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Autore: bulmasanzo    22/06/2023    1 recensioni
extra di un extra.
Peach non si sarebbe mai aspettata che a partire dal ritorno di Mario sulla Terra potesse originarsi una serie di eventi che l'avrebbe portata a riconsiderare i propri sentimenti per qualcuno di cui un tempo aveva avuto paura. Ma forse si tratta solo dell'ennesimo capriccio di una principessa viziata.
(Peach x Bowser)
Genere: Commedia, Drammatico, Fluff | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: Bowser, Larry Koopa, Luigi, Mario, Peach
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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1)
Anche se non gli faceva molto piacere ricordarselo, doveva ormai arrendersi al fatto inconfutabile di avere da tempo raggiunto la mezza età.
Per tutta la sua lunga vita, aveva bilanciato il proprio lavoro manuale con le proprie naturali inclinazioni artistiche, cercando spesso di porre le seconde al servizio del primo.
Non si poteva dire che i risultati fossero stati del tutto soddisfacenti, ma lui ci aveva comunque provato.
 
 Di corporatura massiccia, leggermente basso e corpulento, sovrappeso di un paio di chili o forse qualcuno in più, era ormai diventato quasi completamente calvo sulla sommità della testa.
Ma i capelli rimanenti, che gli scendevano dalle tempie fino ai lati delle guance, fondendosi con le basette, erano ancora ricci, folti e scuri, non presentavano nemmeno un filetto bianco, esattamente come i suoi baffoni, i quali erano diventati il marchio distintivo di tutti i membri maschi di quella sua grande e variegata famiglia italo-americana.
 
Il suo nome era da poco stato reso pubblico.
 Adesso che poteva definirsi veramente vecchio aveva smesso di farsi chiamare con il suo antico pseudonimo e si era riappropriato della sua identità.
Aveva voluto che tutti sapessero che la persona che si era nascosta dietro l'identità fittizia del Padretherno dei videogames, in realtà aveva un nome comunissimo.
 
Pio Mario. Semplice e conciso.
 
Pio era un nome senza dubbio importante, che evocava un senso di integrità morale e di affetto filiale, enfatizzando la virtù del rispetto e della devozione, mentre Mario era il cognome, a cui tante imprese gloriose erano state associate.
 Ma il merito di ciò non era certamente suo. Erano i suoi figli coloro i quali avevano compiuto tali fatiche, e Pio ne era orgoglioso.
 
Il problema è che non aveva mai avuto modo di dirglielo esplicitamente.
Il suo progetto di videogioco era stato un tributo in tal senso, ma non era sicuro che fosse stato sufficiente e che fosse passato il messaggio.
 
Pio aveva delle grosse mani callose e villose al pari del resto del corpo, tra le quali la matita da disegno spariva, quasi del tutto nascosta, quando la impugnava nel realizzare i bozzetti per il suo lavoro.
 
In questo momento, però, esse erano strette sul volante dell'auto, talmente tanto che parevano restringersi a vista d'occhio.
Sollevò gli occhi cerulei e guardò nello specchietto retrovisore, per poter sbirciare il riflesso della persona che stava trasportando.
Non poté non notare la sua aria enormemente afflitta, sofferente.
 
Mario era abbandonato sui sedili posteriori, seduto scomposto e noncurante, guardava fuori dal finestrino con una malinconia palpabile, le palpebre abbassate per metà a coprire uno sguardo che vagava nel vuoto.
La testa fasciata, i lividi sul mento ancora visibili, i cerotti che celavano i pochi graffi rimanenti, facevano intuire l'inferno che doveva aver passato.
 
 Avrebbe tanto desiderato udire la sua voce, avrebbe adorato sentirlo di nuovo parlare con lui. Ma doveva rispettare il suo silenzio.
 
 Quando aveva ricevuto la notizia dell'incidente, si era precipitato in tutta fretta, senza nemmeno pensarci, in quel mondo che ancora non conosceva bene, ma che da anni era divenuto come una seconda casa.
Aveva già avuto modo di incontrare la famosa principessa e quando si era trovato di fronte al suo cospetto aveva stentato a credere a ciò che suo figlio si era perso.
 Perché, effettivamente, nessuno avrebbe potuto negarlo, si trattava davvero di una donna stupenda.
Affascinante nell'aspetto, elegante nei modi, determinata nello sguardo e straripante di una dolcezza materna incredibile.
 
Lui non aveva ancora avuto modo di conoscere la consorte del figlio, ma si augurava caldamente che non fosse da meno di lei... Questo pensiero lo scosse, facendolo immediatamente sentire in colpa. A quanto aveva capito, Rosalinda doveva essere rimasta vittima dell'incidente e la sua sorte era ancora incerta. Mario se l'era cavata con qualche graffio mentre lei era sparita, non poteva nemmeno lontanamente immaginare quanto si sentisse male per questo.
 
Non aveva mai compreso appieno la decisione di suo figlio, era vero, ma aveva sempre cercato di rispettarla.
 
Il volto di Pio era solenne e attento mentre guidava e guardava il figlio di sottecchi, i suoi occhi mostravano una mescolanza di preoccupazione e di delusione, oltre che una vaga ansia.
 
Eppure, nonostante ciò, continuava a sentirsi sollevato che almeno non fosse morto. Era forse sbagliato? Mario era sangue del suo sangue. La prospettiva di perderlo sarebbe stata devastante.
 
Il suono del motore e il rumore degli pneumatici sulla strada creavano un sottofondo costante, ma il silenzio tra padre e figlio era assordante. All'interno dell'abitacolo c'era un'ombra di tristezza e dolore. Anche nel cuore di Mario però si stava consumando un conflitto.
 
Dopo quelle che sembrarono ore, finalmente fu lui a prendere la parola.
 "Papà…" iniziò.
 "Sì, figlio, dimmi pure." ribatté subito Pio.
 
Ci fu un altro secondo di silenzio e Pio se ne chiese il motivo, forse Mario era rimasto frastornato da quella risposta così fulminea?
 Era così contento di avergli sentito formulare proprio quella parola, che non gli aveva più sentito pronunciare da anni.
 Ma Mario continuò. Sembrava imbarazzato "Ehm. Ti volevo ringraziare per... Per essere venuto a prendermi."
 "Ah! Non c'è bisogno di ringraziarmi." Pio cercava di suonare rassicurante, ma di nuovo calò il silenzio, un'altra risposta troppo veloce?
Iniziò a farsi prendere dall'ansia. "Sei mio figlio. Non potevo lasciarti lì, dico bene?"
 
Mario non rispondeva, e Pio si sentiva a disagio.
"Mario, figlio mio, non posso nemmeno immaginare il dolore che stai provando in questo momento. Ho sentito dell'incidente, di Rosalinda. Mi dispiace così tan..."
 
 "Come sta la mamma?" la domanda di Mario lo interruppe così repentinamente che a Pio fu chiaro che non voleva essere compatito.
 "La… mamma, uh, sì, lei sta bene, ci aspetta a casa insieme a tutti gli altri."
 "Ah, già… come stanno gli altri? Zio Tony? Zio Arthur? Zia Marie?... " Mario elencava i nomi dei familiari con un tono piatto, che non sembrava veramente interessato alla risposta.
Pio colse questa sfumatura e si allarmò tantissimo. Non era da lui.
 
Allora gli rigirò la domanda, per provocarlo "Piuttosto TU come stai?"
 "Come dovrei stare?" ribatté, ora con tono brusco, Mario.
 Pio colse un tono di cocciutaggine in quella risposta. E se la ricordò.
Non poté fare a meno di sorridere, poiché gli riportò alla mente i tempi di quando Mario era un bambino già molto precoce e di come fosse stato difficile crescerlo e guidarlo nelle sue convinzioni e con la sua testardaggine.
 
 Guardandolo negli occhi attraverso lo specchietto retrovisore, Pio decise di affrontarlo.
 "Scommetto che in questo momento ti senti umiliato. Vero? Puoi dirlo."
 "Papà, per favore, non iniziare..." si mise sulla difensiva lui.
 
"Io ti conosco, Mario, sei mio figlio. Sono addolorato per la tua situazione, capisco che tu sia arrabbiato con te stesso, ma voglio che parliamo apertamente. Siamo entrambi adulti, ma non siamo due estranei. Possiamo superare questa cosa solo col dialogo. Ti chiedo di parlarci da uomo a uomo." con questa ultima richiesta sapeva di averlo punto sul vivo.
 
 Mario restò con lo sguardo congelato a fissarsi i piedi per pochi secondi.
 Sembrava che il suo cervello avesse subìto dei danni e che faticasse ad articolare un pensiero.
 Parlò lentamente, scandendo tutte le sillabe, la velocità però aumentava man mano che andava avanti. "Io… non so… come affrontare tutto questo" ammise "Non ci vediamo da anni. Abbiamo tagliato i ponti. Ho abbandonato la casa, la famiglia, tutti quanti... Non vi ho nemmeno mai invitato a conoscere mia moglie e ora lei è..." si interruppe, perché non riusciva a dirlo "... E ora che ho avuto bisogno di aiuto, nonostante questo mio comportamento... così… DEPLOREVOLE, tu sei lo stesso venuto qui per me. Non è giusto… Non dovresti sentirti in obbligo di venire da me solo perché sono tuo figlio. Ti ho trattato male, vi ho fatti soffrire... Io… Non me lo merito."
 
 Pio a questo punto decise di fermare la macchina.
 Si accostò a una piazzola di sosta, spense il motore, si slacciò la cintura di sicurezza e restò a fissare il volante.
 Poi si voltò leggermente verso suo figlio, si sentiva commosso da quanto aveva sentito.
 
"Ti ho sempre voluto bene, Mario, anche quando hai preso quella decisione. L'ho accettata. Siamo tutti umani, facciamo errori, ma è importante imparare dai nostri errori e cercare la pace."
 
Mario si agitò sul sedile, senza guardare il padre, continuando a tenere lo sguardo basso.
 
"Tuttavia, io non penso affatto che tu abbia sbagliato." riprese Pio, addolcendosi "Questa Rosalinda devi amarla davvero tanto. Non è colpa tua quello che le è successo, e non devi rimpiangere le tue scelte, se ti hanno reso felice. Sì, è vero, mi ha addolorato la tua partenza, e puoi solo immaginare quanto abbia fatto male a tua madre. Ma noi eravamo lo stesso felici, perché ci bastava sapere che tu lo fossi. Per questo non ti abbiamo mai chiesto di ritornare indietro. Noi ci siamo e ci saremo sempre per te, non smetteremo mai di essere i tuoi genitori, questo te lo devi ricordare. Perciò..." e qui cercò un contatto fisico con Mario, poggiandogli una mano sulla spalla e sollevandogli il mento con l'altra, per farsi guardare in faccia "Per favore... Non ti vergognare."
 
 "È più forte di me, papà" disse Mario, con un filo di voce "Non so come farmi perdonare..."
 "Non devi farlo. Hai vissuto la tua vita, come era giusto che facessi, ma non è ancora finita. Avremo tempo di recuperare. Di ricostruire. Questo però lo possiamo fare solo se tu sei d'accordo. Okay?"
 
 Mario fu sopraffatto dall'amore che quelle parole del padre dimostravano.
 Suo padre non lo biasimava per averlo ferito e anzi lo riaccoglieva senza problemi, nonostante ciò che gli aveva fatto. Sembrava troppo. Eppure, ne aveva un bisogno così disperato.
 
Si lasciò finalmente andare. Mise le mani sulla faccia e nascose le lacrime che iniziarono a scorrere giù per le sue guance come un torrente.
 Poi sentì che Pio lo stringeva in un abbraccio forte e massiccio, e non si ritrasse.
 
 Ma continuava a vergognarsi terribilmente, sentendo la propria virilità svilita, unita a un grande e profondo senso di colpa. Non seppe quanto tempo passarono in quella stretta, ma si sentiva sostenuto e sentì che un briciolo di coraggio riusciva a ritornare a lui, nell'abisso della sua disperazione.
 
 Poi aprì un occhio. E dal finestrino, dietro la mole del padre, vide un lampo illuminare il cielo.
 
--
2) (3)
 
Bowser se ne stava spaparanzato sul suo trono fiammeggiante, con le zampone accavallate e la testa poggiata sul pugno, con un sorriso sornione disteso sulle fauci. Nonostante la posizione comoda, si sentiva in fibrillazione ed era agitato, stava fantasticando sulle nozze imminenti.
Osservava di sottecchi i magikoopa intorno a lui che correvano frenetici, trasportando materiali per l'allestimento della sala.
 
Avevano concordato con Peach di sposarsi all'interno delle Terre Oscure, nel suo castello, per rimarcare la loro unione e la volontà di vivere insieme.
Alcuni servitori trascinavano metri di tessuto che sarebbero serviti per confezionare il suo abito nuziale e continuavano a fargli domande circa il suo gradimento della stoffa, del taglio, del modello.
 
Ma Bowser dava solo risposte affrettate e distratte. Aveva aspettato quel momento per anni e finalmente stava accadendo. Peach aveva finalmente ceduto al suo corteggiamento. Non riusciva a credere che una simile realtà si stesse infine concretizzando, ci aveva quasi rinunciato.
 
La sua vita era andata avanti dopo il suo iniziale rifiuto e lui si era concentrato sulla crescita e sulla educazione dei suoi figli, ma la verità era che non aveva mai smesso di sperarci.
 
Dalla nascita di Bowser jr non aveva più amato nessun'altra.
Quando ripensava a tutte le sue ex mogli, gli sembravano solo delle estranee, arrivate nella sua vita per momenti brevi e fugaci, giusto il tempo di dargli un piccolo piacere momentaneo, restare incinte e scodellargli un potenziale piccolo erede. Tutte quante alla fine erano andate via.
 Bowser aveva sicuramente fatto degli errori con loro, ma non era il solo.
Nessuna aveva avuto il coraggio di provare semplicemente a restare con lui, a dargli fiducia.
 Lo avevano fatto sentire tremendamente incompreso e inadeguato.
 
 Ma adesso, con Peach tutto sarebbe stato diverso. Doveva andare diversamente. Ci aveva impiegato fin troppo tempo per permettere che anche questa volta finisse male.
Aveva abbassato di molto le proprie aspettative. Inizialmente, la sua idea era stata quella di continuare la propria discendenza, mescolando il suo sangue koopa con quello umano, blu, dolce e delicato, ma con il passare del tempo si era reso conto di non volere altri figli da Peach. O per lo meno, non glieli avrebbe imposti.
 
 Si era chiesto cosa gli servisse veramente e la risposta non era così scontata.
Ma era ugualmente semplice. Ciò che davvero aveva desiderato era una compagna di vita che non lo abbandonasse come avevano fatto tutte le altre, che lo comprendesse e che lo aiutasse nel difficile compito di crescere i suoi bambini.
Anche se di bambini effettivamente ormai gliene restava solamente uno, Junior, che aveva circa sette anni ed era entusiasta di questa novità.
Gli altri, più grandi, erano felici per lui, anche se ormai abituati all'assenza di una madre.
Tra tutti, Larry in particolare, pur essendo ancora giovane, era quello che più ne aveva sentito la mancanza.
Bowser sapeva che Peach si era molto affezionata al ragazzino, forse questo era stato un incentivo per accettare quel matrimonio che addirittura era stata lei a proporre.
 Non aveva dubbi su questo, ma lo considerava un elemento in più a suo favore.
 Sì, Peach sarebbe stata una madre perfetta e una moglie adorabile. Era esattamente quello che entrambi volevano.
 
Kamek si materializzò all'improvviso davanti lo sguardo distratto del sovrano, attirando la sua attenzione. "Sire" disse, in tono lievemente affannato "Il re Toadstool è giunto qui per parlare con lei. Lo faccio entrare?"
 
Bowser spalancò gli occhi, sorpreso "Re Toadstool? Quel vecchio bacuc- ehm, il padre di Peach, certo. Ma di cosa diavolo vuole parlare?"
 
"Forse vuole semplicemente congratularsi con il suo futuro genero" suppose Kamek.
 
Bowser sbuffò "Certo, come no. Sicuramente verrà a cercare di dissuadermi dall'impalmare la sua preziosa figliola. O a minacciarmi, chissà. Ma si sbaglia se pensa che io mi lasci intimidire da un simile omuncolo, anche se indossa quella cavolo di corona..." si stava già infervorando.
 
"Non penso che lo faccia sire." tentò di placarlo il mago "Ma, d’altra parte, nemmeno lui può opporsi alla vostra decisione."
 
 "Figuriamoci!" il tono di Bowser si fece sprezzante "Fallo entrare, dai, vediamo cosa si permette di dirmi..."
 
 Il magikoopa non discusse oltre, si allontanò ossequioso e andò ad aprire la porta.
 Re George fece il suo ingresso, scortato da tre Toad, disposti intorno a lui come delle specie di piccole guardie del corpo. Tutte le volte che Bowser lo aveva incontrato durante i loro precedenti scambi commerciali, lo aveva sempre visto circondato da quei tre individui in particolare e aveva imparato perfino i loro nomi, che Peach stessa si era premurata di insegnargli in nome di chissà quale concetto di rispetto.
Il primo era Toadsworth, il più anziano, con capocchia marroncina e baffi bianchi, occhialini e bastone, che aveva l'aria di essere il suo consigliere più fidato. Gli altri due, più giovani, erano Toadoberto, un toad blu con gli occhiali e Toadorica, una toad rosa con grandi orecchini. Entrambi stringevano in mano una picca, come se fossero pronti a difendere il loro sovrano.
Mentre le quattro figure avanzavano, Bowser immaginò di utilizzare quelle loro ridicole armi per infilzarci tutti e tre i funghetti, arrostirli con il suo alito di fuoco e divorarli davanti agli occhi del re, dichiarando uno alla volta i loro nomi…
 
 Ma si riscosse in fretta da questa fantasia, doveva pur sempre comportarsi bene di fronte al suo futuro suocero.
"Ma buonasera, Re Toadstool" esordì, simulando un rispetto che non provava veramente "Sono onorato della vostra visita. Come posso esservi utile?"
 
 Ma George sollevò lo sguardo intuendo il suo insulto velato, e Bowser si accorse di quanto fosse gelido. Questo lo colpí, non gli aveva mai visto fare quella espressione così apertamente ostile.
 
L'anziano monarca scandì le sue parole con durezza: "Vedi di non fare l'ipocrita, Bowser. So benissimo che hai plagiato la mente di Peach per convincerla a sposarti. Ma non lascerò che giochi con la sua felicità."
 
 Quel tono inaspettato ebbe il potere di mandare Bowser su tutte le furie.
Si era aspettato una opposizione da parte sua, ma non un confronto così diretto.
Le sue narici fumarono di rabbia.
 "Come osi accusarmi di una cosa del genere? Peach ha scelto di sposarmi perché mi ama, non perché io l'ho manipolata. Non hai alcun diritto di interferire nella nostra relazione!" grugní.
 
"Relazione! Quale relazione?" ripeté George, con sarcasmo "Ti sembra normale che una principessa come Peach si possa essere innamorata di un mostro come te? Sei stato e sarai per sempre nient'altro che il suo rapitore."
 
Bowser si alzò dal trono e fece un passo avanti.
 I magikoopa e gli altri servitori intorno si mossero allarmati, i tre Toad serrarono la figura del re, come per proteggerlo.
 Il re koopa si erse minacciosamente, la sua voce era carica di furore trattenuto a stento. "Tu, maledetto... Non hai idea di quanto mi sono sforzato per cambiare, per dimostrarle che posso essere un marito amorevole e fedele. Lei se ne è accorta e ha fatto la scelta giusta in totale autonomia. Io non l'ho costretta. Sei TU quello che invece sta cercando di manipolarla, e c'eri quasi riuscito a farle scegliere quel principe da strapazzo che lei ha tanto odiato."
 
Toadorberto e Toadorica incrociarono le loro picche per impedire a Bowser di avvicinarsi ulteriormente a George, ma lui rise delle loro difese, era deciso a dirgli esattamente tutto quello che pensava.
"Quell'imbecille di Haru. Lo aveva scelto solo per farti un piacere. E stava per commettere l'errore più grande della sua vita, ma a te cosa te ne importava? L'importante per te era che facesse bella figura, accompagnandosi a quella sottospecie di damerino pomposo approvato da te, no? Tu... Sei solo un padre egoista che vuole tenerla sotto il suo controllo! Non azzardarti mai più a dire che sono io che ho voluto manipolarla, quando è evidente come la luce del sole che sei stato tu."
 La tensione nella sala stava raggiungendo il suo apice, ma re George continuava a sostenere il suo sguardo.
 "Pensi di riuscire a nascondere la tua vera natura?" disse "Non sei cambiato affatto, sei solo un malvagio e io ti giuro che se farai del male a mia figlia te ne farò pagare le conseguenze."
 
"E cosa farai? Mi sguinzaglierai contro i tuoi funghettini trifolati?"
 
A quell’insulto, Toadoberto sollevò la picca, puntandola contro il collo di Bowser.
Con una risata di scherno, la mano artigliata del koopa afferrò l'asta e la torse, spezzandola con una facilità impressionante. "Patetico" disse, prima di strapparla dalle mani del toad e di scagliarla via. Toadorica tentò di usare la propria picca per tenerlo lontano, ma anch'essa fece la stessa fine.
 
George guardò Bowser indignato, mentre Toadsworth gli si parava di fronte.
 "Non è il metodo migliore, questo, per cominciare un rapporto di famiglia." osservò, stringendo i denti.
 
 "Parli di famiglia, eh? Però ti stai dimenticando di una cosa" fece Bowser, rendendosi sempre più inquietante "Quando la figlia si sposa, la sua famiglia diventano suo marito e i suoi figli. Il papà resta solo un parente." - mise un particolare disprezzo sulla parola ‘parente’. - "un parente che deve farsi da parte."
 
 "Non permetterò che rovini la vita di mia figlia!" incalzò George, testardamente.
 
 "Sei tu quello che gliela vuole rovinare, di certo non io. Io ho a cuore la sua felicità."
 
 Re Toadstool osservò attentamente Bowser, scettico, cercando di cogliere qualsiasi indizio di falsità nelle sue parole.
 
 Inaspettatamente, Bowser si rilassò, sentendo di dover chiarire il proprio punto. "Dico sul serio" continuò "Ho imparato a rispettare e ammirare Peach per la sua forza e gentilezza. Ho visto il suo coraggio nel fronteggiare le mie minacce e ho capito che non volevo ferirla, ma che desideravo renderla felice. So che tu non mi credi, forse non mi crederai mai, ma io sono disposto a impegnarmi ogni giorno per dimostrarle che la amo e che voglio solo il suo bene. Farò di tutto per farle vivere una vita felice e sicura. E non credere che permetterò a te di impedircelo." puntò un artiglio contro il suo petto, ignorando i tentativi delle guardie di bloccarlo. "Lasciala libera di perseguire quello che vuole. È un consiglio." concluse.
 
Poi si rivolse a Kamek, che era rimasto sull'uscio a osservare la scena in un silenzio nervoso.
 "Trasporta il nostro regale ospite fuori dal castello, sarà riammesso qui dentro unicamente il giorno delle nozze, per assistere alla gioia della figlia."
 
"No, aspetta..." tentò di protestare George, ma la bacchetta di Kamek si era già sollevata in aria per rispondere all'ordine del koopa, e il sovrano del Regno dei Funghi, insieme alle sue tre guardie, venne trascinato via da una forza invisibile.
Bowser li salutò sarcasticamente con la zampa.
"Ciao ciao, caro suocero" fece, mentre la porta si chiudeva sulle loro facce.
 
 Dopo, il silenzio calò su tutta la sala.
Kamek e gli altri magikoopa si guardavano tra loro, incerti.
 Bowser li riprese "Beh, che cosa avete da guardare? Tornate alle vostre mansioni"
 
"Capo, ma... Non penso che quello che ha appena fatto sia stata una buona idea per mantenere i rapporti di pace con il Regno dei Funghi" biascicò Kamek, in tono spaventato.
 
"Me ne importa assai poco di questo." sbottò Bowser. "Ormai Peach sarà incoronata regina. Quel vecchio potrà fare il gradasso, ma non ha più l'autorità e lo sa benissimo."
 
 "Però… in questo momento è ancora lui il re" precisò Kamek "Potrebbe benissimo..."
 
 "Stai ZITTO!" ruggì Bowser, stavolta scattando infuriato.
 
 Il magikoopa si ritirò nel suo guscio "Perdono, sire" emise, soffocato.
 
 Bowser tornò a sedersi imponentemente sul proprio trono. Il suo carattere focoso e impulsivo era tornato evidente.
 
Kamek si allontanò di corsa, evitando altri consigli e commenti, e nel suo percorso si scontrò con Larry Koopa. Gli bastò solo uno sguardo per accorgersi che il bowserotto aveva evidentemente assistito a ogni cosa. Non disse niente ma la tensione era evidente. Bowser aveva sicuramente ragione, ma solo in parte. Possibile che re George non avesse a cuore il bene di sua figlia?
Ciò che lo preoccupava era l’idea che ciò che era appena accaduto avrebbe potuto compromettere le nozze.
 
"Testardo di un papà reale." mormorò Larry, mordendosi le labbra.
 
--
4)
 
Luigi si era tirato fuori dalle coperte e aveva appoggiato i piedi al suolo.
Restava seduto sul letto a fissare il buio davanti a sé.
Daisy riposava sfinita accanto a lui, sdraiata su un fianco. Gli dava le spalle, girata verso il lettino accanto, sul quale c'era il bambino che dormiva.
Luigi ascoltava i loro respiri regolari sincronizzati, madre e figlio sembravano essere perfettamente in simbiosi, complementari. A differenza loro, Luigi non era ancora riuscito ad addormentarsi, si sentiva troppo agitato.
 
Continuava a ripensare al pericolo scampato, continuava a tornargli in mente quella orribile scena del figlio che, per una sua distrazione, aveva rischiato di finire la sua vita nello stesso giorno in cui era cominciata.
Cercava di convincersi che non fosse stata veramente colpa sua, che comunque il peggio fosse ormai passato e che suo figlio fosse al sicuro, ma questo pensiero non lo rassicurava per niente.
 I potenziali rapitori erano ancora in agguato da qualche parte e Luigi si tormentava con i sensi di colpa per non averli saputi fermare.
 
 Tentando di non fare rumore, si alzò e lasciò la stanza in punta di piedi.
 Mentre era diretto verso la cucina, passò di fronte al salotto e si soffermò a sbirciare l'ospite che riposava sul loro divano.
Rosalinda era profondamente addormentata, abbandonata tra i cuscini, circondata da cinque sfavillotti luminosi e colorati che la abbracciavano da ogni parte.
Luigi vide le loro tiepide luci illuminare debolmente la penombra e ne ammirò la bellezza che si rifletteva sul viso della principessa, creando delicati giochi di ombre e riflessi sulle sue linee eleganti.
 
Era profondamente grato alla cognata per il suo intervento tempestivo, ma ancora non aveva ricevuto da lei informazioni coerenti. Non aveva ancora compreso il motivo per cui si fosse trovata lì, nel posto giusto e al momento giusto. Sembrava un miracolo, ma probabilmente si era trattato di un semplice caso fortunato.
 
 Luigi si sedette al tavolo e appoggiò i gomiti, a guardare la donna, preso da tanti pensieri. Si chiedeva se Mario fosse al corrente di dove si trovasse ora sua moglie. E si chiedeva dove fosse Mario.
 L'unica cosa chiara che era emessa dal racconto confuso della donna era che erano stati separati dopo un qualche evento spaventoso di natura indefinita.
 Luigi aveva cercato di chiamare il fratello al cellulare, ma quello squillava a vuoto finché non partiva la voce registrata della segreteria.
La cosa un po' lo preoccupava, ma non aveva avuto tempo di indagare, con Daisy in agitazione per ciò che era successo al loro bambino.
L'aveva vista molto provata dalla situazione, ed era stato sollevato quando alla fine, grazie anche alla presenza di Rosalinda, si era calmata. La sua priorità al momento era lei, comunque sia Luigi si era ripromesso di tornare a far luce sul mistero riguardante il fratello.
Tutto sommato, aveva il presentimento che Mario stesse bene, e che presto sarebbe tornato a dare spiegazioni e a riprendersi sua moglie.
 
 Con la coda dell'occhio, Luigi vide Rosalinda muoversi leggermente nel sonno, allungando un braccio, come se cercasse di abbracciare qualcosa di invisibile accanto a lei, oltre le piccole tondeggianti masse degli Sfavillotti. Immaginò che stesse cercando proprio Mario.
La delusione del non trovarlo accanto a sé si dipinse attraverso la cortina degli occhi chiusi della donna, una espressione di tristezza e di perdita evidente anche attraverso il velo del sonno.
 Notarla fece venire un groppo in gola a Luigi. Non riuscì a sopportarne la vista. Gli metteva troppa tristezza.
 
 Si alzò bruscamente e uscì in fretta in balcone.
La luce pallida della luna rischiarava le fronde delle piante ornamentali che Daisy aveva posto sul davanzale come decorazioni. Agli inizi di quella difficile gravidanza, a causa dell'influenza negativa del suo umore nero, le loro foglie erano quasi del tutto rinsecchite, ma ora si stavano finalmente riprendendo e qualche fiore stava timidamente iniziando a sbocciare.
 Questo per Luigi era un segno che il peggio fosse passato. Durante quella notte insonne, il giovane uomo si fece tante domande che non avrebbe mai espresso a parole.
 
Stava iniziando a prendere sul serio il suo ruolo di capofamiglia.
 Il carattere di Daisy era indubbiamente forte, ma aveva comunque bisogno di contare su qualcuno che la proteggesse. Luigi non era sicuro di poter essere all'altezza di un tale compito, ma voleva imparare a esserlo, soprattutto ora che era nato il loro bambino, nei confronti del quale sentiva una responsabilità crescente.
 
 Mentre il sole sorgeva e la penombra della notte si affievoliva sempre più, Luigi cercava di accettare il suo futuro compito di padre, si ripeteva di non comportarsi da vigliacco, di smetterla di lasciarsi vivere, di affrontare quella nuova sfida in modo attivo e determinato.
 "Ma sono in grado di riuscirci?" si chiedeva, tremando. La sua naturale insicurezza era sempre in agguato.
 
  Mentre era immerso in questi pensieri, avvertì una presenza dietro di lui.
Due mani sbucarono fuori all'improvviso e si avvolsero sulle sue spalle.
 Un iniziale senso di spavento lasciò in fretta il posto a una sensazione di pace, mentre Daisy si stringeva contro il suo corpo.
Lentamente, Luigi sollevò le proprie braccia e accolse la moglie in un abbraccio, mentre lei si spingeva verso di lui con la testa, appoggiandogliela sul petto.
Aveva gli occhi chiusi e i capelli tutti arruffati. Luigi glieli accarezzò distrattamente.
 
"Ti chiedo scusa per la mia impotenza nel proteggere nostro figlio" sussurrò "Avrei voluto fare qualcosa di più, ma credo che se non ci fosse stata Rosalinda, io... "
 
 Daisy lo fermò dal continuare, poggiando le proprie labbra contro le sue.
"Non dirlo. Non devi dirlo" mormorò, con voce roca.
Una singola lacrima le scorse giù dall'occhio, brillò giù per la guancia e raggiunse le labbra.
 
Poi le loro bocche si aprirono e le loro lingue si incontrarono, i loro occhi si chiusero e i loro respiri si fusero insieme in un anfanare convulso...
 
 Luigi non era abituato a questi slanci da parte della moglie, ma ogni volta che gli erano concessi sapeva bene come assecondarli.
Restarono così per qualche secondo, Luigi sentiva il battito del cuore che gli pulsava nelle vene, poi si staccarono.
 In quel frangente, per qualche ragione, gli tornarono in mente le parole deliranti di Peasley circa la perdita di femminilità di una donna che diventa madre e capì che no, non aveva avuto ragione.
Daisy era ancora la sua donna e lo sarebbe stata ancora per molti anni a venire.
 
"Hai scelto un nome per nostro figlio?" le chiese, finalmente.
"Ho pensato a lungo" rispose Daisy "Volevo il nome di un fiore, ma visto che Rosalinda ci ha dato una mano, mi sembra giusto sceglierne uno anche in suo onore" gli occhi grandi e profondi della donna scintillavano di decisione "Perciò, visto che lei è la principessa delle stelle, ho deciso che il bambino verrà chiamato Aster. Aster è il nome di un fiore, molto simile alle margherite. Ma significa anche stella. Ti piace?"
 Luigi sorrise. "Mi sembra perfetto. Le farà molto piacere..."
 
 "Che cosa mi farà molto piacere?" chiese Rosalinda, uscendo anche lei lì fuori in balcone. Sbadigliava vistosamente, ma aveva sentito pronunciare il suo nome e ciò l’aveva attirata lì.
 
 Daisy si voltò verso di lei e le prese le mani tra le sue. "Rosalinda, cara cognata! Ti ringrazio per l'aiuto con il nostro bambino. Ti voglio fare una proposta e ti prego di rispondere di sì. Vuoi essere la madrina di nostro figlio?" le chiese solennemente.
 
La donna batté le palpebre più volte, sembrava perplessa.
 Poi fece un gran sorriso imbarazzato.
 "Ehm... Non ho idea di cosa significhi, sinceramente" rivelò con semplicità.
 
Daisy rise e abbracciò la principessa con trasporto.
 
 Luigi si sentì alleggerito dalla tensione accumulata e fu contagiato dall'allegria del momento.
 Si unì alle due donne, che lo accettarono nel circolo delle loro braccia.
Quello per Luigi era il momento in cui si definiva il concetto di famiglia.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Spazio autrice: ultimamente mi sto interrogando molto sulla figura paterna. Ho avuto un meraviglioso rapporto con mio padre, ma ho sempre avuto il dubbio di essermi persa alcune sfumature del suo carattere, probabilmente perché non essendo io un uomo, certe cose non le capisco tanto. Spero che questo capitolo sia riuscito a rendere bene alcune caratteristiche positive e negative in tal senso. Ah, ovviamente l’aspetto del papà di Mario è stato adattato da come è apparso nel film. Mi è piaciuto moltissimo il suo design, non potevo lasciarmelo scappare 😊 Inoltre, la presenza muta di Toadswort, Toadoberto e Toadorica è semplicemente un omaggio che ho voluto inserire. Metterci Yvan e Wolley qui avrebbe un po’ stonato.

 
  
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