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Autore: Carme93    26/03/2023    0 recensioni
I nati del 1998 sono figli della guerra e della vittoria su Lord Voldemort.
La loro nascita ha simboleggiato nuova luce nel buio delle tenebre e gioia e speranza in un mondo in macerie da ricostruire. Un chiaroscuro insito nella vita di ognuno di loro.
La generazione figlia della guerra arriva a Hogwarts.
Genere: Fluff, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Potter, Minerva McGranitt, Neville Paciock, Nuovo personaggio, Teddy Lupin | Coppie: Harry/Ginny
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
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Capitolo diciannovesimo


 
 
Cattive intenzioni
 



Mark sospirò: aveva paura, ma doveva porre quella domanda al nonno. Era l’unica possibilità di ottenere una risposta. Sicuramente nessun altro si sarebbe preso la briga di rispondergli.
Si lisciò la divisa nuova di zecca che il nonno gli aveva comprato pochi giorni prima. Si sentiva confuso e in colpa, ma anche sollevato perché almeno a Scuola non l’avrebbero più chiamato ‘sacco di patate’ (uno dei soprannomi più educati).
In quei pochi giorni che aveva trascorso in quella casa, aveva iniziato a conoscere il nonno e a sentirsi leggermente tranquillo; ma era tutto terribilmente strano, sembrava quasi un sogno.
In realtà non avevano nemmeno parlato molto, loro due. Si erano fatti compagnia in silenzio. Il nonno si era premurato di comprargli il materiale per la Scuola, verificare che svolgesse i compiti assegnati, che mangiasse… Tante piccole attenzioni che Mark aveva sempre desiderato. Nemmeno con lui, però, il ragazzino si era confidato e il nonno stesso era sempre stato molto riservato.
Per questo motivo il ragazzino sentiva di star per spezzare quell’equilibrio che avevano costruito fino a quel momento. Avanzò incerto verso il più anziano, seduto al tavolo della cucina e intento a leggere la “Gazzetta del profeta”.
«Nonno» pigolò, conscio che non sarebbe potuto tornare indietro. E se si fosse arrabbiato? Se avesse smesso di essere gentile con lui?
«Mmm» borbottò quello non distogliendo gli occhi da un articolo che stava leggendo.
«Posso farti una domanda?» buttò fuori Mark. Non poteva aspettare: presto sarebbero dovuti andare a King’s Cross e avrebbe perso quell’opportunità.
Il nonno non rispose subito, ma dopo qualche secondo ripiegò il giornale e si volse verso di lui. «Dimmi».
Ora che aveva la sua attenzione, il ragazzino iniziò a tremare e non seppe più da dove cominciare. Il respiro accelerò e cominciò a sudare. Conosceva quelle sensazioni e ormai sapeva dar loro anche un nome: attacco di panico. Non poteva, non poteva, non riusciva nemmeno a proferir parola. Forse scappare di sopra sarebbe stata una soluzione, si sarebbe calmato e poi avrebbe detto al nonno che non era nulla di importante.
Quest’ultimo, però, lo attirò a sé appoggiandogli le mani sulle spalle. Il contatto sorprese per un attimo Mark: fino a quel momento il contatto fisico tra loro due era stato nullo. Come se tutti e due avessero avuto troppa paura di avvicinarsi all’altro. Mark sicuramente ne aveva avuta. Il contatto però non gli dispiacque: era una stretta salda, ma non brusca come quella dei nonni materni, di Alexis o di suo padre.
Sentì le lacrime affiorare ai suoi occhi e non riuscì a scacciarle.
«Che c’è Mark?».
Ma nonostante la vicinanza, il ragazzino non riusciva ancora a parlare e trattenne a stento un singhiozzo. Fuori dalla Scuola nessuno era stato gentile con lui. Mai. E talvolta aveva anche paura quando i grandi sembravano cortesi. Aveva imparato a non aspettarsi nulla di buono.
«Mark, non abbiamo fretta. Che cosa vuoi sapere?».
Il ragazzino tentò di fare ampi respiri come gli aveva detto Madama Chips e alla fine mormorò a tratti: «Tu e papà». Prese un altro respiro. «Avete litigato». Respiro. «Perché». E qui la voce gli tremò rischiando di perdere nuovamente il controllo. «Mamma era una babbana?». Chiuse gli occhi aspettandosi uno schiaffo, ma le sue parole furono accolte solo dal silenzio. Allora azzardò un’occhiata al nonno, che lo fissava con un’espressione strana: sembrava addolorato, infastidito e triste allo stesso tempo.
«Che cosa ti ha raccontato tuo padre di me?». La domanda fu pronunciata dal nonno senza che lo guardasse negli occhi, improvvisamente il tavolo era diventato per lui molto interessante.
«Niente» mormorò allora Mark. «Non mi ha mai parlato di te» osò aggiungere.
A quel punto il vecchio sollevò lo sguardo su di lui, la bocca storta in una strana espressione che scomparve quasi subito, ma egli rafforzò la stretta sulle braccia del nipote. «Non ho nulla contro i Babbani. La mia amica Lucretia è babbana di nascita».
Mark sgranò gli occhi. «Non l’avrei mai detto». Le parole gli sfuggirono di bocca prima che potesse riflettere. «Pensavo fosse una Purosangue».
Il nonno fece una smorfia. «Anche questo è un pregiudizio».
«Io non..» Mark sgranò gli occhi: non voleva dire quello… ma forse indirettamente l’aveva detto.
«Lascia stare. Purtroppo alcuni pregiudizi ci vengono inculcati dalla società in cui viviamo… le immagini che vengono costruite intorno a noi… e non ce ne rendiamo nemmeno conto…» sospirò il nonno. «Ascoltami» aggiunse costringendolo a guardarlo negli occhi. Per fortuna era bravo nell’Occlumanzia. «Non ho mai avuto nulla contro tua madre… forse i consuoceri, ma quelli non puoi sceglierli… ma lasciamo stare… era una brava ragazza, coraggiosa visto in tempi che correvano… Io e tuo padre abbiamo litigato per questioni politiche».
Mark non comprese: in che senso questioni politiche? Erano di due partiti diversi? Ma nel mondo magico non esistevano laburisti e conservatori come in quello babbano. Certo il ministro Schackelebolt aveva i suoi oppositori sicuramente, aveva sentito i ragazzi più grandi parlarne, aveva sentito suo padre lamentarsi e non condividere le scelte dell’attuale governo magico, ma suo padre quelle poche volte che leggeva i giornali si lamentava sempre… «In che senso?» trovò il coraggio di chiedere.
Suo nonno lo lasciò e si alzò, apparentemente per versarsi dell’acqua in un bicchiere, ma il ragazzino ebbe ancora l’impressione che non volesse guardarlo in volto.
«Erano tempi duri. Il Ministero della Magia era profondamente corrotto, molto di più di ora… i Mangiamorte e Colui-che-non-deve-essere-nominato avevano preso il potere… L’avrai sentito no? Tuo padre lavorava già al Ministero a quel tempo. Tutti noi, nessuno escluso, abbiamo dovuto scegliere da che parte stare».
In realtà quella non era una risposta chiara, ma Mark, mentre lo osservava bere, incastrò alcuni tasselli di quel puzzle terribile: due fazioni, scelte da fare, McBridge che trattava male lui e i suoi fratelli, suo padre non poteva usare la bacchetta magica se non quando era a lavoro, era stato ad Azkaban per anni dopo la sua nascita… «Papà è stato un Mangiamorte?» chiese con una sicurezza che non sapeva di possedere.
A suo nonno sfuggì il bicchiere dalle mani, cadde sul pavimento e si frantumò. Il suono sembrò rimbombare nella casa.
«No» rispose rocamente, come se avesse qualcosa in gola. Nel frattempo si abbassò leggermente come a raccogliere il vetro, poi cambiò idea ed estrasse la bacchetta. Il bicchiere tornò come nuovo.
«Ma…» protestò Mark volendo raccontargli di McBridge, ma il nonno lo interruppe.
«Non esistevano solo Mangiamorte e persone oneste, Mark. Come oggi non esistono persone solo buone e cattive. Nessuno di noi è così. Esiste anche il grigio. Ognuno di noi commette errori. In ognuno di noi ci sono delle ombre». Lasciò perdere il bicchiere e fissò un vecchio ritratto posto sulla parete: ritraeva due persone vestite elegantemente, dietro di loro si stagliava un albero di Natale. L’uomo era sicuramente il nonno, molto più giovane; Mark non la conosceva, ma in cuor suo comprese che la donna, invece, era sua nonna. La foto però sembrava incompleta, come se mancasse qualcuno.
«Tuo padre non è stato mai un Mangiamorte» ripeté il nonno che aveva riportato lo sguardo su di lui. «Ma ha commesso molti altri errori e a volte perdonare è difficile».
Mark non seppe come replicare, ma comprese che la conversazione era conclusa.
«Prendi il cappotto, dobbiamo andare o perderai il treno».
Per recarsi alla stazione usarono la Metropolvere. Il nonno gli ripulì il cappotto dalla cenere, ma rimase in silenzio e con un’espressione cupa. Era arrabbiato con lui per aver rivangato quelli che erano ricordi dolorosi? Avrebbe voluto fermarlo, parlargli ancora, confessargli che aveva sempre più paura. Aveva paura di ricontrare la sua famiglia dopo essere scappato. Quei giorni erano sembrati una meravigliosa parentesi e adesso avrebbe dovuto affrontare la realtà. Da solo. E non ne aveva né il coraggio né la forza.
Si arrestò di scatto appena intravide Alexis tra la folla. Si nascose dietro una colonna. Il nonno compì ancora qualche passo prima di rendersi conto che non era più al suo fianco.
«Mark?» chiamò incerto.
Il ragazzino fece capolino da dietro la colonna.
«Che fai? Sbrigati».
Mark instintivamente scosse la testa e chiuse gli occhi. Ora il nonno si sarebbe veramente arrabbiato, ma le sue gambe non ci pensavano nemmeno a muoversi.
«Questa poi…» lo sentì borbottare prima che si avvicinasse e ne percepisse la presenza a pochi centimetri da lui. «Che hai?».
Il ragazzino rimase in ostinato silenzio anche perché si stava nuovamente agitando.
«Non vuoi andare a Scuola?» gli chiese perplesso. «Ehi, ehi, respira» soggiunse vedendolo nuovamente in crisi. A quel punto compì un gesto che colpì profondamente il ragazzino: lo strinse a sé, tra le sue braccia. A parte quei pochissimi amici che aveva a Scuola, nessuno l’aveva mai abbracciato. Nessun adulto. «Va tutto bene, ci sono io qui con te». Quelle parole suonarono sincere e Mark si sentì meglio. «Però se non mi dici che hai, non posso aiutarti».
«Alexis» mormorò flebilmente, sperando che il nonno non interrompesse mai quell’abbraccio. «Ho visto Alexis» specificò.
Il nonno sospirò e gli accarezzò la testa. Dopo qualche secondo disse: «Prima o poi dovrai parlare con i tuoi fratelli e con tuo padre».
«No!». Lo disse con forza e fu lui a circondare la vita massiccia del nonno con le sue esili braccia. «Ti prego, io non…». Non sapeva nemmeno come continuare la frase e di cosa lo pregasse precisamente. Le lacrime, che prima aveva trattenuto, fluirono liberamente.
I due rimasero lì intrecciati nei loro dolori. In silenzio. Ignorando totalmente la confusione intorno a loro.
Solo quando il treno fischiò chiamando gli ultimi ritardatari, il nonno si divincolò dalla stretta di Mark. Il quale tremò consapevole di quello che sarebbe accaduto di lì a poco.
«Mark» sussurrò il nonno. «Ora devi andare. Chiederò alla professoressa McGranitt di farti tornare da me per le vacanze di Pasqua. Scrivimi, guai a te se passa una settimana senza una lettera, chiaro?».
Il ragazzino annuì. Il nonno lo baciò sulla fronte e poi lo sospinse sul treno. La porta si richiuse alle sue spalle e il treno iniziò a muoversi.
L’idillio era finito, sarebbe ricominciato l’inferno.
 
*
 
Charis si strinse il mantello addosso: quel giorno faceva davvero un gran freddo.
«Mi stai ascoltando?» sbuffò suo zio.
La ragazzina si voltò verso di lui e assunse un’aria colpevole: «Ehm, pensavo».
«Mmm» lo zio la fissò con attenzione e strinse le braccia al petto. «Signorina, vedi di non farti trascinare ancora da quelle teste calde dei tuoi amici».
Charis seguì il suo sguardo e osservò per un attimo Teddy, Samuel Harper, Laurence Landerson e Diana Webster, uno vicino all’altro. I tre ragazzi discutevano concitatamente tra loro e Diana li fissava con disapprovazione. La ragazzina poteva immaginare quale fosse l’argomento che tanto li coinvolgeva e non poté fare a meno di pensare, come più volte in quei giorni, al professore Oswald McBridge. Si rigirò verso lo zio, che ora sembrava in attesa di una sua risposta. Ma che avrebbe dovuto dirgli? Se avesse promesso che si sarebbe comportata bene, allora avrebbe sicuramente mentito perché di problemi ce ne sarebbero stati e lo sapeva. Il punto è che suo zio si aspettava che si comportasse bene.
«Charis? Ma che ti passa per la testa?».
Avevano provato a parlarne, ma la ragazzina era sempre rimasta sul vago tanto da far anche innervosire lo zio.
«Nulla» mormorò senza guardarlo negli occhi. Non gli aveva raccontato nulla, perché era un adulto e in fondo in quanto tale avrebbe cercato prove su prove (tra l’altro era un Auror); magari avrebbe glissato sul problema affermando che il professor McBridge fosse solo severo e le sue preferenze fossero solo un’impressione. Ecco perché Shawn aveva detto che sarebbe stato meglio parlarne con il professor Paciock, perché forse lui li avrebbe ascoltati al di là di ogni pregiudizio. Non tutti gli adulti erano uguali, qualcuno riusciva a comprendere di più e a non dimenticarsi com’è essere piccoli. Lei era sempre più convinta che suo zio se ne fosse dimenticato.
 
A poca distanza, nel frattempo, in una conversazione altrettanto spinosa e sgradevole era stato costretto anche Teddy, che faceva del suo meglio per ignorare la nonna e il padrino di fronte a lui. Separatamente avevano già provato a parlare con lui durante le vacanze. Provato. Perché il ragazzino aveva fatto di tutto per evitare Harry. A quanto pare avevano trovato il modo di fregarlo. Insieme.
«Teddy, noi comprendiamo quanto per te sia difficile» iniziò Harry palesemente desideroso di parlare con tranquillità. La nonna sbuffò, probabilmente ella non voleva concedere nessuna attenuante al nipote e considerava Harry troppo buono come sempre.
Teddy, però, non era più lo stesso ragazzino di mesi prima: non riusciva proprio a non pensare a Dolohov e ai suoi amici. Talvolta, in cuor suo, si chiedeva se McBridge non avesse tutti i torti a trattare in quel modo i figli e i nipoti dei Mangiamorte. Si sentiva in colpa, naturalmente, pensando a Mark, che era suo amico ed era buono. Le belle parole di Harry, però, e i rimproveri della nonna non l’aiutavano: quella gente aveva volontariamente fatto del male ai suoi genitori, non era pentita e se ne vantava. Perché avrebbe dovuto perdonare? O essere superiore?
Eppure Harry e la nonna avrebbero dovuto comprendere! Anche loro avevano perso tanto! Come potevano sorridere ed essere gentili con Charis, sapendo che anche i genitori della ragazzina avevano trovato la loro fine a causa dei Mangiamorte? Come?
«Teddy, ascolta, per favore» sospirò Harry tentando di richiamare la sua attenzione. «Che cosa c’è? Perché non ne parli con noi?».
In quel momento il treno fischiò e il ragazzino tentò di scivolare di lato e scappare in quella direzione, ma la nonna lo bloccò.
«E no, signorino, ora senti me!» sbottò Andromeda Tonks. «Non so che grilli ti siano venuti per la testa, ma sei ancora un ragazzino e vedi di comportarti come tale! Studia e rispetta le regole. Punto. Chiaro?».
Teddy alzò gli occhi al cielo: era quello il problema? Studia e rispetta le regole? E a che cosa sarebbe servito? «Sì, ok, posso andare?».
Sembrava che la nonna volesse mangiarselo, ma per fortuna il treno fischiò ancora.
«Deve andare» intervenne Harry, cupamente. «Scrivi, mi raccomando».
Il ragazzino lo ignorò e, libero dalla stretta della nonna, corse verso il treno. Si girò solo il tempo necessario per far loro un cenno con la mano. Per un attimo si sentì in colpa e nostalgico, in fondo li avrebbe rivisti soltanto in estate, ma scacciò la sensazione: loro si rifiutavano di capire.
 
 
*
 
Christine si guardava intorno con gli occhi fuori dalle orbite.
«Beh, almeno tu hai la prova che non sono una bugiarda» dichiarò Zoey fissando la locomotiva rossa con un tale orgoglio quasi che l’avesse costruita lei pezzo per pezzo.
«No, non sei una bugiarda» ripeté meccanicamente Chris. «Sicura, che non posso venire con te?».
«No» sospirò Zoey intristendosi. Avevano pensato di nasconderla nel baule, ma con quale scopo? I genitori di Chris avrebbero dato di matto non trovandola, l’amica avrebbe dovuto vivere nascosta a Scuola e lì non avrebbe potuto imparare un bel nulla.
«Tornerai a Pasqua?».
«Non lo so… Penso di sì».
«Speriamo».
Zoey le si avvicinò e le mise un braccio intorno al collo: era Chris quella che ci aveva rimesso di più. Zoey aveva trovato degli amici a Hogwarts; Chris si era allontanata da tutte le loro amiche fin dall’inizio della sesta classe e non riusciva a legare con i nuovi compagni.
«Ti posso scrivere?».
«Certo, porta le lettere ai miei. Loro stanno diventando proprio bravi con i gufi».
«Va bene, grazie».
«Ragazzeeee!». Charlie Krueger era arrivata e buona parte della stazione l’aveva notato.
Zoey e Chris sorrisero all’espressione esasperata della signora Krueger.
«Pronta per ricominciare?».
«Sì, poi tra pochi giorni compirò gli anni».
«Me lo ricordo, ho già in mente come potremmo festeggiare» dichiarò Charlie.
Per un attimo Zoey e Chris si scambiarono un’occhiata carica di ricordi: entrambe avevano pensato alla festa dell’anno precedente, quando ancora erano tutte e quattro amiche.
«Tutto bene?» chiese Charlie accorgendosi dello scambio silenzioso tra le due.
«Sì, certo» sorrise Zoey tentando di non pensarci: l’aveva fatto fin troppo durante le vacanze e alla fine si era chiesta se, anche senza Hogwarts, si sarebbero allontanate lo stesso lei e le sue amiche. Non lo sapeva, ma ora non le riconosceva più.
«Non vedo l’ora di essere lontana da qui. A Scuola sarà più semplice evitare James» borbottò Charlie.
Le tre ragazzine salirono insieme sul treno per cercare uno scompartimento libero, dove poi avrebbero atteso gli altri compagni.
Chris era sempre più estasiata. Zoey le presentò qualche compagna Nata Babbana.
Alla fine, però, fu l’ora di partire e degli ultimi saluti. Chris abbracciò sia Zoey sia Charlie e poi si nascose dietro i signori Turner.
Ancora una volta il treno prese velocità, mentre Zoey cercava di salutare i suoi sul binario, ma non era come a settembre: ora sapeva cosa aspettarsi, aveva risolto, anche se non come avrebbe voluto, con le sue amiche e, soprattutto, sapeva di appartenere a Hogwarts.
 
 
 
 
*
 
Enan avanzò tra la folla della stazione. Urtò alcuni passanti senza nemmeno avvedersene e a malapena sentì il richiamo dello zio.
Stranamente, almeno per gli zii, Michelle e Benji avevano insistito per accompagnare il cugino e salutarlo.
Mich l’aveva tormentato per tutti i giorni successivi alla loro scoperta, ma il ragazzino si era chiuso in sé stesso. Aveva avuto un po’ di tranquillità dagli adulti grazie alla scusa dei compiti delle vacanze, ma anche gli zii erano stati increduli per il suo comportamento. Entrambi avevano provato a parlargli, prima separatamente poi insieme. Fino a quella mattina, lui aveva risposto solo a mugugni.
In quei giorni aveva dormito poco e male: perché i Mulciber non l’avevano voluto? I suoi zii sembravano persone per bene, eppure avevano scelto tra due bambini! In più Thomas non aveva più risposto alle sue lettere. Che cosa aveva combinato?
Voleva parlargli, ma cercò disperatamente sua madre tra la folla. Gli mancava terribilmente, anche se arrabbiato per tutta quella storia. Lei lo sapeva di aver partorito due gemelli. Perché? Voleva proteggerlo? Perché a lui sì e a Thomas no?
Perché diavolo gli adulti dovevano essere così complicati!? Sbuffò furioso, triste e amareggiato.
Sua madre non si vedeva da nessuna parte. Costrinse gli zii a percorrere tutto il binario, con l’appoggio di Mich e Benji che insistevano di voler vedere tutta la locomotiva.
«Ora basta, ragazzi. Dobbiamo trovare uno scompartimento per Thomas» esclamò a un certo punto lo zio.
Enan lo ignorò ancora, continuando a guardarsi intorno freneticamente. Non era andata, non era andata a King’s Cross. Non avrebbe rivisto sua madre fino alle vacanze estive. Percepì le lacrime premere e faticò a scacciarle.
«Thomas, ma c’è qualche problema a Scuola? Qualcuno ti dà fastidio?».
Enan fissò disperatamente il pavimento di pietra. Avrebbe voluto urlare di fronte alla gentilezza della zia. Urlare lì davanti a tutti che erano stati loro adulti a fargli del male e che voleva sua mamma. Per fortuna, evitò di rendersi ridicolo.
«Thomas» strillò Mich gettandosi su di lui e sottraendolo alle attenzioni della madre e a bassa voce aggiunse: «a destra, vicino a quel pilastro».
Enan si voltò di scatto e intravide Thomas che arrivava di corsa con i cugini. Il gruppo si gettò sulla locomotiva che stava per partire. Thomas indossava la divisa di Tassorosso. Thomas non l’aveva nemmeno cercato! Che aveva per la testa?
«Thomas, devi andare».
Quasi ringhiò alla zia. Lui non era Thomas. Salutò forzatamente, ma non promise a Michelle di rispondere alle sue lettere e la bambina ci rimase male.
Una volta nello scompartimento corse nella direzione dove erano saliti Thomas e i suoi cugini.
Lo beccò quasi subito, lo placcò e lo trascinò in un bagno poco distante, ignorando le lamentale dei presenti: loro vedevano innanzitutto un Serpeverde. Ma c’era dell’altro.
Enan si sentiva ribollire di rabbia, spinse l’altro con il muro opposto e chiuse la porta dietro di sé.
«Ridammi i miei vestiti, Thomas Mulciber» sibilò riuscendo a mantenere a stento la voce bassa. Sicuramente li avevano seguiti.
«No».
«Cosa?». La risposta lo spiazzò tanto che la sua rabbia quasi si smorzò. Sapeva che la loro conversazione sarebbe stata difficile, ma scambiarsi le divise non aveva mai rappresentato un ostacolo per Enan.
«No. Mi sta bene».
«Essere un Tassorosso?».
«Essere te».
Enan era incredulo, ma fu pronto a spingerlo bruscamente indietro quando l’altro tentò di uscire dal bagno come se niente fosse. «Io sono un Tassorosso, tu sei un Serpeverde». Era assurdo doverglielo ricordare.
«Non m’interessano le Case» lo sorprese ancora Thomas. «Io voglio essere Enan Macfusty».
Quella risposta era ancora più assurda!
«Io sono Enan».
«Dimostralo».
Enan era incredulo. «Dammi quella cavolo di divisa». Non gli interessava proprio dimostrare qualcosa, men che meno una così ovvia.
Thomas lo spinse di lato con una forza inaspettata e lo prese di sorpresa. Enan, però, si riprese subito e lo inseguì nel corridoio ancora affollato. Afferrò il Serpeverde per la tunica e lo atterrò, saltandogli di sopra. «Ora mi darai questa divisa!».
«Aiuto! Aiuto!».
Lui chiamava aiuto! Enan non si lasciò intenerire e cominciò a tirargli la divisa in modo da riappropriarsene. Non riuscendoci, estrasse la bacchetta e tagliuzzò la veste, suscitando le grida dell’altro.
«Sei impazzito?» sbottò Elly Montgomery, accompagnata da Lucas, Bobby e Austin Lattes, Prefetto di Serpeverde.
«Mollami!» urlò Enan. «Mi deve restituire la divisa».
Nel frattempo erano sopraggiunti anche i suoi cugini Artek e Fagan, che fissavano la scena preoccupati. Tutti i ragazzi più grandi si trovavano di fronte a quanto solo sfiorato nei mesi precedenti: quei due ragazzini erano identici; il problema non si era posto finché Enan, Tassorosso, indossava la sua bella divisa e si accompagnava con Teddy e gli altri compagni e, similmente, Thomas Mulciber si muoveva con il suo bello stemma verde-argento e i suoi prepotenti compari a partire da Dolohov. Adesso i due ragazzi erano lì davanti a loro, senza i loro rispettivi amici, e si accusavano a vicenda di indossare la divisa sbagliata. Quella situazione non poteva più essere ignorata.
Bobby e Lucas facevano fatica a trattenere un Enan furioso.
«Elly, che facciamo?» chiese Austin Lattes.
La ragazza sospirò. «Prenditi il Serpeverde. Noi ci portiamo il Tassorosso…».
«No!» urlò Enan. «Sono io il Tassorosso! Ci siamo scambiati! Lui non vuole restituirmi la divisa».
«Non è vero. È un bugiardo» strillò allo stesso tempo Thomas.
«Da quanto tempo vi siete scambiati?» domandò Fagan.
«Dall’inizio delle vacanze di Natale, ci siamo scambiati sul treno» rispose Enan.
«Non è vero» ripeté Thomas, avvicinandosi ai cugini.
In quel momento apparve anche Blair, che lanciò un’occhiata a Fagan.
«Non potete essere tutti e due Enan» sbuffò Elly. «Riconoscete con certezza vostro cugino?».
«Che ci fosse qualcosa di strano, l’avevo notato» borbottò Fagan. «Ma questo…».
Blair annuì al suo fianco.
«Facciamo come ho detto prima» decise Elly.
Enan e Thomas protestarono di nuovo, ma questa volta non servì a nulla. Mentre il treno filava verso Nord, il primo fu trascinato via da Austin Lattes, mentre il secondo seguì Bobby, Lucas ed Elly.
Quel Serpeverde del cavolo stava cercando di fregarlo.
 
 
*
 
 
«Dove sono gli altri?» chiese Charlie.
Lei e Zoey erano state raggiunte da Teddy e Charis, ma non c’era ombra di Enan e Mark. Avevano atteso pazientemente fino all’ora di pranzo, ma adesso cominciavano a inquietarsi.
«Pensate sia successo qualcosa?» ribatté preoccupata Charis.
«No, magari non ci hanno trovato» provò Zoey.
«Mmm» mormorò Teddy. «Non ce lo vedo Enan a non trovarci».
«Andiamo a cercarli?» propose Charis.
«Prima decidiamo cosa fare. Teddy, io penso che, mentre cerchiamo Mark e Enan, potremmo fare una sorpresina ai Serpeverde».
Charis sgranò gli occhi, mentre Zoey annuì alle parole di Charlie, segno che doveva già saperlo.
«Va bene, io ho portato questo» rispose Teddy per poi aprire il suo baule ed estrarre, con qualche difficoltà, una scatola.
«No, no, non me lo dire» strillò Charlie quasi gettandosi su di lui.
«Invece, sì. Un assortimento dei prodotti Tiri Vispi Weasley, gentilmente offerti da George Weasley in persona».
Charlie era in un brodo di giuggiole.
Teddy tirò fuori dalla scatola i vari doni dello zio.
«Usiamo la polvere buiopesto peruviano» propose subito Charlie. «Solo un pizzico».
«Vediamo se le Serpi hanno paura del buio» aggiunse Zoey.
«Non mi sembra una buona idea» mormorò Charis, ma fu ignorata.
«E ci sono anche caccabombe» disse Teddy. «Alcuni petardi magici…».
«Potremmo usarne uno al buio, ai Serpeverde prenderebbe un colpo» disse Zoey, che non amava affatto le caccabombe.
«I petardi sono pericolosi, soprattutto al buio» borbottò Charis, ben sapendo che non le avrebbero dato retta.
Infatti, Charlie, Zoey e Teddy non diedero nemmeno segno di ascoltarla troppo intenti a osservare la piantina del treno – disegno alquanto improbabile di Charlie, che non aveva tracciato nemmeno un vagone dritto ˗ e a cospirare tra loro.
«Non verrò con voi» sentenziò Charis quando i tre compagni arrotolarono il loro piano di guerra e si prepararono a uscire.
Nemmeno Teddy le rispose e i tre si avviarono con sicurezza fuori dallo scompartimento. Il Tassorosso aveva deciso che non avrebbe avuto la minima pietà per i Serpeverde, perché non la meritavano. Non meritavano alcun rispetto. Zio Ron aveva ragione a essere sempre scettico nei loro confronti e dei loro immaginari rimorsi. I Serpeverde andavano puniti.
Le amiche erano mosse da sentimenti diversi: Charlie, come Teddy, era vissuta con la consapevolezza di quello che era accaduto durante la guerra, ma a differenza del compagno aveva ogni giorno sotto gli occhi gli effetti delle azioni dei Mangiamorte e dei problemi che avevano creato nella sua famiglia; Zoey non conosceva quel passato, ma non avrebbe mai lasciato solo un amico per codardia. La lealtà per lei era fondamentale.
Impiegarono almeno una decina di minuti a trovare la zona del treno in cui si erano seduti i loro nemici.
«Avviciniamoci allo scompartimento» sussurrò Charlie.
Gli altri due annuirono: Zoey lanciò un pugno di polvere buiopesto a ridosso della porta a vetri e Teddy accese il petardo.
Il ragazzino di quel momento avrebbe ricordato il forte scoppio, seguito da rumori di vetro in frantumi legato a un grido di dolore che lo raggelò. Si coprì le orecchie sperando di scacciare quei suoni e si piegò su stesso quasi spaventato da quel buio che loro stessi avevano creato. L’odore di polvere bruciata gli impregnò le narici.
Sentì qualcuno tirarlo per mano, ma, solo dopo essersi fatto trascinare per un tempo per lui indefinito, si accorse di tenere serrati gli occhi. Li riaprì e colse le occhiate sconvolte di Charlie e Zoey.
Qualcosa era andato storto? Che cosa?
«Teddy, hai direzionato bene il petardo?» sussurrò, come se non avesse più voce, Charlie.
Erano chiusi in un bagno del treno.
«Certo che domande» replicò il ragazzino, ma la sua voce sfumò in una chiara mancanza di sicurezza.
«Vabbè ma era solo un petardo, no?» tentò Zoey.
«Non vedevo» ammise allora Teddy. «Non l’avevo calcolato».
Rimasero nel bagno per quello che rimaneva del viaggio. In silenzio.
Quando il treno si fermò raggiunsero il loro scompartimento velocemente e qui trovarono Charis; poi scesero insieme. Sulla banchina vi era confusione. Cercarono di avvicinarsi per vedere meglio. Alcuni Prefetti issavano sulla carrozza qualcuno.
«Che è successo?» chiese Zoey a un ragazzo poco più grande lì vicino.
«Qualcuno ha tirato un petardo e ha colpito il finestrino del corridoio… quel ragazzino passava in quel momento…».
Teddy, che aveva sentito, si voltò verso le compagne. Zoey ricambiò il suo sguardo terrorizzata. Charlie teneva gli occhi fissi sulla carrozza, che già si stava allontanando.
«Robin» mormorò. Lei aveva riconosciuto il giovane Serpeverde.
   
 
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