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Autore: Milly_Sunshine    23/04/2023    2 recensioni
Dopo molti anni, Enrico torna nella sua città natale, dove ha accettato un lavoro nello stesso albergo nel quale lavorava suo padre. Qui rivede Carolina, sua vecchia amica che lavora alla reception, per la quale prova un'attrazione in apparenza non corrisposta ed è ignara delle vere ragioni che abbiano convinto Enrico a tornare a casa. Alle loro vicende si incrociano quelle di Vincenzo, figlio del vecchio titolare che ha di recente ereditato l'attività di famiglia. Ciascuno di loro ha i propri segreti, ma un segreto ben più grande, che risale all'epoca della loro infanzia, sta per sconvolgere le vite di tutti e tre. Il contesto è "generale/ vago" perché "persone adulte che vivono nei primi anni '90" non è contemplato.
Genere: Drammatico, Mistero, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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ALLUCINAZIONI E DELIRI

Olimpia si diede una fugace occhiata allo specchio. Aveva le occhiaie piuttosto pronunciate e si vedeva alquanto pallida, in uno spiccato contrasto con il colore acceso dei capelli. Forse avrebbe dovuto dormire di più, il suo aspetto ne avrebbe giovato. Oppure avrebbe potuto limitarsi a cambiare il colore della propria tinta. Ci aveva pensato tante volte, ma ormai era affezionata al rosso fuoco.
Si raccolse i capelli in una coda e fece per avviarsi verso la porta, ma una voce la trattenne.
«Aspetta, dove vai?»
Olimpia si girò lentamente. Non aveva sentito Claudio raggiungerla, pensava fosse ancora in soggiorno a guardare il telegiornale.
Doveva essere una domanda retorica, dato che conosceva bene la risposta, ma Olimpia ribadì: «Vado a lavorare, devo dare il cambio a mia madre.»
«Dobbiamo parlare» replicò Claudio, con un tono che non ammetteva repliche. «Devo spiegarti...»
Scuotendo la testa, Olimpia lo interruppe: «No, non devi dirmi niente.»
Certo, era rimasta spiazzata nel sentire le parole uscite la sera precedente dalla bocca di suo suocero, ma erano soltanto le farneticazioni di un malato terminale ormai quasi privo di quello che restava della propria lucidità.
Era assurdo che Claudio si sentisse in dovere di giustificarsi. Eppure suo marito la fissava con sguardo supplichevole, mentre la pregava: «Non farne parola con nessuno, nemmeno con tua madre.»
Olimpia gli ricordò: «Mia madre andrà a casa subito, una volta che sarò al bar. Non ci sarebbe nemmeno il tempo materiale per farlo.»
Gli occhi imploranti di Claudio si fecero di colpo più duri.
«Non ho detto che non gliene devi parlare oggi, ma che non devi farlo mai.»
Sembrava teso, e non c'era da stupirsene viste le condizioni nelle quali si trovava suo padre, ma a Olimpia parve che ci fosse qualcosa di più. Di solito vedeva Claudio come rassegnato alla sorte ormai inevitabile di Maurizio, un po' come se stesse piegando la testa di fronte a un destino avverso. Non era quello lo stato d'animo che scorgeva in lui in quel momento, Claudio sembrava piuttosto desideroso di sconfiggerlo, quel destino che si metteva di traverso.
Cercò di rassicurarlo: «Non preoccuparti, non ne parlerò con mia madre.»
«Né con tua madre né con altri» le impose Claudio.
Olimpia sbuffò.
«Mi hai presa per una cretina?»
«No, ti ho presa per quella che sei» ribatté Claudio. «Lo so che non riesci a tenere a freno la lingua. Tutto quello che succede, lo devi sempre riferire a qualcuno. Quando lavori insieme a tua madre, stai tutto il giorno a spettegolare con lei su qualsiasi cosa. In alternativa parli continuamente con i clienti del bar.»
«Parlare con i clienti è fare esattamente quello che si aspettano da me» mise in chiaro Olimpia. «Mi raccontano un sacco di cose, non sono io quella che tira fuori gli argomenti di conversazione. Non c'è bisogno che tu mi dica che non devo riferire che tuo padre si è messo a vaneggiare a proposito di un tizio che a suo dire avrebbe ucciso con un colpo alla testa. Stava chiaramente raccontando una delle sue allucinazioni. Ho sentito particolari del tutto assurdi: un cadavere lasciato lungo una strada di periferia, vicino alla casa in cui abitava una ex fidanzata di quest'uomo... e per non farsi mancare nulla, quel cadavere sembrava scomparso, un po' come se qualcuno avesse provveduto a sbarazzarsene. È probabile che confonda la realtà con la fantasia. Avrà ricordato la trama di un film dell'orrore, o di uno di quei polizieschi in cui non ci si limita a seguire le indagini senza mai vedere dei morti per più di pochi secondi, e l'avrà scambiata con qualcosa che ha vissuto davvero. Mi dispiace tanto per lui. Da un lato è un bene che non si renda conto di avere i giorni contati e che non uscirà mai vivo dall'ospedale, dall'altro è terribile che si immagini queste cose spaventose.»
Claudio sospirò.
«È terribile per lui, ma potrebbe anche essere imbarazzante se qualcuno lo sentisse. Per fortuna non ha sentito nessuno a parte noi, i medici dicono che è piuttosto silenzioso, di solito.»
Olimpia obiettò: «Essere malati non è una vergogna, non c'è nulla di imbarazzante in tutto questo.»
«Però non dire niente a nessuno» insisté Claudio. «Ti prego, per me è importante. Nessuno deve sapere.»
Olimpia annuì.
«Certo, te l'ho già detto, rimarrà tra noi. Non ne parlerò con nessuno. Cosa credi, che racconti ai miei clienti che mio suocero sta per morire e pensa di essere un assassino? Vengono al bar per svagarsi, non per sentire storie tragiche e fantasie macabre.» Si girò e fece un passo verso la porta. «Devi dirmi altro o posso andare, adesso?»
Sperava che Claudio avesse finito, perché non voleva fare tardi, ma suo marito la raggiunse e le posò con delicatezza una mano su una spalla.
«Promettimelo.»
«Te lo prometto.»
«Posso fidarmi?»
«Certo che puoi fidarti! Perché mi hai sposata, se non ti fidi ciecamente di me?»
Con quelle parole lo spiazzò quel tanto che le bastava per non sentire una replica. Forse, in ogni caso, era meglio non avere risposta. Olimpia se lo chiedeva spesso, perché Claudio avesse deciso di sposarsi con lei. A volte le sembrava fossero due estranei che vivevano nella stessa casa e che avevano una vita sessuale in comune. Se lo faceva bastare, perché non credeva che la vita di coppia potesse davvero offrire molto di più; i film sentimentali mentivano, dopotutto, e lei non era mai stata davvero romantica, dato che, quando li vedeva da ragazzina trovava piuttosto comico che personaggi adulti avessero storie d'amore che sembravano quasi adolescenziali. Se lo faceva bastare, ma aveva la costante sensazione che per Claudio non bastasse.
Allungò una mano verso la maniglia e annunciò: «È meglio che vada, prima che mia madre inizi a chiedersi che fine ho fatto.»
«Buon lavoro» rispose Claudio. «Mi raccomando, ricordati che cosa ti ho detto.»
A Olimpia quella preoccupazione pareva eccessiva, gli aveva già assicurato ben più di una volta che i deliri di Maurizio non sarebbero diventati né affare pubblico, riferendone ai clienti, né affare di famiglia, parlandone con sua madre. Decise comunque di rassicurarlo ancora una volta, almeno per non essere trattenuta di nuovo.
«Me ne ricorderò, stai tranquillo.»
«Mi mancherai.»
Olimpia trattenne a stento le risate e avvampò. Claudio non aveva mai pronunciato quelle stupide assurdità da film d'amore.
«Vado solo a lavorare» ci tenne a ricordargli. «Tornerò tra qualche ora.» 

Il telefono squillò. Vincenzo alzò il ricevitore, credendo fosse Carolina che, dalla reception, gli chiedeva se poteva passargli una chiamata. Era raro, per lui, ricevere telefonate dirette dall'esterno, eppure era una di quelle circostanze. Fu una voce maschile a chiedergli: «Vincenzo, sei tu?»
Sembrava che il suo interlocutore stesse parlando da una cabina telefonica su una strada trafficata, a giudicare dallo sgradevole brusio di sottofondo.
«Sono io, chi parla?»
«Enrico.»
Si erano visti per l'ultima volta la mattina precedente, in ospedale, e Vincenzo l'aveva esortato a mettersi alla ricerca di suo padre e di Giovanna Riva. Dal momento che, come gli aveva suggerito lui, Enrico non si era presentato al lavoro il giorno precedente, doveva averlo preso in parola.
«Cosa vuoi?» gli chiese con freddezza.
«Dobbiamo incontrarci» rispose l'altro.
«Ci vediamo quando torni a lavorare.»
«No, non riesco a tornare oggi, sono ancora per strada. Però non posso aspettare fino a domani. Ho delle cose da riferirti.»
Sinceramente incuriosito, Vincenzo gli domandò: «Hai incontrato tuo padre?»
«Sì.»
«Vive insieme a Giovanna?»
«No.»
«E allora come hai fatto a trovarlo?»
Enrico chiarì: «Abita per conto suo in un monolocale, ufficialmente. È distante solo tre chilometri dall'appartamento in cui abita Giovanna. Per certe loro ragioni hanno preferito evitare di andare ad abitare insieme.»
«Gli affari loro non mi interessano» replicò Vincenzo. «Spero che tu abbia trovato le tue risposte. Ci vediamo domani.»
Riattaccò, senza dare a Enrico la possibilità di ribattere. Immaginava che Giuseppe e Giovanna gli avessero rivelato la verità sulla sua parentela con Carolina. A Vincenzo bastava. La prospettiva che la smettesse di intromettersi nella sua vita di coppia era allettante a sufficienza di non preoccuparsi per altro.
Aveva sottovalutato Enrico. Quando il telefono ricominciò a squillare, giusto il tempo che doveva essergli servito a ricomporre il numero, comprese di non potersi liberare tanto facilmente di lui.
«Cosa vuoi?» rispose, seccato, subito dopo avere alzato la cornetta.
«Vincenzo, dobbiamo parlare» replicò una voce, non disturbata dal traffico e ben diversa da quella di Enrico. «Sono Damiano.»
«Oh.» Vincenzo era spiazzato. «Mi scusi, signor Rossini. Mi dica.»
«Dobbiamo vederci» lo informò l'uomo che per poco non era diventato suo suocero. «Dobbiamo risolvere quella situazione a proposito del debito contratto da Roberto.»
Vincenzo suggerì: «Domani. Ne parlo con Carletti e poi le faccio sapere a che ora possiamo vederci.»
Il padre di Paola non si oppose. Vincenzo lo salutò e mise giù il telefono, sperando non tornasse a squillare. Gli andò male e, in quel caso, fu davvero una nuova telefonata di Enrico. Soltanto dopo averlo constatato, ripeté: «Cosa vuoi?»
«Te l'ho detto, ho bisogno di incontrarti» rispose Enrico. «Sarò di ritorno nel tardo pomeriggio. Ti devo parlare con una certa urgenza.»
«Non ce n'è bisogno» precisò Vincenzo. «Immagino che adesso tu sappia che Carolina è la tua sorellastra.»
«Non è di Carolina che ti devo parlare» obiettò Enrico. «Mio padre mi ha raccontato la storia del suo allontanamento dall'albergo e mi ha spiegato perché è andato via insieme a Giovanna.»
Vincenzo azzardò: «Sarà una scusa che si è inventato per giustificarsi.»
«Non è il tipo di scusa che ci si potrebbe inventare per difendersi da un'accusa di furto» replicò Enrico. «Ti prego, vediamoci, è una cosa seria.»
Di fronte a tanta insistenza, Vincenzo non poté fare altro che arrendersi. Si accordò con Enrico per andare a casa sua quel tardo pomeriggio. Non era comunque l'essere stato pressato così tanto l'unica ragione per accettare di vederlo: doveva ammettere almeno con se stesso che, se c'era un'altra spiegazione alla vicenda del presunto furto da parte di Giuseppe Bianchi, voleva venirne a conoscenza. Ben presto iniziò a sperare che le ore che lo separavano dal loro incontro potessero trascorrere in fretta.
La giornata era ancora piuttosto lunga e, prima di arrivare all'orario in cui avrebbe dovuto presentarsi a casa di Enrico, Vincenzo si ritrovò in varie situazioni che avrebbe preferito evitare, la peggiore delle quali una riunione con Giorgio Carletti. Non gli fu difficile comprendere che il direttore stesso non sarebbe stato molto dispiaciuto di liberarsi di lui. Non gli diede a vedere di essersene accorto, né lo mise al corrente delle proprie intenzioni. Ormai aveva deciso: non si sarebbe lasciato rovinare dal signor Rossini. Il padre di Paola partiva dal presupposto che, per lui, mantenere almeno un minimo di controllo sull'albergo di famiglia fosse fondamentale. Non lo era, Vincenzo ne era certo: se ne era allontanato, in passato, e non sarebbe tornato, se non fosse stato per la morte inaspettata del padre. Avrebbe accettato la grossa somma di denaro che Rossini gli avrebbe offerto e, ne era sicuro, sarebbe stato in grado di coglierlo di sorpresa.
Carletti continuò a recitare la parte del collaboratore fidato che voleva aiutarlo, ma Vincenzo non si sentì nemmeno preso in giro. C'era chi pensava di avere il coltello dalla parte del manico e chi, come lui, non vedeva né lame né coltelli. Tutto ciò che gli dispiacque fu che la loro riunione durasse per un tempo in apparenza infinito, che avrebbe preferito di gran lunga impiegare in qualsiasi altra maniera.
Per fortuna, a poco a poco, le ore finirono per susseguirsi e giunse il momento di andarsene per recarsi a casa di Enrico. Non gli telefonò per accertarsi che fosse già rincasato e che fosse pronto per vederlo, contò sulla speranza che nulla fosse andato storto nel suo viaggio di ritorno e che non fosse necessario attendere più del dovuto.
Enrico era già a casa e lo fece entrare, conducendolo in un soggiorno nel quale a Vincenzo saltò subito all'occhio una fotografia che lo ritraeva bambino in compagnia di Carolina. Non riuscì a trattenersi e osservò: «Questi siete tu e tua sorella da piccoli, immagino.»
Enrico lo ignorò.
«Siediti. Non voglio perdere tempo.»
«Nemmeno io» gli assicurò Vincenzo, «E mi auguro che tu mi abbia fatto venire qui per una ragione valida.» Si accomodò e puntualizzò: «In merito a quello che mi hai anticipato al telefono, il fatto che io sia qui non significa che ti creda. Prima vorrei sentire la tua versione dei fatti.»
Anche Enrico si sedette.
«Non è la mia versione dei fatti.»
«È quella di tuo padre, lo so. Sono curioso di sapere fino a che punto si sia spinto per autoassolversi.»
«Si è spinto al punto di raccontarmi che tuo padre ha aiutato lui e Giovanna a occultare il cadavere di un morto ammazzato, che non avevano ammazzato loro» disse Enrico, a bruciapelo. «Io, se fossi al posto suo, non mi inventerei una storia del genere per nascondere un furto di qualche milione di lire.»
Vincenzo spalancò gli occhi, mentre un brivido gelido attraversava tutto il suo corpo.
«Un... morto ammazzato?»
«Alfredo Vitale. Pare che sia stato tuo padre a seppellirlo.»
«Perché avrebbe dovuto farlo?»
Enrico gli spiegò: «Quell'uomo era stato in carcere per avere tentato di uccidere Giovanna - che comunque ha molti dubbi sulla sua colpevolezza - e in precedenza aveva derubato alcuni clienti dell'albergo, forse con la complicità di qualcuno che ci lavorava dentro.»
A Vincenzo venne spontaneo pronunciare un nome.
«Melegari.»
Enrico si girò a fissarlo.
«Come hai detto?»
«Maurizio Melegari» ripeté Vincenzo. «Mia madre mi ha parlato di lui, qualche tempo fa, secondo lei non era un tipo affidabile e mio padre avrebbe fatto bene a tenerlo alla larga. Se qualcuno, dall'interno, gestiva loschi affari, allora potrebbe trattarsi di lui. Quello che non capisco è da dove sbuchi fuori questo cadavere di Vitale.»
«Scomparve e nessuno seppe più niente di lui per decenni» gli ricordò Enrico. «Qualcuno l'aveva ucciso ed era stato seppellito dove poi è stato rinvenuto pochi anni fa. Mio padre e Giovanna sostengono che furono loro a trovare il suo corpo, vicino a casa di Giovanna, una sera in cui si erano incontrati di nascosto. Chiamarono Roberto per chiedergli aiuto e pensò a tutto lui.»
«Perché avrebbe dovuto?»
«Forse perché, proprio come mio padre e Giovanna, temeva di essere sospettato del delitto. Quando Vitale iniziò a venire considerato scomparso, varie settimane dopo la sua morte, nessuno sapeva con esattezza da dove, esattamente, fosse scomparso. Il suo corpo rimase sotto terra per anni e anni senza uscire allo scoperto, almeno finché ci furono quei lavori, qualche anno fa. Fu allora che mio padre e Giovanna, in accordo con Roberto, decisero di andare via.»
Vincenzo rifletté per qualche istante, cercando di trovare la forza di replicare, di dire a Enrico che erano tutte assurdità e che non poteva essere accaduto niente di tutto ciò, ma non vi riuscì. Se Giuseppe Bianchi aveva raccontato al figlio quella storia, doveva esserci almeno un fondamento di verità.
«Non credo che mio padre abbia occultato quel cadavere» ammise, «Ma se Giuseppe e Giovanna avevano paura di essere ricollegati in qualche modo a Vitale, allora ci sta che mio padre e Giuseppe abbiano inscenato la storia del furto, per giustificare il fatto che avesse lasciato l'albergo e la città. E Olimpia...» Si interruppe, temendo che pronunciare ad alta voce certe parole contribuisse a renderle più vere. Fece un sospiro, prima di decidersi. «Olimpia ha iniziato a impicciarsi in questioni che non la riguardavano. Qualcuno voleva metterla a tacere, ma non c'è riuscito, almeno non definitivamente, per ora.»
Enrico parve seriamente incuriosito.
«Credi che la sua volontà di scoprire qualcosa su mio padre, Giovanna, Alfredo Vitale e l'albergo c'entri con quello che le è successo?»
«Se ti stai preoccupando per te stesso e credi sia colpa tua, puoi stare tranquillo» rispose Vincenzo, secco. «Olimpia non faceva domande solo perché gliel'avevi suggerito tu, se quello che sospetto è corretto. Credo che il figlio di Maurizio Melegari sia il suo ex marito.»

   
 
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