti e portaombrelli. 

Il sesto piano appariva più trasandato rispetto ai precedenti. Nulla decorava le porte in legno scuro, né i campanelli erano sormontati da targhette con i nomi dei padroni di casa. Nate raggiunse l’appartamento che Richie gli aveva indicato, ma questa volta non udì nessuna voce provenire dall’interno.

Bussò alla porta e si spostò, per sottrarsi all’occhio indagatore del foro di vetro.

Udì un rumore di passi, poi alcune serrature che scattavano. Strinse la mano intorno alla pistola. Sulla soglia comparve un ometto basso e corpulento, con gli occhi cerchiati di occhiaie scure e l’aria di chi non chiude occhio da troppo tempo.

Li lanciò un’occhiata stanca. «Che c’è?»

Nate esitò. Non sentiva odori strani provenire dall’interno, né altri rumori. Spostò il dito sul grilletto e disse: «Mi manda Skull».

L’uomo lo scrutò, poi i suoi occhi si alzarono al cielo. «Finalmente quel cretino ha deciso di mandare qualcuno. Forza entra».

In modo più amichevole rispetto al suo collega del palazzo di fronte, l’uomo lo fece entrare. L’appartamento non era molto diverso dal precedente, ma ricordava un monolocale senza pretese. Sulla destra c’era tavolino rotondo, circondato da quattro sedie, mentre contro la parete era sistemato uno scaffale ricolmo di scatole. Nate fece un passo avanti, mentre sentiva la porta chiudersi alle sue spalle. Spostò lo sguardo sul lato sinistro della stanza e si sentì paralizzare.

Un altro uomo stava stravaccato su un divano e poco distante, seduta a terra con un polso ammanettato al termosifone, c’era Mila. La ragazza sedeva con un braccio sollevato, teneva il capo appoggiato alla parete e le gambe strette al petto. Indossava una camicetta bianca e dei pantaloni eleganti che portava al lavoro. Non appena lo riconobbe, i suoi occhi si sgranarono, ma Nate l’ammonì con uno sguardo a tacere.

«Guarda cosa ci hanno mandato» disse l’ometto avvicinandosi al suo compagno che sonnecchiava sul divano. Quello si raddrizzò, scoccando uno sguardo indagatore a Nate. Il ragazzo cercò di apparire disinvolto. Durante le corse non si era trattenuto a parlare con nessuno, difficilmente avrebbero potuto riconoscerlo. O almeno così cercò di convincersene.

«Solo uno?» brontolò quello sul divano. «E anche troppo magro per stare di guardia da solo».

«Ce la posso fare» disse Nate.

«Sì, sì» ridacchiò quello che gli aveva aperto. «Se poi scappa lo senti tu il capo».

Lui lanciò uno sguardo a Mila. «Come potrebbe scappare? Sono più grosso di lei ed è ammanettata».

«Non si sa mai cosa potrebbe inventarsi quella» commentò l’uomo sul divano.

«Magari ti sbatte le ciglia e non ci capisci più niente» rise l’altro.

Nate simulò una risata spontanea.

«Va be, io vado a farmi una dormita» commentò quello sul divano alzandosi in piedi. «Mi raccomando» aggiunse guardando Nate e il compare, poi si diresse verso la porta e uscì dall’appartamento.

L’ometto che era rimasto si lasciò cadere sul divano, dove i cuscini era ancora spiegazzati dal precedente occupante ed emise un sospiro stanco. I suoi occhi inquisitori si spostarono su Nate. «Cosa fai lì impalato? Mettiti comodo, tanto qui ci dovremo stare ore. Skull non ti ha avvisato?».

Il ragazzo fece un cenno di assenso con il capo e prese posto su una delle sedie intorno al tavolo rotondo. Mila stava tra di lui e l’altro uomo, sul divano. Alzò leggermente gli occhi verso Nate e lui si sentì spezzare il cuore. La ragazza era lì da più di ventiquattr’ore in quelle condizioni. Sentì la rabbia montargli dentro. Avrebbe solo voluto alzarsi e sparare quell’ometto tarchiato e ripugnante. Era abbastanza vicino da non sbagliare la mira e colpirlo direttamente in mezzo alla fronte.

Strinse la mano sulla pistola, ma prima che potesse fare altro, Mila parlò.

«Devo andare in bagno» disse, rivolta verso l’uomo sul divano. 

Quello alzò gli occhi al cielo e imprecò. «Quante cazzo di volte devono pisciare le donne in un giorno? Sei fortunata che sono un gentiluomo, se no ti avrei detto di fartela addosso già alla seconda volta».

Si alzò in piedi e frugò nelle sue tasche, poi ne estrasse una chiave con cui liberò il polso della ragazza dalle manette.

Nate si alzò dalla sedia e si avvicinò all’uomo, che non si scompose, come se fosse quello che si aspettava per tenerla maggiormente controllata mentre era libera.

«Non facciamo cazzate ora» proseguì l’uomo e, chiudendo la propria mano intorno al braccio di Mila, la trascinò verso il bagno. Nel farlo, dovette dare le spalle a Nate, che decise di non sprecare l’occasione: estrasse la pistola e con il calcio dell’arma colpì l’uomo alla nuca in modo deciso. Nel caso quel colpo non fosse stato sufficiente, Mila si voltò nello stesso istante e gli assestò sul volto un pugno ben piazzato. L’uomo crollò a terra privo di sensi.

«Dobbiamo andarcene» disse Nate. «Ce la fai? Da quanto non mangi? Vuoi che ti porti io?»

Lei scosse il capo. «Ce la faccio. Voglio solo uscire di qui».

Uscirono dall’appartamento, tenendo i sensi all’erta. Con una mano Nate stringeva quella della ragazza e con l’altra teneva la pistola lungo la gamba, pronto a nasconderla o a sollevarla in base a chi si sarebbe trovato di fronte.

Raggiunsero l’ingresso del palazzo, che pareva deserto, così si affrettarono ad abbandonarlo. Nate la guidò a ritroso attraverso il percorso più ombreggiato e tornarono all’auto. Si assicurò che Mila fosse all’interno prima di precipitarsi dall’altro lato e sedersi dietro al volante. Aveva appena messo in moto, quando il suo cellulare squillò. 

Era di nuovo Richie. «Sei ancora vivo?»

Nate mise in vivavoce e appoggiò il cellulare davanti al cambio. «Sì, Rick grazie per la fiducia».

Al suo fianco, Mila si appiattì contro il sedile e prese un respiro profondo. Avrebbe voluto chiederle come stava, se voleva parlargli, ma la voce agitata dell’omone si intromise: «Allora dove diavolo sei? Hanno capito che non c’è nessuna soffiata e la gara comincia tra dieci minuti. Sono già tutti in posizione».

«Sono troppo lontano» sospirò. «E devo portare Mila in un luogo sicuro».

«Nate, ragiona» Richie era teso, nervoso. I soldi che avrebbe perso erano parecchi. «Non puoi buttare via tutte le tue vittorie. Premi quel cazzo di acceleratore e vieni qui. Provo a trattenerli ancora, anche a costo di far stendere qualcuno davanti alle auto in partenza!»

Lui strinse i denti e lanciò uno sguardo fugace a Mila. Incrociò gli occhi cerchiati della ragazza. Lei gli mise una mano sul braccio. «Vai» gli sussurrò.

«Cosa vuoi dire?»
«Fai come ti ha detto. Andiamo alla gara. Mi riporterai a casa dopo, non voglio che tu sprechi quest’opportunità per me».

«Cazzo, no!» sbottò lui. «Non me ne frega di quella gara, Mila, voglio solo che tu stia bene».

Lei sorrise debolmente. «Ora sto bene, grazie a te. Andiamo a quella gara».

Il ragazzo strinse il volante al punto che le nocche gli divennero bianche. Puntò gli occhi sulla strada come se avesse potuto incenerirla. Si diede dello stupido, dell’idiota. Anche quando avrebbe voluto proteggerla, non aveva fatto altro che metterla in pericolo. Si trovò assalito dalle stesse sensazioni che aveva provato anni prima quando Mila lo cercava tra i suoi amici. Come un pesce fuor d’acqua, la ricordava camminare sulla spiaggia di notte, spaventata ma non per questo meno risoluta nella sua ricerca. Ogni volta che la vedeva vagare, il suo cuore si stringeva e un senso di tenerezza e protezione lo spingeva ad avvicinarsi a lei, prenderla sotto un braccio e giurare a se stesso che non avrebbe permesso a nessuno di farle del male. Ci aveva impiegato un po’ a capire che Mila era in grado di proteggersi da sé e ciò che la metteva più in pericolo era proprio lui. Per questo aveva sperato di poter ricominciare daccapo, insieme a lei, in una nuova città. E ora se la ritrovava terrorizzata nella sua auto. Non solo le cose non erano cambiate, erano anche precipitate.

Schiacciò l’acceleratore e l’auto fu slanciata in avanti sull’asfalto liscio

Richie lo chiamò ancora.

«Dove cazzo sei, Nate? Stanno per partire» tuonò la voce nell’altoparlante.

Il ragazzo strinse i denti. «Sto arrivando, mi mancano cinque minuti».

«Premi quel fottuto acceleratore, perché la gara sta iniziando. ORA»

Mila intervenne nella conversazione, sporgendosi verso il telefono. «Andremo direttamente alla posizione di partenza. È consentito gareggiare in due?»

Richie parve colto alla sprovvista da quella voce ed esitò, poi ripeté la domanda a qualcuno, forse Ross. 

«Sì, è consentito» riferì al telefono. «Quindi muovete il culo, tutti e due».

«Sei sicura?» chiese Nate.

Lei gli poggiò una mano sul braccio. «Mi fido di te».

L’auto rombò e improvvisamente, davanti a loro, comparvero i primi segnali della gara: gruppi di persone appostate sul bordo della strada, uomini che si portavano walkie-talkie alla bocca con aria guardinga, torce che tagliavano l’oscurità della notte come lame di luce.

Arrivarono alla partenza e si misero in coda, dietro alla fila di macchine già pronte a partire. Nate vide qualcuno protestare per il suo arrivo tardivo, ma uno degli organizzatori trattenne l’intruso e il rombo dei motori intorno a lui lo avvisò che era ora di partire.

Con la coda dell’occhio vide Mila aggrapparsi alla portiera, appena in tempo perché lui schiacciò l’acceleratore e si lanciò nella mischia delle auto in gara.

Il suo cuore tornò a battere all’impazzata, mentre cercava di farsi strada tra le auto intorno a loro. Per il bene di entrambi, cercò di dimenticarsi della presenza della ragazza al suo fianco e si sforzò di concentrarsi sulla gara. Una curva a gomito li sballottolò nell’abitacolo e per un pelo schivò un’auto che rischiava di colpirli. La preparazione della gara gli tornò alla memoria e si lasciò guidare dall’istinto. Accelerazione, freno, accelerazione, curva, accelerazione.

I suoi occhi erano inchiodati alla strada scura, i suoi sensi all’erta. 

Accelerazione, curva, accelerazione. Con una manovra brusca evitò un altro concorrente e lo superò, ma fu costretto a rallentare di nuovo per un’altra curva. Improvvisamente, davanti a loro, comparve il traguardo. Nate trattenne il fiato e schiacciò l’acceleratore a tavoletta.

 

   
 
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