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Autore: Ghost Writer TNCS    01/07/2023    2 recensioni
Da sempre le persone hanno vissuto sotto il controllo degli dei. La teocrazia del Clero è sempre stata l’unica forma di governo possibile, l’unica concepibile, eppure qualcosa sta cambiando. Nel continente meridionale, alcuni eretici hanno cominciato a ribellarsi agli dei e a cercare la verità nascosta tra le incongruenze della dottrina.
Nel frattempo, nel continente settentrionale qualcun altro sta pianificando la sua mossa. Qualcuno mosso dalla vendetta, ma anche dalla volontà di costruire un mondo migliore. Un mondo dove le persone sono libere di costruire il proprio destino, senza bisogno di affidarsi ai capricci degli dei.
E chi meglio di lui per guidare i popoli verso un futuro di prosperità e progresso? Chi meglio di Havard, figlio di Hel, e nuovo dio della morte?
Questo racconto è il seguito di AoE - 1 - Eresia e riprende alcuni eventi principali di HoJ - 1 - La frontiera perduta.
Genere: Avventura, Azione, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie '1° arco narrativo'
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41. L’alba dei Reami

Havard avanzava fiero e deciso attraverso le ampie strade di Shakdàn, ma la sua sicurezza era soprattutto una facciata: i suoi sensi erano tesi e le sue percezioni acuite per cercare di anticipare un’eventuale minaccia. L’ultima cosa che voleva era finire in un’altra – seppur improbabile – trappola degli dei.

Raggiunse una grande piazza e si guardò intorno. Dalle finestre spuntavano alcuni volti, quasi tutti di donne o bambini, ma ancora nessuno osava aprire le porte e uscire.

«Shamiram, senti anche tu la presenza degli dei?»

L’umana lo affiancò. «Stanno celando la loro aura, ma sono qui.» Si guardò intorno, concentrandosi sulle sue percezioni magiche. «Da quella parte.»

I due si avviarono, subito seguiti dagli altri alleati. Havard sapeva che era un rischio affrontare gli dei senza l’Ascia di Parashurama o un’altra arma ammazza-dei, ma non poteva rimandare: doveva porre fine alla guerra ora che gli dei erano vulnerabili. Se li lasciava fuggire, avrebbero potuto riorganizzarsi e tornare all’attacco.

In pochi minuti raggiunsero un grande edificio, abbastanza ampio da consentire anche ai troll di entrare comodamente: non era un tempio, ma la sua facciata era comunque ricca di decorazioni. Probabilmente aveva qualche funzione amministrativa, in ogni caso al momento sembrava deserto.

«Spartakan è qui» affermò il figlio di Hel.

«E non solo lui» confermò Shamiram. «Credo ci sia anche uno… No: due Pilastri.»

Havard era pensieroso. Si voltò verso i suoi alleati, ma in realtà l’unico a cui era davvero interessato era Tenko: la demone era riuscita a salvarlo una volta, ma aveva abbastanza potere per farlo di nuovo? E soprattutto: tra tutti i presenti, avrebbe davvero scelto di salvare lui se le cose si fossero messe male? Ne dubitava. Ma non poteva fermarsi.

«Bah’soit, fai avanzare due dei tuoi troll meglio corazzati.»

Il capitano della fanteria pesante annuì. Scelse una coppia di massicci guerrieri dotati di spesse armature di ferro e li mandò in avanscoperta con i loro enormi scudi a torre a proteggerli.

Salirono un’ampia scala, poi un’altra e un’altra ancora. Raggiunto il piano più alto, proseguirono fino a un pesante portone di legno, anch’esso finemente decorato da mani esperte.

«La traccia finisce qui» stabilì Shamiram. «Ma è strano, è come se…» C’era qualcosa che non andava.

«Al mio tre, sfondate la porta» ordinò Havard.

I due troll strinsero la presa sugli scudi, pronti a caricare.

«Uno. Due. Tre!»

Spartakan si fermò. La visione degli dei lo aveva condotto fino a quel grande portone intagliato, ma non gli aveva rivelato cosa ci sarebbe stato oltre.

Doveva aprirlo? Doveva bussare?

Non ci fu bisogno di trovare una risposta: i battenti si aprirono davanti ai suoi occhi, come animati, rivelando una sala ampia e luminosa.

«Hai trovato dei pantaloni» notò Nergal mentre entrava. «Bene.»

Il figlio dell’inferno si inginocchiò appena si rese conto che era al cospetto del dio della morte. E non solo al suo: nella stessa stanza c’erano anche il dio del sole Huitzilopochtli, il dio della notte Tezcatlipoca, e il dio del mare Enki. Era un evento raro, se non unico, poterli vedere di persona.

«Sono felice di avervi compiaciuto» si affrettò a dire l’orco.

«Puoi alzarti, Spartakan» lo esortò Tezcatlipoca. «E vieni pure avanti: lascia che la porta si chiuda.»

Il figlio dell’inferno fece come ordinato, e come previsto i battenti si mossero dietro di lui: anche loro sembravano voler assecondare la volontà del dio dalla pelle nera.

Qualcuno disse qualcosa in una lingua che Spartakan non comprese. Solo allora il rosso si rese conto che oltre agli dei c’era un’altra persona: un vecchio anfibiano che si reggeva a un bastone.

«Sì, è lui la persona che stavamo aspettando» confermò Nergal. «Ora possiamo andare.»

«Andare?» ripeté il figlio dell’inferno. «Andare dove? E la guerra?»

«Abbi fede, Spartakan» lo rassicurò Tezcatlipoca. «Tutto ti sarà chiaro a tempo debito.»

I troll sfondarono il portone, i guerrieri sciamarono all’interno e i maghi puntarono le bacchette. Giusto in tempo per vedere una grande ombra sparire attraverso un’apertura nel soffitto.

«Stanno scappando!»

«Attaccate!» ordinò Havard.

Gli orchi scatenarono i loro incantesimi, ma una barriera li neutralizzò.

Shamiram corse in avanti. L’astronave degli dei si allontanava a gran velocità. Provò a usare la telecinesi, ma era già troppo tardi: il velivolo spaziale attivò la navigazione superluminale e in un attimo svanì. «Maledizione!»

Tenko la raggiunse. «Dove sono andati?! Dobbiamo inseguirli!»

La strega scosse il capo. «Ormai è tardi. Li abbiamo persi.»

«Non m’importa! Dobbiamo trovarli!»

«Se si faranno vivi, te lo farò sapere» le assicurò Havard. «Per ora credo sia il caso di aggiornare il resto del mondo: la guerra è finita e noi siamo i vincitori.»

In un primo momento nessuno parve realizzare la portata di quelle parole, forse perché Havard le aveva pronunciate in modo fermo, senza entusiasmo. Poi però l’euforia esplose e tutti quanti lanciarono grida di esultanza. Alcuni si abbracciarono, altri corsero fuori per diffondere la notizia.

Tenko guardò verso Sigurd. «Li troveremo, vero?» Più che una domanda, la sua era una supplica.

L’espressione dell’elfo era dispiaciuta. «Faremo il possibile, ma Shamiram ha ragione: potrebbero essere ovunque, e ben oltre i confini di queste terre. Potremmo non riuscire a trovarli del tutto.»

Tenko era senza parole. Era incredula. Dispiaciuta. Poi furiosa. Con un grido gettò a terra la sua spada. All’improvviso tutti quanti si zittirono e si allontanarono appena lei puntò verso l’uscita pestando i piedi.

Fu D’Jagger a raccogliere l’arma della demone. «Mi sa che non l’ha presa bene. Oh beh, qualcuno ha voglia di un bel banchetto?»

Gli sguardi di tutti passarono su Havard.

«Questa notte festeggiamo la sconfitta degli dei» confermò il pallido. «Voglio il più grande banchetto che abbiate mai visto! E fate venire tutti. Amici, nemici, civili, non importa: ora siamo tutti parte di un unico regno.»

I suoi guerrieri risposero con entusiasmo a quella proposta e uno dopo l’altro lasciarono la sala per informare tutti.

Una volta che la stanza si fu svuotata, Havard lanciò uno sguardo a Sigurd e Shamiram, impegnati a parlottare tra loro.

«L’Ascia di Parashurama non è qui» gli spiegò l’elfo. «Probabilmente l’hanno portata via con loro.»

Il pallido annuì. «Se volete posso comunque chiedere ai miei uomini di cercarla.»

«Per ora lasciali festeggiare» rispose l’umana. «Ci penseremo quando la situazione si sarà calmata. Tu piuttosto: non hai l’aria del vincitore.»

«Devo far credere a tutti che ho sconfitto gli dei, ma la verità è che, finché sono vivi, possono sempre riorganizzarsi e tornare.» Rimase un attimo in silenzio. «Ma in quel caso ci faremo trovare pronti.»

Come intuito da Shamiram, per il resto della giornata tutti quanti furono troppo impegnati con i preparativi per pensare a qualsiasi altra cosa, e l’euforia della notte si prolungò ben oltre l’alba seguente. Alla fine anche i cittadini più spaventati dimenticarono la paura per unirsi ai festeggiamenti. Per soddisfare una tale richiesta di cibo, Havard dovette dare il permesso di attingere alle scorte della città, ma lo fece solo perché sapeva che nel giro di qualche settimana sarebbero arrivate nuove provviste per ripristinarle.

Durante la terza notte di festa, Havard raggiunse una delle torri di vedetta per stare un po’ da solo. Da lì aveva un’ottima visuale sulla città, sulle praterie circostanti, sull’orizzonte lontano.

Ora tutto ciò era suo.

«Ce l’ho fatta, Nambera.»

Suo per essere governato e guidato verso il progresso.

«Vorrei che tu fossi qui… Ma va bene così.»

Sentì dei passi che si avvicinavano.

«Posso disturbarti?» gli chiese timidamente Zabar.

«Non mi disturbi» rispose il pallido in tono gentile.

Il demone si avvicinò al parapetto.

Per un po’ osservò l’orizzonte, il confine tra la terra e il cielo, poi si sforzò di spostare il suo sguardo verso il figlio di Hel.

«Non mi ero ancora congratulato per la tua vittoria. Quindi… emh… Congratulazioni.»

«Ti ringrazio. Ma la parte difficile inizia adesso.»

Zabar era stupito. «Più difficile di… questo?» chiese muovendo la mano sulla città piena di migliaia di guerrieri festanti.

Havard annuì gravemente. «Ho scacciato gli dei, ma c’è ancora molta gente da convincere che seguirmi è la cosa migliore. Per non parlare del fatto di governare tutte queste persone. Dovrò mostrare loro la via e renderli capaci di risolvere i loro problemi. Senza contare che c’è sempre la possibilità che gli dei tornino.»

«Sembra molto impegnativo.»

«Lo è. Il progresso non è qualcosa che puoi raggiungere, devi continuare ad andare avanti. E dovrò assicurarmi che ognuno faccia la propria parte al meglio.»

Zabar annuì, lo sguardo basso.

Havard pose la propria mano sopra quella del demone. «Non posso prometterti una relazione come quelle delle persone normali. Ma sei una brava persona, Zabar, e sarei felice se decidessi di restare al mio fianco mentre guido il mondo verso un futuro migliore.»

L’ex chierico esitò. Lo guardò timidamente. «Intendi… come uno dei tuoi alleati?»

Gli occhi di Havard avevano la consueta sicurezza, ma anche un’insolita gentilezza. «Forse. O forse anche qualcosa di più.»

Zabar arrossì. Si avvicinò lentamente e Havard ricambiò il suo bacio.

Il figlio di Hel si era fatto carico di un arduo compito. Un compito che si sarebbe protratto per i decenni a venire, forse per secoli addirittura. Ma il mondo poteva aspettare un’altra notte.

Tenko non riusciva ancora a darsi pace. Sapeva che gli dei sarebbero potuti fuggire per evitare lo scontro diretto, ma non sapere dove fossero andati era terribilmente frustrante.

Doveva farsene una ragione? Ma come? Ci aveva già provato, e non aveva funzionato.

«Ehi» la salutò Freyja. Aveva due boccali in mano e Lunaria che le volteggiava intorno. «Ti va di parlare?»

La demone le lanciò uno sguardo mesto. Non l’aveva nemmeno sentita arrivare.

Accettò il boccale che l’orchessa le stava offrendo e bevve un lungo sorso. La bevanda alcolica le fece bruciare la gola, ma si sforzò di mandarla giù per dimenticare la frustrazione.

«Dovevo ucciderli. Volevo ucciderli tutti!» Le sue imprecazioni divennero grida. «Dal primo all’ultimo!» Sbatté il boccale sul tavolo. «E non posso più farlo!»

Freyja rimase in silenzio per qualche secondo, così che la rabbia della demone si attenuasse almeno un pochino. «Sai, ti capisco. Il mio lavoro è trovare e arrestare i criminali, e non sopporto l’idea che alcuni di questi riescano a farla franca.» Osservò il liquido ambrato e spumoso nel suo boccale. «Ma a volte succede. E per quanto tu lo voglia, non puoi fare nulla per impedirlo.»

Vedendo i suoi pugni serrati, Lunaria si avvicinò al suo avambraccio per cercare di rasserenarla.

«Cosa dovrei fare?» le chiese Tenko, adesso in tono più misurato. «Fingere che non sia mai accaduto?»

«No. Sì. Dipende da te. A volte puoi solo accettare che certe cose non vanno come vorresti, e andare avanti.»

«Non so se ne sono in grado.»

Freyja poggiò una mano su quella della demone, e Lunaria aggiunse le proprie. «Come ho detto, dipende da te. Invece di pensare a ciò che hai perso, cerca di pensare a ciò che hai. Credo sia il modo più semplice per essere felice.»

Tenko ci mise un po’ per elaborare quelle parole. «Ci proverò.»

Le tre erano ancora al tavolo quando D’Jagger, Sigurd e Shamiram le raggiunsero. Il goblin era tutto sudato per via del tempo speso a suonare il suo tamburo alla luce dei bracieri.

«Freyja, abbiamo ultimato la scansione della città, e l’Ascia non è qui» spiegò Shamiram. «Pensavamo di partire domani, così il nostro bardo può finire il suo concerto infinito.»

«Farò un gran finale epico!» garantì il goblin.

«Quindi… ve ne andate?» Tenko non riuscì a nascondere una nota di dispiacere.

«La nostra missione qui è finita» confermò Shamiram. «E loro devono tornare a casa» sottolineò accennando a Freyja e D’Jagger.

La demone chinò il capo. «Sì, è vero.»

Avrebbe voluto aggiungere altro, ma in quel momento non se la sentiva. E poi che senso aveva rivelare a Sigurd ciò che provava se tanto lui se ne sarebbe andato comunque?

«Oh, finalmente siete tutti insieme!»

Tutti quanti si voltarono verso la voce, trovando un orco dal sorriso ampio e lo sguardo indecifrabile.

I sei si scambiarono qualche occhiata interrogativa, ma nessuno parve riconoscere l’uomo che avevano davanti. Eppure non aveva l’aria di essere una persona comune.

«Questo sarebbe un buon momento per un flashback dove ci ricordi chi sei» ammise D’Jagger.

«Mmh, non credo funzionerebbe, dato che non ci siamo mai incontrati» rifletté l’orco. «O almeno voi non mi avete mai incontrato. Comunque vi ho tenuto d’occhio e tu, D’Jagger, sei quello che mi sta più simpatico, quindi continua così.»

«Lo farò» gli assicurò il goblin.

«E per quanto riguarda Lunaria: non dargli tregua» proseguì lanciando un occhiolino alla fata.

La diretta interessata, che alla comparsa dell’orco si era subito nascosta dietro Freyja, si limitò a scrutarlo con sospetto.

«Poi abbiamo la poliziotta Freyja. Non ho fatto nulla di illegale, per la cronaca. E Tenko… Ooh, non mi stupisce che le Furie ti abbiano dato la loro benedizione! Sigurd… Beh, se Tyr ti rispetta, devi essere un tipo tosto. E Shamiram di Babilonia.» Le rivolse un breve ma raffinato inchino. «Dal vivo sei molto più bella di quanto dicono.»

L’umana parve apprezzare il complimento, ma non abbassò la guardia.

«E per quanto riguarda me…» Fece una giravolta e i suoi abiti ordinari si tramutarono in una ricercata toga bianca ricca di minuscoli dettagli che nulla avevano a che fare con lo stile degli orchi. Fece un altro inchino più profondo del precedente. «Sono Loki, figlio di Farbauti, e sono qui per aiutarvi.»

«Come?» volle sapere Sigurd. Dal suo tono si percepiva tutta la sua diffidenza.

Il sorriso del dio si allargò. «Facile: perché so dove sono andati gli dei. E anche l’Ascia, per la cronaca.»

«Dove?!» esclamò Tenko.

«Prima rispondi a un’altra domanda» intervenne Shamiram. «Perché il dio degli inganni dovrebbe aiutarci?»

Il sorriso di Loki rimase ampio, ma adesso i suoi occhi erano iniettati di sangue. «Ancora più facile: perché voglio vedervi uccidere nel modo più atroce possibile i mandanti dell’assassinio di mia figlia.»


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