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Autore: Deruchette    31/03/2023    3 recensioni
[La storia segue lo svolgersi degli eventi dall'epilogo di "Hunger Games" all'epilogo di "Mockingjay"]
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Katniss e Peeta, gli Innamorati Sventurati del Distretto 12, i vincitori della 74esima edizione degli Hunger Games.
La loro storia è sotto gli occhi di tutti ma solo in pochi sanno che, in realtà, si tratta solo di finzione. La mossa strategica che li ha portati via dall'arena è costretta a continuare anche adesso che il sipario inizia a calare sull'ultima edizione dei giochi.
E se ad un certo punto la finzione si trasformasse in realtà?
Cosa succederebbe se gli Innamorati Sventurati fossero realmente innamorati?
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Dal capitolo 6:
"È evidente, chiaro come il sole, che è tutto cambiato. Che il ragazzo che all’inizio di quest'avventura consideravo un semplice amico, un alleato, adesso è diventato qualcos’altro. Per settimane mi sono chiesta se non fosse sbagliato nei suoi confronti recitare la parte della brava fidanzatina conoscendo la reale portata dei suoi sentimenti, sapendo che io non provavo la stessa cosa. Non sarebbe tutto più semplice se ti amassi?, la domanda che ronzava costantemente nella mia testa.
Ora lo so. Non solo è più semplice, più normale. È diventato anche necessario. Necessario come l’aria che respiro."
Genere: Drammatico, Generale, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Katniss Everdeen, Peeta Mellark
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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In The Still Of The Night - 45

In the still of the night

 

45.

 

Vedere il mondo con occhi diversi.
Vedere il mondo con colori diversi
.
Ci sono giorni interi in cui non faccio che pensare a questo, al suggerimento che Peeta mi diede durante una serata invernale che sembra appartenere ad una vita fa, una vita vissuta da una persona completamente diversa dalla me stessa di oggi. La vecchia me pensava che questo suggerimento non dovesse essere poi così sbagliato, e che avrebbe potuto provarci, a vedere il mondo con occhi e colori diversi. Avrebbe potuto provarci, aiutata dal ragazzo che glielo aveva suggerito con così tanto calore: il ragazzo che aveva basato la sua intera vita sui colori, quelli sgargianti che usava per dipingere sulle tele e quelli più tenui con cui glassava torte e biscotti. Il ragazzo il cui cruccio più grande era quello di non riuscire mai ad immortalare dal vivo i colori dell’arcobaleno. Svanisce troppo in fretta, l’arcobaleno: rimane nel cielo solo per pochi minuti, e quei minuti diventano preziosi per un pittore. Basta un attimo per perdere la magia.
La me stessa di oggi ha cercato di fidarsi nuovamente. Ci sono stati dei giorni, durante la mia rinascita, in cui ho basato e memorizzato interi momenti sulla filosofia che mi ha suggerito Peeta. Ci sono ricordi interi basati sui colori. I colori mi hanno aiutata ad andare avanti, ad affrontare quei giorni in particolare in cui i ricordi tristi tornavano prepotentemente a soffocare il mio respiro. I colori mi hanno aiutata ad accantonare il filtro in bianco e nero con cui ho visto il mondo e la vita fino ad ora.
Il filtro in bianco e nero mi impediva di vedere i veri colori della vita.

 

Il mattino ha l’oro in bocca: questa massima si fissa nella mia mente quando apro gli occhi, tirata via dal sonno dai movimenti di Peeta che cerca di alzarsi senza disturbarmi, ma senza davvero riuscirci. Con un occhio chiuso e uno aperto getto una rapida occhiata alla sveglia che ho sul comodino, accanto ad un Ranuncolo addormentato. Sono da poco passate le sei. Deve avere proprio fretta e voglia di cominciare la giornata, penso. Cos’ha da fare alle sei del mattino?
- Dove stai andando? – borbotto, richiudendo l’occhio.
- Non volevo svegliarti – dice.
- Non mi hai svegliato – sbadiglio.
Lo sento ridere. Mi abbraccia, il suo petto che si appoggia con dolcezza alla mia schiena, e posa le labbra sulla mia spalla nuda. La maglia del pigiama deve essere scivolata un po' durante il sonno… o forse è stato Peeta ad abbassarla. Non sarebbe poi così strano.
- Continua a dormire. È ancora presto – sussurra sulla mia pelle.
- E tu perché ti stai alzando se è ancora presto? – mi lamento.
- Devo cuocere il pane! Altrimenti oggi non avremo nulla da mangiare.
- Sì, come no – mugugno, sistemandomi meglio nel letto.
I tempi del non avere nulla da mettere a tavola sono finiti da un pezzo, ormai. Io e Peeta, essendo due vincitori degli Hunger Games e due dei pochi vincitori che sono sopravvissuti alla guerra, abbiamo accumulato e continueremo ad accumulare una fortuna in denaro di cui non sapremo mai che cosa farcene davvero. Abbiamo le tasche piene di denaro, la dispensa piena di cibo, e doni che continuano e continueranno ad arrivare ogni mese da Capitol City. Decisamente, siamo le ultime persone che potrebbero preoccuparsi del cibo che scarseggia in casa.
Strano che Peeta se ne esca con frasi del genere.
- Dormi – dice, chiudendo la questione. Una carezza accennata sulla guancia, e scivola via.
Apro gli occhi quando va via, lanciando un’occhiata alla finestra aperta; la lasciamo sempre aperta da quando le giornate e le serate iniziano ad essere più calde, e poi Peeta ama dormire con la finestra aperta. La luce filtra appena, rafforzando il fatto che è appena spuntato il mattino. Sbadiglio di nuovo, passo una mano sul viso, mi giro e mi sdraio sulla schiena. Un miagolio sommesso annuncia anche il risveglio di Ranuncolo. Lo osservo mentre si stira e sbadiglia come per imitarmi, e poi balza sul materasso. Ha cominciato ad avere questa strana abitudine di salire nella nostra camera, la sera, per poi addormentarsi sul mio comodino. E ogni mattina, quando mi sveglio, lui balza sul letto. Secondo Peeta lo fa per rimarcare una sorta di protezione nei miei confronti. Io penso soltanto che sia un gatto strano e stupido, così come l’ho pensato per anni e anni. Mi diverto, però, nel notare come abbia scelto senza protestare più di tanto di affidarsi, totalmente e senza remore, alle mie cure. Non sono la sua persona preferita, quella resta Prim. Io sono solo quella che gli dà da mangiare, quella che non vorrebbe averlo sempre tra i piedi, miagolante e bisognoso di attenzioni. Questo modo che ha di cercare attenzioni, di strusciarsi attorno alle mie gambe in cerca di premi e di carezze alle volte è fastidioso, ma rido quando mi accorgo che fa le fusa.
Il vecchio gatto di Prim che inizia ad apprezzarmi.
- Non mi piacerai mai – gli confesso. Gratto la sua testa e lui chiude gli occhi; il borbottio delle sue fusa arriva subito alle mie orecchie.
Mi addormento di nuovo, cullata dalle fusa di Ranuncolo che non accenna ad allontanarsi dalle mie braccia. Se ne va solo quando Peeta torna in camera, accompagnando il suo ritorno con una scia di gradevole odore di cibo. L’odore mi fa aprire gli occhi completamente, ed anche lo stomaco si risveglia davanti alla prospettiva di una buona colazione.
- Quel gatto ti adora – commenta Peeta divertito.
- No, per niente! Fa il ruffiano per avere il suo cibo – ribatto, mettendomi a sedere sul letto.
- Ti adora, ammettilo – ride. Peeta prende il vassoio che ha portato dalla cucina e me lo posa sulle ginocchia: frittelle, biscotti, pane tostato, uova e pancetta, tè, latte e succo di frutta lo riempiono, insieme al burro e alla marmellata da spalmare sul pane.
- Non avrai esagerato? – chiedo, afferrando un biscotto.
- Per niente! Questa roba è anche per me – si affretta a dire mentre si alza. – Manca ancora una cosa… aspetta qui.
- Ma dove vai?
Non ricevo risposta, talmente è rapido nel lasciare la camera.
Prendo una strisciolina di pancetta e la porgo al supplicante Ranuncolo seduto in attesa sul pavimento. Miagola, un po' stizzito, ma appena prende la carne si azzitta. Scuoto la testa.
Sto ancora osservando il gatto soddisfatto per ciò che ha ottenuto quando Peeta torna a sedersi sul letto. – Visto? Non mi adora, vuole solo mangiare – dico, girandomi.
E sono sorpresa nel ritrovarmi davanti un Peeta sorridente, sorridente e divertito per la sorpresa che è riuscito a scatenare in me. Divertito nel porgermi la tortina glassata, decorata da fiori viola, su cui campeggia una candelina accesa, viola anch’essa.
- Buon diciottesimo compleanno! – esclama, la voce piena di emozione.
- Peeta – ansimo. Scuoto piano la testa, incredula.
È di nuovo l’otto maggio. È di nuovo il giorno del mio compleanno. Ed io l’ho dimenticato di nuovo. Compio diciotto anni, oggi. Non avrei mai pensato che, un giorno, avrei veramente compiuto diciotto anni.
L’età è stata, sempre, l’ultima delle mie certezze: a sedici anni ho creduto che non avrei più avuto l’opportunità di continuare a vivere, e lo stesso è accaduto l’anno scorso. E anche all’inizio di quest’anno. Adesso, invece, mentre prendo con mani tremanti la tortina con cui Peeta vuole festeggiare il mio diciottesimo compleanno, capisco che l’età comincia ad essere effettivamente una certezza. È un’altra delle certezze a cui posso aggrapparmi, su cui posso contare. Posso iniziare a vedere i compleanni, l’età che avanza, come un bel traguardo da raggiungere e non come la fine di qualcosa. Non sarà più una brutta data di circostanza.
Sorrido, spegnendo la candela. La tolgo per posarla su un tovagliolo e raccolgo col dito la glassa bianca con cui Peeta ha decorato il tortino. La assaggio, sentendo il formaggio dolce invadere le mie papille gustative.
- Ti piace?
- È fantastico – dico. Do un morso al dolcetto e scopro che è anche meglio: cioccolato, arancia e formaggio si fondono insieme. Un verso estasiato esce dalle mie labbra.
Labbra che vengono coperte da quelle di Peeta in un istante. Mi blocco con la bocca piena di dolce e rido, non aspettandomi questo agguato da parte sua. Socchiude le labbra, raccoglie ciò che probabilmente è rimasto sulle mie, lecca via la glassa. Scopro di volerne ancora.
- Hai ragione, è fantastico – ammette quando si allontana.
Sorrido, incantata. Lo guardo e vorrei non smettere mai di guardarlo. Vorrei trascorrere altre mattine come questa, tante altre mattine piene di dolci, di baci, e di candeline da spegnere insieme.
- Fallo di nuovo.
- Ancora?
- Ancora.
Non se lo fa ripetere due volte. Avvolgo le sue guance con le mani mentre le nostre labbra tornano ad unirsi, ad accarezzarsi, a scoprirsi. Lascio che la sua barba appena accennata mi graffi la pelle, lascio che le sue mani scivolino sotto la maglia del pigiama, lascio che mi morda il mento e che mi inviti a scivolare sotto di lui. La colazione viene dimenticata, il tortino finisce chissà dove insieme al mio pigiama e al suo. La voglia che abbiamo di noi supera qualsiasi altro tipo di fame.
Questa fame, questa voglia, la sensazione di amore e di completezza che riesco a provare grazie a Peeta: questa è un'altra certezza su cui posso contare.
Questa certezza mi suggerisce che sono ancora in grado di provare qualcosa.

Sono ancora capace di amare.

 

Azzurro, blu, celeste. Scopro che la mia vita è piena di sfumature che posso associare alle cose che più amo. L’azzurro del cielo sgombro dalle nuvole come quello che sto osservando adesso, quello estivo, quello che il sole cocente del pomeriggio rende quasi verde. Il sole si riflette sulle acque blu del lago, quello in cui imparai a nuotare quando ero solo una bambina, aiutata e spronata dalla voce e dalle mani del mio papà. È lo stesso lago in cui portai Gale a pescare, ed è lo stesso lago in cui insegnai a Peeta a nuotare.  
Il celeste dei suoi occhi riflette il sole nel cielo e lo scintillio dell’acqua.
Adesso, però, i suoi occhi sono chiusi.
Sta dormendo con la testa poggiata sulla mia pancia. Gli zigomi, la maggior parte del viso ed il resto della sua pelle chiara sono leggermente arrossati per via del sole che abbiamo preso oggi. La mia pelle, al contrario, non è rossa: o meglio, lo è un po' solo nelle zone che mesi fa avevano riportato le ustioni e che, adesso, sono diventati i punti più sensibili. Tutto il resto della pelle ha assunto una sfumatura dorata, abbronzata. Io e Peeta non potremmo essere più diversi anche in questo: lui che diventa un pomodoro, al sole, ed io che mi abbronzo.
Immagino la faccia di Effie se ci vedesse adesso, lei che ha sempre avuto una predilezione per la cura della pelle e per tutto ciò che è lontano dai raggi del sole.
Venire fino al lago è stata un’idea di Peeta: me l’ha proposto stamattina e, in apparenza, l’ha fatta passare come una proposta nata all’ultimo momento, ma a me non la dà a bere. Sono sicura che quella di scendere qui fosse un’idea che gli frullava per la testa già da un po', e a rafforzare i miei sospetti ci si sono aggiunti il grande paniere pieno di cibo che ha tirato fuori da chissà dove e quello più piccolo in cui aveva sistemato alcune coperte. Organizzare un pic-nic al lago nel giro di appena un’ora? No, assolutamente no. Molto più probabile la seconda ipotesi.
Sono contenta di aver assecondato la sua proposta e di essere venuta qui con Peeta: mi è mancato questo posto ed è trascorso quasi un anno dall’ultima volta che ci avevo messo piede. Tutto ciò che abbiamo fatto da quando siamo arrivati è stato mangiare – mi rendo conto che non faccio altro che mangiare, ed è in parte colpa di ciò che cucina sempre Peeta -, nuotare, prendere il sole, godere della compagnia l’uno dell’altra ed ascoltare il silenzio che ci circonda, interrotto ogni tanto dal canto degli uccelli, dal frinire dei grilli, dal soffio del vento leggero tra le foglie. Solo i suoni della natura ci fanno compagnia, qui. Non c’è nient’altro a disturbarci. Ho portato con me arco e frecce, ma da quando sono qui non li ho ancora usati: li ho poggiati contro il tronco di un albero e penso che resteranno lì fino a quando non arriverà l’ora di tornare a casa. Avevo intenzione di cacciare, ma arrivata a questo punto credo di voler rinunciare. I pesci nel lago dovrebbero essere tornati tranquilli, visto che sono diverse ore che abbiamo smesso di nuotare… forse potrei iniziare a pescare. Stasera avremo pesce per cena, penso. Per iniziare a pescare dovrei prima far spostare Peeta, in modo da potermi alzare, ma scopro di non volerlo fare. Dorme così bene… anche se dovrà svegliarsi lo stesso per poter riprendere la strada verso il distretto.
È una giornata così bella, quella che sta per scivolare nel tardo pomeriggio. È una bella, calda e spensierata giornata estiva. È una giornata estiva come di quelle che mai ti saresti aspettato di vedere. Non in questo periodo dell’anno, almeno. Non durante la giornata del quattro luglio.
Oggi è il quattro di luglio. Il primo quattro luglio senza la mietitura, senza i tributi estratti. Questo è il primo anno che viviamo senza l’opprimente scenario della nuova edizione degli Hunger Games che prende il via. Questo è il primo anno in cui prendiamo davvero coscienza di ciò che è accaduto nei mesi passati e che accadrà nei mesi futuri. 
Un mondo privo di Hunger Games.
Credo che sia anche per questo motivo che Peeta abbia insistito così tanto a venire quaggiù, oggi. Forse lo ha fatto per evitare che la mia mente si riempisse di ricordi, data la circostanza. Forse voleva che fossimo lontani abbastanza dal primo televisore che potesse trasmettere le immagini della cerimonia prevista per oggi: una cerimonia fortemente voluta dalla presidente Paylor, fissata nel primo pomeriggio a Capitol City, per commemorare le giovani vite che in settantacinque anni sono state estratte alla mietitura. E sono tante, tantissime. Questa cerimonia si ripeterà il quattro luglio di ogni anno, per non dimenticare ciò che è accaduto e ciò che si è affrontato affinché a tutto venisse finalmente scritta la parola fine.
So che Peeta ha voluto portarmi qui per non farmi ricordare, ma io non posso smettere di ricordare. Non posso smettere, e lo sto facendo anche adesso mentre gli accarezzo i capelli e la fronte, mentre percorro con le dita la linea del suo naso. Non posso smettere di ricordare, anche se fa male ricordare. Oggi, però, vuoi per la giornata estiva, vuoi perché siamo da soli, e vuoi perché questo posto riporta a galla centinaia di minuti felici trascorsi spensieratamente, sto bene. Sto bene, e sto bene anche mentre penso a Prim. Penso a Finnick, a Mags, a Rue, penso a papà e a tutti coloro che ho conosciuti e che sono morti, e sto bene.
Per la prima volta, ricordare non fa più così male.
Smetto di ricordare quando un uccellino si posa a poca distanza da dove ci troviamo io e Peeta. Appollaiato su un masso, si guarda attorno e cinguetta piano, in attesa di una melodia qualsiasi da ripetere. Da brava ghiandaia imitatrice, non può fare altro che questo.
Sorrido, osservando l’uccellino bianco e nero. Mi domando se non sia lo stesso uccellino che iniziò a ripetere il motivetto che gli fece sentire Pollux, quel giorno che tornammo al 12 per girare i Pass Pro. È improbabile che sia lo stesso… ma potrebbe anche esserlo. Le ghiandaie imitatrici sembrano tutte uguali. Sembrano fatte con lo stampino.
Prima ancora che me ne possa rendere conto sto fischiando, cercando di ricordare la breve serie di note di Pollux. Quando la ritrovo, la piccola ghiandaia ha già imparato la nuova melodia e ha iniziato a ripeterla, al punto che smetto di ripeterla io per sentire quella prodotta dalle sue corde vocali. È di gran lunga più carina della mia.
- Nostalgia delle vecchie abitudini?
Sorrido, incrociando il celeste degli occhi di Peeta. – Vecchie abitudini?
- Quando venivi qui a cantare con le ghiandaie invece di cacciare… sai di cosa parlo, no?
Rido. - È la cosa più stupida che abbia mai sentito, Peeta!
- Vuoi dire che non è per questo che ti chiamano Ghiandaia Imitatrice?
- Temo di no…
Sbuffa. – Sono stato preso in giro per tutto questo tempo… - si lamenta, scuotendo la testa contro la mia pancia. I suoi capelli mi solleticano la pelle e mi fanno ridere, tanto che Peeta solleva di nuovo la testa per guardarmi in malo modo. – Stai ridendo di me?
- No! – faccio, ma la sua espressione è talmente buffa da farmi ridere di nuovo.
- Sbruffona – mi rimprovera, girandosi ed arpionando i miei fianchi con le mani. Sono calde, e sento dell’altro solletico quando li accarezza con i polpastrelli. – Non ti conviene prendermi in giro.
Alzo un sopracciglio. – Ah no?
- No. Non sei nella posizione migliore per farlo – mi spiega. Il senso di solletico aumenta, ma aumenta anche qualcos’altro: le sue carezze cominciano a non sembrare più tanto innocenti. Presto potrebbero diventare qualcos’altro. I suoi polpastrelli, adesso, seguono la sorta di linea di confine che è rappresentata dal bordo dei miei calzoncini.
Un paio di calzoncini e una fascia senza spalline che mi copre il seno: è tutto ciò che indosso, al momento. Ed un paio di calzoncini, leggermente più lunghi dei miei, è tutto ciò che indossa Peeta. Il resto dei nostri vestiti giace in un mucchio disordinato accanto al paniere del pranzo; li abbiamo tolti per fare il bagno e ancora non li abbiamo rimessi. Fa caldo, e stare senza quasi nulla addosso è stata una tentazione troppo forte per poterle resistere. Per Peeta avremmo anche potuto restare nudi, dato che siamo le uniche persone presenti qui, in riva al lago… ma mi sono opposta.
Sta per caso cercando di raggiungere il risultato sperato?
Dal modo in cui l’indice si è infilato sotto all’elastico dei calzoncini, direi di sì.
- Che stai facendo?
- Non sto facendo niente! – risponde con tono innocente. Non me la dà a bere. Bacia la punta del mio naso mentre aggiunge un altro dito.
- Peeta…
- Cosa? – la sua bocca si sposta, lentamente, sullo zigomo.
Sto quasi per cedere al suo invito… ma non cederò. – Ho una richiesta da farti.
- Tutto quello che vuoi, amore. Tutto quello che vuoi…
Sfioro le sue labbra con fare seducente, azzardando quel tipo di comportamento che non mi è mai riuscito bene. Non sono un’esperta nell’arte della seduzione: Peeta è l’unico ragazzo con cui sono stata e con cui starò mai, e per conquistarlo non è servito sedurlo. Era già innamorato di me quando ho capito di ricambiare i suoi sentimenti. Ma posso giocare ad essere seducente per una volta… posso scherzare a fare la femme fatale con mio marito.
- Ti va di…
- Di?
Bacio il suo mento e scendo lungo il collo. - …pescare?
- Che? 
Il modo in cui reagisce mi fa sbellicare dalle risate. Peeta, facendo forza sulle braccia per restare sollevato, mi osserva ridere e sul momento capisce di essere stato preso di nuovo in giro… e poi sorride. Non sorride, però, nel modo in cui sorriderebbe una persona che ha accolto lo scherzo e sta al gioco: sorride come sorriderebbe una persona che sta per mettere in atto uno scherzo per vendicarsi della beffa.
- Va bene, andiamo a pescare!
- Peeta! – strillo, aggrappandomi alle sue spalle, ma nel giro di un secondo mi ritrovo a testa in giù.
Lo sento ridere mentre stringe le mani intorno ai miei fianchi ed inizia ad andare verso il lago, reggendomi come se fossi un sacco di farina e non pesassi più di venti chili. Ho i capelli davanti agli occhi ed il pranzo che minaccia di fare schifosamente la sua comparsa. Picchio la parte inferiore della sua schiena nello stesso istante in cui lui entra in acqua, avanzando fino ad arrivare nella parte più alta.
- Peeta! Non osare – lo minaccio.
- Perché? Eri tu quella che voleva pescare – esclama, lanciandomi in acqua.
Due ore dopo almeno, siamo di ritorno al Distretto 12 con i vestiti un po' umidi e le provviste dimezzate. Torniamo a casa senza aver cacciato e senza aver pescato nulla, ma di umore dieci volte migliore rispetto a quando siamo usciti stamattina.
- Ripetiamo? – chiedo a Peeta mentre attraversiamo la vecchia zona del distretto in cui sorgeva la piazza. Dove prima sorgevano le botteghe, dove fino a tre mesi fa c’erano le rovine causate dai bombardamenti, adesso campeggiano gli scheletri delle nuove costruzioni. La maggior parte del Distretto 12 è caratterizzata dalle nuove costruzioni, ed io non vedo l’ora di vederle ultimate.
- Anche domani – Peeta accetta, gli occhi azzurri che la luce calante del sole rende più scuri, quasi viola, accesi di entusiasmo. Passa un braccio attorno alle mie spalle, urtando l’arco e la faretra che tengo sulla schiena.
Il Villaggio dei Vincitori pullula di persone nonostante sia quasi arrivata l’ora di cena: persone riunite in gruppetti, persone che chiacchierano allegramente e, mi sembra, persone che alzano in aria dei bicchieri per poi bere.
Stanno facendo dei brindisi?
Naturalmente, tra le persone che brindano alla salute di chissà chi c’è Haymitch, che non appena ci nota arrivare si avvicina tutto allegrotto, l’umore estatico ed il sorriso di chi non si è concesso solo un bicchiere.
- Eccoli che ritornano dopo aver fatto le cosacce! – se ne esce, allargando le braccia. – Venite, c’è da bere per tutti! Stiamo festeggiando la lieta novella!
- Festeggiate il primo anniversario senza mietitura? – avanza Peeta, osservando Haymitch con sguardi divertiti.
- Ma quale mietitura, ragazzo. Chi se ne frega della mietitura! Ma non avete saputo? No, giusto, siete appena tornati…
- Haymitch? – lo chiamo, non capendo il senso del suo discorso.
- Oggi è una giornata meravigliosa! Al Distretto 4 è arrivato un nuovo abitante, sapete? Si deve festeggiare la nascita di un nuovo abitante!
- Nascita? – il viso di Peeta si accende di entusiasmo, riflesso dei suoi occhi, e non trattiene una sorta di sospiro misto ad una risata davanti all’annuncio del nostro ex mentore.
Ed è così che prendiamo coscienza di ciò che è avvenuto a centinaia di chilometri di distanza, in un posto che io e Peeta abbiamo visto solo una volta e che ricordo essere un posto meraviglioso, circondato da una distesa di mare blu e azzurro. Azzurro come il cielo, come l’acqua, come gli occhi dell’uomo che amo.
Come l’azzurro degli occhi del bambino di Annie e Finnick.

 

 

 

 

 

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Alla fine della storia mancano appena due capitoli.
Non so se è questo il vero motivo che mi ha portata ad accumulare così tanta distanza dall’ultimo aggiornamento, o se è stata la mancanza di voglia, o qualcos’altro… ma l’importante è essere qui, giusto?
Grazie per essere arrivati fin qui, e per avermi aspettata

D.

   
 
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