Avendo una
personalità abbastanza discordante,
spesso mi ritrovo in circostanze in cui rifletto troppo e perdo in
tempismo e
altre in cui agisco impulsivamente e quando mi va bene, ottimo, ma
talvolta
incappo nella famosa figura di merda.
La figura di merda non
è una semplice figuraccia,
non è quella cosa che dici "diamine, mi è
scappato, vabbè ora provo a
rimediare". No, la figura di merda è totalizzante,
affossante, annichilente.
Dopo averla fatta vorresti soltanto seppellirti e restare inerte sotto
ad un
cumulo di terra per dieci anni nella speranza che i presenti si
dimentichino di
te e invece no, in quei momenti non succede proprio nulla e tutti gli
sguardi
restano puntati su di te che desidereresti solo sparire.
Quando sei nel fulcro di una
conversazione
avvincente, concentrato e dominante, capita di tutto. Gente che si
intromette,
il tuo interlocutore scivola e ti deconcentra, arriva il cameriere per
portare
via i piatti vuoti, ricevi una telefonata... No, quando fai una figura
di merda
tutto resta statico per permetterti di farti carico totalmente della
gravità
della cagata appena commessa.
That's Karma, I think.
Di recente ho guidato per
sette ore per giungere
nel cuore della Germania per rivedere una persona cara. Sono partita
col mio
compagno e abbiamo dovuto attraversare tre nazioni, tra cui la
famosa
autostrada tedesca senza
limiti di velocità e oltre due ore di statali e
paesini del cazzo fino al villaggio incriminato.
All’andata
siamo stati completamente soli, ci siamo presi la libertà di
visitare un pezzo
della Foresta Nera e fare sosta solo quando ci andava.
Al
ritorno
non siamo stati tanto fortunati perché abbiamo incontrato
lui, l’autostoppista
tedesco fresco di sa il cazzo quale università che era nella
merda fino al
collo e aveva bisogno proprio di un passaggio e chissà
perché nessuno tra i
suoi connazionali tutti lindi e pinti era diretto proprio dove andava
lui, in
Austria. Che fai, lo lasci lì in merda e riparti sereno?
Il mio
compagno ha sfoderato la sua migliore faccia da svizzero che
è l’apoteosi
dell’ambivalenza. Poteva essere interpretata in entrambi i
modi: “cavolo, non
possiamo lasciarlo qui a dormire nella piazzola di sosta fino a
chissà quando…”
e allo stesso tempo “ma chi cazzo se ne fotte di sto crucco,
torniamo a casa e
vaffanculo.”
Davanti
agli occhi da cerbiatto nordico ho ceduto e ho deciso di dargli un
passaggio.
Fu così che si trovarono in Austria un’italiana,
uno svizzero e un tedesco.
Potrebbe essere l’inizio di una barzelletta e invece no,
è il prologo di un
trauma.
Partimmo
dal cuore della Germania e lì non chiedetemi
perché, la radio della mia auto
non voleva proprio funzionare. Potevo mettere una playlist dal mio
smartphone
ma andava in conflitto col navigatore e stavo guidando. Chiesi al mio
compagno
se poteva mettere lui la musica col Bluetooth dal suo cellulare, ma lui
da
bravo elvetico se ne uscì con “Eh, no, mi si
consumano i dati.” All’anima dei
tuoi antenati bancari…
Guardai
nello specchietto retrovisore il faccione di Peter, germanico biondo e
con gli
occhi azzurri alto almeno un metro e novanta “Peter, vuoi
mettere tu un po’ di
musica?” lui sorrise e rispose “No, io veramente
volevo dormire, meglio che non
si senta niente.” Tirò fuori dal suo borsone quel
rotolo morbidoso che si usa
tipicamente sugli aerei, se lo avvolse intorno al collo e chiuse gli
occhi. Alle
4 del pomeriggio. All’anima dei tuoi predecessori
nazionalsocialisti…
Non ho
trovato nemmeno la forza di ribattere, anche perché in
tedesco le freddure non
mi escono bene e poi hanno poche parolacce, è molto
più difficile far passare
il concetto di incazzatura quando puoi scegliere tra pochissimi termini
e gli unici papabili sono Scheisse (merda) e Arschloch (“buco di
culo” ma si traduce
come “stronzo”).
Tempo
mezzora e ronfavano tutti e due. Ma porco Stalin, possibile mai?
Vichinghi di merda.
Dopo un
paio d’ore in cui Peter si era svaccato e mi aveva infilato
trenta centimetri
di ginocchia nel sedile del guidatore, alla fine uscirono dal coma, ma
non fiatavano.
Cominciai un po’ di conversazione prima che venisse sonno
anche a me e poi erano
cazzi, visto che stavo guidando io. Cercai un argomento di dialogo e mi
resi conto
che quell’autostrada era strana, grigio chiara e dava delle
vibrazioni
particolari a 130 l’ora, che ti facevano vibrare la voce
quando parlavi. “Che
strana autostrada questa… di che è
fatta?”
Peter
“Questa
autostrada ha quasi 90 anni, fu fatta intorno agli anni 30-40,
è composta da
blocchi di cemento posti l’uno di fianco all’altro.
Da allora non ha mai subito
modifiche.”
Alla
faccia!
“Wow, fantastico, vorrei che anche da noi ci fossero
autostrade del genere. È
stato geniale chi le ha fatte, si vede che le ha costruite con
l’idea di farle
durare.” Peter non ribatté, ma non sorrise
più. Cercai di capire se avessi
detto una cazzata e poi sbam! Illuminazione! Sono le autostrade di
Hitler! Non
sto a spiegarne la storia ma con una semplice ricerca su Google
troverete
tutto.
Ecco,
l’ho
fatta di nuovo, la figura di merda. Speravo
passasse in sordina e invece
no, ecco arrivare lo svizzero “Ma dai, hanno quasi un secolo!
Quanto vorrei che
anche da noi ci fosse qualcuno con la stessa bravura!”
Se
dentro
di me mi stavo visualizzando con una pala in mano a scavarmi la fossa,
ho immaginato
avvicinarsi il mio compagno sorridente con la vanga per farmi
compagnia. Ma no,
non era contento, perché ha continuato parlando di quanto si
risparmia così
facendo invece di doverle ristrutturare ogni 10 anni, di quanto dovesse
essere
stato intelligente chi aveva ideato quel progetto. Dovevo fermarlo,
avevamo
scavato abbastanza “Amore, vai a vedere su internet quanto
costa una multa per
eccesso di velocità in Germania?”
“Perché?
Hai
preso un radar?”
“Eh,
forse
sì, prima…” certo che no, ma se vuoi
distrarre uno svizzero devi fargli credere
che stia per sborsare.
“Eccheccazzo!
Però anche tu porco di qui, porco di
lì…” oh, grazie Signore, fagli cambiare
argomento.
Dopo
un’altra ora di silenzio imbarazzante siamo giunti in Austria
e abbiamo
scaricato Peter, che in cambio ci ha fatto un rabbocco di benza e tanti
cari
saluti ai suoi due compagni di viaggio inconsapevolmente filonazisti.
Mannaggia…
Un’altra
volta, sette o otto anni fa, mi ritrovavo a collaborare con un chiosco
che
vendeva anche accessori per telefonia mobile. Stavo portando dentro
degli
scatoloni quando arriva lui, lo stronzo imbellettato che passa al
vaglio tutto
l’inventario per fare critiche e suggerimenti e poi non
compra un cazzo.
Ad un
certo
punto mi ferma mentre avevo appunto un carico in mano, di aiutarmi non
gli
passa manco per l’anticamera del lobo occipitale,
però ritiene opportuno
fermarmi per chiedermi informazioni sulla merce.
“Scusa,
ma
questo caricatore qui come funziona?” indica un caricatore
wireless per il
Samsung.
“È
un
caricatore che funziona senza dover inserire la presa nel
telefono.” Ansimo
“Quindi
funziona a distanza? Potrei tenere il telefono in tasca e quello
attaccato alla
presa e si caricherebbe?”
Lì
per lì
non sto riflettendo, voglio solo poggiare sti cartoni di merda e
tornare a
lavoro, e poi ha una voce talmente tanto melliflua che mi fa girare le
balle
solo a sentirla. “Sì.”
“Allora
mi
sta dicendo che hanno inventato una maniera per condurre
l’elettricità a lunga distanza?!”
Mi fermo
un
secondo perché non capisco che cazzo stia dicendo. Certo che
no, coglione, se
fossimo in grado di condurre energia e materia senza bisogno di un
conduttore
probabilmente avremmo già inventato il teletrasporto, la
telecinesi e forse
anche i viaggi nel tempo. Lo guardo e realizzo che poco prima gli ho
risposto
di sì, che conduceva a distanza. Oh, che due coglioni!
“No,
perché
se quello che dici è vero, questa è una scoperta
scientifica di proporzioni…”
non lo ascolto più, vorrei solo dare una testata al muro.
“Certo
che
no.” Lo interrompo “intendevo dire che basta
poggiare il telefono sulla
piattaforma per permettergli di ricaricarsi.”
“Eh
ma non
è ciò che hai detto prima!” continua
imperterrito con aria vittoriosa.
“Mi
sono
espressa male, chiaramente non è ancora possibile fare una
cosa del genere.
Funziona per forza a contatto con lo scambio positivo dalla piattaforma
di
ricarica agli ioni di litio del telefono.” Borbotto.
“Ancora
non
è possibile? Quindi immagini che un giorno riusciremo a fare
qualcosa del
genere?” ridacchia, come se stesse parlando con una
mentecatta che non ha
studiato fisica e chimica inorganica per due cazzo di anni. Lui non
può
saperlo, ma sticazzi, non ti permetti di trattare qualcuno
così in nessun caso,
non sai mai chi hai di fronte.
“Sinceramente
non sono così chiusa da escludere totalmente il progresso
futuro della scienza,
quindi non me la sento di affermare a priori che in futuro non
sarà possibile.
Intendi comprare qualcosa?” Per poco non mi scivola di mano
tutto, è fortunato,
perché se le avessi libere gli tirerei un cazzotto.
“No
no!” continua
a ridacchiare “non qui di certo...”
“Bene,
allora scusami, devo andare al party di Stephen Hawking, che mi sta
aspettando.” (per chi non lo sapesse, nel 2009 Hawking
organizzò un party a
Cambridge cui invitò i viaggiatori provenienti dal futuro,
per dimostrargli che
esso sarebbe esistito per davvero)
Ha fatto
un’espressione confusa, gli ho girato le spalle e grazie a
Dio non l’ho più
rivisto, ma consapevole di aver affermato una cagata immane, per di
più in
faccia ad un pezzo di merda.
Una
volta
entrò in ufficio un venditore ambulante per proporre
articoli natalizi e
decorazioni luminose. Ci fece vedere delle colonnine con uno scheletro
metallico e del filo led attorcigliato sopra che si accendevano e di
notte
creavano delle figure luminose. L’idea era anche bella,
peccato che il
costruttore in questione non fosse proprio in grado di farle. Tutti lo
pensavano, solo io lo dissi “Ma chi è che le fa,
ste cacate?”
“Io…”
rispose il tipo chinando lo sguardo.
“Ottimo…”
spalancai gli occhi tenendo lo sguardo fisso e vacuo, e tutti gli
altri in
ufficio si erano sentiti in dovere di acquistare qualcosa da lui
perché io
l’avevo profondamente offeso e da allora ad ogni Natale
tirano fuori quelle
decorazioni del cazzo e mi guardano storto perché sanno che
sono inguardabili,
ma “abbiamo dovuto comprarle (a causa tua)”
cit.
Speravo
che
si fulminassero in fretta, a casa mia sembra fatto apposta ma le
lampadine a
led non durano oltre ai 24 mesi di garanzia, questo tizio invece deve
aver
comprato dei led di primissima qualità perché
mannaggia al diavolo non se n’è
mai fulminato uno…
A questo
genere di situazioni un po’ elaborate segue invece una sfilza
innumerabile di
tante altre piccole figure di merda collezionate con cura certosina nel
corso
degli ultimi trent’anni. A cavallo tra il 2014 e il 2018 me
ne sono successe di
ogni, ma ogni tanto ne faccio altre, per non perdere la forma.
Passando
dai rumori molesti del mio stomaco durante un esame in cui tutti sono
silenti e
concentrati, ad una domanda stupidissima uscita da chissà
quale recondito
angolo del mio cervello durante un pisolino dei neuroni, ad una battuta
squallidissima mentre sono a letto con qualcuno fino a finire alle
imprecazioni
pittoresche che mi sfuggono quando inciampo o rompo qualcosa e
puntualmente c’è
qualcuno nei paraggi che non immaginava che dalla mia boccuccia
potessero
uscire tali floridità.
Una
volta
ero al centro commerciale col mio compagno, vedo una vecchia con i
capelli metà
rasati, metà azzurri, con dei ciuffi rosa shocking e viola.
Di norma non
commento mai, non mi soffermo nemmeno sull’aspetto del
prossimo, perché quella
volta sì? Forse perché su di lei stavano davvero
di merda.
“Minchia,
hai visto che capelli ha quella?”
“È
mia
madre.”
…Fanculo!
Alcune
non
riguardano nemmeno me, ma giustamente dovevo farmi coinvolgere.
Questa
è
tristissima eppure ancora mi fa ridere quando ci ripenso (sono una
persona
orribile, lo so, lo so).
Nonostante
anni fa tazzassi come pochi, non ho mai perso totalmente le mie
facoltà mentali
da ebbra, quindi capitava che a volte scegliessi un partner per la
notte.
Quella
sera
di dieci anni fa ne scelsi uno che aveva la mia età,
vent’anni, e si era
trasferito da poco dal sud Italia, ancora conosceva poco la Lombardia,
ma
perché rifiutarlo? Mentre guidava e canticchiavo una canzone
che passava alla
radio, mi disse “Senti, io ti avverto, è
piccolo.”
Non
capii
“cosa?” lui, fissando la strada “Ce
l’ho piccolo.”
Ridacchiai
e gli dissi “Ma sì, l’importante
è saperlo usare!” frase fatta detta da una
fatta, ma dettagli.
Spesso
gli
uomini, soprattutto quelli giovani, pensano di essere poco dotati
semplicemente
perché introiettano gli ideali veicolati dalla pornografia,
in cui se uno è
sotto ai venti centimetri ci pensa due volte a mettersi in mostra.
Insomma non
gli diedi alcun peso.
Arrivati
a
casa sua ci abbiamo provato, ma attraverso i vestiti non lo sentivo
affatto reattivo.
Abbastanza scazzata dalla situazione, visto che non mi era mai successo
che un
uomo mi restasse totalmente indifferente, decisi di guardare io stessa.
Gli
calai le braghe e… e. Insomma, praticamente non ce
l’aveva. Se era lungo cinque
centimetri era tanto.
Cadde il
silenzio. Non respiravamo nemmeno più. Se fossi stata sobria
avrei avuto molto
più tatto, ma lì per lì ero senza
alcun filtro e la mia espressione doveva
dirla lunga, ma non mi fermai a quello “Cazzo fra, mi
dispiace tantissimo…” Lui
si sedette di fretta e si ricoprì, io mi sedetti a fianco e
gli detti delle
pacche sulle spalle provando a consolarlo “Dai, non
è così grave, no anzi, è
gravissimo ma dai, la vita continua…” se potessi
tornare indietro nel tempo e
farmi andare in coma etilico prima di lasciare la festa,
l’avrei fatto.
Il tipo
è
scoppiato a piangere e quella sera abbiamo chiacchierato tutto il tempo
perché
temevo che appena me ne fossi andata si sarebbe sparato un colpo in
testa.
Di
recente
mi è uscito tra i suggerimenti delle amicizie di facebook,
ho visto che si è
sposato e adesso ha perfino una figlia e mi chiedo ancora come abbia
fatto. Il
mio compagno ha visto che gli stavo guardando il profilo e mi ha
chiesto chi
fosse. “Uno della mia vecchia compagnia in Italia…
ha avuto una figlia per fortuna.”
“Perché
per
fortuna?”
“Così.”
Almeno
non prenderà da lui, povera crista.
Con
questo
concludo questo tristissimo capitolo su alcune delle figure di merda
che ho fatto
perché se dovessi elencarle tutte penso che ci uscirebbe un
tomo da mille
pagine, però oggi mi venivano in mente e non ho resistito a
buttare giù le prime
che mi sono venute in mente.
Incredibilmente,
la maggior parte dei pensieri intrusivi che mi vengono in mente quando
arrabbiata
riguarda proprio le figuracce che ho fatto nel corso degli anni. Dal
nulla mi schiaffo
il palmo della mano in faccia e le persone mi chiedono a cosa stessi
pensando.
La risposta è sempre “Niente…”
Cerco di
dimenticare quelle antecedenti al mio trasferimento
all’estero, ma a volte sono
proprio inarrestabili e poi sono coerente: le facevo in Italia,
continuo a
farle all’estero.
Ricordate
sempre cosa diceva il Signor Bloch parlando della legge di Murphy sulla
probabilità: