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Autore: aurora giacomini    22/07/2023    1 recensioni
La scomparsa di una persona cara, l'incontro con una ragazza misteriosa: piccoli e grandi misteri si mescolano al dedalo di emozioni, di rapporti interpersonali e intrapersonali nel tentativo di capire cosa sia vero e cosa no, cosa reale e cosa no.
A narrare il ricordo è Andrea, ora adulta, che ricostruisce e prova a ricordare cosa significhi essere nell'età più confusa e magica dell'esistenza.
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11 Capitoli per 42,7oo parole circa
Genere: Avventura, Introspettivo, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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      Otto

 

 

Che ne era stato del discorso provato e riprovato, perfino ad alta voce? Boh. Svanito, dileguato, estinto... un po’ come il vecchio Marley... Capito, no?

‘‘Il vecchio Marley era morto come il chiodo di una porta. Badate! Con questo io non intendo dire che so di mia propria scienza che cosa ci sia di particolarmente morto nel chiodo di una porta; personalmente, anzi, propenderei-’’ 

Bon, ci siam capiti.

Scacciai la storia con i tre fantasmi e tornai al mio, di fantasma.

Nevrè mi fissava dritta negli occhi; le labbra lievemente dischiuse tremolavano appena, senza però fornirle supporto per quello che voleva dire. Qualunque cosa le passasse per la testa in quel momento, certo.

Noi che diremmo, se qualcuno venisse a farci notare che siamo morte?

Forse mi muterei in uno spettro malvagio e tenterei di rubare il corpo della persona che ho davanti; giusto per farmi un giretto.

Nevrè non lo farebbe mai!

Chi lo sa. In ogni caso, non siamo ancora certe che sia un fantasma.

Be’, il fatto che non abbia ancora reagito è una prova, secondo me: io so come avrei reagito... più o meno. D’altra parte-

«Qu’est-ce que je suis?»

Che faccio, le ripeto la cosa del chiodo di porta? Non mi pare il caso...

«Eh...» feci.

«Morte comme un clou de porte...» mormorò, continuando a fissarmi a occhi socchiusi. 

Poi, senza preavviso, una sorta di ghigno le deformò i bei lineamenti.

Si è incazzata! Che ti avevo detto riguardo lo spettro malvagio?! Scappa! Fuggi, sciocca!

Non mi mossi, perché le gambe continuavano a limitarsi a tenermi su... Il che, pensandoci, era già qualcosa.

«Dickens!»

La sua esclamazione, improvvisa quanto il mutare della sua espressione, mi aveva colta alla sprovvista e mi aveva terrorizzata; inoltre, nello stesso momento e non così in lontananza, era esploso un tuono.

Prima che avessi il tempo di capire o di rendermi conto di non essere più stabile, il mio fondoschiena incontrò le pietre. Non ricordo altro dell’impatto, ma penso di aver visto bianco.

«Andrea!», strillò, cambiando ancora faccia e muovendo un paio di passi verso di me.

Usai mani e piedi per strisciare all’indietro, come uno strano, zoppo granchio a pancia in sopra. O la fanciulla in qualche film horror, quando l’assassino o il mostro sta per prenderla.

«Non sta a venirmi vicino, sai!», strillai a mia volta. «Se ti avvicinerai, non risponderò delle mie azioni!» Giusto per dare forza al discorso, presi su una pietra: «Visto?»

Mona! Così la fai incazzare il doppio! La pietra le passerebbe attraverso e lei avrebbe un ulteriore incentivo per rubarci il corpo!

Ma Nevrè non sembrò più incazzata, anzi, sembrò triste e spaventata. Si fermò e si limitò a guardarmi.

Bon dai, è qualcosa... almeno non ci sgraffignerà l’involucro... sembra.

«Via, s'il vous plaît...» Mi voltò le spalle e si allontanò, mormorando: «Scusa se dico, Andrea, mais... Euh... mais tu matta da buttare via la clé... chiave...» 

Cosa...?!

Balzai in piedi con un’agilità non dettata dalla mia giovane età, ma bensì dalla rabbia.

«Solo io posso darmi della matta! Hai capito, sottospecie di fantasma o quel diavolo che sei?»

Si voltò a guardarmi e io persi tutta l’ira, tutta la baldanza: c’era nuovamente solo spazio per la paura... e il dispiacere, perché ora piangeva.

«Che vuoi da mia vita?!», strillò. «Pensato tu qui ancora per dire perché ieri non tornata! Poi pensato tu volere fare cool, dicendo di Un Chant de Noël! Poi prendi une pierre e vuoi fare male a me, che non ho mai fatto male a te!»

«Anche se avessi deciso di tirartela, non ti avrebbe fatto niente! Certo, forse ti saresti incazzata, come Mirtilla col diario di... Bon. Non te l’ho tirata, e ripeto che non ti avrebbe fatto nulla, se non passarti attraverso, perché sei incorporea!»

«Silence! Je ne tolérerai pas ton insolence!»

«Me ne sbatto di cosa tolleri e cosa no! Perché non mi hai detto che eri morta?!»

Ormai avevo deciso che non stavo discutendo con una mia proiezione: quello era solo - si fa per dire - un fantasma.

L’ira sul suo volto si acquietò, lasciando posto allo sgomento.

«Ce qui?»

«Hai capito benissimo, Nevrè Morell!»

«Come sai mon nom de famille?!»

«Ho letto l’articolo in cui si parla della tua morte!» Tirai fuori il cellulare dal sacchetto - non mi sono mai fidata dell’estate e poi sapevo che sarei tornata dall’acqua - e cercai la foto che avevo fatto al PC.

«Guarda!», urlai, rivolgendo lo schermo con la sua faccia verso di lei. «Non ha senso continuare con questa farsa e...» 

Mi calmai ancora, di colpo.

«... e mi dispiace, comunque...» 

Tutta la rabbia stava evaporando come neve al sole, lasciandomi di nuovo capace di provare umana empatia.

Scosse mestamente il capo e, cogliendomi completamente alla sprovvista, si voltò, decisa a mollarmi lì.

«Nevrè!», chiamai. «Senti, mi dispiace! Ho paura e mi sono lasciata andare! Torna qui!»

Non accennò a fermarsi e neppure a voltarsi.

«Nevrè!»

Niente, voleva proprio andarsene... Bon, non che la si potesse biasimare...

Non ricordo quale pensiero, di preciso, mi mosse, ma so che scattai verso di lei.

«Aspetta...» la supplicai, prendendola per il polso. «Non m’importa se sei un fantasma, va bene? Prima di perdere la testa, avevo deciso che volevo provare ad aiutarti. Lo voglio ancora!»

Stavo per partire a parlare della Patrizia, ma lei si voltò.

«Non tocca, s'il vous plaît.»

«Scusa!», esclamai, lasciandola andare.

In quel momento, nel momento in cui la mia mano si separò dal suo polso, mi resi conto di averla toccata e di conservare sul palmo la sensazione della sua pelle, il suo calore e il suo colore: un pallido blu.

«Io no bisogno di aiuto, tu bisogno qualcuno aiuta te, Andrea.»

«Sì, è probabile», liquidai. «Com’è possibile che sia riuscita a toccarti?» Quello, mi interessava.

«Stanca di tue absurdité, Andrea...» sospirò.

Però, almeno, si era completamente voltata verso di me.

«Sì, e c’hai pure ragione... Ma mi spieghi perché riesco a toccarti?»

«Ah, oui!», esclamò. «Io morta come chiodo di porta. Avevo dimenticato.»

«Eh, appunto!», annuii, con veemenza.

«Je suis sarcastique!», sbottò. «Io no morta! Come fai pensare cosa così?!»

«Ma... Eh...» mugugnai. Non ci stavo capendo più niente. «Forse non sai di essere morta... No... non sei morta...»

«Cosa detto io?»

«Eh, ho capito... Ma come spieghi l’articolo con la tua morte? Mi hai confermato tu che il tuo cognome è Morell, o no?»

«Leggi nome!», mi ordinò.

«Ma non c’è il nome! C’è la N, come Nevrè. Nevrè Morell! Il tuo nome è o non è Nevrè Morell?»

«Basta ripetere mio nome! So quale è mio nome!»

«Eh, ho capito, ma così non andiamo da nessuna parte, Nevrè...»

«Dove vuoi andare?»

«No, è un modo di dire...»

«Capito questo! Chiesto dove vuoi andare con tue parole!»

«Ma da nessuna parte! Aaah! Mi sembra di impazzire!», urlai, voltandomi per avvicinarmi alla pozza e bagnarmi la faccia.

Non mi bagnai il volto: lo immersi direttamente nell’acqua gelida.

Meglio. Molto meglio...

Mi tirai su e mi voltai.

Nevrè era sparita.

E no eh...

«Sono qui...»

Riuscii a non strillare per lo spavento.

Mi accorsi che si era solo spostata al mio fianco, dalla parte opposta a quella che avevo scelto per voltarmi.

«Nevrè... senti, perché lì ci sono il tuo nome e il tuo volto...?» Ero esausta. Completamente sfinita.

Non mi rispose, continuò a guardare in profondità, dove cadeva l’acqua.

«Se hanno fatto un errore...» tentai. «Non lo so, magari...» riprovai. Ma non sapevo neppure io cosa avrei voluto dire. Volevo solo che mi spiegasse perché si trovava su quell’articolo, nient’altro.

«Guarda bene, Andrea...» disse, e finalmente mi guardò. «C'est que je ne suis pas elle...»

Socchiusi gli occhi e mi ripetei la frase in testa.

«Non sei... lei? Lei chi? La ragazza della foto? Be’, mi spiace, ma sì, sei tu, Nevrè...»

«Non.»

«Nevrè...»

«Andrea...»

Continuare a ripeterci i rispettivi nomi non avrebbe portato a molto.

«Va bene, facciamo che non sei tu... Allora chi è?»

Sospirò e pensai che non avrebbe detto altro.

Mi sbagliavo.

«Nicole...»

Che c’entra Nicole, ora? Potrà essere anche lei una fan della serie, ma non mi pare il momento di- Oh...

Improvvisamente ricordai.

«Mi hai parlato di lei... E’ stato per quello che ti ho raccontato della mia sinestesia...»

Annuì.

Mi ero completamente dimenticata di lei. Se solo me ne fossi ricordata prima, le precedenti ventiquattrore avrebbero avuto tutto un altro senso... un altro colore... un altro tutto. Sì, perché alla fine sapevo che il mio cervello avrebbe scelto la strada più logica, in quel caso. Non mi sarei chiesta se fossi pazza o se avessi visto un fantasma... be’, magari all’inizio inizio sì, ma poi, ricordandomi della Nicole-non-poliziotta, avrei cominciato a pensare quello che c’era da pensare.

Io l’avevo detto che c’era un’altra spiegazione, una terza opzione, alla vocina inedita, ma poi... poi le cose sono andate come le ho descritte, per quanto mi imbarazzi ammetterlo.

Ancora prima di farmi domande, avevo la risposta. E’ sempre stata nella mia testa, sepolta nell’inconscio. 

«Tua sorella Nicole...»

«Sœur jumelle.»

«Sorella gemella?»

Annuì di nuovo.

Ritirai fuori il cellulare e guardai per l’ennesima volta il volto di Nevrè. Ma quello non era il suo volto. 

A quel punto notai davvero gli orecchini dorati a forma di tartaruga. Alzai lo sguardo su Nevrè: niente buchi, come infatti avevo pensato il giorno prima. Giù di nuovo sulla foto e osservai il neo, appena sopra il sopracciglio sinistro. Nevrè non aveva nei. 

Comunque, per il resto erano identiche.

Okay... Dio, okay un corno, ma comunque...

«Non so cosa dire, Nevrè...»

«Non c’è da dire niente.»

No, qualcosa da dire c’era eccome.

«Mi dispiace da morire per... tutto... Il mio comportamento...»

«No in collera con te, Andrea: capito tu tanta paura. Capito cosa tu pensava. Capito.»

Oh, se tu sapessi che pandemonio ho tirato su...

«Vorrei che tu ti arrabbiassi. Ma sul serio, questa volta...»

«Più arrabbiata perché tu preso pierre: brutto gesto.»

«Se potessi tornare indietro, non lo rifarei. Ma se avessi avuto il potere di tornare indietro, Nevrè, tu e io non ci saremmo mai neppure incontrate, perché avrei fatto qualcosa per impedire che mia madre finisse chissà dove e non avrei dunque avuto motivo di venire a cercare quei due mona qui... Invero, non ho mai avuto bisogno di quel potere: mi sarebbe bastato essere una figlia migliore...»

L’avevo detto senza quasi rendermene conto. Ma mi sentii meglio, ora che l’avevo detto ad alta voce.

«Sono un disastro, in tutto... E sono pure stata terribile e perfida con te, che sei... che sei... sempre stata gentile con me...» 

«Non», disse, avvolgendomi fra le braccia. Si irrigidì e chiese: «Posso toccare te, Andrea?»

Non le risposi verbalmente, perché avevo cominciato a piangere, ma ricambiai l’abbraccio.

Il muco, che mi ostruiva le vie aeree, mi impedì di identificare fino in fondo il suo odore, ma posso dire che era buono, anche con quel lieve sentore di sudore fresco.

«Tu solo bisogno parla con qualcuno amico, poi tutto meglio, Andrea, oui?»

 

Le raccontai tutto: di mia zia Alberta, di mia madre, dei miei amici, delle mie teorie. Tutto quanto, tutta la verità. Fu molto imbarazzante, ma ritenni di doverglielo.

Lei, in cambio, mi raccontò di Nicole.

 

Nevrè e Nicole, all’inizio di giugno, quando erano arrivate qui in Friuli per dare inizio alla vacanza, avevano conosciuto un ragazzo più grande, proprio al bar dove di solito stava il Peppino; infatti, mi disse, il ragazzo era intervenuto perché Peppino stava facendo loro il discorso sull’alcol e non le mollava più.

Questo ragazzo più grande - di cui non ha rivelato il nome e neppure una descrizione sufficiente a farmi capire se lo conoscessi o meno - si è subito mostrato interessato a Nicole. E’ stato lui a proporre a Nicole di andare dalla Cascata - Nevrè non era stata esplicitamente invitata, ma non si fidava di lasciare sola la gemella con un ragazzo più grande e sconosciuto, non in un luogo così appartato. A costo di rendersi sgradevole, come solo i terzi incomodi, li aveva seguiti.

Sono saliti in cima e lui ha saltato, per far colpo su Nicole. Nicole, per lo stesso motivo, ovvero far colpo sul ragazzo, ha saltato anch’ella.

Nevrè, dal basso, li ha osservati far avanti e indietro un paio di volte... fino a quando ha visto la sorella precipitare nel vuoto. Non ha neppure avuto il tempo di urlare; nessuna delle due, in realtà.

Si è buttata in acqua e anche il ragazzo è sceso subito, per vedere di aiutarla. Ma non c’è stato niente da fare, perché, cadendo, Nicole aveva sbattuto la testa sul masso in mezzo alla pozza; lo stesso su cui Mario si era sbucciato il ginocchio, ma lui aveva frenato la caduta prima, aggrappandosi a delle radici.

Ricorda di averla portata a riva e poi è tutto confuso, fino a quando si è trovata circondata da Carabinieri, Forestali e personale della Protezione Civile.

 

«Domani portare di nuovo Nicole a casa», disse. «Indagini finite.»

«Mi dispiace tanto, Nevrè...»

«No triste, Andrea. Nicole morta come vissuto: libera, facendo quello che voleva, con la sua mente e no con quella di altri. E poi questo posto è bellissimo... anche me piacerebbe morire in posto così.»

«Lo so che ci sarebbe di meglio da dire, ma devo chiederti una roba: davvero non sei arrabbiata con me?»

«No voglio sprecare mio tempo a essere arrabbiata, Andrea. Nicole mi ha fatto vedere che vita può andare via d’improvviso, senza dire o chiedere permesso; non voglio sprecare mio tempo con pensieri et emozioni brutte, non serve a niente, solo vivere male poco tempo che abbiamo. Tu tanto dispiaciuta, capito questo, come capito tu no cattiva. No in collera con te. No in collera con ella. No in collera con ragazzo. In collera con nessuno.»

«Neppure per la storia della pietra...?»

«Non. Passato. C'est bon.»

«Non credo che te l’avrei tirata, comunque, anche se ero convinta che eri incorporea...»

«C'est bon, Andrea. Non serve parlare più.»

«Adesso so che non sei un fantasma, ma alcune tue robe... Insomma, ci sono ancora un paio di cose che vorrei capire...»

Il perché si trovasse lì l’avevo capito da me: voleva stare un po’ nell’ultimo posto in cui aveva vissuto con sua sorella, forse il posto dell’ultimo sguardo, dell’ultimo sorriso.

Mi spiegò come aveva fatto a scendere così in fretta dalla cima: aveva legato una corda, sopra, così, mi disse, magari le persone avrebbero trovato più interessante provare la corda, piuttosto che saltare dall’altra parte. Forse non ci sarebbero stati altri morti - per ora è così. Me la fece vedere. Dalla spiaggetta non era visibile, perché stava in una scanalatura, di fianco alla cascata. Le promisi che, nel giro di qualche anno, se mi fossi accorta che si era deteriorata, l’avrei cambiata io.

La domanda sul fatto che esistesse o meno? Non c’era una vera e propria spiegazione, mi disse; l’aveva detto così, pensando a quello che le avevo detto io sulle ‘‘sagome’’ delle zia Alberta.

La sigaretta? Era stata tentata, ma aveva deciso di smettere dopo la morte di Nicole. Tutto lì.

La volta che mi era apparsa da dietro? Si era imboscata per fare pipì dietro un cumulo di rami e altre robe portate dalle corrente. Il rumore dell’acqua aveva fatto il suo ma, comunque, lei aveva fatto piano per cogliermi di sorpresa; così, giusto per scherzare. Una roba innocente che le circostanze - soprattutto la mia mente - avevano distorto come sappiamo.

Il suo registratore incorporato? Niente, Internet e una predisposizione naturale all’apprendimento delle lingue - parlava fluentemente francese (be’) inglese e tedesco; l’italiano lo studiava solo quando veniva qui in Friuli, così, per vedere quanto si imparasse solo sul territorio, per tre mesi l’anno.

Dimentico qualcosa? Sì: i vestiti e la copertura di rete.

Inizialmente, quel giorno, non vi avevo badato, ma si era cambiata: il vestito - o i vestiti, devo ancora saperlo - giallo era stato sostituito da una camicetta di colore simile - il giallo le piaceva un botto - e da un paio di jeans bianchi. I colori simili a quelli che ero abituata a vederle addosso e il fatto che fossi un po’ partita di testa, mi avevano impedito di farci caso.

Riguardo la copertura di rete... quello l’avrei scoperto anni dopo, ma sul finire di quell’estate stavano mettendo un ripetitore. Fu grazie a Nicole: il ragazzo era dovuto arrivare quasi fin in paese, per poter chiamare aiuto; così il sindaco aveva deciso che quell’area dovesse essere coperta, dal momento che era l’unica davvero isolata. Lo stesso sindaco aveva diramato degli avvisi, rilasciato interviste eccetera, in cui pregava i suoi concittadini di prestare massima attenzione, di essere prudenti e non andarci da soli, visto quello che era accaduto. Quelle robe me le ero perse, impegnata com’ero a godermi l’estate.

C’era una spiegazione a tutto, eppure è stato così facile creare il malinteso che mi ha cambiato la vita. No, non sto esagerando: sono una persona diversa, grazie a quello che avvenne quell’estate; e Nevrè ricopre più del cinquanta percento, in tutto questo.

A prescindere da mia madre - di cui parlerò dopo - la mia vita era sempre stata una linea retta, così la vedevo; poi... bam!, Nevrè. Linea, poi Nevrè. Un masso sulla mia strada, che mi aveva costretta per sentieri assurdi, al limite della fantasia più sfrenata.

Mi do ancora della cretina, per aver pensato alla follia; ma del resto, vista la mia storia famigliare... I fantasmi, eh, con quella roba ci devo ancora fare pace, perché non so bene cosa pensare; in fondo, per un intensissimo giorno, ci ho creduto.

Comunque, in tutto quello, mi dimenticai di chiederle perché proprio in Friuli: perché attraversare tutto il settentrione, per imboscarsi qui. 

Non l’ho mai scoperto.

 

«E così domani riparti...» dissi.

«Oui. Aereo... Euh... domani pomeriggio. Sperato tu oggi torna qui, perché volevo dire addio, Andrea.»

«Ma tornerai, no? L’anno prossimo, dico.»

Scosse piano la testa.

Non ce ne sarebbe stato bisogno, ma mi disse che i suoi non volevano tornare, non dopo quello che era successo a Nicole.

«Quindi non ci rivedremo mai più...» mormorai.

«Possiamo scrivere messaggi, oui?»

«Hai Facebook o robe simili?»

«Non», sospirò.

«No, neppure io... non mi piace che la gente debba farsi i fatti miei o che possa rintracciarmi random. Ma potremmo scambiarci i numeri di telefono!», esclamai poi. «Posso segnarmi il tuo numero, dato che ho il cellulare qui!»

«Euh, domani: non so mio numero a mente et niente per scrivere.»

«Già... Allora domani vengo a salutarti per bene, va bene?»

«Prima di midi... Euh... Prima di mezzogiorno, oui? Valigie, viaggio con macchina et poi aereo, oui?»

«Sarò qui alle dieci. Va bene o è troppo tardi? Effettivamente, non è che io abbia altro da fare, quindi posso venire anche prima, pensandoci... E poi, voglio un’altra occasione per vederti...»

«Dix c'est parfait!», mi sorrise.

«Perfetto!»

Dovevamo salutarci, perché si stava facendo tardi e lei aveva cose da fare; inoltre, il cielo ci aveva risparmiate, ma continuava a brontolare sopra di noi. Meglio non farsi beccare da un fulmine, sopratutto con tutta quell’acqua attorno.

«Prima di andare... Nel senso...» farfugliai, senza trovare il coraggio di chiederle quello che volevo.

«Vuoi ancora abbracciate, oui?», mi chiese e rise.

«Eh... mi piacerebbe, sì... Possiamo?»

«Viens ici, Andrea!»

E io andai da lei.

«Aïe aïe, timide Andrea!», ridacchiò, stringendomi e sballottandomi appena.

Questa volta riuscii a cogliere il suo odore: sapeva di vaniglia, ma non di ciambelle, come l’agente Haught - secondo la visione di Waverly - più di vera vaniglia. E confermo il suo colore: blu pallido; non azzurro, proprio blu pallido.

«Allora a domani, Nevrè...» dissi, lasciandola, mio malgrado, andare.

«A domani, Andrea. Au revoir!»

«Arrivederci...» mormorai, osservandola scattare via.

Adesso non ci resta che tornare dalla Patrizia e dirle che abbiamo sconfitto i nostri demoni...

Qualcosa annuì e io mi voltai, dal momento che oramai Nevrè era stata inghiottita dalla vegetazione.

 

 

La pioggia mi sorprese sulla soglia di casa, quindi, almeno quel giorno, riuscii a non inzupparmi.

Nel salotto trovai il papà e la Lilla, intenti a seguire le avventure del Trenino Thomas.

Lilla - profumatissima e freschissima di bagnetto - mi corse in contro e mi disse che prima si era tanto divertita. Le risposi che, sì, anche per me era stato lo stesso.

Chiesi a mio padre se la Patrizia fosse nello studio e, ricevuta conferma, salii al piano di sopra.

 

La Patrizia e io ci spostammo nella mia camera; lei sul letto e io alla scrivania.

Pensavo sarebbe stato difficile raccontarle tutto, trovare il modo di ricostruire gli eventi e non fare confusione; invece dalla mia bocca sgorgò tutta la storia, con facilità, quasi con naturalezza.

 

«Non sei sorpresa... non quanto mi aspettavo, almeno...» commentai.

Una parte di me, in realtà, si aspettava di vederla prendere su il cellulare, per chiamare qualche clinica; questo prima di ricordare che lei era la Patrizia, certo.

Sorrise e si strinse nelle spalle.

«Almeno ora ho capito perché mi fossi convinta che la ragazza di cui mi parlavi e quella che, purtroppo, ha avuto l’incidente fossero la stessa persona; anche se così non è.»

«E come avresti fatto a capire la cosa, scusa?»

«Tesoro, mi hai parlato di una ragazza francese e, guarda un po’, Morell è un cognome francese.»

«Ah... Bon, ha senso.»

«Mi dispiace tu abbia avuto un momento così difficile, così spaventoso; ma puoi vederla come un’avventura. Sei d’accordo? Potresti scriverci una storia.»

«Non penso: a me piace leggere, ma non sono capace di scrivere.» 

Le cose sarebbero andate diversamente, ma non potevo saperlo - e con questo non intendo dire che ora sappia scrivere, ben inteso.

La Patrizia stava per aggiungere qualcosa o forse stava per venire ad abbracciarmi, ma sentimmo i gradini scricchiolare oltraggiati sotto il peso di qualcuno piuttosto di fretta.

Papà spalancò la porta e, appoggiando il cellulare al petto, ci disse che avevano ritrovato la mamma.

Ricordo di aver sperimentato la stessa cosa di un paio di giorni prima, solo che ‘sta volta il palloncino si era gonfiato ed era esploso in una frazione d’istante.

 

  
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