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Autore: robyzn7d    04/04/2023    7 recensioni
“Non poteva non darle sui nervi quell’atteggiamento maschilista, e, per questo, non poteva non raccoglierne la provocazione. Pensava che se fosse stato quell’uomo ad estenuarla, a sfinirla più del dovuto, non avrebbe potuto farlo più nessun altro.
Quell’altro…”
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nami, Paulie, Roronoa Zoro, Z | Coppie: Nami/Zoro
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo I
Fragilità maschile 
 
 
 
 
 
 
 
Nami non avrebbe mai immaginato che loro avrebbero potuto vivere una situazione irregolare e atroce come quella; come non avrebbe mai veramente creduto che quella persona avrebbe potuto metterli in una simile situazione; così come non avrebbe potuto prevedere che la pericolosa conseguenza l’avrebbe subita per prima il suo cuore.
Se si soffermava a pensare troppo a lungo che sarebbe scomparso dalla sua vita in questo modo, per questo motivo, con questa facilità stupida e disarmante che la faceva sentire impotente, veniva sopraffatta dalla sua stessa rabbia divoratrice. 
Si trattava solo di stupidi giochi da maschi egocentrici e orgogliosi. Giochi che la rendevano nervosa, e orgogli pericolosi che la facevano sentire ferita.
Dopo così tanto di vissuto insieme, dopo continui momenti intensi, capaci di colmare una vita intera, con ricordi tanto significativi quanto preziosi, si trovava ad affrontare, con ogni suo sforzo mentale, una crepa talmente poco resistente da poter diventare ancora più frangibile. Scosse la testa per scacciare via più di un ricordo caro che, a furia di essere analizzato, avrebbe potuto rovinarsi, diventare logorante, se non anche terribilmente fastidioso.
Lei era stata libera di vivere i suoi amici e se stessa, convinta che il male non avrebbe mai più potuto scalfirle l’anima, perché era al sicuro, protetta da un gruppo solido affidabile di compagni impareggiabili cui rifugiarsi per avere e dare conforto. Ma stava permettendo l’innestare in lei di quel dubbio, quell’estenuante paura di vedere tutta quella certezza scivolarle da dosso come fosse stata solo un semplice abito che aveva indossato con vanità. E stava diventando sempre più faticoso, quel dubbio, nel momento in cui le conseguenze di quel diverbio, litigio, stupidaggine insensata e ottusa di orgoglio sensibile le rimbombavano nella mente con prepotenza, nell’eco di una fragilità maschile. 
Quelle tante parole che erano state sputate fuori da più voci del coro, erano state colme di animi feriti, o, forse, erano rimasti solo animi feriti vuoti di parole. Aveva provato ad avere un confronto, ma non aveva potuto impedire lo scempio, poiché non c’era spazio per la sua voce da donna ragionevole in quella disputa stupida e priva di ogni lucidità. Aveva provato a mettere in luce le priorità nel momento in cui aveva sentito l’obbligo di mettere da parte l’orgoglio per il bene comune, in una opprimente necessità di far ragionare quelle cape testarde e piene di sé dei suoi compagni uomini. Ma niente da fare, anzi, in un batter di ciglia, la situazione si era trasformata in peggio. In un peggio equivalente ad un attimo di buio. Un buio soffocante, opprimente, stressante, faticoso, orrendo. Quelle parole, quelle conclusioni, quella minaccia, erano il risultato di quel diverbio sciocco, scriteriato, ottuso, inutile, diventato più grande e ingombrante del problema stesso.
Non era riuscita a reggerlo quel sintomo, trasformato in una paura criptica, oscura, che l’aveva portata ad implodere interiormente per tutta la giornata, fino a desiderare di sfuggire agli sguardi non appena aveva potuto farlo. 
Così, con la scusa di una boccata d’aria, aveva lasciato i suoi compagni, ancora provati, nel rifugio in cui stavano alloggiando ospiti della Galley-la Company, per passeggiare in solitaria tra i vicoli di Water Seven. 
 
Non aveva corso a perdifiato fino a sentire i polmoni bruciare, come invece per un attimo, aveva creduto di voler fare. Non si era nemmeno più di tanto arrabbiata come al solito, seppur quella espressione sul volto, che le faceva piegare leggermente le labbra verso il basso, suggeriva che non vedesse l’ora di liberarsi di quel peso emotivo. Non aveva portato con sé il sacchetto coi denari, né un lumacofonino, e nemmeno qualcosa per coprirsi le spalle dall’umidità. Le sue gambe si erano mosse come se lo avessero fatto di loro spontanea volontà, facendola immergere nella strada trafficata, una strada che non conosceva nemmeno così bene come aveva creduto all’inizio, o, forse, in realtà, non aveva nemmeno pensato di volerla conoscere. Era passata per Piazza Liguria e anche per il famoso mercato della città, ma non aveva nemmeno fatto caso a cosa le stava intorno. Portava addosso la sola costante sensazione di non aver compreso qualcosa, qualcosa di essenziale. E quando, per un attimo, aveva creduto di averla quasi raggiunta - quella rivelazione - una luce di un lampione le aveva schiarito il sentiero davanti agli occhi, portandola a riconoscere le retrovie che conducevano ai cantieri dei carpentieri. Aveva sospirato - forse un po’ allietata dal non essere stata del tutto imprudente - mentre poteva sentirsi meno sperduta, dal momento che si trovava nuovamente nelle vicinanze del loro alloggio. Ma questo, forse, sarebbe stato davvero proficuo se solo avesse chiaro in mente cosa fare per attenuare almeno quella sua ansia. 
La luna in fase crescente, come spuntata appositamente per monitorarla, e, forse, giudicarla, nel cielo diventato scuro, faceva da spettatrice nel suo essere così inquieta. L’odore di acqua piovana stagnante si stava mischiando in un tocco bizzarro agli aromi della città, e i suoni della vita notturna accesa, con i versi dei Yagara che in lontananza ancora traghettavano le persone felici da un punto all’altro, rendevano allegra e confortante un’atmosfera che faceva solo eco dentro di lei, che si sentiva come una casa vuota senza arredamento, spogliata di ogni colore e rassicurazione. 
Tante erano le domande, fin troppe. Ma ancor di più pericoloso era che si stavano tramutando in dubbi. Davvero avrebbero ripreso il viaggio senza uno di loro? E sarebbero ripartiti senza nemmeno averci provato abbastanza? 
Tormentandosi non solo la mente, ma anche la pelle con le dita delle mani che continuava a pizzicare con le unghie, in preda al nervosismo, continuava a camminare, rendendosi conto solo troppo tardi della strada percorsa, riflettendo perciò solo in quel momento dei possibili rischi di quell’avventatezza. 
Era sola. 
Era devastata. 
Era una casa vuota con l’eco di quella minaccia che la tormentava. 
 
 
 
“Ma guarda un po’ … la ragazza scostumata!”
 
Risvegliatasi obbligatoriamente da un intorpidimento dei sensi e da un estraniamento quasi invisibile da fuori, Nami, aveva costretto sé stessa, in modo inconscio, a riemergere dal caos interiore, per sprofondare con naturalezza in quello reale. Quando aveva alzato leggermente la testa e aveva guardato dritta davanti a sé, senza effettivamente muoversi, e con espressione stupita, il suo sguardo si era scontrato con un altro, un viso diverso dai soliti che era abituata a vivere, ma che, comunque, conosceva, anche se, nonostante ciò, stava impiegando più tempo del dovuto per rendersi conto a chi appartenesse. 
“Copriti quelle gambe! Ti avevo avvisata che in questo cantiere ci stanno solo uomini!” 
“Ah, Pauly?” 
“Pensavi di incontrare qualcun altro?”
Il carpentiere si trovava affacciato in un terrazzino di una piccola palazzina affiancata a tante altre, distante di pochi metri da uno dei cantieri, in una veste diversa da come aveva avuto modo di conoscerlo nei giorni precedenti: a petto nudo e con addosso solo dei jeans sbiaditi; in testa si scorgeva l’assenza dei suoi fidati occhiali, ma in bocca era immancabile il suo dannato sigaro. 
Dimenticando per un solo attimo del vuoto che si portava dentro, osservava l’uomo incuriosita, richiamata involontariamente a stare attenta a ciò che le si presentava davanti, a coglierlo. E nel momento stesso in cui stava per riprendere a sentirsi esausta da quella giornata, s’incuriosì per il modo in cui quell’uomo la osservava con insistenza. E così che un pensiero disinvolto la distrasse.
“E tu perché non indossi la camicia?” 
“Io sono un uomo!” 
“Me ne frego!” 
Nami era riuscita a separare i suoi pensieri dalle sue parole e azioni, non battendo ciglio in quel nuovo diverbio che avrebbe potuto portare ad un risvolto interessante. Lo aveva sentito battere i denti e grugnire, imbestialito, nel momento in cui lei aveva portato le braccia sotto al seno, sottolineando le sue forme dentro quella canottiera scollata. Non poteva non darle sui nervi quell’atteggiamento maschilista, e, per questo, non poteva non raccoglierne la provocazione. Pensava che se fosse stato quell’uomo ad estenuarla, a sfinirla più del dovuto, non avrebbe potuto farlo più nessun altro.  
Quell’altro… 
“Svergognata!” 
“Ma Piantala!” 
“Non ti sei portata nemmeno una giacca?”
“Ma non fa freddo!”
“Stupida! Non é certo per il freddo che te lo dico! 
Piuttosto, si può sapere che diavolo fai qua? Ma non vi avevo avvisati di non farvi vedere da queste parti?”
Il carpentiere ispirò il fumo del suo sigaro con una improvvisa agitazione, ricacciandolo fuori, mentre era chiaro che cercasse di calmare i nervi che lei con la sua sola presenza gli aveva fatto saltare, ma senza smettere però di tenerla d’occhio. L’aveva osservata quel poco che bastava per capire che c’era qualcosa che le frullava in testa, costatando quanto fosse spaesata e meno sicura di sé di quando l’aveva vista la prima volta, e quelle successive. Continuava a squadrarla, cercando il più possibile di non posare gli occhi sulle sue forme tentatrici, concentrandosi allora sul quel viso che lo incuriosiva, a metà strada tra l’essere fragile e innocente, ed essere totalmente seducente, quasi provocatorio. Anche se, come a confermare i suoi dubbi, riusciva a capire che quell’anima stava vivendo un momento cagionevole; lei provava a nasconderla, ma lui l’aveva colta proprio grazie a quel suo viso, in quel momento meno incantatore, più concentrato a nascondersi che ad apparire, anche se, e questo lo faceva sentire confuso e a disagio con se stesso, quella stessa fragilità lo ammaliava in egual modo. Non aveva obblighi verso di lei, e non voleva avvicinarsi troppo a quel “diavolo con la gonna”, ma… 
 
 
“Vuoi salire?” 
 
 
 
 
Un piccolo e caldo alloggio che sapeva di gelsomino invecchiato. Le pareti giallo senape, un colore che mai avrebbe considerato per arredare casa, ma che un po’ le ricordavano un parco di girasoli, riuscivano a darle l’impressione di un ambiente ordinato e affatto minaccioso. Era tutto abbastanza in ordine per essere vissuto da un uomo solo, un carpentiere, anche se per quanto bizzarro in alcuni lati del suo carattere, poteva affermare istintivamente che Pauly non sembrava affatto stravagante. Tutto perfettamente rifinito a regola d’arte, dal tavolo con le sedie alla panca in legno, dalle mensole sulle pareti sopra il letto, al mobile chiuso a due sportelli sopra al lavabo. Tutto lavorato egregiamente in legno, maneggiato con cura ed incredibile passione. Lo stesso tavolo al quale Nami aveva preso posto, in preda alla più strana confusione che la spingeva nel continuare a guardarsi intorno, era splendidamente rifinito, tanto da farle venir voglia, per la prima volta, di avere simili arredi nella sua stanza nella futura imbarcazione. Qualcosa che prima non aveva mai creduto di desiderare. Oggetti essenziali, ma tutti posizionati secondo uno schema ben preciso. Qualche giacca e qualche jeans quasi dello stesso modello appesi in un armadio aperto affacciavano sulla parete dall’altro lato del tavolo, forse, l’unico dettaglio che poteva suggerire quasi un po’ di disordine. Non poteva mancare un abbondante rifornimento di sigari, posati su quel tavolo senza una macchia o un segno che indicava di essere stato abbastanza vissuto, che fremevano di essere consumati. Una bottiglia d’acqua sostava accanto ad essi, con un bicchiere pulito rovesciato al fianco; e, infine, un tappeto blu, unica fonte di vero colore di tutto l’ambiente che sostava sotto ai suoi piedi, e una porta accanto al terrazzino, che suggeriva l’ingresso per i sanitari, concludevano la sua rapida perlustrazione visiva.
“Com’é che esci da sola di notte?”
Le interruppe bruscamente i pensieri per la seconda volta in quella serata, mentre s’inchinava al frigo per cercare qualcosa da offrirle, ma trovandolo tristemente vuoto, dettaglio visibile dal suo leggero imbarazzo per essersi scordato di rifornirlo. In realtà, non avrebbe potuto far la spesa, comunque, dal momento che aveva speso tutti i suoi denari al gioco.
“Mi dispiace, non ho niente!”
“Guarda che sono una donna adulta, posso uscire da sola quando e quanto mi pare!”
La voce di Nami si fece ancora più scorbutica, quell’uomo aveva del talento nel farla velocemente indispettire. Non aveva smesso di tenere le braccia al petto, spostando lo sguardo esageratamente infastidita nel suo atteggiarsi drammatico.
Lo sentì camminare verso il tavolo e riempire d’acqua quel bicchiere che aveva già avuto modo di notare, con il rumore del liquido trasparente che riempiva quella stanza troppo silenziosa. Lo sentì ancora muoversi verso di lei e prendere posto sulla sedia al suo fianco. 
“Tò. Bevi.” 
“Com’é che non hai nient’altro?” 
La rossa non accettò il bicchiere, continuando a tenere il broncio come segno di protesta, o marchio indelebile del suo carattere guardingo, in quella posizione altezzosa che voleva significare che aveva bisogno di proteggersi da qualcosa che ancora non era chiara. 
“Te l’ho detto, non ho comprato niente…ho lavorato alla vostra nave tutto il giorno, e”
“Intendo alcol!”
“Non ti farò certamente ubriacare! Sei una donna!”
Con i denti a puntino, il carpentiere scuoteva la testa, totalmente allibito da una simil richiesta oltraggiosa. 
Nami si voltò a guardarlo in viso, in un cenno di sfida, che però, in quel momento, ricordava, era solita dedicare a qualcun altro. 
“Guarda che è impossibile che tu conosca qualcuno che possa reggere più di me un giro di bevute.”
“Così mingherlina? Non credo proprio!”
Pauly era serio, non scherzava, non stava solo sfogando tensione, era davvero così dannatamente rigido. 
Era possibile, si chiedeva Nami, che fosse così tanto intimidito dalle donne?
“To, bevi quest’acqua, fammi il piacere.” 
Ma lei aveva continuato col suo gioco, e, sbuffando scocciata, non aveva impiegato troppo tempo a ignorare il bicchiere senza sentirsi affatto maleducata, cambiando discorso di punto in bianco. 
“Non è che per caso hai bisogno di un prestito?”
Niente poteva infiammarla più di un’occasione propizia come quella di intrappolare un uomo senza soldi nel suo giro di interessi. “Potrei aiutarti a risolvere i tuoi debiti di gioco in modo definitivo”. 
Già poteva annusare quella sensazione di potere che le faceva sentire dei formicolii continui per tutto il corpo. Sarebbe tornata da lui, prima o poi, a riscuotere. Ma c’era qualcosa che non aveva preso in considerazione in quel suo rapido calcolo mentale, qualcosa che, nonostante quella fausta opportunità, le cadde sulla testa come un macigno. Un ricordo, un pensiero, un déjà-vu. 
“Tu risolveresti i miei problemi?”
Esultò svelto, nonostante fosse ancora oltraggiato, ma diventando immediatamente serio quando in lei, sotto quell’espressione intimidatoria, aveva scorto qualcosa, una crepa forse, una crepa che conteneva una nota di acuta tristezza. Quella luce di poco prima, in quegli occhi, si era spenta. Era come se l’avesse persa da qualche parte, nei profondi meandri della reminiscenza. E Pauly non poteva saperlo, di quanto quella resa sul rinunciare ad un’occasione come quella, fosse un segnale di gravità di proporzione colossale. La guardava attratto e spaesato allo stesso tempo: voleva saperne di più. 
L’aveva seguita con lo sguardo anche quando l’aveva vista alzarsi dalla sedia, senza poi dire una parola, diretta verso il terrazzino aperto, lo stesso da cui lui l’aveva avvistata, e da cui lei era sembrata incuriosita.  
Si era ritrovata affacciata al cornicione, a scrutare il cantiere sottostante, e, per un solo momento, aveva provato a scorgere anche il casolare che ospitava lei e i suoi compagni, senza però riuscire a vederlo.
Era normale sentirsi sopraffatta da un ricordo? Era consueto provare improvvisamente una confusa nostalgia, mentre stava solamente a due passi da loro?
“Screanzata!” 
Ancora una volta, le sue riflessioni malinconiche venivano interrotte da quell’uomo che sentiva borbottare alle sue spalle, tanto da farla voltare verso di lui ancora più scocciata, forse più per il fatto di non riuscire realmente a distrarsi come aveva immaginato all’inizio. Il carpentiere aveva le guance rosse per via dei pensieri che la vista delle gambe scoperte di Nami e della sua gonna corta, risalita leggermente verso l’alto, nel momento in cui si era sporta, gli aveva provocato.
“Si può sapere che ho fatto?” 
“Non devi sporti in quel modo!”
“Ma quale modo?”
Lo vide improvvisamente agitato mentre cercava di riaccendere il sigaro che gli si era spento tra le labbra, con lo sguardo accigliato verso il basso, costringendosi a non alzare la testa.
“Non avrei dovuto farti salire! Sei la peggiore tra le tentatrici!”
“Ma che cosa stai farneticando?”
Seccata da quell’atteggiamento, ma soprattutto dal sentirsi così poco se stessa e confusa - una casa vuota con l’eco di quella minaccia che la torturava  -  Nami era rientrata in casa, e, indecisa se assestargli un pugno per farlo calmare – più che altro tacere - o andarsene direttamente, optò per la seconda, dal momento che era troppo abbattuta e stranita per prendersela anche con quell’uomo e le sue ossessioni. 
“Ho capito…” sospirò, dirigendosi alla porta, “…ti saluto!”
Ma, mentre avvicinava la mano alla maniglia per aprirla, abbastanza sicura di aver scelto bene, aveva sentito un tocco bruciante sul dorso, accompagnato da un tepore di un’altra mano, più grande e più calda, in un tocco che stranamente era stato delicato. 
“Aspetta!” 
Sul volto un’espressione stupita, volta a guardare negli occhi il proprietario di quella mano, improvvisamente così vicino a lei.
“Non voglio che tu te ne vada.” 
Il tempo di due parole stranianti, che Nami aveva già ritratto la mano rapidamente, sfuggente come al solito, invasa dalla sensazione di un inspiegabile timore e, non volendo reggere quello strano e inusuale calore bulicante sulla pelle, stava indagandosi per cercare di capire cosa significasse.
“Non sono il diavolo tentatrice?”
Smorzò l’atmosfera, orgogliosa come al solito, decidendo di prenderlo in giro, ma anche prendendosi un po’ di rivincita. 
Lo vide assicurarsi che la porta fosse rimasta chiusa, per poi ricambiare lo sguardo anche lui e sospirare come conseguenza alle sue parole. 
“…lo sei…”
Nami lo sentì farsi più vicino con quel volto serio, forse un po’ meno incline nel giudicarla rispetto a poco prima. “Però…”
“Però?” 
Lo incitò, stranita da quell’atteggiamento che non riusciva a decifrare. Lei era abituata ai pervertiti o ai suoi compagni, per niente non curanti di gentilezze o atteggiamenti troppo calorosi nei suoi confronti – è vero, aveva pur sempre Sanji, ma lui era una figura amorfa, inspiegabile, unica nel suo genere, e ad ogni gentilezza corrispondeva una dose di perversione quotidiana.  
“Preferisco lo stesso che tu rimanga.” 
La rossa aveva alzato un sopracciglio incredula. Le aveva davvero detto questo, quell’uomo che non faceva altro che giudicarla e criticarla? 
Eppure, quel contatto caldo di quella mano rude le ricordava qualcosa. Quel carattere giudizioso le ricordava un posto sicuro. Quella strana attenzione nei suoi confronti le ricordava qualcuno. 
Con una complicata sensazione addosso, e un’annebbiamento momentaneo, ebbe quasi un capogiro, finendo dritta dritta nella presa del biondo, che, con uno scatto automatico del braccio destro, l’aveva afferrata per la vita evitandole una caduta sul pavimento. 
“No, no…sto bene, sto bene!”
Cercò di rimediare velocemente al danno, provando a divincolarsi da lui, da quella miscela di sentimenti, ricordi, percezioni che le stavano mandando tutto il suo mondo allo sfacelo. Ma inutili i tentativi di divincolarsi, ormai, quello, non l’ascoltava più. 
“Col cavolo!” aveva grugnito spazientito, “Ma che fai, mi svieni addosso? Ma mangi abbastanza?”
L’aveva saldamente tenuta per la vita e aiutata a raggiungere il letto in un corto ma intenso tragitto. 
“Siediti” le aveva quasi ordinato, celando la preoccupazione con il fastidio. Quella donna già una volta lo aveva ingannato, facendogli credere che fosse distrutta e in preda alle lacrime, quando invece era solo un peperino in preda all’adrenalina e dalla forte determinazione. Lo aveva già fatto preoccupare a vuoto, e, stavolta, non ci sarebbe cascato facilmente. 
Nel frattempo, Nami si stava mettendo comoda, e, accettando l’idea di fermare per un attimo la sua angoscia e relative preoccupazioni, mentre cercava di riprendersi da quel marasma di emozioni, lasciava scivolare le scarpe dai piedi che finivano dritte sul pavimento, senza fare troppi complimenti. 
Pauly aveva allungato l’altro braccio verso il tavolino riacciuffando il bicchiere colmo d’acqua di poco prima, porgendoglielo svelto, in uno sguardo che sarebbe stato immobile ad infierire su di lei finché non lo avesse buttato giù. “E bevi sta dannata acqua!” 
Arresa a quell’insistenza, Nami accettò, sognando però, per tutto il tempo, di poter ingurgitare altro, qualcosa di cui aveva davvero bisogno quella sera; per poi riconsegnarlo al suo “temporaneo aguzzino”. Stesasi sul letto, su quelle lenzuola che, per suo stupore, profumavano ancora di ammorbidente, come se non ci fossero mai state prove dell’esistenza di Pauly, aveva del tutto accettato l’idea di compagnia del carpentiere. 
Arreso anche lui a quella presenza cui non riusciva a fare a meno, e in fondo già lo aveva previsto che sarebbe stato così, si apprestava a raggiungerla sul letto, sedendosi parallelamente alle gambe di Nami, e, quando si accorse della cosa, trovandosele nude davanti agli occhi, trattenne un’imprecazione che avrebbe fatto rivoltare nella tomba anche il più maleducato dei pirati. 
“Copriti, dannazione!”
“Devi smetterla!” 
Lei, che si sentiva da sola la temperatura con la mano, e dopo aver appurato che stesse bene e che fosse stato per lo più il caldo a farla cedere – come preferiva raccontarsi - aveva piegato i muscoli in segno di rilassamento, ignorando beatamente le proteste del suo ospite. Quello, di tutt’altro avviso, con le guance nuovamente rosse, cercava di non guardarla, ma senza troppo successo. E lei lo vide diventare sempre più rosso, quasi come se gli stesse per scoppiare il sigaro da un momento all’altro. 
“Sono solo gambe, idiota! “
“Sono gambe di una donna!”
“E allora?”
Per infastidirlo, lei ne allungò una, muovendo il piede sopra di lui, andando a torturarlo sul braccio, fregandoglielo sopra. “Ti piace così?”
Lo vide voltarsi a guardarla quasi in procinto di vomitare, mentre lei sghignazzava. 
Era quasi immobile, come se stesse per alzarsi ma non ci riusciva. Nami continuava a torturarlo, ridendo divertita di quella sua stramba reazione, senza risparmiarlo, muovendo il piede sopra di lui. D’altronde, diceva cose fuori dal mondo, perciò era sicura se lo meritasse. 
“Ti ricordo che sei tu quello senza la maglia addosso…”
Si mosse ancora su di lui, infierendo, in modo quasi sensuale, provando un senso di estraniamento a tutti i suoi problemi. Lo vide avvicinarsi col busto a lei per urlarle contro con un’espressione imbronciata e un tono alterato, di uno che non ce la fa più. E non poteva che esserne felice del risultato ottenuto. 
“Quante volte devo ripeterti che io sono un uomo!?” 
Nami aveva alzato la testa dal cuscino, fintamente infastidita, accettando quella strana battaglia senza senso, squadrandolo male, ma con un certo gusto che veniva celato in modo furbesco dal suo tono di voce. 
“Ti ho detto che me ne frego!” 
“Tu…te ne freghi?”
Continuò imperterrito, avvicinandosi ancora a lei col busto, trovandosi quel viso, che vedeva come incantatore, proprio davanti ai suoi occhi increduli. 
“Me ne frego!” 
La replica di lei gli faceva allargare ancora di più le pupille, fino all’inverosimile. Senza accorgersi l’aveva quasi sovrastata col fisico. E con il respiro infievolito, iniziò a sentirsi sempre più strano, completamente rapito da quella presenza che non riusciva a smettere di guardare, nonostante non condividesse il suo atteggiamento sfrontato e continuamente ammiccante, anche quando non lo faceva di proposito. E, mentre lei lo fronteggiava a testa alta, gli successe una cosa inusuale: il sigaro gli cadde dalla bocca. Lo aveva sentito scivolare e stanziarsi sul lenzuolo giallo e perdersi dentro di esso, ma, per la prima volta, non se ne curò affatto, poiché non riusciva ad interrompere il contatto visivo con Nami. La stessa donna che, imperterrita, non avrebbe accettato l’idea di abbassare per prima lo sguardo, considerato da entrambi, stupidamente, come un segno di resa. Così, ignorando la bizzarria della cosa, con le mani che si muovevano ormai da sole, le aveva improvvisamente afferrato il viso, e con una spinta su sé stesso, si era avvicinato abbastanza a lei da catturarle le labbra in un bacio coraggioso. 
Di reazione, una Nami sbalordita aveva poi poggiato le mani su quel torace ponderoso, spingendolo via con la sua forza, ma, anche, nello stesso secondo, in quel suo stato attonito, aveva quasi ceduto per un piccolo attimo a quello strano trasporto, decidendo, inconsciamente, di lasciarsi andare. Ma durò veramente il frammento di un attimo, di un pensiero, di un sospiro. 
 
Steso sul letto con la schiena sul materasso e con un bernoccolo di proporzioni discutibili sulla testa, Pauly faceva i conti con se stesso e di quel suo gesto imprudente che nemmeno lui si sarebbe aspettato avrebbe mai compiuto. 
“Mi dispiace…” brontolava, dolorante, con un tono di voce spezzato, mentre guardava il soffitto a bocca aperta. 
“Porco!”
Nami, ancora seduta al suo fianco, teneva nuovamente le braccia a mo di pugni, probabilmente in posizione di difesa, pronta a dargliene altri, ma, anziché pensare a quella animosità, s’interrogava su quell’unico momento in cui lei aveva deciso di lasciarsi andare per davvero. 
Quell’uomo, in un certo senso, le ricordava  qualcuno…
“Tentatrice…”
Continuava a vociferare, ancora sconvolto da ciò che aveva fatto, ma soprattutto, da come lo faceva sentire dentro.
“Ne vuoi un altro?”
Nami gli mostrò il pugno e lui però non batté ciglio, convinto fosse giusto prenderne pure degli altri. Ormai era sicuro che nonostante tutto ne fosse valsa quella sofferenza. 
“Me lo merito…”, accennò, sorprendendo la rossa che, stranamente, ritrasse la mano senza accanirsi e imperversare esageratemente su di lui. Ma, forse, solo perché continuava a pensare a se stessa, al fatto che lei aveva quasi partecipato.
“Di un po’” iniziò il discorso per calmarsi a sua volta, “ma non ci stai mai in mezzo alle donne?”
Lo vide cercare il sigaro con la mano tra le lenzuola, totalmente dipendente da esso. 
“Non vedi dove vivo? Passo al cantiere tutta la giornata…”
“Come vedi non ti fa del tutto bene…”
“Questo posto e questo lavoro sono tutta la mia vita.”
Nami si rilassò leggermente, sospirando e arrendendosi all’evidenza della situazione. D’altronde, un po’ poteva pure capirlo; tutti loro avevano una passione che portava via tutto il loro tempo. Certo, pensava, chi riesce anche a svagarsi di più, fuori dal proprio obiettivo, e chi, invece, non lascia spazio ad altro…
“Vedi i risultati? Incontri una donna per caso e subito diventi un maschio primitivo. Non sei abituato e confondi i sentimenti.”
Pauly riprendeva tra le mani il suo amato accessorio, ancora con quello sguardo stranito e immobile sul soffitto, catturato in uno strano stato di trance. 
Quel bacio l’aveva bruciato.
“Guarda che ne ho viste altre di donne, cosa hai capito!”
La rossa alzò un sopracciglio e si voltò a guardarlo nuovamente, vedendolo alzarsi appena e indietreggiare abbastanza da appoggiarsi alla spalliera del letto.
“Solo non così sfacciate come te.” 
“E allora che cos’é questo capriccio?”
Lo osservò girare il sigaro tra le dita, che nel frattempo si era spento, e riaccenderlo con calma, con piccoli gesti attenti tramite movimenti che catturavano l’attenzione e lo sguardo di Nami, come fosse ipnotizzata, mentre pensava a quanto sentisse quel sapore di fumo ancora nella bocca e quanto non le desse nemmeno tanto fastidio come avrebbe altrimenti immaginato.
“É da quando ti ho conosciuta, vista la prima volta…” riprese a fumare con una strana lentezza, o forse l’avvertiva solo Nami, “…che volevo farlo.” 
Pauly era rimasto in quella posizione in attesa di avere una risposta, o forse no, forse non ne voleva davvero una. Quel bacio lo aveva così tanto sconvolto da non importargli nemmeno della piccola confessione appena fatta.
“Perciò tutte ste scene che fai sul pudore, nascondono un tuo lato da maniaco?”
“Non sono un maniaco! Sei tu che sei così…ah, lascia perdere.”
Pauly aveva continuato però a non perderla, seguendola con la coda dell’occhio, mentre stava ancora immobile con il volto rivolto al soffitto.
Lei, d’altro canto, era irrequieta e un po’ imbarazzata, ma, in realtà, vedeva tutto talmente sfocato, da non stare capendo nemmeno più se stessa. Appoggiandosi allo schienale del letto a sua volta, aveva avvicinato a sé le gambe, stringendosi in un abbraccio solidale.  
 
 
“É per il vostro amico nasone, che stai così?”
All’improvviso un boato in quell’eco tormentato. 
“O é ancora per Nico Robin?” 
 
Ed ecco che la situazione, questione, conversazione, cosa – non sapeva come definirla - era appena diventata pericolosamente seria. Almeno, troppo seria per lei. Ma lei nemmeno lo sapeva perché era finita lì. Per non parlare? Per parlare? 
A Pauly bastavano due parole per rendere tutto così automaticamente semplice e veloce. 
Ancora…quella somiglianza. 
Lui, quasi uno sconosciuto che stava provando a leggerle dentro, a capirla; lui, che si stava interessando a lei. Era per davvero così preso da riuscire a leggerla con una pacata leggerezza d’animo? 
Era stupita, folgorata, incredula, emotiva. 
Però, forse, si stava immaginando tutto, quell’uomo non poteva fare tanto, essere tanto; è vero, la incuriosiva, c’era qualcosa in lui che l’attraeva facilmente, ma stava esagerando, tutti sapevano di cosa era successo alla sua ciurma, … di Usop, … di Robin. Tutti sapevano di quei dolori. 
Era anche fin troppo facile. 
Doveva calmarsi, smetterla di dare a vedere quel suo tormento più profondo. 
 
Nami sciolse l’abbraccio con le sue gambe, per piazzare un sorriso a metà strada tra il forzato e il sincero, tirando all’uomo una gomitata che lo colpiva al fianco, all’altezza del braccio, facendolo leggermente imprecare. 
“Se vuoi assomigliargli dovresti parlare meno.” 
“Assomigliare a chi, scusa?”
Ma lei non lo stava più a sentire, alzandosi improvvisamente dal letto alla ricerca determinata di quei famosi alcolici. Quello era il momento giusto. Quella era l’occasione per affogare con piacere i suoi tormenti.
“Sono sicura che tieni da bere nascosto da qualche parte…” chiacchierava tra sé e sé, mentre andava in perlustrazione da sola, prendendolo di sorpresa. 
Pauly allora si mise seduto per osservarla fare, mentre girava scalza in quei pochi metri quadrati di casa e apriva tutti gli sportelli senza chiedere, ignaro di quella testardaggine, e, perciò, senza pensare cosa stesse davvero cercando. 
“Te l’ho detto, non ho fatto la spesa! Se hai fame ti porto a…”
Ma quando la vide mettersi in punta di piedi e allungare la mano verso una bottiglia di vetro tenuta al sicuro in un mobile appeso in alto, si alzò rapido per fermarla, afferrandole con forza il polso.
“Sta’ ferma!”
Dalla fretta era quasi inciampato sui sandali di Nami, ma dal momento che era riuscito a mettersi tra lei e il mobile per tempo, affrontando a testa alta quello sguardo contrariato e scocciato, non se ne preoccupò più di tanto.
“Ma che…?”
“Scordatelo che ti permetto di bere qua dentro!” 
Spaventato dalla furbizia e abilità della rossa, le prese anche l’altro polso.
Lei s’infievolì, con le sopracciglia che andavano verso l’alto e il ghigno di sfida e di stupore a contornarle il volto. 
“É solo una bevuta! Qual é il tuo problema?” 
“Non rischierò di finire in una situazione compromettente. Non mi approfitterò di te quando non sarai più lucida.” 
“Idiota!” Riuscì a divincolarsi dalla sua presa di entrambi i polsi, provando lo stesso ad allungarsi e superarlo per prendere la bottiglia. “Pensi che te lo permetterei?” 
Una sola bottiglia, la stessa che lui tentò di afferrare per primo, voltandosi verso il mobile e dandole la schiena, ma che quando lei provò a sua volta a sottrargliela gli scivolò velocemente dalla mano cadendo nel lavello sottostante e andando completamente in frantumi. 
“Idiota! Sei un idiota!” Aveva iniziato a colpirlo sulla schiena coi pugni chiusi. “Che razza di spreco!” Continuava a colpirlo nervosa con attacchi quasi ridicoli, ma con tutta la sua energia impressa ad ogni colpo inferto. Forse, pensava, con quel gesto Pauly voleva ricordarle a tutti gli effetti che non era la persona che lei stava cercando, e doveva farsene una ragione subito. 
In fondo, non era per l’alcol andato sprecato, come non centrava il fatto che lui le avesse impedito di berlo. Lo sapeva nel profondo di se stessa che era emotivamente distrutta, così tanto da sentirsi frustrata solo per non essere riuscita a farsi un paio di bevute. E quell’instabilità evidentemente la si vedeva benissimo da fuori perché uno come Pauly aveva fatto di tutto per negarle quella soluzione ai tormenti. Voleva davvero il suo bene? No. Lo stava di nuovo idealizzando. Continuava ancora a paragonarlo a quell’altro. 
Ma poi lui, lui era rimasto immobile, lasciandosi colpire, mentre osservava il liquido trasparente scivolare nel buco e scomparire nel vuoto. 
Pauly non l’avrebbe ammesso, ma ne era sollevato di come erano andate le cose, e, ancora davanti al lavello, l’aveva lasciata sfogare restando in silenzio il più possibile.
 
 
 
“Il nasone tornerà con voi. Ne sono certo.” 
 
La voce pacata, quasi sensuale, con quel tono fermo e caldo, in una supposizione che voleva essere sincera ma soprattutto di conforto per lei. Per lei. 
Non la conosceva nemmeno così bene, non erano nemmeno così uniti, perché perdeva tempo a starla a sentire, addirittura a confortarla in qualche modo? 
“Lui si chiama Usop!” 
Aveva puntualizzato, nervosa da quelle attenzioni, mentre lo colpiva ancor un’altra volta, ancora e ancora, pur sapendo che in realtà quell’uomo non c'entrava niente, non aveva colpe, se non di aver fatto rovesciare il liquore.
Senza accorgersi aveva rallentato, poggiando la testa su quella schiena che prima aveva preso a pugni senza remore, sospirando forzatamente mentre cercava di ricomporsi. Quell’uomo, nonostante tutto, le dava un senso di protezione. E, d’altronde, l’aveva salvata più di una volta da quando lo aveva conosciuto.
Lui, uno sconosciuto. 
Anche se, ormai, non lo era più già da un pezzo. 
 
“…Potremmo realmente e orrendamente partire senza un compagno…, stavolta.” 
 
Non sapeva nemmeno perché lo aveva confidato. Il tono era cambiato, la voce le si era smorzata. Lo aveva detto come a voler essere indispettita di proposito. Lei non lo sapeva per davvero se le cose sarebbero finite bene o se l’orgoglio avrebbe rovinato per sempre il loro viaggio, ma confidarlo, dirlo ad alta voce, lo rendeva fin troppo reale. 
Il carpentiere era rimasto immobile tutto il tempo, forse per la serietà del momento, forse nel suo ruolo di uomo-eroe, o, forse, perché sentiva le forme di lei schiacciate sulla sua schiena…
Con il volto bordeaux, che Nami non poteva vedere, e le imprecazioni sulle labbra, aveva allora iniziato ad armeggiare con il vetro, gettandolo pezzo per pezzo nella spazzatura di fianco al lavello, provando a distrarsi da quel contatto che non riusciva - poteva - disfare. E, preso da una strana disattenzione, aveva stretto troppo e si era tagliato con l’ultimo pezzo rimasto il palmo della mano, rivelandolo con un piccolo mugugno sussurrato quasi impercettibilmente. 
“Accidenti. Devo essere proprio distratto stasera.”
“E non t’azzardare a dare la colpa a me!”
Nami, alle sue spalle, si era risvegliata da quello strano stato di trance, passando subito sulla difensiva e rendendosi conto di aver braccato il poveretto, quasi appollaiandocisi sopra. Così, per scusarsi, mentre lei stessa si sentiva leggermente in imbarazzo per essersi lasciata andare così tanto, dal momento che non era affatto da lei un simile atteggiamento, si era apprestata a far finta di nulla come nel migliore dei suoi modi. 
“Fai vedere.” 
Ma quando gli prese la mano, lui la ritrasse svelto, innervosendola immediatamente, facendole dimenticare tutto quel senso di colpa in un frangente. 
“Non importa. Sai quanti graffi e tagli hanno queste mani?”
Sorrideva, ma era più seccato, tra l’imbarazzo e la fierezza, mentre si grattava dietro alla testa con la mano sana, socchiudendo appena gli occhi.
Nami lo osservava sorpresa e sconsolata, scuotendo di reazione la testa con nervosismo. 
“Perché fate così? Perché questo dannato orgoglio misto a imbarazzo quando siete maggiormente esposti?”
Sotto lo sguardo stupito del carpentiere, Nami riprese quella mano con la sua, impedendogli di ritrarla via. Aveva aperto l’acqua da quello strano tubo curioso in cui arrivava direttamente dai canali di Water Seven, e, sciacquato via il sangue, che in quel momento scivolava via a fiotti: da quella mano passava sulla sua e poi scompariva nel condotto. 
“Siete della stessa pasta, guerrieri dalla tempra salda e dal sangue freddo in battaglia, e poi vi terrorizzate per stupidaggini di questo tipo. O per un semplice contatto femminile.” 
Controllando la ferita superficiale, Nami, che non mollava la presa,  dava l’impressione che non si sarebbe fermata anche se lui avesse insistito per lasciar perdere. 
“Adesso ti medico questa ferita, e tu la pianti di agitarti!”
 
Seduti sul letto con quel poco di materiale medico recuperato da un cassetto, Nami si occupava di quella mano con delicatezza e concentrazione. Dovendo però più volte recuperarla e appoggiarla sulla sua coscia, dal momento che quello, indispettito, la ritraeva ogni qualvolta. 
“Sei matta per caso?” Aveva la faccia rossa pronta ad esplodere al contatto con la pelle nuda di lei, portandolo in escandescenza. “Copriti prima le gambe, dannazione!”
Ma quando lui si lamentava, lei gli stringeva la ferita di proposito facendolo leggermente “ululare” di dolore. “Piantala!” lo ammoniva, riappoggiando la mano sulla sua gamba nuda ancora una volta, passando alla fasciatura. 
Lui era poi riuscito a stare in silenzio, ma con il viso pieno di colore e ogni sorta di maledizione nella mente, implodendo ogni secondo a quel contatto che lo mandava in una crisi nera. Quella donna riusciva a fargli provare delle fitte lungo tutta la schiena, fitte che non aveva mai provato prima. 
Nami aveva quasi finito di fasciare la mano, ma anche dopo aver fatto il nodo alla benda di stoffa bianca, non aveva mollato la presa su quella di lui, stringendo sempre più esageratamente. 
“Stupidi uomini orgogliosi!”, sibilava, esorcizzando un sentimento. 
“Mi stritoli” si lamentava compulsivamente l’altro, mentre provava a capire il motivo di quell’aggressione immotivata “ma poi, perché diavolo mi parli al plurale?”
 
Nami si era improvvisamente alzata in piedi e aveva lasciato andare la mano del carpentiere che, sollevato, ricercava la sensibilità dell’arto, scuotendolo in aria.
Davanti alla porta aperta della terrazza da cui entrava una brezza che aveva scacciato via il caldo, aveva dato un rapido sguardo al cielo, serrando i pugni lungo i fianchi, con gli occhi che le brillavano in un misto tra l’essere arrabbiata ma anche, in un certo senso, ferita. 
L’uomo, rinvenuto, la osservava imperterrito, come se cercasse di leggerle ogni risposta senza chiederla, ma non che fosse così facile come credeva. Eppure, lei, forse senza nemmeno rendersene conto, il suo turbamento l’aveva scritto in faccia. E lui era improvvisamente diventato sicuro di che si trattasse, sentendosi stupido. 
“Ora ho capito.” Sospirò. “Avrei dovuto arrivarci prima.”
Nami si voltò immediata a guardarlo in viso, stupita, ma forse più impaurita da quella affermazione - o meglio, osservazione - enigmatica.
“Cosa?” 
Si era concentrata a fissare il carpentiere che, per sua risposta, indossava un’espressione improvvisamente afflitta, ma che poi si era trasformata anche in un sorriso appena accennato. Come gesto improvviso, e quasi normale, che aveva sapore più di protezione che di pudore, lo vide alzarsi e allungare la mano verso la coperta che stava sotto al lenzuolo che ricopriva il letto, avvicinarsi a lei, per poi adagiargliela sulle spalle, in un contatto così semplice ma intenso che le aveva provocato brividi inspiegabili sulla pelle.
“Non si tratta solo del nasuto. Almeno, non del tutto. E nemmeno di Nico Robin.” 
Nami era rimasta di stucco dal quel gesto caldo che non era abituata normalmente a ricevere. Come riusciva a farla sentire così emotiva? E, d’improvviso, così bisognosa? Si era resa conto di essere così facilmente emozionabile, tanto da voler cercare con urgenza di sdrammatizzare quel momento, perché viverlo la metteva a disagio. Quello sguardo, quelle sensazioni, le avevano ricordato della chimica che aveva già sentito di avere con lui quando lo aveva conosciuto. Un incontro stralunato, ma dopo qualche fraintendimento, lui l’aveva aiutata, salvata, sostenuta in un modo semplice in cui - e nemmeno si era resa conto mentre lo aveva vissuto poiché distratta da altro - era stata a suo agio. Perché sfuggiva a questo genere di accorgimenti?
“E questa?” Aveva alzato le spalle, adesso più incuriosita, mentre lo osservava muoversi nella stanza, in quel modo così fiero e, perché no, sessuale…con quel fisico scolpito, i capelli spettinati, l’odore leggero di dopobarba alla menta piperita, mentre si apprestava ad accendere un nuovo sigaro. 
“Mi stai suggerendo ancora di coprirmi?”
Pauly, ritornato a sedere sul letto, con le gambe stravaccate, armeggiava col fiammifero, concedendosi ancora quel suo piccolo vizio da cui era dipendente, ma senza guardarla più negli occhi. 
“Hai la pelle d’oca.” 
Non aggiunse altro, lasciandosi andare ad un attimo di pausa, forse sopraffatto da quei suoi stessi sentimenti.
Mentre ispirava quel sapore che amava tanto, lui, avvertì un movimento che però non ebbe il tempo di impedire. Nami lo aveva raggiunto silenziosa, gli aveva tolto il sigaro dalla bocca lasciandolo cadere sul pavimento, e quando aveva aperto gli occhi contrariato si era ritrovato quel viso da finta innocente proprio davanti, lasciandolo in balia della confusione. 
Fu un attimo che lo aveva sovrastato, piegandosi sopra di lui col busto e prendendogli il viso tra le mani, afferrandogli poi le labbra con le sue, in un bacio interessante, carico di adrenalina. 
Rosso in quel viso pronto all’esplosione, Pauly non sapeva come reagire. Voleva sgridarla, giudicarla, ammonirla per quel gesto avventato, per l’imbarazzo in cui lo aveva gettato, ma mentre quegli striduli cercavano di uscire fuori, pensava solo a quanto non stesse sognando altro fin da quando l’aveva incontrata. 
“N-non mi approfitterò di una donna che…”
Gli uscì, mentre le loro labbra furono costrette a separarsi.  
“Ma se ti dicessi che sono io quella che approfitta, ti farebbe sentire meglio?”
Di nuovo, un altro bacio, un altro sfioramento di corpi, le mani sempre sul quel volto maturo e possente di un uomo come lui, un uomo che alla fine, le piaceva. Nonostante quella sua stranezza, era stato con lei molto attento, premuroso, buono. In circostanze che solo con i sui nakama aveva vissuto. 
Il biondo stava rispondendo al bacio, per quanto ci provasse a rifiutarlo, era davvero uno sforzo che richiedeva molta più determinazione.
Le sue mani erano scivolate sulle spalle di lei e poi sulla vita, afferrandola e sospingendola sopra il materasso, sotto di lui, mentre continuavano a non respirare insieme. 
“Non va affatto bene quest-”
Aveva il fiato corto, con il volto a due millimetri da quello di Nami, che portava un’espressione enigmatica, mista tra curiosità, eccitazione e una nota di amara tristezza nostalgica che arrivava da lontano. 
“Hai veramente da lamentarti?!”
Lei gli strinse la mascella con il palmo e le dita della sua mano affusolata, interrompendolo e guardandolo intensamente, con uno sguardo sicuro e libero che lui raramente aveva modo di scorgerlo in altre donne. 
“Sei proprio sfacciata!”
“E a te piace!”
Senza rispondere, il biondo si era liberato della presa di lei, avvicinando il suo viso a qualche millimetro dal suo. Le pupille oscillavano tra gli occhi e la bocca umida semiaperta, non sapendo se rispondere, contrattaccare, se lasciarsi prendere o prendere lui ciò che voleva. Con i nasi che si toccavano, Pauly che avrebbe tanto voluto lasciarsi a lei, decise di andare in profondità alla cosa.
“É perché gli somiglio?”
Aveva esternato ad alta voce, in un attimo di consapevolezza del fatto che se anche così fosse stato, lui ci sarebbe stato lo stesso, sentendosi mai più sporco di così. “Somiglio al tuo uomo?”
Con gli occhi sgranati, Nami gli strinse ancora il viso con la mano, avvicinandolo ancora di più, per andare a riprendergli le labbra con la bocca, ma lui si era velocemente scansato quanto bastava. 
“Cosa non va tra voi?”
Pauly, nonostante la frenesia di riprovarlo ancora, aveva allontanato il più possibile il desiderio di lei in attesa di una risposta soddisfacente. 
“Sta’zitto!” 
Scocciata di quella interruzione, Nami lo aveva preso in contropiede, ribaltando la situazione e sospingendolo sotto di lei. A cavalcioni sopra di lui, aveva iniziato a giocarci, torturandolo, mentre iniziava ad accarezzargli il torace, sul quale sarebbe poi scesa con la bocca in modo sensuale in un abbandono della lucidità di cui aveva necessità di provare. 
“Raga-ragazza scost”
L’uomo non riusciva nemmeno a chiamarla per nome o rischiava di aumentare in un batter di ciglio la sua eccitazione.Ritrovando quel briciolo di forza in lui, o forse dignità, così voleva chiamarla per aiutarsi a reagire, Pauly aveva alzato il busto dal letto mettendosi seduto ma afferrando Nami per la schiena, tenendola stretta a lui in una sorta di trappola in cui con le gambe e braccia incastrate tra loro, lei era costretta a guardarlo in viso. 
“Allora?” 
“Di chi stai parlando?”
Fu costretta a risponderlo, dal momento che lui la teneva lontana e aveva momentaneamente preso le redini del gioco. 
“Lo spadaccino…”
“Com…?”
“L’ho capito che é lui il problema che ti frulla nella testa.” 
Pronta a sputare veleno, Nami cercò di ribellarsi a quella presa, da quella trappola non solo fisica, guardandolo improvvisamente in cagnesco e mandando allo sfacelo tutta quella atmosfera che si era costruita tra loro; seppur l’energia, la chimica che entrambi emanavano, si poteva quasi toccare. 
“Il biondo stravede per te, ma non ti ho vista coinvolta. Hai parlato di uomini duri e orgogliosi, sono andato ad esclusione.” 
“Ti sto concedendo un’occasione e la stai sprecando a parlare?” 
Riuscì a ritrovare un po’ di controllo riprendendo la sua fierezza, doveva nascondere le sue emozioni ad ogni costo, mentre cercava di ritornare a baciarlo sul collo. 
Pauly, che era convinto di averla in pugno, coi denti diventati a puntino, l’atterrò nuovamente sul materasso, tenendola ferma, confuso da quel gioco, afflitto da non capire che sentiero perseguire. Seguire la ragione, fare la cosa giusta, o lasciarsi andare e prendersi tutto senza remore? 
Ma lui non era così, e dannazione a lui che era un uomo d’onore. 
“Sai, anche tutto questo rientra negli interessi che dovrai risarcirmi.” 
“Che cosa??? Ma quali interessi?”
Era lei o era una corazza? Il carpentiere non sapeva rispondersi. Vedeva solo con che forza quella riusciva ad uscirne da ogni impiccio. Lo avrebbe mandato ai matti prima del tempo. Ma erano una tentazione continua, quelle labbra. Doveva però ritrovarsi, doveva ritrovare la sua moralità e non cadere nella trappola di lei. Di quella eccezionale, sensuale, determinata donna che voleva prendere subito. Che avrebbe voluto fare sua. 
Nami si era liberata, e la sua mano era tornata su quel viso a stringergli una guancia senza nessuna delicatezza, pronta a ricominciare, pronta a cingersi in un altro bacio, un altro bacio feroce, senza scampo. Ma…
Improvvisamente aveva rallentato la stretta, tenendolo fermo, ma tenendolo lontano da lei. Quei capelli biondi stavano cambiando tonalità. Quel volto rude si era improvvisamente assottigliato. La barba era scomparsa. Lo sguardo intenso che conosceva bene ora la stava giudicando seduta stante. 
Non avrebbe potuto violare quel pensiero. 
Pauly aveva allora ammorbidito lo sguardo, cercando di ricomporsi a sua volta, capendo che forse quell’idillio si sarebbe concluso a momenti. Deluso e sollevato allo stesso tempo, si rendeva conto che non sarebbe stato capace di fermarsi se fosse stato solo per sua scelta. Si sentiva così dannatamente spaesato. Quella donna lo torturava, ma allo stesso tempo ne era così ammaliato, dalla sua forza d’animo, dalla tempra, dal carattere, dalla sua bellezza, che stava scegliendo volontariamente di farsi trascinare ad ogni suo rischioso richiamo.
“Non sono io il tuo uomo.” 
Le aveva sussurrato sul volto, mentre lei ancora lo teneva bloccato, nell’oblio di ogni azione rimasta incompiuta. “E dannazione per questo.” 
“Lui non é il mio uomo!” 
Aveva puntualizzato nervosa, ma rimanendo sbalordita tutte le volte che sentiva ripetere quelle parole insieme, cambiando la portata della voce, che era diventata meno audace, ma sempre sicura e squillante nel tono. “Siamo compagni.” 
Il carpentiere aveva notato un leggero colorito sulle guance di lei quando aveva detto quella frase, lo aveva scorto per un solo momento, quel sentimento, che però si era volatilizzato, era scomparso nella stessa velocità di come era apparso. 
Nami aveva fatto cadere la sua mano sul materasso, lasciando definitivamente la presa dal viso del biondo ancora sopra di lei, senza smettere però ti ricambiare lo sguardo indagatore. 
“Sei rinsavita?”
Aveva chiesto, ansimando, ma rimanendo lucido, mentre cercava di calmare il battito del cuore. 
“Non lo so.” Aveva risposto lei con ancora il fiato corto. “Lo sono?”
Si guardarono ancora, entrambi incerti, entrambi fuori posto, entrambi presi solo dal momento, dalla voglia di assaggiare, di dimenticare, di provocare. 
Quello sguardo di lui, improvvisamente così intenso che la guardava negli occhi. Il viso che non aveva smesso di essere rosso, e gli ormoni che ribollivano in quei contatti confusionari ma voluti, desiderati, cercati. 
“Siamo compagni…” aveva ripetuto flebilmente. “Solo compagni.” 
Pauly non riusciva a fare a meno di rimanere bloccato in quella tremenda situazione che lo vedeva come il cattivo, il terzo in comodo, l’approfittatore. Non poteva sopportarlo, non poteva accettarlo. Lei lo aveva in pugno, e lui lo sapeva. Ma, d’altronde, chi poteva davvero rifiutarla? 
E lei, nonostante l’attrazione per lui fosse sincera, e lui lo sentiva, i suoi baci non lo erano affatto. 
Non sapeva se stava continuando a sabotarsi da solo, ma ad un certo punto, decise di rompere quei giochi di sguardi e prendere le redini che lei aveva lasciato sul materasso, in un gesto simbolico in cui esternava di non voler più decidere. 
La baciò lui, ma delicato, non potendo davvero rifiutare un simile invito. Ma aveva frenato gli spiriti audaci, senza voler strafare prima di sapere, prima di capire. Un bacio a fior di labbra, genuino e ardente allo stesso tempo, mentre stava in attesa di sentirla reagire ad una simile dolcezza inaspettata. 
“C-che fai?”
E fu ancora lui a baciarle il collo, in un modo che voleva essere leggero e sensuale, ma che nonostante il tentativo, risultava lo stesso più rude di quanto avesse voluto. La sentiva improvvisamente priva di ogni sicurezza, capendo perfettamente che per quanto tosta ed energica, da donna dal caratteraccio sfacciato, irascibile,  forte, che lo aveva stretto per la mandibola e si era presa le sue labbra senza chiederle, era totalmente sprovveduta e inerme quando si trattava di dolcezza e gentilezza nei suoi confronti. Soprattutto di quel tipo di premure, di quel tipo di attenzioni. Sorrise appena, prendendosi una piccola soddisfazione, mentre la sentiva rabbrividire. 
Nami era diventata strana, più strana del solito, confusa, e indugiava sul da farsi, in una situazione in cui lei stessa per prima si era gettata. 
La barba di lui le solleticava la pelle, pizzicandola, e le mani che la cingevano, iniziavano ad opprimerla. Non era abituata a questo. Non poteva sopportare tutto questo. 
Ciononostante, quella bocca calda le provocava degli spasmi, e quasi ci riusciva a distrarla, ad allontanarla da tutto. Riusciva a perdere quasi la lucidità.
Ma era inerme. 
E poi, improvvisamente, l’idea di  quell’altro  che la baciava in quel modo, la fece sentire quasi sporca, come se non avesse potuto nemmeno farli pensieri simili con lui, per lui. 
Un lui che non lo avrebbe mai permesso. 
Ma Pauly, ignaro di simil pensieri, continuava a baciarla sulla pelle in quel modo lento che indolenziva i sensi, premuroso nel non farle male, a non provocarle altro che piacere. Era attento a non tirarle i capelli corti, era attento a non schiacciarla sotto al suo corpo prorompente. 
Ma lei? Aveva perso fiducia in quello che sapeva fare meglio: essere impulsiva, essere audace, essere letale. Non era così che bisognava agire? Con la forza e la sfrontatezza? 
In quell’attimo di sensuale dolcezza, Nami si rese conto che non aveva idea di cosa un uomo era capace di offrire in quella circostanza. E quando poi lui la costringeva a ricambiare il suo sguardo, lei non sapeva più chi stesse guardando e a chi stesse pensando. 
Ancora quell’immagine che si sovrapponeva a quella reale, quei lineamenti, quello sguardo severo, quei capelli verdi. 
Immaginarlo ancora baciarle la pelle in quel modo…lento. Non era da lui. Non sarebbe mai stato da lui. Si morse il labbro in preda alla follia più cupa che le stava annebbiando la ragione. Perché aveva iniziato ad immaginarlo in questa veste? E Perché proprio adesso? 
Pauly l’aveva condizionata. Si, era stato lui. 
In un attimo, l’idea che quell’altro mai le avrebbe offerto niente anche solo di minimamente simile, la fece spaventare.
Con un gesto impulsivo, aveva allontanato l’uomo da sopra di lei, facendolo ricadere di schiena dall’altra parte del letto, uscendo da quella trappola sensuale e pericolosa diventata fin troppo intima per lei. Una cosa che proprio non le riguardava. Proprio ciò che non stava cercando. 
“Ho bisogno di un po’ d’aria.” 
 
Era rimasta seduta sul letto, respirando silenziosamente, chiudendo gli occhi e assaporando quella ritrovata libertà, mentre un Pauly accondiscendente, che già aveva preannunciato dentro di sé un simile finale, si aspettava un pugno sulla nuca da un momento all’altro. Un pugno che però non era mai arrivato, e, così, infilando la mano dentro i Jeans, aveva tirato fuori un altro sigaro che sperava di poter terminare, o, almeno, assaporare un po’ di più dei due antecedenti, come premio per aver fatto la cosa più giusta. 
 
 
“Sei sfacciata e prepotente” 
il carpentiere sfumacchiava alle sue spalle fissando il soffitto, con ancora il cuore in tumulto “…e non hai problemi a mostrare e usare il tuo corpo!”
“Dove vuoi arrivare?” 
Nami, che era rimasta in ascolto il tempo di un respiro, si era voltata con scatto felino, in posizione di difesa, sentendosi mal provocata in un momento molto strano e insolito della sua vita. 
“Mi hai accusato di essere a disagio con le donne, ma tu hai avuto paura di un po’ di intimità con un uomo.” 
“É questo che pensi?”
“É quello che ho visto.”
Impossibilitata a rispondere se non con un brontolio, in un verso intraducibile che veniva fuori dai denti serrati, si sentiva presa in contropiede. 
“Io posso raggirare un uomo come e quando voglio.”
“Non ho dubbi su questo” cacciò fuori il fumo dal polmoni pieni “ma non é ciò che ho detto.” 
“Stai travisando…”
Ma da quel momento, le cose, nella testa di Nami, avevano iniziato a vorticare. Lei continuava ad aggrapparsi all’idea ostinata della sua capacità manipolatoria sugli uomini. E questa certezza, ne era abbastanza consapevole, Pauly, non sarebbe riuscito a portargliela via con così tanta facilità. Lei, in fondo, aveva un talento sovrannaturale, riusciva a manipolare anche uno come Zoro, orgoglioso quasi quanto lei, e per nulla assoggettato dallo charme femminile. Come poteva Pauly non vedere questa sua predisposizione? La stava sottovalutando? 
“Hai lo stesso problema con lo spadaccino. Vi ho osservati. L’intimità tra voi vi mette a disagio.” 
“Ancora?” Si stava innervosendo in quel modo che non riusciva a controllare, a spiegare a sé stessa, chiedendosi come mai stavolta non riuscisse a rispondere a tono.“Stai dicendo cose che non puoi sapere.”
Nami aveva ripreso a voltargli le spalle, stringendo le gambe e irrigidendo tutto il corpo senza nemmeno rendersene conto. Cosa stava succedendo? Cosa era quel capovolgimento della situazione? Ma non erano loro, quegli uomini ottusi, ad essere impauriti dalle donne?
“Vi ho visto quella notte, soli, nel vagone del treno. C’era una tensione che si poteva tagliare in due con la corda”. 
“Idiota!” Era esplosa, ma solo dentro alla sua testa, perché con la voce non ci riusciva più, le usciva flebile e tesa come una corda di violino. “Eravamo tutti in ansia per la terribile situazione. Chiunque sarebbe in grado di capirlo.”
Ma Pauly non voleva demordere. Doveva andare a fondo. Doveva avere la certezza che aveva rinunciato a lei per un motivo giusto e valido, o non se lo sarebbe mai perdonato.
“Quel giorno, sul treno, quando ti sei cambiata i vestiti davanti a tutti”
“Possibile che non pensiate ad altro?”
“…lui si è voltato dall’altra parte.” 
Aveva scostato le spalle dalla spalliera del letto, mettendosi più vicino a lei col busto e alzando inspiegabilmente – per Nami - la voce. Lei alzò un sopracciglio, molto, molto sorpresa da quella stranissima affermazione, ma scegliendo ancora una volta di evitare approfondimenti. 
“Stai parlando di-“
“Lo spadaccino, diamine!” 
Sbuffò sconcertata e improvvisamente quasi annoiata, come se Pauly dopo tutto non avesse poi detto niente di così assurdo o davvero insolito. Forse, se per un attimo aveva iniziato a credere, ad avere dei dubbi su sé stessa, con questa uscita, iniziava ad arretrare. Pauly si sbagliava, eccome se si sbagliava. 
“Niente di così strano come pensi, lui non é ossessionato dal corpo delle donne come tutti gli altri.” 
“Mai sentita una stupidaggine così….” 
“Umh?”
“Svegliati scostumata!”
“Smettila di chiamarmi così o te le suono.” Lo minacciò al solo sguardo. “Allora? Cosa vuoi dire?”
“Se non é interessato, cosa cambierebbe per lui guardarti oppure no?” 
“Zoro…non é un pervertito!” Iniziava a sentirsi senza controllo. Non sapeva se per le possibili accuse che il carpentiere voleva infliggere al suo compagno di cui si fidava ciecamente, o se per la paura di cosa stesse per scoprire. 
“Ma che c’entra!” Appoggiando entrambe le mani sul letto era scivolato a fianco a lei. “É così attratto da te, che non può concedersi di guardarti.” 
“Che stupidaggine.” Gli ringhiò contro anche lei.  Non poteva stare a sentire una cosa così ridicola. Non sarebbe mai potuta essere vera. 
Anche se…
 “Perché stai parlando ancora di Zoro? Ti ho detto che siamo solo compagni.” Con i visi nuovamente uno accanto all’altro di profilo, i due si ringhiavano contro, totalmente in disaccordo. “Ma poi perché stai urlando con me?”
“Perché diamine non vuoi ammettere la verità” aveva sbuffato, alzandole il viso con un dito, ma non bruscamente, non con rabbia. “Voglio almeno avere la certezza di essermi messo da parte per qualcosa per cui non posso fare nulla.” 
“Messo da parte?”
Come poteva quell’uomo riuscire a provocarle questo effetto. Perché si sentiva così indolenzita emotivamente. Perché era…commossa? 
Lo sentì sbuffare ancora, forse arreso. 
“In qualche modo, mi hai assomigliato a lui, no?”
Una verità alla quale Nami non poteva sfuggire. Una prova della vita che non poteva dire di essere riuscita a superare. Non sapeva cosa l’attendeva oltre quell’ammissione. Perciò, preferiva il silenzio, una tacita conferma, che riusciva a rendere tutto più sopportabile. 
Istintivamente, lo aveva accarezzato sulla guancia, in un gesto delicato che era solita dedicare solamente ai bambini o ai cuccioli come Chopper, forse superando un piccolo ostacolo per lei e per le sue rudi abitudini. “Mi dispiace per questa serata.” 
Pauly era esterrefatto. Per un solo attimo, avrebbe potuto giurare che le avevano brillato gli occhi. Un gesto sentito, un gesto che un po’ gli dimostrava sentimento. 
“A me no.” 
Sincero nello sguardo, e, forse, innamorato nel gesto, Pauly non mentiva per pura galanteria. Era contento di averne avuto anche solo un pezzetto di quello scoppio di vita ed energia. 
Non sapeva come altro definirla, in definitiva. 
“É vero…” era chiusa in un momento in cui non si riconosceva, in cui si sentiva fragile, ma voleva chiarire, e voleva anche sapere, bramosa di sentire qualunque cosa li riguardasse, senza però ammetterlo ad alta voce “abbiamo avuto un diverbio quest’oggi. Ma il motivo?” sospirò una bella dose d’aria, prima di proseguire a confessare il suo segreto “… Usop. Perciò, niente di personale. Mi dispiace distruggere le tue teorie d’amore.” 
Lui, alla fine, aveva deciso di rispettare la sua ostinazione, rimanendo al suo fianco e lasciandola continuare, ma senza costringerla troppo ad esternare i sentimenti. Tanto, ormai, lui lo aveva capito. 
“Le decisioni di Usop lo hanno ferito. Ma anziché ammetterlo apertamente ha solo saputo arrabbiarsi e poi…lui non è disposto a …” sentiva nuovamente il suo corpo irrigidirsi, agitarsi, dilaniarsi in un forte rimbombo.
“Fammi indovinare” gli occhi chiusi, il fumo come ossessione primaria che provava ad ammorbidirlo nella testa“…non vuole che torni con voi senza prima essersi scusato.” 
“Ma come fai a-“
“Non ci vuole molto. Mi sembra la cosa più sensata e giusta che bisognerebbe pretendere.”
Si stiracchiò le braccia verso l’alto, conscio che quella piccola conversazione stava raffreddando gli spiriti di entrambi. “Fosse stato un mio dipendente, l’avrei licenziato e mai più riassunto.” 
Nami si strinse nelle spalle arrendendosi all’ennesimo commento da maschio orgoglioso che non avrebbe accettato discussioni, abbassando il capo fino a reggerlo con le mani, sospirando demoralizzata.
“Maledetta presunzione maschile!”
“Hei” il biondo le mise una mano sulla spalla “guarda che quello più orgoglioso di tutti in questo momento é il tuo amico nasone, lo spadaccino che colpa ha, se quello non torna da voi con le sue gambe?” 
“Infatti siete tutti stupidi e babbei!” 
Continuava a reggersi la testa con le mani, in preda alle convulsioni. Ma grata al carpentiere di quel contatto sulla pelle che non la faceva sentire sola. “Sai quanti danni può fare questo maledetto orgoglio?” 
“E quanti ne potrebbe fare il non averlo, secondo te?”
Un dubbio che l’aveva portata a rialzare il capo e scontrarsi con l’uomo sedutole accanto, per l’ennesima volta quella sera.
“No, no, tu non capisci. Se anche accettassi che sia giusto questo ragionamento, se anche pensassi che Usop debba scusarsi” 
ancora una volta, quel giorno, provava a far valere la sua voce 
“é il rischio che una decisione del genere porta con sé che mi fa impazzire.” 
Si era appena liberata di qualcosa? Forse la più piccola, ma era pur sempre un punto di partenza.
“Se Usop non dovesse scusarsi con noi per orgoglio” 
e si voltò verso di lui anche col busto per guardarlo negli occhi del tutto,
 “perché sarebbe solo questo il motivo”,
lo colpì con il dito sul naso con espressione contrariata, quasi minacciosa, quella che di lei aveva imparato a conoscere bene 
“noi perderemmo un amico prezioso il cui vuoto sarebbe incolmabile, e lui perderebbe tutto.”
Il dito ancora fermo sul naso del carpentiere che imperscrutabile rimaneva immobile ad ascoltarla. 
“E se invece il capitano perdesse il proprio di orgoglio, e andasse a ripescarlo per non perderlo, allora…” quasi le tremò la mano con cui dito gli pizzicava il naso “allora…noi perderemmo…”
Pauly sentiva il tormento. Sentiva la paura mista alla rabbia sovrastarla nella voce, nella postura, nello sguardo. “Allora sarebbe Zoro, quello che se ne andrebbe, che ci lascerebbe.” 
Sembrava trattenere il respiro, come se avesse estirpato dalla testa un pensiero che aveva appena preso forma nella realtà, diventando tangibile. 
Un pensiero costante, quasi ossessivo. Così tanto da essere insopportabile.
“Così, in che universo dovrei scegliere tra un amico ed un altro? Ed é stato lui a metterci tutti in questa condizione, non lo nego, ma quel testardo di Zoro l’ha peggiorata di proposito.”
Sbuffò, esausta da quella lunga giornata che non avrebbe mai potuto dimenticare. Lunga giornata di spiegazioni, scuse, minacce, orgogli, fragilità maschili…il cui peso l’aveva stravolta, sovrastata nella voce, quasi traumatizzata. 
Pauly non aveva perso il filo del discorso, e, con facilità aveva ricomposto il puzzle. Il sentimento che era arrivato da quelle parole e tutto quanto di quella serata assumevano un senso ben preciso, guardandola con la presunzione di chi aveva ogni cosa chiarissima nella mente. 
“Oh andiamo. Avevi già capito da un pezzo che stavo così per la situazione con Usop.” 
Nami aveva nuovamente piegato un po’ il busto verso il basso, per rinfilare con urgenza le scarpe, prima la destra, con un colpo deciso, e poi quella sinistra di cui si era leggermente slacciato il laccetto della caviglia, e stava impiegando più tempo del previsto per richiuderlo. 
“É chiaro che ci stai soffrendo.” 
Ispirò il fumo lui, allungando a sua volta un braccio e avvicinando le sue scarpe al letto, capendone le intenzioni “Ma quello che ti sta facendo delirare veramente...” 
Finito di chiudere il laccetto, Nami, che improvvisamente aveva voglia di lasciare quella stanza, forse perché inconsciamente realizzava di aver raccontato troppo e che il suo reale problema stesse prendendo una forma, quella che voleva evitare a tutti i costi, iniziò a pensare alla fuga. 
Il carpentiere lo aveva già capito, e sempre con quel suo fare lento ma interessante, aveva a sua volta indossato i suoi stivali, pronto a correrle dietro. 
“Ho compreso tutto benissimo, grazie.”
Lo interruppe, facendogli segno con il palmo della mano aperto come per silenziarlo. “Ora é tardi. É meglio se faccio ritorno, prima che qualcuno si preoccupi per me.” 
Mentre si dirigeva verso la porta, lui prese rapido una maglietta a canottiera e una giacca blu dall’armadio, e, in un nano secondo, le era già dietro per le scale. 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
“Ti vuoi decidere a indossare questa stracavolo di giacca?!”
“Dopo tutto quello che mi hai fatto, ancora continui con questo dramma?” 
Sbuffò scocciata, ma soffiandogliela comunque dalle mani, perché in realtà aveva leggermente freddo. “E va bene.” Gli diede una vittoria mentre infilava le braccia nelle maniche, nonostante l’inserimento volontario di quella provocazione. “Contento?”
“Che cosa ti avrei fatto!???”
Ma dopo un attimo di esplosione a pieni polmoni da parte di lui, lo sentì sospirare appena di sollievo. “Molto meglio se alzi anche la cerniera.”
Fianco a fianco, i due erano già arrivati ad un canale, constatando di quanto l’ora fosse diventata tarda, dal momento che di persone in strada quasi non se ne trovavano più. 
“Non c’era davvero bisogno che mi riaccompagnassi, comunque.” 
“Per così poco.” 
“Non ti stavo ringrazian- hei ma che fai!”
“Vieni! Prendiamo uno Yagara. Facciamo prima ad arrivare.”
Pauly l’aveva presa di peso per la vita e caricata su quell’inusuale mezzo di trasporto, non curandosi di tutte le proteste e insulti e pugni che gli arrivavano per reazione.
“So salirci benissimo da sola!”
Ad un certo punto sorrideva come un bambino che aveva trovato una montagna di caramelle per puro caso, e Nami stessa si era stupita di non averlo notato di come fosse bello con quella luce negli occhi mentre abbandonava per un attimo tutta quella apparenza di mascolinità. “Guarda che non facciamo prima proprio per niente.” 
“Lo so. Ma voglio divertirmi ancora un po’ con te.” 
“Idiota!” 
Ma sorrise anche lei, seduta accanto a lui, tagliando ogni distanza, e assaporando ancora un po’ di quel suo calore. 
Da fuori sembravano a pieno titolo una bellissima coppia di innamorati, perfettamente compatibili, in quelle loro stramberie e caratteri profondi. 
Ma dentro, dentro c’era un altro.  
“Non sei abituata all’intimità, non sei abituata a gesti di normale galanteria…” Pauly aveva preso le redini dell’imbarcazione, preparandosi a partire “…che non prevedano una dose di perversione, intendo.” 
Nami alzò il sopracciglio, seccata di quella rivelazione su di lei che non era sicura di capire, anzi, di volerla proprio sapere. 
“Ti ricordo che vivo con dei pirati, che sono per lo più dei bambini.” Scosse appena la testa, convinta di aver capito la realtà della sua situazione. “Aspettarsi certe carinerie é fuori discussione.” 
“Bambini, eh?”
“Babbei, più che altro. Diventano uomini solo quando è necessario.” Sospirò con fare esageratamente drammatico. “Ma va bene così.” Sul volto comparve finalmente un sorriso acceso, di quelli che difficilmente si dimenticano. Dopo tutto, per quanto potesse arrabbiarsi, non riusciva ad incolparli sul serio. In fondo, gli amava per quelli che erano. E Pauly riuscì a capirlo abbastanza in fretta. D’altronde, ne aveva già avuto una bella prova, di quell’amore – e proprio da lei - durante l’acqua laguna. 
 
Erano rimasti in silenzio per tutto quel breve tragitto, vicini, emotivi, ma con i cuori più tranquilli di poco prima. Ma Pauly sapeva di dover obbligatoriamente sferrare un forte colpo a quell’animo che sapeva ancora non stesse guardando nel punto giusto. Così, appena arrivati a destinazione, le aveva avvolto la vita con il braccio, avvicinandola a lui con ancora più insistenza, provando un po’ di rammarico mentre si perdeva in quegli occhi di fuoco nuovamente sorpresi che avevano iniziato a guardarlo senza capire. 
“Che ti prende ades-“
La tenne stretta nella presa per evitare ogni scappatoia, regalandole, ancora un’altra volta, forse l’ultima, quella protezione. “Ascoltami” sospirò più aria fresca che poté, facendo entrare nelle narici e nella gola quell’odore stagnante a cui era abituato.
“Non vorrai ancora parl”
 “L’idea che lui possa abbandonarvi ti ha terrorizzata così intensamente che hai perso la testa.” 
La vide sgranare gli occhi a metà strada tra l’essere lucidi e indiavolati, in procinto di protestare, di rifiutare la cosa – quella cosa – ad ogni costo. Era arrabbiata con Zoro, ma come era già capitato in altre occasioni. Avevano due caratteri esuberanti ed emotivi, era normale per i loro animi scontrarsi, anzi, poteva dire che era inevitabile. Ciononostante, non poteva e voleva avere brutti pensieri su di lui nella testa. Non poteva tollerare di avere dubbi su quell’uomo così importante. Proprio lui. Quello su cui più di tutti poteva contare. 
“Diavolo, mi sei quasi svenuta tra le braccia, oggi.” 
“Carenza di zuccheri. Se tu mi avessi dato qualcosa di più forte da bere, magari non sarebbe successo!”
“Che idiozia é questa?”
Ma Nami voleva nuovamente fuggire da quella presa, da quella trappola in cui avrebbe dovuto scontrarsi con la verità. Una verità scomoda. Un’altra verità scomoda come già ne aveva avuto modo di sentire quella sera. Non le reggeva tutte insieme. Pauly l’aveva confortata, fatta sentire meglio, protetta da se stessa, ma l’aveva anche spiazzata. Quelle sue continue parole avevano attraversato la sua corazza, e anche il suo cuore. I suoi occhi, che sembravano così sinceri, di uno che non voleva per niente farle del male, le suggerivano che lui avesse ragione. Una ragione che però non era pronta a condividere. 
“Non posso perdere un compagno prezioso!” 
“Non puoi perdere lui.” 
“Nessuno dei due. Nemmeno Usop. Così come non potevo perdere Robin. Lo capisci che ci starei male in egual modo?”
“Ne sono certo. Ma… 
Quando volevi salvare Nico Robin a tutti i costi, hai fatto tutto quel bel discorso del combattere per chi si ama…eppure, mi é sembrato di capire che non la conoscevate così bene, ancora.”
“Non era necessario.” 
“Non é questo il punto. Il punto è l’amore. Hai lottato così tanto per amore verso Nico Robin, che conoscevi a malapena, immagino che…”
“D’accordo, ho capito.” 
Si divincolò dalla sua presa, convinta di non aver bisogno di quella premura. Poteva farcela, poteva risolvere questa discussione da sola. “Vuoi sentirmi dire quanto Zoro é importante per me?”
“beh, l’hai mai detto ad alta voce?”
Un altro boato in quella esplosione. 
No, non poteva risolverla da sola. 
Perché bastava così poco per metterla in crisi? Perché bastava così poco per farla precipitare? 
Aveva abbandonato il suo posto, sbarcando sulla terra ferma, mentre si muoveva compulsivamente con azioni agitate ma svelte, i pugni chiusi e il nervosismo nuovamente addosso.
“Sono furiosa con lui.” 
Sospirava per calmarsi. Aveva fatto il possibile per lasciarsi alle spalle quella strana e apparentemente indecifrabile sofferenza che aveva provato. Ma niente da fare. Continuava a ritornare da lei. Voleva arrabbiarsi con Pauly per questo, ma poi cosa ne avrebbe tratto? Lui lo stava facendo per lei. Lo stava facendo per farla tornare “a casa” meno insofferente, oppure, forse, solo più consapevole. Non conoscere la natura di un dolore poteva essere peggiore di conoscerla? 
Voleva lasciarsi quella minaccia alle spalle come quando si lasciavano il sole indietro e avanzavano alla prossima avventura. Voleva non sentire il peso di quelle parole. Voleva dimenticare tutto e andare avanti. 
“Mi fa così arrabbiare che abbia impartito quell’ordine…! Con quale diritto? Se penso a quel suo dannato carattere ottuso e orgoglioso da uomo che non può mai permettersi di soffrire, mi fa incaponire la testa in un modo che-“ 
E poi si era fermata. Si era resa conto di stare mostrando quei sentimenti che aveva voluto evitare di mostrare per tutta la sera. 
In un attimo fu chiaro. Era arrabbiata perché lui, non solo avrebbe lasciato la ciurma, ma avrebbe lasciato anche…lei. Senza pensarci due volte. Senza pesare il colpo. Lui avrebbe risolto così quella situazione. Chiuso i battenti. Avrebbe detto: “addio é stato bello”; “Tanti saluti a non rivederci più”. Ma lei cosa centrava con le scelte e azioni di Usop? Lei cosa rappresentava per lui se era pronto a lasciarsela alle spalle con quella facilità?
Ad un certo punto era chiaro: niente lo avrebbe fatto arretrare. Nemmeno l’amore verso tutti loro. Nemmeno lei. Lei che non ne avrebbe avuto il potere di fermarlo, di convincerlo. Perché lui aveva già deciso. 
Poteva anche provare a capire le sue leali motivazioni, ma non avrebbe mai e poi mai accettato quella minaccia dettata da uno stupido codice di orgoglio che imponeva di essere seguito. Significava che loro, e lei, venivano dopo. Quando invece lui non sarebbe mai venuto dopo al suo di orgoglio o ad una stupida presunzione, seppur fondata. 
Ora vedeva tutto. 
“Maledizione.” 
Ed era lì, ad afferrarsi il labbro inferiore con i denti.
“Ora si, che lo stai vedendo quel tuo tormento.” 
 
 
 
 
 
In prossimità dell’alloggio che ospitava la sua ciurma, Nami non sapeva come sentirsi. Eppure, solitamente, una persona dovrebbe sapere come si sente. Ostinata dal voler superare a tutti i costi quello screzio che solo lei portava nel cuore all’insaputa di tutti, aveva rilassato la sua rabbia, accettando, forse, quella situazione. Aveva guardato Pauly camminare qualche millimetro davanti a lei, silenzioso, anche lui ostinato in quell’azione cavalleresca, e si era chiesta cosa fosse realmente successo in quella giornata. Perché non si era solo trattato di un semplice accompagnarla, ma l’aveva accolta, le aveva allungato una mano, era stato qualcuno su cui aggrapparsi in un momento instabile. Forse esagerava, ma non le importava. Quell’uomo le piaceva. E se il suo cuore non fosse stato già abitato, in un modo che stava vedendo solo adesso con più lucidità, lui sarebbe stato sicuramente un perfetto candidato. Si rese conto solo in quel momento che tutto ciò che più le piaceva di Pauly, apparteneva anche a Zoro. Naturalmente, con Pauly sarebbe stato tutto così più facile, comodo – tranne quando faceva l’indisponente verso il suo essere una donna con delle forme. Perché, al contrario, in Pauly non c’era tutta quell’altra parte, più complicata, ostile, boriosa, superba, colma di rigide regole e fortemente orgogliosa, di Zoro. 
“Ma guarda un po’ chi c’é. Quello la’ fuori mi sembra proprio il tuo spadaccino.” 
Ancora quel boato pronto ad implodere all’improvviso.
No. Doveva mantenersi salda. Doveva mostrare tutta la sua tempra.
“Ah.” Sospirò, guardando dritta davanti a loro. “Come al suo solito. E piantala di dirlo in questo modo!” 
“Dici che ti starà aspettando?” 
“Per lui é normale allenarsi a notte fonda e stare vigile mentre gli altri dormono. Non farti strane idee.” 
 
Arrivati a qualche metro dalla porta d’ingresso, nel totale e offuscante silenzio, i due rimasero solo per un attimo sotto agli occhi di Zoro, che, con la fronte madida di sudore, la maglietta fradicia e sul volto un espressione impassibile, forse leggermente infastidita, probabilmente succube del dolore da allenamento, stava seduto su una roccia di fianco all’entrata principale del casolare a gambe incrociate, tenendo in alto i suoi pesi che nessun uomo normale avrebbe potuto nemmeno sognare di sollevare.  
“Oh, Zoro.”
Nami accelerò svelta il passo, allontanandosi da Pauly prima che potesse crearsi una situazione che poteva essere fraintesa. Anche se era più che certa che lui non avrebbe mai pensato a quel tipo di situazione a cui lei si riferiva. Gli passò accanto con normalità, lasciandosi un po’ indietro un Pauly che già aveva salutato con un imbarazzante gesto della mano, evitando contatti più sfrontati, cercando di trattenere dentro di sé tutto il suo tumulto, ma rassicurata dal fatto che, nonostante tutto, nonostante la rabbia, riusciva comunque a risentirsi sé stessa quando lo aveva vicino.
“Be’, grazie per avermi accompagnata. Notte.”
Disse un po’ all’aria, un po’ ad entrambi, prima di aprire la porta velocemente ed entrare, con il bisogno di levarsi di dosso occhi che l’avrebbero forse scrutata fin troppo.  
Fuori, Pauly fece un cenno con la mano in segno di saluto, ricambiando appena in tempo prima di sentire la porta chiudersi. 
“Notte” aveva ripetuto come in automatico, pensando a quanto, nonostante tutto, Nami fosse davvero tanto chiusa in uno strano disagio quando si trattava di questo genere di gesti. Brava a dare mazzate. Provocatrice a mostrarsi. Per nulla timorosa nel parlare apertamente dell’amore per i compagni. Ma totalmente impreparata e fragile in quello scambio di normali effusioni con gli uomini. Era davvero una donna unica. 
Si accorse di essere osservato, mentre era rimasto immobile ad osservare la porta chiusa, alzando appena gli occhi e scontrandosi con Zoro che però non aveva smesso di continuare ad allenarsi. Quello spadaccino che, se non per un piccolo accennato fastidio in quell’espressione, sembrava totalmente riuscire a starne fuori da ogni cosa. Eppure, lui lo sentiva che non poteva davvero essere così indifferente. O forse Nami aveva ragione, era davvero uno tosto fino al midollo. Forse, non c’era spazio in quell’uomo per quel genere di cose. Non che questo lo rendesse meno importante agli occhi di lei, o meno buono come uomo. Questo era evidente. Nonostante tutto ciò che lei aveva provato e detto in confidenza quella sera, al ritorno era riuscita a ritrovare la pacatezza di salutarlo come niente fosse, apprezzandolo così come era. 
Il carpentiere, un po’ deluso dal non avere visto quello che voleva vedere da quell’uomo, decise di dileguarsi, alzando nuovamente la mano in aria, in segno di saluto, accompagnato da un semplice “ci vediamo.” Fintanto che non sentì più nessun rumore arrivare alle sue orecchie: il verde aveva cessato il suo movimento.
 
“Lei sta bene?”
 
Una domanda che lo aveva colto davvero alla sprovvista. Un altro uomo, forse, sarebbe scoppiato dalla gelosia. Lui, per lo meno, avrebbe reagito senz’altro così... 
Ma “quello là”, diamine, quello là riusciva a non farlo. O magari non lo era davvero. Possibile che avesse frainteso tutto? Nami aveva avuto ragione, quindi? Eppure, lui aveva sentito, aveva distinto quel qualcosa che c’era tra loro dalla più pura amicizia. E tutta quella tensione che aveva percepito allora? 
“Perché lo chiedi a me?”
Aveva risposto voltandosi nuovamente e incrociando quello sguardo rimasto identico a prima.  
“É venuta da te.”
Eccolo. Poteva forse essere quella, una prima reazione? Stava cedendo? Lo aveva messo in trappola?
“In realtà é stato un incontro casuale.” 
“..”
Pauly aveva sospirato senza farsi notare, stranito, ma con la situazione sempre più chiara davanti. Nami poteva sapere tante cose di Zoro, ma era cieca al quadrato sul fatto che lui non si preoccupasse per lei in quel modo che dava l’impressione di un cuore in supplizio, che andava anche oltre lo stesso amore di cui parlava lei. Quell’uomo all’apparenza impassibile e menefreghista, non era silenziosamente nervoso solo per via dei muscoli in tensione. 
“É arrabbiata.” 
Gli aveva confidato, riaccendendosi il sigaro, e osservandolo mentre in piedi, scendeva dalla roccia con un salto, prendeva i pesi e si preparava per tornare in direzione della porta del loro alloggio temporaneo. 
“Con te.” 
“Capisco”. 
Niente. Non voleva proprio dargliela una cavolo di soddisfazione per averci preso. O, forse, dalla fretta con cui stava rincasando, anche lui stava scappando da qualcosa? 
“Hei spadaccino! Posso farti una domanda?”
“Umh?”
Zoro non si era voltato, ma, quasi irrequieto, aveva come proteso l’orecchio in attesa di quella domanda che, senza nemmeno essere stata ancora pronunciata, creava tensione.  
“Ma tu non sei davvero nemmeno un po’ geloso?”
Sembrava irritato e imbarazzato allo stesso tempo, sicuramente si aspettava qualcosa, ma certamente non una questione simile. Però, con la sua solita irremovibile inflessibilità, era riuscito a divincolarsi, continuando ad avanzare verso la porta. 
Ma poi, con le dita ad avvolgere la maniglia, Zoro si era fermato. 
“Dovrei esserlo?”
Pauly non voleva indispettirlo, però aveva capito di averlo appena messo in una situazione in cui non si sarebbe voluto trovare, e, visto che ormai era lì, tanto valeva dargli fastidio del tutto. Così, da vero “ bastardo” gli gettò il peggiore degli ami. 
“L’ho baciata.”
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Note dell’autrice______________________________
Povero Zoro. 
Immagino che concludere così il capitolo sia una bella cattiveria, ma non ho voluto farlo di proposito, è stato anzi tutto molto casuale. Inizialmente volevo chiudere prima, nel momento in cui lasciano l’appartamento. Perciò vedetela così, come un finale extra che altrimenti non ci sarebbe stato. 
 
Questa FF stava tra le mie note-bozze da circa un anno, l’ho ripresa in mano solo un mese fa e sono stata a lungo titubante sul volerla pubblicare. Ma poi ho pensato: meglio comunque qua che lasciarla in bozze. Almeno, la penserò così finché un giorno la rileggerò, la odierò e me ne pentirò. (Sono il Liam Neeson dei disagiati.)
 
Dal rating incerto, era stata pensata per essere una semplice one shot, ma si é rivelata troppo pesante per essere sopportata tutta in blocco, perciò ecco spiegata la semplice suddivisione in due capitoli. 
Oppure la lascerò così per sempre. 
 
Saluti
RobiZN
 
 
   
 
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