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Autore: Milly_Sunshine    23/03/2023    2 recensioni
Dopo molti anni, Enrico torna nella sua città natale, dove ha accettato un lavoro nello stesso albergo nel quale lavorava suo padre. Qui rivede Carolina, sua vecchia amica che lavora alla reception, per la quale prova un'attrazione in apparenza non corrisposta ed è ignara delle vere ragioni che abbiano convinto Enrico a tornare a casa. Alle loro vicende si incrociano quelle di Vincenzo, figlio del vecchio titolare che ha di recente ereditato l'attività di famiglia. Ciascuno di loro ha i propri segreti, ma un segreto ben più grande, che risale all'epoca della loro infanzia, sta per sconvolgere le vite di tutti e tre. Il contesto è "generale/ vago" perché "persone adulte che vivono nei primi anni '90" non è contemplato.
Genere: Drammatico, Mistero, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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MASCHERE

Quando il campanello suonò, non era ancora buio. Di solito Giovanna attendeva sempre la sera, nel tentativo di non farsi notare. Inoltre si recava da lui in bicicletta, affinché nessuno riconoscesse la sua auto. A Giuseppe, in qualche occasione, era sembrato che il suo comportamento fosse ossessivo, ma aveva sempre compreso le sue ragioni. Un uomo aveva tentato di ucciderla, in passato, e per quanto non ricordasse quasi nulla di quel tragico evento, era sempre stata terrorizzata dall'idea che Alfredo Vitale potesse ricomparire nella sua vita.
Giuseppe aprì la porta e attese che salisse. Quando la accolse, vide per l'ennesima volta un volto in apparenza imperturbabile, ma che nascondeva ben altro. Non sapeva cosa dire, non voleva chiederle spiegazioni per la sua presenza. Si limitò a osservare: «Sei arrivata presto.»
«Anche tu sei venuto a casa presto, oggi» replicò Giovanna. «Cos'è successo?»
«È successo che la nostra vita non sarà mai più come prima e lo sappiamo entrambi.»
Giovanna richiuse la porta.
«Parla piano, qualcuno potrebbe sentirci.»
Giuseppe non replicò. Le mise subito davanti la proposta che Roberto gli aveva fatto.
«Lascerò l'albergo e me ne andrò. Potrai raggiungermi quando vuoi.»
Si aspettava che Giovanna gli chiedesse se era pazzo, oppure che protestasse in qualche modo. Dopotutto era rimasta quando credeva che Vitale fosse ancora vivo. Non accadde nulla di tutto ciò. Anzi, rispose, in tono pacato: «Forse dovremmo farlo, prima che sia troppo tardi.»
Giuseppe ricordò le parole di Roberto.
«Per caso temi che possano venire a cercarci? Che possano sospettare di noi?»
Giovanna scosse la testa.
«No, non ho mai più avuto nulla a che fare con Alfredo, dopo l'aggressione. Anche quando è stato scarcerato, o non mi ha mai trovata, oppure non mi ha nemmeno cercata. D'altronde perché avrebbe dovuto? Era più legittimo pensare che volesse guardare avanti.»
«Era un criminale, non possiamo sapere cosa potesse passargli per la testa.»
Giovanna si diresse verso la cucina, senza parlare. Rimase in silenzio anche quando prese un bicchiere e lo riempì sotto al rubinetto del lavello. Bevve un sorso d'acqua, scostando una sedia e accomodandosi.
«Alfredo era un poco di buono e aveva avuto dei brutti comportamenti, nei confronti miei e di altri» ammise Giovanna, appoggiando il bicchiere sul tavolo, «Ma me lo sono chiesta tante volte, perché avrebbe dovuto cercare di uccidermi? Ogni tanto veniva a chiedermi dei soldi in prestito e qualcosa glielo davo sempre, nonostante non mi abbia mai restituito neanche mille lire. Mi faceva pena e lo sapeva. Non gli conveniva cercare di ammazzarmi.»
«Eppure l'ha fatto. Va bene, adesso è morto, ma non per questo devi per forza parlarne bene.»
«Non ne sto parlando bene. Era un delinquente comune, di solito cercava di non infilarsi mai in situazioni troppo complicate. Come si è ritrovato a cercare di uccidermi? E a farsi uccidere e seppellire in quello che ai tempi era un terreno abbandonato? Non me lo spiego. Lo so, mi dirai che non è necessario trovare delle spiegazioni, ma è da qualche tempo che non riesco a togliermi dalla testa il pensiero che possa non essere stato lui.»
«E chi, allora?»
«Non lo so. Ci furono un paio di testimoni che affermarono di avere visto un uomo che somigliava ad Alfredo avvicinarsi a casa mia e quelle accuse bastarono per incriminarlo. Io, da parte mia, non ricordavo niente, quindi non potevo né confermare né smentire. Però me lo sono chiesta tante volte: e se fosse stato qualcun altro? Qualcuno che può essere stato scambiato per lui e che magari è ancora vivo?»
Giuseppe azzardò: «Stai pensando che qualcuno ti abbia aggredita per far cadere i sospetti su Vitale, che di conseguenza è finito in carcere? E che, quando Vitale è uscito, se ne sia liberato definitivamente uccidendolo e occultando il suo cadavere?»
Giovanna ammise: «Non mi sembra un'idea da scartare. Faceva affari con gente losca, non mi stupirebbe se qualcuno potesse avere avuto una simile... idea, se così vogliamo chiamarla.»
Aveva senso, realizzò Giuseppe. Non era solo il delirio di una donna che si rifiutava di credere che un uomo che aveva amato molto tempo prima le avesse deliberatamente fatto del male, c'era qualcosa di più. In fondo Giuseppe non aveva mai conosciuto Alfredo, non poteva giudicare se fosse un potenziale assassino. Giovanna ci aveva avuto a che fare, anche se forse ai tempi della loro relazione aveva spesso chiuso gli occhi per non vedere.
«Sospetti di qualcuno?»
«No.»
«Però, se ha colpito te per arrivare a sbarazzarsi di Vitale, non dovrebbe più essere un pericolo.»
«Non dovrebbe» confermò Giovanna, «Ma non sono tranquilla.»
Giuseppe si sedette accanto a lei.
«Andiamocene. Andiamo via, senza dire a nessuno dove.»
Giovanna abbassò lo sguardo.
«Nemmeno a mia figlia?»
Mia figlia.
Mia.
Un semplice pronome colpì Giuseppe come una coltellata, per l'ennesima volta. Non aveva mai avuto il coraggio di affrontare Giovanna, di spingerla a confessare.
La ragazza, secondo la versione ufficiale, era stata concepita circa un mese dopo quella prima - e, nei loro piani, ultima - notte insieme. Ai vecchi tempi, ormai vecchissimi, quando la moglie di Giuseppe era ancora in vita, Giovanna aveva sempre affermato con decisione che la figlia era il frutto di una relazione occasionale con un altro uomo incontrato qualche settimana dopo.
"Cosa credi, di essere stato l'unico?" gli aveva ripetuto, più di una volta.
All'inizio Giuseppe le credeva, o forse era la soluzione più semplice, che gli avrebbe consentito di non mandare a monte il proprio matrimonio. Non avrebbe saputo dire, con esattezza, quando aveva iniziato a sospettare che quella storia fosse falsa, fabbricata ad arte da Giovanna per non costringerlo a fare mosse avventate.
La sua compagna, frattanto, non si era dimenticata della propria domanda. Attendeva ancora una risposta: «Non posso parlarne nemmeno con lei?»
«Se senti di doverlo fare, puoi dirglielo» replicò Giuseppe, «A condizione che sia capace di tenersi tutto per sé.»
Giovanna annuì.
«Per mia figlia garantisco io.»
Era quello il momento, fu una decisione d'impulso. Le chiese: «È anche mia figlia, vero?»
Giovanna alzò lo sguardo di scatto. Scuotendo la testa, esclamò: «Non sai quello che dici.»
«Lo so molto meglio di quanto tu creda, me lo sento dentro» insisté Giuseppe. «Posso capire le ragioni per cui non me l'hai mai detto, ma non credi sia arrivato il momento di togliersi la maschera?»
«Non ho mai indossato maschere» replicò Giovanna. «Il nostro amore è venuto molti anni dopo di lei.»
Giuseppe sospirò.
«Vuoi proprio continuare a mentire anche adesso? Ora che stiamo pensando di passare davvero il resto della nostra vita insieme?»
«Il nostro problema, forse, è proprio questo: vogliamo scappare insieme, perché abbiamo paura che qualcosa che non dipende da noi possa provocarci dei grossi problemi. Vogliamo scappare e non ce la sentiamo di farlo da soli. Non abbiamo mai fatto nulla per cercare di essere una vera coppia.»
Giovanna aveva ragione. Per tantissimi anni si erano inventati scuse, avevano cercato mille ragioni per rimanere sempre nell'ombra. Ciascuno dei due aveva cercato di proteggersi come meglio poteva, mettendo in piedi castelli di carte che difficilmente sarebbero crollati.
Non c'era motivo di negare, tutto ciò che Giuseppe poteva fare era cercare di richiamare Giovanna al buonsenso.
«Se è figlia mia, ho diritto di saperlo.»
«Se ti dicessi che lo è, cosa cambierebbe?»
«Tante cose, credo.»
«Resterebbe soltanto una ragazza che ti vede come un semplice conoscente.»
«E se Enrico dovesse tornare, dopo che ce ne saremmo andati?»
Quella domanda spiazzò Giovanna, che non comprese cosa Giuseppe stesse sottintendendo.
«Enrico?»
«Sì, mio figlio. Se n'è andato molto tempo fa, è vero, ma quando viene a trovarmi spesso mi fa capire che un giorno potrebbe prendere in considerazione l'idea di tornare a vivere in città. Potrebbe decidere di rivedere le persone che frequentava una volta e...»
Giovanna lo interruppe: «Ho capito quello che vuoi dire. Devi ammettere, però, che è una possibilità piuttosto remota.»
«Sarà anche una possibilità remota, ma esiste. Devi dirmelo... o almeno, devi dirlo a lei.»
Giovanna non fece nient'altro che annuire.
«Non devi preoccuparti per questo.»
Giuseppe insisté: «Per caso è un'ammissione?»
Giovanna non rispose, ma non servivano parole.
«Avresti dovuto dirmelo molto tempo fa» affermò Giuseppe, con freddezza. «Magari sarebbe andato tutto molto diversamente.»
Giovanna riprese il bicchiere e lo svuotò tutto d'un fiato, prima di tornare a posarlo sul tavolo.
«Tra me e te non c'è mai stata una relazione normale.»
«Avremmo potuto provarci.»
«Non volevo che succedesse per lei. C'eravamo io e te, prima che arrivasse lei. Ci siamo sempre stati, in un modo o nell'altro. Non volevo usarla per incatenarti a me e alla mia vita disastrata.»
«La tua vita è molto meno disastrata di quanto tu creda. E poi, in ogni caso, nella mia vita ci sei sempre stata tu, fin da quella notte. È stato allora che ho capito che ti avrei amata fino alla fine dei miei giorni.»
Giovanna non rispose. Si fissarono a vicenda, per una quantità di tempo che a Giuseppe parve infinita. Era sempre stato così, tra di loro: momenti vissuti insieme, portandosi ciascuno i propri segreti, a volte pesanti come macigni. Non riusciva a fargliene una colpa, se aveva agito a quella maniera. Forse, inconsciamente, le aveva sempre fatto credere che la loro relazione fosse un problema. Aveva un solo modo per voltare pagina: pianificare con lei un futuro insieme.

Esistevano poche certezze nella vita e una di queste era che Enrico fosse palesemente attratto da Carolina. Ogni volta in cui passava davanti alla reception, trovava sempre una scusa per fermarsi qualche minuto. Parlava con lei e la ascoltava con sguardo sognante al punto tale che Vincenzo, pur non ritenendosi un acuto osservatore, non aveva potuto non notarlo.
Carolina sembrava non accorgersi di nulla, oppure faceva finta. Quello che era certo era che non ricambiava le attenzioni di Enrico, per lei era soltanto un vecchio amico. Vincenzo iniziava a chiedersi se per Enrico fosse sufficiente per intraprendere una relazione altrove, se nonostante la sua infatuazione per l'amica ci fosse un'altra donna, nella sua vita. Non gli sarebbe interessato, ovviamente, se la donna in questione non fosse stata la barista dalla tuta fucsia con la quale aveva fatto conversazione quella mattina.
Per qualche ora, Vincenzo non aveva pensato a lei. Aveva pranzato insieme a Paola, la quale non aveva fatto altro che parlare, parlare e parlare del matrimonio che sarebbe stato celebrato di lì a qualche settimana. Appariva molto entusiasta, fin troppo, e lo rimproverava spesso perché non si dimostrava altrettanto euforico. Era successo anche quel giorno e Vincenzo aveva dovuto spiegarle che l'organizzazione dell'evento era comunque stressante e che non vedeva l'ora che tutto fosse finito. Aveva usato esattamente quei termini e a Paola, grazie al cielo, non erano sembrati inappropriati. O almeno, non aveva avuto niente da ridire, pertanto a Vincenzo piaceva pensare che non ne fosse stata infastidita.
Si tolse dalla testa quei momenti, a loro volta lontani ormai di ore, e si diresse verso la reception. Enrico si stava già allontanando e non si era accorto di lui. L'avrebbe inseguito senza fermarsi, e cercando di non dare nell'occhio, se Carolina non l'avesse, di fatto, costretto a trattenersi, seppure solo per qualche istante, salutandolo.
«Buon pomeriggio, signor Gottardi.»
Vincenzo accennò un sorriso.
«Buon pomeriggio, Carolina. Mi scusi, ma vado di fretta.»
Anche Carolina sorrise.
«Vada pure.»
Quel breve scambio di battute fu sufficiente per riempire Vincenzo di motivazione. Aveva da fare, doveva assolutamente cercare di mettere in trappola Enrico. Si affrettò per raggiungerlo, senza che l'altro si accorgesse di nulla. Lo fece sussultare per la sorpresa, quando gli posò una mano su una spalla.
Enrico si girò lentamente.
«Ah, sei tu, non ti avevo sentito.»
«Disturbo?»
«No, certo che no.»
«Ti posso parlare un momento?»
«Sì, certo.»
Vincenzo chiarì: «Non qui, nel mio ufficio.»
Enrico aggrottò le sopracciglia.
«C'è qualche problema?»
«No, c'è solo una cosa di cui dovrei parlarti e vorrei che fossimo soli. A meno che non sia un problema per te, non ci sono assolutamente problemi.»
«No, figurati, quale problema?»
Non ci fu bisogno di aggiungere altro. Si avviò ed Enrico lo seguì. Solo entrando, Vincenzo si rese conto del disordine che regnava sulla sua scrivania. L'altro non parve farci caso. Rimase in piedi - quindi Vincenzo fece lo stesso - poi andò verso la finestra e si mise a guardare fuori.
«Allora?» volle sapere. «Di cosa devi parlarmi?»
«Olimpia Ruggeri» disse Vincenzo. «La conosci?»
«Sì, perché?»
«La conosci bene?»
«Abbastanza da considerarla la mia prima ragazza, se valgono anche le storie tra bambini.»
«E la vedi spesso?»
Enrico si girò a guardarlo.
«No, certo che no. Eravamo amici da ragazzini, non so che fine abbia fatto.»
«Ha un bar insieme ai suoi genitori.»
«Buono a sapersi.»
«È stata sposata, ma adesso è separata dal marito. Magari potresti avere qualche possibilità con lei.»
Enrico scosse la testa.
«No, grazie, non voglio trovarmi una fidanzata. C'è solo una donna per cui farei volentieri un'eccezione.»
Vincenzo non aveva dubbi su chi fosse, ma finse di non averlo capito.
«Quella donna non è Olimpia, quindi?»
«No. Posso andare, adesso?»
Così come la Ruggeri non aveva fatto grandi domande a Vincenzo quando parlavano di Enrico, quella mattina, Enrico stava facendo lo stesso. Era possibile che non gli passasse nemmeno per la testa l'idea di chiedergli perché fosse così tanto interessato? Glielo disse, cercando di studiare la sua reazione. Tutto ciò che ottenne fu Enrico che affermava di essere meravigliato dalla passione di Olimpia per l'attività fisica, visto che non era mai stata una grande sportiva.
Vincenzo decise di scoprire almeno qualche carta: «Secondo me non era nel parco per correre. Ho avuto l'impressione che fosse là per me. Hai qualche idea del perché?»
«Dovrei?» obiettò Enrico. «Come ti ho detto, ci frequentavamo quando eravamo ragazzini. Non so se potrebbe mettersi a pedinarti e perché. Però l'hai detto tu stesso, adesso è libera. Magari le piaci.»
«Non ricordo di averla mai vista prima di stamattina.»
«Magari non era là proprio per te. Forse sperava di conoscere qualche uomo e, per caso, sei capitato tu. In fondo un tempo avevi un discreto successo con le ragazze.»
«Anche adesso» scappò detto a Vincenzo, con voce fin troppo tagliente.
«Sì, so che ti devi sposare» puntualizzò Enrico.
Vincenzo lo ignorò, anche perché non aveva alcun desiderio di mettersi a parlare di Paola.
Non ricevendo risposta, Enrico azzardò: «Adesso andrei, se non devi dirmi nient'altro.»
Vincenzo scosse la testa.
«No, nient'altro.»
Enrico non se lo fece ripetere due volte e si diresse verso la porta.
Vincenzo lo pregò: «Per cortesia, chiudi quando esci.»
L'altro eseguì senza dire una parola, lasciandolo solo. Vincenzo andò a sedersi alla scrivania. Doveva togliersi dalla testa Olimpia, perché aveva questioni più importanti di cui occuparsi. Guardò l'orologio che aveva al polso. Il direttore Carletti l'avrebbe raggiunto di lì a venti minuti.

 

   
 
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