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Autore: paige95    19/06/2023    3 recensioni
"La storia è un grande obitorio in cui ciascuno viene a cercare i suoi morti, coloro che si sono amati, o coloro ai quali si è uniti da legami di parentela." (Heinrich Heine)
1. Innocenza di mani straniere - Sophie d'Asburgo
È una sera buia quella del 29 maggio 1857 per gli sposi imperiali. Per Elisabeth e Franz Joseph d'Austria sarebbe diventata una notte da ricordare.
2. In nome degli Asburgo - Maximilian I d'Asburgo
La gioia per i neo sovrani d'Ungheria si spense in un giorno di metà giugno del 1867, quando loro erano ancora ignari.
3. L’altra metà dell’odio – Sophie di Baviera
L’odio è un sentimento autolesionista. Ci toglie dignità e grandezza, è come una catena. (Ingrid Betancourt)
4. Addio all'infanzia - Rudolf d'Asburgo
Li trovarono così, stretti in un ultimo abbraccio eterno.
5. Intercessione - Gyula Andràssy
Desiderava sfogarsi in abiti informali, come una qualsiasi donna che si trovava sull’urlo di perdere un amico, con il quale aveva maturato grande affinità.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Aggiorno questa raccolta dopo mesi a causa di svariate vicissitudini che non mi hanno permesso di concentrarmi a dovere su tematiche così delicate come la morte, avrei dovuto aggiungere sofferenza alla sofferenza.
Mi riservo questo piccolo spazio per avvertire che all’interno di questo capitolo verranno trattate le vicende personali di Rudolf, il figlio di Sissi e Franz, e la sua tragica morte. Sul piano fisico ho cercato di mantenere il più leggera possibile la narrazione (non avevo la necessità in questa occasione di scendere in dettagli macabri), mi preoccupa di più l’impatto psicologico sul lettore, soprattutto per chi non conosce bene il personaggio e non si aspetta un epilogo simile per lui. Per questa ragione vi lascio un breve documento su Rudolf d’Austria, sperando che questo possa aiutarvi ad entrare nel mood della narrazione e non vi lasci troppo spiazzati:
https://www.vanillamagazine.it/rodolfo-dasburgo-arciduca-incompreso/ .
Vi ringrazio di cuore per essere tornati su queste pagine e aver rinnovato la vostra fiducia alla storia.
Ora vi lascio in pace e tornerò a tediarvi alla fine del capitolo.

 

Addio all’infanzia

 
 
 
Stavo quasi per perdere l’anima,
era una corsa senza pace e senza posa.
Sissi, Ishl, giugno 1887

 
 
Castello di Possenhofen, Baviera; novembre 1888
 
I sobbalzi della carrozza sullo sterrato infierivano sulle palpitazioni del cuore. Elizabeth spostava i tendaggi per trovare conforto nel paesaggio limpido, lontano da Vienna i comignoli delle fabbriche non lo ingrigivano. L’imperatrice, spesso, apriva uno scorcio nelle finestrelle per respirare l’aria incontaminata della Baviera.
Della dama d’onore, Maria Festetics, udiva solo il timbro pacato della voce con cui ricordava alla sua signora quanto potesse godere del benessere naturale, distante dalle costrizioni di corte.
Nulla più trovava un senso dopo le accorate parole con cui Ludovika le consegnava il doloroso annuncio. La matrona ricordava alla figlia quanto Possi – come veniva chiamato il castello in confidenza – significasse per il marito; il duca Max aveva espresso il desiderio di spirare inondato dalla luce del sole, che tra quelle montagne a novembre era ancora splendente.
Il maestro Konstantinos Christomanos recitava a Sissi poesie in greco antico per infonderle sollievo.
Il luogo più sereno che lei conoscesse stava per essere macchiato da un triste lutto. Il telegramma della madre era pregno delle lacrime della numerosa famiglia Wittelsbach, alle quali si aggiungevano le sue. Il duca Max stava vivendo i suoi ultimi giorni di vita e Elisabeth si augurava di arrivare presto al suo capezzale.
Giunta a destinazione, la regina abbandonò i convenevoli. Il volto di Ludovika era rigato da profondi solchi, segno che i passati attriti con il consorte erano stati spazzati via dall’ombra meschina della morte.
La duchessa rifiutò l’abbraccio della figlia, per cercare conforto l’una tra le braccia dell’altra avrebbero trovato il tempo, preferì ricordare le priorità alla quartogenita: sul prato che circondava il castello avrebbe incontrato il padre.
Sissi lo scorse di spalle accomodato su una sdraio, volto a contemplare per l’ultima volta i suoi amati boschi.
Si accomodò al fianco del duca Max, l’erba bagnata di rugiada sfiorò le ginocchia di Elisabeth, ma non ebbe cura del lungo vestito che indossava. Manifestò la confidenza di cui era abituata – un aspetto che più volte era stato recriminato ai duchi di Baviera – posando una mano poco salda su quella del padre. L’uomo aveva difficoltà ad esprimere i pensieri, ma si sforzò di spendere le parole estreme per l’amata figlia.
«Mi dispiace per Richard»
Quel nome fece riemergere lontani ricordi nella mente di Sissi. All’epoca aveva tredici anni e un giovane amore faceva palpitare il suo cuore per la prima volta. A parere di tutti, il figlio di un conte al servizio di una nobile casata non era degno del sangue di una principessa. Era vivo nella memoria dell’imperatrice il giorno in cui il duca lo fece allontanare da palazzo, con un biglietto di sola andata lo spedì a combattere una sanguinosa guerra.
Solo un anno più tardi, Elisabeth aveva ricevuto notizia della morte prematura di Richard. Era sempre stata sicura che il padre avesse favorito la loro separazione, ma non pensò di rinfacciargli al capezzale quanto le mancassero quegli innocenti batticuori e quanto l’anima si fosse spezzata per amore dopo la scomparsa del giovane.
Accanto a quel ragazzo forse la figlia non avrebbe sofferto, Max si arrovellava in simili pensieri e sperava che Sissi li decifrasse. Aveva sempre desiderato il meglio per lei, ma come ogni genitore imparava dai suoi errori.
«Padre, state delirando»
«Mi dispiace davvero, mia piccola Lisi»
Il respiro diventò flebile sul nome della figlia. Elisabeth provò a trattenere l’anima del duca, stringendolo più forte con l’ingenuità che aveva contraddistinto la sua essenza fanciulla. Era troppo tardi, l’energia che scorreva nelle sue vene si era spenta davvero. Le dita del padre erano scivolate dalla presa della donna. Sissi accostò la fronte al dorso della mano senza vita, lasciandosi irradiare dall’ultimo scampolo di calore e inumidendo la pelle con le lacrime.
Il cuore fremeva di momenti felici che scalpitavano di essere ricordati per scacciare via la sofferenza. Fino al matrimonio il padre l’aveva cullata, poi si era impegnato a difenderla dall’oppressione di una corte che dettava legge sul suo ruolo materno. La comprendeva ed Elisabeth non aveva mai chiesto altro da parte di coloro che la circondavano.
Da chi più avrebbe trovato conforto incondizionato a Possi?


 
 
Castello di Franzensburg, Laxenburg, presso Vienna; 29 gennaio 1889
 
Stéphanie era stata privata dal marito della sua unica ragione d’essere. La donna scrutava l’azzurro del cielo che dirompeva oltre le imposte del palazzo, mentre alle sue spalle il crepitìo della divisa dell’erede al trono, suo consorte, rimbombava tra le pareti della stanza.
Il gelo sceso tra loro, da tempo ormai, le stava consumando il cuore ed era più corrosivo della malattia che l’aveva resa una sposa a metà. Rudolf l’aveva dilaniata nel profondo e umiliata nel suo ruolo; aveva distrutto qualsiasi speranza di dare la vita ad un figlio maschio, aveva pregiudicato il futuro della loro stirpe.
Ripeteva alla moglie che aveva bisogno di distrazioni dall’incapacità di cui veniva accusato da coloro che avevano giurato sostegno a lui. Alludeva alle sue pessime frequentazioni, senza mai essere troppo esplicito, ma tutti lo sapevano, dagli imperatori ai cocchieri. Lo sapeva Stéphanie che, senza poterlo evitare, era stata contagiata da una di quelle infezioni che solo in ambienti discutibili Rudolf avrebbe potuto contrarre. Lo sapeva Franz Joseph che nella loro ultima discussione, la più accesa, aveva pregato il figlio di interrompere qualsiasi relazione extraconiugale e preferire una vita più sobria lontana da illogiche idee liberali; non sapeva che Rudolf aveva lottato per ottenere l’annullamento di un matrimonio che non lo soddisfava più, senza tuttavia esserci ancora riuscito.
Stéphanie aveva promesso devozione all’erede d’Austria, aveva dedicato la sua vita all’Impero, il suo futuro era stato scritto prima del patto sancito con le nozze.
Rudolf era stato una delusione, in lui non vi era l’ombra dell’uomo che lei si sarebbe aspettata di affiancare, il suo stile di vita non avrebbe dato lustro al regno consegnandolo alla Storia, lo avrebbe affondato. Davanti a Franz Joseph non vi era ragione che tenesse e la nuora se ne era accorta tardi.
Era stato sfiduciato il suo futuro comando, non era stata data rilevanza agli ideali con cui avrebbe governato – troppo distanti da quelli del sentire comune. Dopo aver dedicato l’infanzia al ruolo che gli sarebbe spettato, Rudolf non era riuscito ad accettare di essere spostato sempre più ai margini rispetto agli affari politici e militari. L’arciduca sentiva l’appoggio di chiunque venir meno; gli unici ricordi lieti riguardavano le amorevoli cure di sua madre, la quale lo chiamava figlio senza aspettarsi altro da lui, e gli ungheresi che non avevano mai smesso di esprimere per lui la loro ammirazione.
La mente di Stéphanie si posava su qualunque pensiero non riguardasse quel freddo giorno di fine gennaio, in cui la resa pesava un po’ di più sul petto. Oltre le imposte scorgeva solo ghiaccio e il vento gelido sul volto spostava la sua attenzione dal tintinnio dei bicchieri di vetro sul cui fondo il marito affogava il loro ultimo diverbio.
La donna cercò di ignorare qualsiasi genere di rumore che non fosse il placido silenzio della natura; si angustiò solo allo scatto deciso di una rivoltella. La donna mollò d’istinto la presa sul medaglione che portava al collo, l’unico appiglio morale in quel pomeriggio turbolento. Si limitò ad un sussulto, quando scorse con quale cura il consorte stava caricando l’arma militare. Non era solita domandare le intenzioni dell’uomo, poteva disapprovarle, ma non sarebbe comunque cambiato qualcosa. Era parte delle sue funzioni non contraddirlo, la sua indole accomodante era stata la discriminante con cui l’imperatore l’aveva preferita come compagna per il figlio. Nessuno, però, era più certo che lasciargli libertà decisionale fosse la scelta migliore.
«Vado a caccia»
Rudolf non incrociò gli occhi lucidi della donna, si era rivolto a lei come se fosse un qualsiasi membro della corte dedito ai lavori più umili. Stéphanie non credeva più alle sue giustificazioni. L’indifferenza da parte dell’arciduchessa – con l’unico accorgimento dei loro doveri coniugali – aveva lasciato il posto al sospetto e alla preoccupazione, ma forse troppo tardi, il marito aveva già raggiunto l’oblio dentro e fuori di sé.
«Torni stanotte?»
«No»
Aveva già preso la decisione, la risposta fu secca, quasi apatica, come se a lei non dovesse più importare delle scelte che prendeva, non le avrebbe comunque approvate. Rudolf fissava la porta chiusa della stanza, mentre riponeva con stanchezza la pistola nel cinturone della divisa.
«Non soggiorni mai a palazzo. La gente mormora. Resto sempre sola, non sono mai in tua compagnia»
Le parole della consorte avevano una carica persuasiva irrisoria. Non vi era suddito o componente della corte che non fosse al corrente della sua vita libertina, unica via di fuga per lui da affetti insoddisfacenti.
Stéphanie non aveva mai dato credito alle voci più inconcepibili sul conto del marito. Come avrebbe potuto una donna onesta come lei, un’arciduchessa fedele ai propri doveri di sposa, affidarsi alle dichiarazioni di una delle tante amanti del consorte? Tremava e temeva che quelle terribili parole potessero corrispondere alla realtà, ma nessuno riusciva a credere che l’erede di uno degli imperi più solidi d’Europa volesse privarsi di una vita agiata. La donna si rese conto soltanto incrociando lo sguardo del consorte di quanto a lui non importasse più della propria esistenza. In un ultimo disperato tentativo di farlo rinsavire, gli bloccò la strada impedendogli di aprire la porta.
«Non sono arrabbiata. Non mi interessa di ciò che fai fuori da queste mura, ma assolviamo insieme ai nostri doveri dove possiamo ancora»
Di umiliazioni lei ne aveva ricevute tante, ma fallire nel ruolo che le era stato cucito addosso fin dall’infanzia sarebbe stato eccessivo. Per causa del consorte non poteva più concepire, ma poteva ancora preservare il discendente dalle pessime decisioni degli anni più recenti.
«Rudolf. Tuo padre vorrebbe che restassi a corte»
Un sorriso sarcastico si dipinse sul volto del giovane. L’imperatore non gradiva ogni aspetto del figlio, per lui le idee e le passioni dell’erede erano una vergogna, ragion per cui non lo riteneva più degno di molti incarichi che gli spettavano per diritto di nascita. Era un fallimento per i sovrani e forse sua madre per non ferirlo mancava solo di ammetterlo.
Stéphanie gli posò un palmo all’altezza del cuore ed egli avvertì il gesto come un tradimento. L’uomo sovrastò la mano, la allontanò da sé e la sfruttò come leva per tirarla dolcemente via dalla porta creandosi un varco di passaggio.
La primogenita, e unica figlia dei coniugi, gli consentì solo pochi passi. La piccola Elisabeth – così era stata chiamata in onore dell’imperatrice – rappresentava l’ultimo scampolo di virilità che gli era rimasto. Aveva appena cinque anni e fissò il padre confusa quando lo vide abbassarsi sulle ginocchia per raggiungere la sua altezza; le avevano insegnato ad inchinarsi al suo cospetto e trovò fuorviante che accadesse il contrario.
«Erzsi, dì a tua madre che ho provato ad amarla più di quanto mi abbia amato lei. Mi dispiace di non essere stato degno delle aspettative»
Aveva scavalcato i consigli della madre pur di assecondare il loro matrimonio, si era invaghito degli aspetti più amabili della personalità della sua sposa – per come concepiva la vita Rudolf pochi –, ma le differenze tra loro erano voragini e non erano mai riusciti a trovare un punto d’incontro.
L’uomo lasciò alla bambina un bacio sulla fronte, reo di non essere stato nemmeno il genitore che sua madre avrebbe voluto che fosse, eppure la figlia era stata l’unica conquista della sua vita.
Le parole sussurrate in confidenza dal marito all’unica prova della loro unione fecero scorrere qualche scia salmastra sulla guancia di Stéphanie. La voce della donna era sinceramente spezzata.
«Rudolf»
Fece un disperato tentativo per fermarlo.
L’aveva amata e tradita. Era irragionevole, ma in lui tutto lo era, le contraddizioni erano parte del suo essere e non avrebbe mai ammesso il contrario. Lei gli era sempre stata devota, ma non poteva bastare la devozione ad un uomo dedito alle passioni e poco incline – al pari di Sissi – alle restrizioni della corte.
I contrasti tra i due sposi, acuiti nell’ultimo periodo, pesavano come una colpa sulle spalle di Stéphanie; non si era mai schierata apertamente con il suocero, ma gli occhi parlavano per lei e li avevano divisi.
La donna seguì i suoi passi, mentre egli si allontanava dalla sua famiglia. L’andatura del marito era risoluta, non accennava ad alcun ripensamento. L’arciduchessa indietreggiò fino a nascondersi oltre la porta della stanza, per sfogare la sua frustrazione lontano dallo sguardo innocente della piccola. Accanto ad un bicchiere mezzo vuoto e un mozzicone ancora acceso – simboli di una vita di eccessi ancor prima delle loro nozze –, un foglio candido spiccava sul ripiano del mobile. Era convinta fossero parole dedicate ad una delle tante prostitute che era solito frequentare; avrebbe voluto avere ragione, perché proprio alla moglie, alla quale non dedicava mai gesti d’affetto, era stato affidato il congedo finale.
 
Cara Stéphanie,
sei liberata della mia presenza, che è una vera piaga per te. Sii felice a modo tuo.
Sii buona per la povera piccina, unica cosa che ti lascio.

A tutti i conoscenti, specialmente a Bombelles, a Spindler, a Latour, a Novo, a Gisela, a Leopoldo ecc. ecc. i miei estremi saluti.
Vado verso la morte con tranquillità, perché essa sola può salvare l’onore del mio nome.
Abbracciandoti cordialmente,
il tuo affezionato Rudolf.[1]
 
Un sorriso dal sapore di fiele sporcò le sue labbra. Il peggio stava arrivando e lei non avrebbe potuto impedirlo.
 


 
Castello di Mayerling, Austria; 29-30 gennaio 1889
 
Rudolf non aveva mentito, la tenuta di caccia lontana dalla corte rappresentava per lui l’unico luogo di evasione che poteva concedersi. Quella campagna desolata non lo rimproverava per i suoi sbagli e non inorridiva per i segni che essi avevano lasciato sul suo corpo e nella sua anima. La corte imperiale non lo aveva mai compreso, lo soffocava fin dall’infanzia senza lasciare spazio ad altri interessi che non riguardassero la prosperità del regno; con il passare degli anni si riconosceva sempre più nella sofferenza della madre.
Non si irritò quando il suo raccoglimento venne spezzato dall’arrivo della carrozza di Marie Vetsera, l’amante diciassettenne a cui aveva rubato il cuore. La baronessa non perdeva occasione utile per raggiungerlo alla tenuta, nella maggior parte dei casi l’arciduca si trovava lì in cerca di solitudine.
Rudolf era provato, ma accolse l’ospite con deferenza. La giovanissima età della ragazza non lasciava spazio al cerimoniale, la presenza di dame e di cocchieri a pochi metri da loro non la intimoriva. A Marie bastò nascondersi dagli sguardi indiscreti negli anfratti del castello per attirarlo a sé e scovare le sue labbra. L’uomo non si tirò indietro, accolse il suo viso tra i palmi, la assecondò e ricambiò quel bacio così ricco di amore per lui. La allontanò lasciandola confusa, ma Marie gli impedì di togliere le sue mani dalle guance rosee.
«Non posso farti anche questo»
La baronessa era stata in grado di infondergli un affetto che non aveva mai ricevuto da parte di sua moglie. Non si sdebitò come quella giovane avrebbe meritato, ma in lei aveva scoperto la forza per affrontare molte sue giornate grigie; mai una relazione extraconiugale era stata in grado di offrirgli tanto.
«Voglio stare con te»
Marie era diventata la migliore confidente per lui, era consapevole dei rischi e la spregiudicatezza dei suoi diciassette anni le oscurava le conseguenze. Aveva sussurrato la sua volontà e poi aveva iniziato ad armeggiare con i lacci del suo scialle. Fu istintivo per Rudolf fermarla prima che l’indumento potesse scivolare lungo i gradini delle scale. L’aveva assecondata per troppo tempo e non gli era più consentito spingersi su un terreno proibito senza compromettere anche la sua salute; era suo compito evitarlo.
«Io non posso garantirti un futuro. So solo infliggerti del male. Sei promessa, presto ti sposerai e saprai dimenticarmi»
«Ma io non lo amo e scoprirà che ho amato un altro uomo»
 
 
◦•●◉✿✿◉●•◦
 
 
I due amanti si addormentarono l’uno tra le braccia dell’altra e insieme aspettarono l’aurora.
Rudolf era grato a Marie per l’amore sincero e disinteressato che sapeva infondergli, mai si era sentito così desiderato da una donna, ma ciò non risollevava il suo animo.
Si alzò dallo stretto giaciglio su cui si erano distesi, dove erano soliti consumare le loro notti. Alla luce accecante dell’alba, i lunghi capelli sciolti della baronessa le donavano freschezza; per lui quella figura femminile rappresentava una letizia di cui non conosceva l’esistenza.
La carrozza non si era mossa dal cortile antistante al castello. Come di consueto, l’arciduca aveva chiesto ai loro accompagnatori discrezione e aveva ordinato ai cocchieri di ripartire al mattino per condurre la baronessa a Vienna.
«Devi andare. La tua carrozza sta per partire»
«Non torno a Vienna senza te»
«Non è conveniente mostrarti in mia compagnia»
Rudolf spalancò la porta della stanza, sperando che ciò potesse accelerare il tempo dei saluti. Marie non era ancora pronta, un dettaglio la angustiava dalla sera precedente, quando si erano liberati del primo strato di abiti – tra cui la divisa dell’arciduca – per scivolare insieme sotto alle coperte: la pistola che si trovava sul mobile ai piedi del letto aveva vegliato sul loro riposo.
La ragazza sperava di cadere in errore, ma l’urgenza di liberarsi della sua presenza era sospetta. Quella mattina la caccia non sembrava essere nei suoi piani.
«Ti prego, Rudolf. Non farlo»
Alcune voci sostenevano i suoi tentati suicidi mai riusciti, lei non ci aveva mai voluto credere, ma lo sguardo dell’uomo rivolto al pavimento in segno di reticenza le diede una terribile conferma.
«Marie, è tempo che tu vada. Il cocchiere ti sta aspettando. Rivestiti e scendi»
La famiglia imperiale non gli aveva mai impedito di compiere un gesto estremo ed era impossibile che non fosse al corrente. Perché i suoi cari non avevano dato credito alla verità che circolava da mesi sull’erede al trono?
Le confidava sempre tutto ciò che serbava nel cuore – le discussioni coniugali, i contrasti con il padre, la malattia che lo aveva punito per ogni sua debolezza –, ma aveva preso da solo la decisione più importante. Era stata ingenua a credere che il conforto di una giovane innamorata potesse rendere la sua esistenza più preziosa.
Il cuore della baronessa incalzò il ritmo dei suoi battiti. Pianse in preda all’agitazione, da sola non sapeva come dissuaderlo in quel breve lasso di tempo. Agì rapida, si impossessò della pistola con l’illusione di poter ritardare l’inevitabile. Puntò la rivoltella contro la propria tempia per minacciarlo e per esprimere il suo grande disappunto alla decisione presa dall’uomo.
«Marie!»
«Da questa stanza esco viva solo al tuo fianco»
«Non la sai usare. Mettila giù»
La intimò a gesti di essere prudente, l’arma era carica e pronta a ferire chiunque la maneggiasse. Il maggiore timore di Rudolf era che si infondesse una sofferenza tale da non poterla alleviare.
«Allora fallo al posto mio. Non vivrò comunque senza di te, sai che troverei il coraggio dopo la tua morte. Se sei determinato a toglierti la vita, lascia che io ti segua»
Gli depositò la pistola tra le mani, come se non fosse letale; gli sfiorò le dita comunicandogli la fiducia che nutriva nel suo giudizio.
Il pensiero di uccidere l’unica donna che lo avesse mai amato lo devastava, tanto da spingere una lacrima lungo le sue ciglia. Non meritava l’affetto di quella giovane, né in vita né in morte.
«Marie»
La supplicò sussurrando con commozione il suo nome.
«Ti amo e non voglio altri uomini accanto. Non desidero che le mie nozze vengano celebrate, voglio restare solo tua»
La ragazza fece in modo che la canna della rivoltella, impugnata dall’arciduca, fosse rivolta verso di lei, all’altezza dello stomaco.
«Così mi dai un motivo in più per farla finita»
Gli accarezzò una guancia asciugando le gocce di lacrime che vi si erano posate e scese con il pollice per sfiorargli le labbra. Rudolf alzò la traiettoria di tiro per raggiungere il cuore. In caserma gli era stato insegnato a sterminare i nemici nel mezzo di una guerra, a difendere il regno dalle minacce straniere; stava impiegando le sue conoscenze per alleviare sofferenze sue e altrui. Era quello il frutto degli insegnamenti di suo padre e in ciò non vi era qualcosa di buono.
«Ti raggiungo presto»
«Ti aspetto»
Gli accennò un sorriso, di cui lui non si era mai beato così profondamente. Non vi era l’ombra della tristezza sul volto della baronessa, le iridi erano intrise di serenità, benché sapesse, fin dal principio della loro relazione, di non rappresentare l’amore più grande, quello non ricambiato della moglie era inarrivabile nel suo cuore.
Resse lo sguardo complice della giovane, finché il grilletto e il rumore dello sparo appena scoppiato non lo fece sussultare. Sbatté le palpebre per una frazione di secondo rendendosi conto di aver trascinato altri nel vortice del suo malessere. Impedì al corpo di sfiorare il pavimento. La strinse tra le braccia e la adagiò sulle coperte rimaste in disordine; congiunse le mani dell’amante sul petto insanguinato in segno di preghiera. Era certo che l’anima della giovane non avrebbe conosciuto alcuna condanna.
Rudolf udì un vociare concitato e la suola di alcuni passi dirigersi verso il piano superiore. Gli parve di aver sentito qualcuno rivolgersi a lui con l’appellativo di maestà. Spostò un ciuffo di quei lunghi capelli dal volto fanciullo di Marie e si assicurò che le palpebre fossero abbassate per riposare senza più alcun tormento. Non lo aveva confessato alla ragazza, eppure era viva la preoccupazione che non si sarebbero più incontrati, le destinazioni delle loro anime sarebbero state opposte. Il suo nome fino in ultimo sarebbe stato macchiato dal disonore e considerato più impuro del sangue della giovane amante che incrostava ancora le mani dell’uomo.
Dedicò l’ultimo pensiero alla madre e al dolore che sapeva le avrebbe inferto con la sua dipartita, l’unica forse ad averlo compreso in vita e ad aver provato a cambiare il suo destino. Rivolse al cielo una preghiera per lei, per loro, per Marie ed Elisabeth, le uniche due persone ad averlo amato e stimato.
A breve non avrebbe rappresentato più una vergogna per suo padre, lo avrebbe liberato di un peso e dell’apprensione per le sorti dell’Impero; sua moglie e sua figlia avrebbero chiuso l’incresciosa parentesi su di lui, scoprendo che oltre il marito e il padre che era stato vi erano opportunità migliori.
Puntò la pistola ben salda contro la tempia. Per l’ultima volta avrebbe sfiorato il grilletto di quelle armi che aveva imparato a odiare e che lo avevano strappato all’affetto dei suoi cari fin dalla più tenera età, per il futuro dell’Austria-Ungheria asseriva l’imperatore. Fece esplodere con soddisfazione il colpo decisivo, poi più avrebbe nuociuto a qualcuno.
Il corpo dell’arciduca scivolò su quello della giovane Marie, come egli aveva sperato che accadesse restando al suo capezzale in quegli strazianti respiri.
Li trovarono così, stretti in un ultimo abbraccio eterno.

 
Buongiorno, cari lettori e care lettrici!
Soprattutto per quanto riguarda il gesto estremo di Rudolf, preciso che i fatti sono avvenuti davvero e con sé ha trascinato anche la povera Marie. Spulciando tra le fonti storiche sono riuscita a trovare anche riferimenti alle motivazioni del gesto, alla personalità dei personaggi e ai legami affettivi che li univano. Il documento che vi ho lasciato non lo dice, ma sembra che nei primi anni di matrimonio fosse innamorato della moglie e per questo avesse accettato di sposarla; sempre in un altro documento si afferma anche che lei non ne fosse innamorata, ma fosse profondamente dedita al ruolo che ricopriva. Sono partita da queste informazioni per provare a ricostruire un possibile scenario delle ultime ore di vita, modificando leggermente le tempistiche per rendere più lineare la narrazione e inserire maggiore introspezione.
So che ci sono diverse opere in circolazione sulla tragedia di Mayerling; non le ho visionate per non lasciarmi influenzare. Ci saranno sicuramente molte differenze con quanto scritto da me, mi scuso, il mio è soltanto un tentativo mal riuscito.
Come accennato nell’introduzione, ho cercato di essere il più delicata possibile nelle descrizioni più crude, spero di esserci riuscita, nemmeno per me scrivere questo capitolo è stata una passeggiata di salute.
Il prossimo capitolo sarà dedicato alle conseguenze di questo ennesimo dramma famigliare – forse il più impattante per le sorti del regno –, ma per Sissi, purtroppo, la sofferenza non finirà qui.
Perdonatemi se mi sono dilungata, ma considerando le tematiche così delicate – credo più del consueto – ho preferito chiarire alcuni aspetti.
Grazie a chiunque abbia avuto la volontà di leggere fin qui. ❤️
A presto!
Un abbraccio,
Vale
 
   
 
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