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Autore: mallveollos    27/08/2023    3 recensioni
Hogwarts, 1977-78
L'ultimo anno dei Malandrini, tra amori e amicizie, gioie e dolori, vittorie e sconfitte.
*
Sirius continuò a fissarla, il capo inclinato e lo sguardo perforante.
La studiò come se fosse una scoperta inattesa, strabiliante, come se prima di allora non l’avesse mai vista realmente. E iniziò a serpeggiare in lui uno strano calore, un formicolio che lo scosse da capo a piedi. Fu allora che capì, che gli fu chiaro come il sole: Scarlett doveva essere sua.
*
«Hai smesso di odiarmi?»
James la guardava in attesa, un sorriso sulle labbra e lo sguardo colmo di speranza. Voleva sentirselo dire, aveva bisogno di sapere che niente era stato vano.
«Non smetterò mai di odiarti» rivelò lei, con dolcezza disarmante. «Non sarebbe divertente altrimenti, no?»
*
«Hai mai pensato, ogni tanto, di voler essere diverso?»
Remus annuì e guardò Mary con infinita amarezza. Avrebbe voluto dirle che lei era perfetta, che non conosceva nessuno più buono e puro di lei. Ma, dopotutto, che differenza poteva fare il parere di un mostro come lui?
*
E il suo sorrisetto arrogante si spense all’istante.
Perché per terra, in una pozza gelida di neve rossa, c’era James.
Genere: Azione, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: I Malandrini, James Potter, Nuovo personaggio, Remus Lupin, Sirius Black | Coppie: James/Lily
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
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L’alba del primo giorno di lezioni avvolse il Castello con il suo tepore, filtrando appena dalle finestre dei dormitori. L’estate ormai stava finendo ma quel cielo, così blu e terso, sembrava portare con sé la tacita promessa che il freddo avrebbe tardato ancora un po’ per arrivare.
Mary Macdonald si svegliò estremamente felice, quella mattina.
Il sorriso non l’abbandonò nemmeno per un momento mentre si preparava e non fece che allargarsi quando, all’improvviso, i suoi occhi azzurri notarono Remus da solo in Sala Comune.
Il ragazzo stava lì, le mani in tasca e l’aria impaziente di chi aspettava qualcuno palesemente in ritardo. Mary scosse divertita il capo pensando che, senza ombra di dubbio, i suoi amici fossero come sempre rimasti a letto e a nulla erano servite le suppliche di aprire gli occhi per non arrivare ultimi alla colazione.
Un altro, al posto di Remus, se ne sarebbe fregato e avrebbe proseguito la sua giornata senza sprecare tempo ad aspettare qualcuno. Ma lui no, non era affatto quel tipo di persona. E forse era proprio per quel particolare che a Mary piaceva così tanto.
Era affascinata dalla sua bontà, dalla pazienza e la cura con cui trattava il prossimo: mai una parola fuori posto, mai uno sguardo cupo o un atteggiamento sgarbata.  Spesso si era scoperta ad osservarlo, a meravigliarsi della sua continua volontà di non far sentire nessuno fuori posto o a disagio.
La loro amicizia era nata per lo stesso preciso motivo.
Mary era in lacrime in biblioteca, afflitta dalle critiche ricevuto da un gruppetto poco garbato di Serpeverde. Lei non aveva il carattere delle sue amiche, non si sentiva “una tosta”, non riusciva ad avere la risposta pronta né tanto meno cattiveria gratuita da riservare a chi si dimostrava crudele. A 12 anni la vita di una Nata Babbana, poi, era ancora più complicata.
Remus l’aveva notata subito e, seppur avessero parlato pochissime volte, non riuscì a rimanerle indifferente. Quella bambina bionda, quasi angelica, con gli occhi azzurri e zuppi di lacrime gli fece stringere il cuore. Quando le si avvicinò, il sorriso gentile e un fazzoletto stretto tra le mani, Mary lo guardò meravigliata, come se ormai avesse perso le speranze nella gentilezza del resto del mondo. Da quel preciso momento non smisero mai di supportarsi, di parlare e confidarsi, di essere più che semplici amici. Eppure, nonostante lei pensasse di averglielo fatto capire in tutti i modi, non arrivò mai un degno epilogo per quel loro sentimento che ancora non aveva un nome. La ragione non era di certo un’altra ragazza, ma qualcosa di diverso, un fatto che nemmeno lei riusciva distintamente a individuare: mai, infatti, lo avevo visto uscire con qualcuna o in atteggiamenti equivoci. Quella, a dirla tutta, era stata la tattica che aveva adottato lei stessa seppur con scarsissimi risultati. Ad un certo punto Mary era arrivata a chiedersi se fosse tutto frutto della sua immaginazione, se quell’attrazione genuina e smaliziata fosse solo nei suoi occhi: ogni volta che, però, si ritrovava a fissare quelli di Remus captava il medesimo desiderio, seppur trattenuto.
Il ragazzo, all’ennesimo sbuffo scocciato, si girò distrattamente in sua direzione e quando la notò a fissarlo, con occhi persi ed espressione vacua, assunse un fare confuso ed imbarazzato.
«Mary» la salutò, l’ombra di un sorriso che si disegnava sulle labbra. «Tutto bene?»
Lei sobbalzò e arrossì vistosamente, beccata nel bel mezzo del suo fantasticare. Prese ad annuire in modo frenetico, lisciando i lunghi capelli biondi con nervosismo.
«Sì… scusa» balbettò, mentre finiva di scendere le scale. «Ho dormito davvero poco questa notte e… beh, sai com’è, ci impiegherò un po’ a carburare» mentì, sperando che lui non cogliesse la menzogna delle sue parole.
Remus allargò il sorriso vedendola avvicinarsi.
«Ah, capisco» disse, affondando le mani delle tasche. «Credo che sarà lo stesso stato in cui verseranno i miei compagni di stanza. Non so se hai notato, ma l’ultimo anno non li ha fatti di certo maturare.»
Mary rise, come dargli torto?
«Vedo che però anche tu sei senza il seguito» le fece notare lui, continuando a parlare. «Anche le ragazze hanno fatto fatica ad aprire gli occhi questa mattina?»
«Che ci vuoi fare» sospirò lei, stringendosi nelle spalle. «Il rientro è traumatico per tutti, a breve credo che saranno qui».
Nel sentire quelle parole Remus si accese, come folgorato da qualcosa. L’idea che avrebbero avuto ancora una manciata di minuti da passare in quel modo, da soli, gli fece venire voglia di parlare di cose più importanti. La loro prima conversazione non poteva davvero essere su quanto fosse difficile svegliarsi o sul ritardo dei rispettivi amici. No, non era ammissibile.
«Senti…» iniziò, improvvisamente imbarazzato, e portò una mano a grattarsi la nuca. «Volevo ringraziarti per… beh, tutte le lettere che mi hai mandato quest’estate. E’ stato bello sentirti, parlare di libri e .. di tutto il resto».
Mary parve profondamente colpita dalle sue parole e sorrise, tenera e dolce come solo lei sapeva essere.
«Anche per me lo è stato» ammise, facendo un passo verso di lui. Gli occhi azzurri lo scrutavano attenti, come se volessero carpire ogni minima reazione a ciò che stava per dire. «Ti confesso che ormai non riuscirei a passare un’estate intera senza le nostre assurde conversazioni. Mi tieni compagnia ormai da 5 anni lunghi anni».
Quello fu il turno di Remus ad essere colpito e, nonostante avrebbe fatto di tutto per non lasciarlo trapelare, arrossì leggermente manifestando il suo imbarazzo. Non era abituato a certi slanci, né tantomeno a sentirsi dire determinate cose. Gli amici avrebbero riso di lui, se fossero stati presenti, canzonandolo come una ragazzino alla prima cotta. Ma infondo lo era davvero.
Mai si era concesso il lusso di lasciarsi andare, di vivere con spensieratezza anche il più frivolo e leggero dei sentimenti. Ogni volta che era sul punto di farlo, una forza più grande di lui lo fermava costringendolo a guardare in faccia l’altra metà di sé stesso: e anche in quel momento, così puro e perfetto, un brivido gli attraversò il corpo.
Perché lo stava facendo? Perché si stava facendo del male da solo?
Il suo sguardo indugiò su Mary, che lo fissava a sua volta in attesa. Era evidente che doveva dire qualcosa, una frase ad effetto che le avrebbe solleticato la curiosità e il cuore… ma a che scopo?
Remus sospirò brevemente, socchiudendo gli occhi e interrompendo quel contatto.
«Sì» annuì lui, inspiegabilmente triste. «Sono proprio fortunato ad averti come amica».
Mary aprì la bocca, ma non emise nemmeno il più flebile suono. Si scoprì invece a guardarlo con una vena di delusione, come se si aspettasse che quella conversazione prendesse un’altra direzione. Ma la cosa che la colpì maggiormente fu la cura con cui lui aveva sottolineato la parola amica: un appellativo comune, troppo forse, almeno per quello che lei reputava di sentire nei suoi confronti.
«Già, lo sono anch’io» disse infine, arresa all’ennesima dimostrazione che le sarebbe stato impossibile scavalcare il muro tra loro.
Mary abbassò lo sguardo e aggrottò la fronte, mentre lui la studiava di sottecchi incapace di aggiungere altro. Sarebbe piaciuto anche a lei avere la forza di dire di più, di lanciarsi in una frase ad effetto degna di Emmeline o Scarlett… avrebbe fatto qualsiasi cosa per scuoterlo, fargli capire che non voleva essere solo sua amica. Non più, almeno.
Dopotutto quello era il loro ultimo anno, insieme, l’ultima occasione di non uccidere sul nascere una cosa tanto delicata e meravigliosa. Quando trovò la forza di riguardarlo, però, era troppo tardi per proseguire la conversazione.
«Buongiorno miei adorati, abbiamo per caso interrotto qualcosa?»
James e Sirius scesero le scale dei dormitori maschili, seguiti a ruota da Peter. Tutti e tre I Malandrini studiarono la coppia, sprofondata nell’imbarazzo e nel disagio, con sguardi eloquenti e sorrisetti malizioso che Remus avrebbe desiderato con tutto il cuore estirpare dalle loro facce idiote.
«No affatto» si affrettò a dire Mary, scuotendo allegra il capo. «Stavamo solo parlando».
«Chissà perché non ho dubbi a riguardo» scherzò sarcastico Sirius, cingendo le spalle di un piccato Remus con un braccio.
«Dov’è il tuo seguito, Macd0nald?» si premurò subito di chiedere James, che fissava speranzoso le scale del dormitorio femminile.
«Oh credo che arriveranno a momenti» lo rassicurò la ragazza, con un occhiolino.
«Le donzelle ritardano esattamente noi» commentò Peter, annuendo soddisfatto verso Remus. «Visto amico?»
Quest’ultimo roteò esasperato gli occhi e si liberò dalla presa di Sirus, per poi lanciare uno sguardo a mo’ di scuse a Mary. Lei però non parve affatto a disagio e si strinse anzi nelle spalle come per dirgli di lasciar perdere.
«Andiamo a fare colazione?» propose Sirius, stiracchiandosi. «Ho un certo languorino che necessita di essere soddisfatto».
Gli altri parvero d’accordo all’unisono.
«Vuoi venire con noi, piccola Macdonald?» continuò allora, malizioso e ammiccante in sua direzione della ragazza. Remus, di sottecchi, gli lanciò un’occhiataccia in tralice. «Saresti la ragazza più invidiata del castello se dovessero vederti scendere con noi in Sala Gr…»
«Black, ti prego. Lascia stare la povera Mary e risparmiaci le tue stupidaggini almeno di prima mattina».
La voce di Scarlett, altezzosa e risoluta, arrivò all’improvviso e gli fece fare una smorfia infastidita. Ottimo, il veleno servito prima della colazione?
La guardò annoiato raggiungerli e si chiese istintivamente chi o cosa le avesse conferito l’autorità di essere una tale insopportabile saccente egocentrica.
«Riuscirai mai a stare nel tuo quando parlo con qualcun altro?» le chiese, con un tono caricatamene gentile. «Devo pensare che tu non possa fare a meno di rivolgermi la parola?»
Lei lo fissò divertita e annuì, colpita da quell’intuizione.
«Esatto Black, hai centrato il punto» ammise, sorridente. «Infatti non vedevo l’ora di svegliarmi e vedere la tua brutta faccia qui, a benedire la prima giornata di lezioni».
«Altre pagherebbero per avere tale privilegio» le fece notare, un sorrisetto sicuro di sé dipinto sul volto.
E Scarlett, che aveva già dato troppe attenzioni a quell’inutile essere, concentrò il suo sguardo castano altrove.
«Buongiorno ragazzi» salutò infatti gli altri, con un cenno della mano. «Andiamo a fare colazione?»
«Sì Brooks, ottima idea» annuì Peter, il cui stomaco borbottava incessantemente da una decina di minuti. «Che ne dite, ci avviamo?»
«Ma dove sono le altre?» chiese Mary all’amica, prima di seguire i ragazzi fuori dal buco del ritratto.
La mora Cacciatrice fece finta di pensarci, tamburellando un dito sul volto rivolto al soffitto.
«Vediamo… Alice è con Frank non so dove, ma sicuro sarei felice di non incrociarli a quest’ora del mattino» ammise, tornando a guardarla, e la scoprì con un’espressione comprensiva, quasi rassicurata. «Lily ed Emmeline ci raggiungono, stanno finendo di sistemare i loro vestiti».
«Ma pensa…» fece James, divertito da un qualcosa che gli altri non parvero cogliere. «Una Caposcuola in ritardo? Dovrò fare rapporto, non c’è che dire. E poi che senso avrebbe darsi tanta pena per i vestiti, lei è così bella che…»
«Vi prego, andiamo via subito» fu la supplica di Sirius a quelle parole, girandosi d’un tratto esausto. «Non ho intenzione di ascoltare le sue allusioni insensate di prima mattina, per di più a stomaco vuoto».
Quella fu la prima volta in cui Scarlett fu totalmente d’accordo con lui, sebbene non lo avrebbe ammesso nemmeno senza tortura. Le due ragazze si avviarono così verso la Sala Grande con i Malandrini e la Cacciatrice sfruttò quell’occasione per parlare di un fatto che le stava molto a cuore con uno di loro in particolare.
«James» lo richiamò infatti, mentre scendevano le scale. «Dobbiamo fissare le selezioni per la squadra il prima possibile. Ci servono un Battitore e un Cacciatore per iniziare gli allenamenti da settimana prossima».
Il ragazzo annuì, deciso e risoluto.
«Ho già in mente un paio di persone» dichiarò e si fece d’un tratto pensieroso. «Chiedi tu alla McGranitt di prenotarci il campo venerdì prossimo?»
Scarlett lo fissò e aggrottò la fronte, confusa da quella richiesta.
«Io?» chiese, incerta. «Sei tu il Capitano».
James si morse il labbro e allargò le braccia con fare colpevole.
«La vita è lunga, piena di insidie e imprevisti Scarlett» spiegò, con una cantilena da vecchio saggio. «Per allora potrei essere morto, storpio oppure…»
«In punizione?» suggerì tagliente Remus, qualche scalino sotto di lui.
Scarlett inarcò un sopracciglio e lo fissò divertita.
«Cosa stai tramando?»
«Niente che ti riguardi, Brooks» la informò Sirius, appena dietro di lei. «Faccende da uomini».
Lei fece meravigliosamente finta di niente e continuò a concentrarsi su James, l’aria seria e minacciosa.
«Ti conviene parlare, Capitano» gli intimò, austera come solo lei sapeva essere.
Mary, che aveva accelerato il passo, raggiunse Remus e gli bisbigliò “Tu ne sai qualcosa?”
Lui di tutta risposta annuì, quasi addolorato, come se non volesse essere accostato a ciò che gli amici si apprestavano a fare.
«Rilassati Scarlett» la rassicurò James, seppure sapesse di risultare poco convincente. «Non morirò, puoi stare tranquilla».
«Oh ma non è certo di questo che sono preoccupata» rivelò lei, serena e spietata. «Preferirei solo non dover saltare o rimandare le selezioni, perdendo tempo prezioso per migliorare le nostre prestazioni».
Sirius fissò ragazza, che gli dava le spalle, e alzò gli occhi grigi al soffitto. Il tono di cui la sua voce era intriso lo irritava come poche cose al mondo, doveva ammetterlo. Persino la sua andatura sicura e impettita lo faceva innervosire. Come poteva una persona credersi tanto perfetta, tanto al di sopra di tutti gli altri?
Quando fece per inserirsi nella conversazione, con l’ennesimo commento tagliente e velenoso, notò che alla fine delle scale c’era qualcuno che li guardava esitante, ciondolando davanti all’ingresso della Sala Grande.
Dylan Miller era lì, con i suoi ridicoli boccoli biondi, l’aspetto impeccabile e l’aria beata di chi aveva appena visto una Dea. Sirius scrutò con la coda dell’occhio Scarlett agitare la mano in sua direzione, a mo’ di soluto, per poi raggiungerlo superando gli altri. Infondo quell’apparizione aveva salvato lui e James dal dover dare spiegazioni non necessarie e superflue, e anche l’amico parve sollevato della fine di quell’interrogatorio che evidentemente non avrebbe saputo gestire.
Qualcosa però catturò involontariamente l’attenzione di Sirius, mentre faceva gli ultimi gradini. Scarlett era lì davanti a Miller, l’accenno di un sorriso e una mano nella sua. Eppure non sembrava così felice di vederlo.
Almeno non come una qualsiasi ragazza del Castello riunita al proprio fidanzato. Non che il Malandrino fosse un esperto in tali faccende di cuore, ma notò subito la differenza e non poté far altro che meravigliarsene.
«Salvati per miracolo» gli bisbigliò James, facendo cenno alla coppietta. «Stavo per cedere amico, faccio veramente fatica a tenerle testa sotto pressione…»
«Dici?» chiese lui, fingendosi sgomento di fronte a quell’ammissione. «Non avevo proprio notato».
«Ciao Dylan!» lo salutò allegra la Macdonald, un sorriso ad arricciarle le labbra.
«Mary!» la richiamò lui e sciolse brevemente la presa su Scarlett, senza però lasciarla andare. Le fece scivolare il braccio attorno alla vita, stringendola di spalle al suo petto. La ragazza parve irrigidirsi a quello slancio e lo assecondò, quasi meccanicamente.
«Ah Miller, Miller» iniziò James, scuotendo teatralmente il capo in segno di disapprovazione. «Stai cercando di corrompere la mia Cacciatrice, non è così?»
Lui assunse un’espressione colpevole e alzò la mano libera in segno di resa.
«Lo confesso, sì» annuì, facendo ridere Mary. «Ammetto però che è stata un’impresa lunga e tortuosa, che ancora non posso dire di aver portato a termine».
Sirius lo guardò, senza riuscire a nascondere ciò che pensava: quel tizio era davvero un idiota. Il suo sguardo metallico scivolò poi su Scarlett, ancora stretta a lui, con l’ombra di un sorriso sulle labbra e l’aria vagamente malinconica. Possibile che era l’unico a notarlo? Scrutò brevemente il gruppo di amici, specialmente Mary, ma nessuno parve stranito da quell’atteggiamento, anzi notò come fossero tutti contenti di quell’unione apparentemente perfetta.
Perfetta, poi. Se c’era una cosa che Sirius aveva imparato nella sua breve vita era che le perfezione non poteva essere reale, ma solo apparenza sapientemente costruita. La sua stupida famiglia dopotutto ne era la prova tangibile. E anche Scarlett, in quel momento, gli risultò più finta che mai. Lo sguardo spento, quasi triste, l’ombra di un sorriso forzato sulle labbra. Le braccia di un ragazzo che palesemente non desiderava a stringerla, senza la minima emozione a riguardo. Le faccende di cuore non erano il suo pane, come era risaputo, ma sapeva riconoscere una ragazza presa da qualcuno e lei, in quel preciso istante, era lontana anni luce dall’esserlo.
«Attento Dylan» lo redarguì bonario Remus. «James non cederà il suo asso nella manica tanto facilmente. Rinunciare alla vittoria non è una possibilità che è pronto ad accettare».
E il capitano di Grifondoro, sentite quelle parole, annuì con vigore.
«Nemmeno io se è per questo» fece poi Scarlett, liberandosi con un gesto secco dalla presa di Dylan, e gli lanciò uno sguardo eloquente mentre raggiungeva gli amici. Lui, seppur controvoglia, la lasciò fare osservandola stranito. «Abbiamo un patto noi, ricordi?»
Il ragazzo annuì, un mezzo sorriso sulle labbra.
«Fidanzati in borghese, acerrimi nemici in campo» si ricordò, incrociando le braccia al petto. «Fortuna che non sono tanto sensibile da lasciarmi distrarre, altrimenti non parerei nemmeno mezza Pluffa al tuo passaggio».
Sirius si ritrovò ad ascoltare quell’assurdo dialogo suo malgrado, incredulo dalla stupidità di quel tizio. Come poteva non accorgersi che Scarlett lo aveva piantato lì, alla prima occasione utile?
Dopo qualche altro minuto di convenevoli e battutine, il gruppo raggiunse la tavolata di Grifondoro e Scarlett, che stava seguendo gli amici, si sentì prendere la mano, trascinare indietro per voltarsi, ritrovandosi nuovamente faccia a faccia con Dylan.
«Stai bene?» le chiese, gli occhi attenti a scrutarla e un’espressione confusa sul volto.
«Mi sembri parecchio strana ultimamente… anzi, a dirla tutta lo sei già da un bel po’ di tempo».
Lei parve colpita dalle sue parole e gli occhi scivolarono, quasi d’istinto, sulle loro mani intrecciate.
«Perché me lo chiedi?» chiese infine, tornando a guardarlo.
«Perché mi rispondi con una domanda?» replicò lui, sciogliendo la presa.
Dylan aveva un’aria triste e amareggiata. La sua frustrazione per quella situazione era chiara, lampante, e Scarlett non poté che capirlo. Infondo lui era innamorato pazzo di lei, aveva fatto qualsiasi cosa per conquistarla, ma nell’ultimo periodo gli sembrava di essere il solo nella coppia a cui importava portare avanti la relazione. Durante l’estate era sempre stato lui a scriverle per primo, a chiederle come andassero le cose, e lei risultava sfuggente, impalpabile, elusiva, come se avesse paura di dirgli o fargli capire un qualcosa a cui non riusciva ad arrivare.
Anche in quel preciso momento Scarlett sosteneva il suo sguardo senza fiatare, senza lasciar trapelare nessun’emozione in particolare. Era fredda, distante, lontana dalla persona di cui inizialmente Dylan si era invaghito.
«Senti» riprese poi, ormai arreso all’evidenza che ottenere una risposta sarebbe stato molto difficile. «Io non so cosa ti prende e non posso leggerti nella mente per saperlo… siamo insieme, però. E merito di avere delle spiegazioni per il tuo comportamento che, credo sai benissimo anche tu, non è assolutamente quello avevi mesi fa quando abbiamo iniziato a frequentarci».
Scarlett si morse una guancia e respirò, più profondamente del necessario.
«Mi dispiace» riuscì a dire dopo qualche secondo, fissandolo con occhi indecifrabili. «Sono solo un po’ pensierosa e presa da molte cose…»
«E allora perché non me ne parli?» insistette lui, che stava per perdere la pazienza davanti a quell’apparente muro invalicabile. «Cazzo, parlami. Dimmi cosa c’è, confidati e vediamo di risolvere questa situazione… Io non posso stare con un fantasma, Scarlett. Non posso continuare a sentirmi trattato come uno zerbino».
E, inaspettatamente, si avvicinò a lei quel tanto che bastava per avere i loro volti a un soffio di distanza. La guardava con sguardo duro, spazientito, quasi arrabbiato. E lei, che non l’aveva mai visto così, fu sorpresa di quella reazione, dalla veemenza con cui le aveva parlato.
Dylan le portò poi una mano su una guancia e vi tracciò una linea immaginaria con un pollice, lento e delicato. La punta dei loro nasi che si sfiorava, il respiro reciproco che si infrangeva sulle labbra.
«Io ti amo» biascicò, la voce ridotta a un sussurro. «Ma non voglio che questo mi renda infelice. Quando sarai pronta a parlare, sai dove trovarmi».
Scarlett rimase impietrita e si lasciò superare, senza aggiungere altro. La reazione giusta sarebbe stata seguirlo, dirgli che lo amava, cercare di porre rimedio a tutti gli sbagli che aveva commesso. Ma infondo, era davvero ciò che voleva?
Gli occhi si inumidirono appena di lacrime e si sentì strana, sul punto di scoppiare ed esplodere per tutto ciò che stava tenendo dentro.
Scarlett stava rimandando da troppo quella situazione, lo sapeva perfettamente. Il fatto che non avesse ancora preso una decisione, che avesse adottato un fare tanto elusivo e freddo, era esclusivamente il non tanto ragionato modo che aveva adottato per prendere tempo.
La farsa che stava portando avanti con tutti, la gioia che fingeva di provare iniziavano a scricchiolarle e le fu subito chiaro che non sarebbe durata ancora molto nei panni della fidanzata accecata dall’amore. Dopo qualche secondo e un respiro a pieni polmoni, si voltò ed entrò nella Sala Grande diretta al proprio tavolo.
L’espressione sicura di sempre e l’andatura altezzosa, come se nulla fosse successo. Mary le rivolse un sorriso e, cogliendo una luce strana nei suoi occhi, si tramutò d’un tratto in uno sguardo interrogativo. Scarlett si sedette di fianco a lei, per nulla pronta a parlare di ciò che la affliggeva, e si ritrovò davanti un Sirius che la fissava interrogativo.
«Che c’è?» gli chiese atona, la voce leggermente roca.
Lui scrollò le spalle e allungò la mano verso un mucchio di fette biscottate.
«Assolutamente niente, Brooks» disse, agguantando anche un barattolo di marmellata alle albicocche. 
Lei inarcò un sopracciglio e continuò a studiarlo, per niente convinta dal suo fare elusivo.
«Sei diventato timido tutto d’un tratto?» lo provocò, mentre si versava una tazza di tè bollente. Mary lanciò uno sguardo a Remus, come per invitarlo a non perdersi la conversazione in atto, ma lui era troppo occupato a chiacchierare con Peter per accorgersene.
Sirius nel mentre non esitò a cogliere la provocazione di Scarlett e, dopo aver preso un generoso cucchiaio di marmellata, si apprestò a risponderle con l’aria sarcastica che gli calzava a pennello ogni volta che l’aveva di fronte.
«Se proprio ci tieni a saperlo… » iniziò, preparandosi la colazione, « … mi chiedevo se fossi sempre stata così passionale col tuo uomo o fossi semplicemente timida per la nostra presenza».
Scarlett sembrò colpita come da uno schiaffo da quelle parole e assunse un’espressione che mai le aveva visto prima: per caso l’aveva messa in difficoltà?
«Non so di cosa stai parlando» lo liquidò brusca, evitando accuratamente di guardarlo, e si finse troppo occupata a zuccherare il suo tè per argomentare meglio la risposta. Mary, che avrebbe desiderato ardentemente non essere lì, si costrinse a guardare altrove.
Sirius, dal canto suo, assunse un piccolo ghigno soddisfatto.
«Non c’è niente di male ad ammetterlo, Brooks» continuò, spietato. «La cosa mi sembra abbastanza palese. Anzi, direi proprio che oggi tu abbia dato la dimostrazione di essere fredda come un cubetto di ghiaccio.»
«Il fatto che tu non mi piaccia e che ti tratti come meriti non significa che io sia una persona priva di cuore» commentò, aspra e velenosa. «E scusami tanto se non salto addosso a qualcuno, in mezzo a tutti di prima mattina. Magari un giorno anche tu incontrerai qualcuno con buon senso e pronto a rispettarti.»
Lui rise a quell’augurio, senza esserne realmente divertito.
«Spiacente deluderti, ma non credo che succederà mai» sentenziò risoluto. «Io non sono certo il tipo pronto ad accontentarsi.»
Scarlett inarcò un sopracciglio, la tazza alle labbra e lo sguardo vagamente offeso.
«Io non mi accontento proprio di nessuno» commentò secca, visibilmente indispettita da quell’allusione. Ma forse, più di ogni cosa, intimamente sconvolta per ciò che lui era riuscito a cogliere.
«Lo voglio ben sperare» si intromise James, tenendo un piatto a mezz’aria colmo di tutto ciò che era riuscito a raggiungere con le sue fameliche mani. Lo sguardo severo e attento su di lei. «Ci manca solo che tu abbia fatto del nostro nemico il tuo fidanzato per il puro gusto di …»
«Ancora no, ti prego» soffiò un esasperato Remus, riemerso dalla conversazione con Peter con il solo scopo di zittirlo. «La vita è fatta anche di altro, non solo di Quidditch».
«Grazie Lupin, lo apprezzo di cuore» fece Scarlett in sua direzione, un sorriso gentile sulle labbra. Ma Sirius non aveva certo di finito di fare osservazioni e, dopo qualche secondo, si decise a continuare a punzecchiarla.
Il suo intento però non era quello semplicemente di schernirla, o farla arrabbiare. Quello che desiderava era ottenere una reazione, capire il motivo che l’aveva spinta a legarsi a un tale insignificante essere. Scarlett, dopotutto, era davvero una ragazza austera, saccente, la regina delle maniache del controllo. Ma Sirius si chiese come lei, che sembrava non riuscire a fare meno di un po’ di pepe nella sua vita, si accontentasse di una tanto piatta situazione. Le loro continua frecciatine ne erano la prova dopotutto: da quello che ricordava non si era mai tirata indietro di fronte a un loro scontro e, anzi, ogni tanto la cosa sembrava anche divertirla.
«Allora illuminami Brooks» ricominciò, imperterrito, con il tono aulico di un oratore antico. «Spiegami cos’ha di tanto speciale questo Corvonero, com’è riuscito a farti cadere ai suoi piedi e conquistare il cuore raggrinzito».
Lei, ormai al limite della sopportazione, respirò seccata e lo fissò con aria di sfida. Non gli avrebbe mai dato la soddisfazione di vincere, soprattutto in merito a una faccenda tanto privata e personale.
«E’ gentile, premuroso e soprattutto affidabile. Il genere di persona che ha la testa sulle spalle».
«Ah capisco» fece l’altro di rimando, la voce di chi la sapeva lunga a riguardo. «Mi stai dicendo che è noiosamente prevedibile».
Lei aggrottò la fronte e scosse il capo con decisione.
«Niente affatto, Black. Noi ridiamo molto quando siamo insieme».
«Immagino» sbuffò Sirius, incomprensibilmente divertito. «Sembra proprio il genere di persona che ti fa sbellicare dalle risate».
Scarlett non si capacitava del suo interesse per la sua vita e, soprattutto, per la relazione con Dylan. Cosa voleva saperne lui, di amore?
«Non mi aspetto certo che tu mi capisca» rivelò lei, ostentando una calma di cui ormai era priva. «Dopotutto conosciamo i grossi limiti che hai, la tua impossibilità ad andare oltre il secondo appuntamento».
Lui scrollò le spalle, un sorriso che valeva come una tacita ammissione all’allusione appena fatta.
«Non posso non negarlo: la noia è il mio peggior nemico, Brooks».
«Diciamo che più che altro la stabilità lo è, soprattutto quella mentale» osservò Remus, facendo ridere gli altri compagni. «Forse è per questo che tu e James siete così amici, uniti della stessa piaga».
Il Capitano, la terza fetta di torta in mano e l’espressione piccata, fece per replicare offeso ma qualcosa (o qualcuno) lo fece aprire in un sorriso radioso, estatico.
«Evans, buongiorno raggio di sole» la salutò infatti, vedendola avvicinarsi a loro. «Hai dormito bene questa notte? Mi hai sognato? Ti sono mancato?»
Lily lo fissò, allegra e radiosa.
«Ho dormito benissimo, caro il mio Potter» rivelò, prendendo posto poco distante da lui. «Forse proprio perché non ho avuto incubi con te come protagonista».
Emmeline, che era proprio dietro di lei, rise per l’espressione che James assunse dopo aver sentito quelle parole.
«Potter non ti cruciare, scommetto che entro la fine dell’anno la nostra algida rossa capitolerà ai tuoi piedi» rivelò soave, guadagnandosi un’occhiata al veleno dall’amica in questione.
«Finalmente una persona che ragiona!» esultò James e le fece un occhiolino. «Grazie Vance, ti ho già detto che mi stai molto simpatica?»
«Noto con piacere che ti sei dimenticato tutto ciò di cui abbiamo parlato ieri, stupido cornuto» lo redarguì Sirius, voltandosi seccato in sua direzione. «Vero?»
«No nient’affatto» fu la risposta dell’altro, sotto agli sguardi confusi delle ragazze. «Certe abitudini però sono durissime a morire».
La colazione continuò senza che nessuno indagasse oltre circa il contenuto degli scambi segreti tra i due ragazzi e, dopo l’ultima tazza di lette, Mary guardò l’ora con fare un po’ arreso.
«Bene, devo andare. Rune Antiche» annunciò con un sospiro, chiedendosi cosa le fosse saltato in mente quando aveva scelto quella materia. «Andiamo Scarlett?» Anche la Cacciatrice, infatti, aveva avuto la stessa malsana idea al terzo anno e se ne pentiva amaramente ogni giorno della sua vita.
«Certo, che bello» fece, sarcastica e annoiata al tempo stesso, e si alzò con riluttanza dalla panca.
Dopo aver salutato gli altri, si incamminarono insieme verso l’aula in un silenzio del tutto innaturale. Mary, che la sbirciava con la coda dell’occhio, aveva intuito che qualcosa non andava.
«Tutto bene?» le chiese, la voce esitante e colma d’affetto. Scarlett fece spallucce e sospirò, la sguardo puntato dritto davanti a sé.
«A parte il fatto che Dylan mi ha detto che se non cambio tra noi è finita, tutto alla grande» sputò, senza argomentare oltre la notizia. L’amica spalancò gli occhi per la sorpresa e si girò verso di lei, la fronte aggrottata e l’aria confusa.
«Cosa!?» sbottò. «Di cosa parli?»
«Parlo del fatto che sono una stronza egoista, Mary» la informò, senza avere il coraggio di guardarla. «Parlo anche della mia insopportabile mania di tenermi tutto dentro e lasciare gli altri distanti… solo che Dylan non è un mio amico. E’ il mio ragazzo. E lo sto trattando come un perfetto coglione».
Mary la prese per un braccio, costringendola a fermarsi, e Scarlett sospirò frustrata da sé stessa, da tutta quella situazione.
Infondo però aveva bisogno di sfogarsi, di confrontarsi con qualcuno. E l’amica, lo sapeva, non l’avrebbe mai giudicata o criticata. Mary era forse la persona più buona che conosceva e il suo sguardo su di lei in quel preciso momento, colmo di comprensione e benevolenza, ne era la conferma.
«Scarlett… tu non sei una stronza» la rassicurò, l’ombra di un sorriso quasi materno sulle labbra. «Sei solo troppo dura con te stessa. Dovresti imparare a lasciarti andare ogni tanto, a prendere le cose con leggerezza e soprattutto a fare quello che vuoi senza la paura che il giudizio degli altri ti condizioni».
«Non è solo questo… è più il fatto non voglio deluderlo o ferirlo» mormorò, abbassando gli occhi castani. «E forse non voglio nemmeno perderlo a dirla tutta. Ma non riesco a sentirmi… totalmente appagata da questa relazione. Ti è mai capitato? Sembra tutto perfetto, il genere di situazione che chiunque vorrebbe… eppure non sono felice come gli altri si aspetterebbero di vedermi. Non mi sento così e non so cosa fare, ma allo stesso tempo mi rendo conto che devo fare qualcosa e reagire per cambiare tutto».
Mary annuì, comprensiva.
Conosceva molto bene Scarlett e, seppur fossero diverse fino al midollo, in quel momento condivideva ogni singola cosa detta. Quella sensazione la provava anche lei ogni giorno, ogni volta che aveva Remus davanti: la voglia di reagire, di cambiare, di essere felice e buttarsi per ottenere un brivido. La paura di sbagliare e rovinare tutto, di contro, sembrava bloccarle entrambe ed inchiodarle in un limbo fatto di indecisione e infelicità.
«Io… ti capisco. Benissimo. A dirla tutta anche io mi sento così» confessò, con un sospiro stanco. «Sai quante volte vorrei cambiare? E non parlo solo di cose che mi riguardano… ma anche di me stessa. Vorrei avere il coraggio di buttarmi, di allungare la mano e prendere quello che voglio per sentirmi felice… e invece no. Rimango nel mio, sperando che le cose accadano da sole maciullandomi il cervello e torturandomi ogni singolo istante per non avere la forza di agire».
Scarlett alzò lo sguardo, meravigliata da quelle rivelazioni, e scoprì Mary con un’espressione triste, la medesima emozione che anche lei si portava dentro da troppo tempo. E, senza nemmeno pensarci, le strinse forte la mano. Un sorriso affettuoso che si disegnava sulle labbra, gli occhi teneri e comprensivi.
«Stiamo parlando di Remus adesso, vero?»
Mary, che ormai era stanca di fingere, annuì e arrossì appena.
Era stanca di negarlo, stanca di mentire un qualcosa che ormai era evidente e chiaro come il sole. E solo per quella volta volle essere sincera, tirare fuori quello che aveva dentro.
«Io… credo che mi piaccia sul serio. Hai presente le farfalle nello stomaco? Ecco, sono già oltre a tutte quelle robe. Ho uno stormo di gufi dentro ogni volta che sono con lui» rivelò, facendola ridere appena. «E non capisco a che gioco stia giocando, perché questa dannata situazione è sempre a un punto morto. Quando penso di non interessargli, di essergli indifferente ecco che arriva una sua lettera o fa qualcosa di carino… poi però mi ricorda di essere tipo la sua migliore amica e BOOM, di nuovo lo smarrimento».
Scarlett la osservò lanciarsi in quel fiume di parole con aria sfinita, frustrata, e non poté fare a meno di pensare che avrebbe desiderato ardentemente provare quelle stesse cose per Dylan. Un coinvolgimento totalizzante, in grado di travolgerti con mille emozioni e farti sentire davvero legata a qualcuno.
«Io non conosco così bene Remus, lo ammetto. Ma non credo che tu gli sia indifferente… è molto amico anche di Lily, certo, ma per lei non ha le stesse attenzioni. Hai mai pensato che forse anche per lui tutto ciò è difficile? Anche lui potrebbe non sapere come comportarsi… dopotutto non è uno sciocco, è anzi davvero maturo rispetto al suo gruppo di amici».
Mary spalancò gli occhi e la fissò assorta, come se avesse detto una verità così chiara e lampante da scuoterla dentro. Come aveva fatto a non pensarci prima di allora?
«Sì… potrebbe essere vero» ammise, con un filo di voce. «Ma io non sono… insomma, non sono intraprendente come Emmeline o forte come te e Lily. Prendere le cose di petto non è esattamente la mia specialità».
«Ah… e invece sarebbe la mia?» chiese sarcastica Scarlett, roteando gli occhi al cielo. «Mary tu ti sottovaluti troppo. E sopravvaluti gli altri, me compresa. Ti sembro davvero così forte? Non riesco nemmeno a capire cosa fare con il mio attuale ragazzo e preferisco trattarlo come se non me importasse, piuttosto che fermarmi e prendere una decisione. Dylan dice di sentirsi uno zerbino e io invece mi sento una perfetta imbecille, una dodicenne in preda a una crisi esistenziale. Mi meriterei di uscire con la Piovra Gigante che tanto nomina Lily e magari di innamorarmi, farmi spezzare il cuore e piangerne l’assenza per il resto della mia vita».
Mary, pensando a quell’assurdità, rise di cuore, facendo sì che anche Scarlett la imitasse.
«Non mi sembra affatto male, potreste avere molte cose in comune» le disse, ancora l’ombra della risata sul volto.
«Già, ormai inizio a pensarlo sul serio» sospirò Scarlett, scuotendo divertita il capo.  


«James, tu stai per fare… COSA!?»
Scarlett lo fissava a braccia conserte, l’aria truce e infiammata di rabbia.
La squadra di Grifondoro era riunita in un’aula vuota al settimo piano del Castello e, dopo i classici convenevoli di benvenuto, il Capitano si era lasciato sfuggire con innocente entusiasmo l’evento sempre più prossimo che stava organizzando con i suoi amici.
«Andiamo, sarà divertente!» cercò di mediare lui, sorridendo gioioso in direzione degli altri. «Non ci pensi? Sarebbe una fantastica occasione per svagarci prima dei duri allenamenti che ci attendono».
«A me sembra la perfetta occasione per finire in punizione ed essere ucciso dalla McGranitt, piuttosto» lo corresse lei, furente. «Senza contare il fatto che porta male, malissimo fare feste prima di iniziare il campionato!»
Benjamin Harper, il moro Cacciatore al sesto anno, scoppiò nella sua risata fragorosa e inconfondibile.
«Dai Scarlett, non farla tragica» cercò di mediare, guadagnandosi un’occhiataccia gratuita dalla diretta interessata. «Una festa non ha mai ucciso nessuno dopotutto.»
«Ah no?» iniziò lei e inarcò un sopracciglio, fredda e sarcastica. «Vogliamo ricordarci di quella volta al quarto anno? Della festa che abbiamo fatto a settembre? Vi devo anche ricordare la classifica di giugno?»
«La nostra stellina è di cattivo umore, oggi?» la canzonò soave Seth Tyler, il Portiere al sesto anno. Quest’ultimo era piuttosto famoso per la sua lingua biforcuta e il tocco dolcemente velenoso che riusciva a dare ad ogni commento rivolto a «Mi duole dirtelo, Brooks, ma uscire con questo Corvonero ti ha letteralmente rammollita».
Scarlett sospirò, scocciata, e si girò a guardarlo con aria di sfida.
«Scusa tanto se detesto perdere».
«Io ci sto Capitano!» esultò invece John Crosby, Battitore al terzo anno. »Purché non ci siano i Serpeverde».
«Mio caro, ma per chi mi hai preso?» ribatté James, teatralmente indignato da tale insinuazione. «La festa è totalmente firmata Grifondoro e ognuno potrà invitare la persona che più desidera».
«Ah sì?» si interessò maggiormente Crosby, grattandosi pensieroso il mento. «In tal caso ci sarebbe una tipetta di Tassorosso che non mi dispiacerebbe affatto…»
«Ragazzi, vi prego» ricominciò Scarlett, ormai esasperata. «Io credo che sia una pessima idea. Per uscire ci sarà sempre il weekend ad Hogsmeade, non è necessario rischiare di svegliare l’ira funesta di Minerva McGranitt per rimorchiare».
«Mamma mia Brooks, sei un disco rotto» sbuffò Tyler e, dopo essersi brevemente stiracchiato, saltò giù dal banco su cui si era mollemente seduto in precedenza. «Per come la vedo io, a questo punto, hai due opzioni: continuare a rompere le Pluffe oppure venire a questa dannata festa e farti un drink, rilassarti e cercare di passare una bella serata. Credi di esserne in grado, Stellina?»
Scarlett incrociò austera le braccia al petto e ignorò le risatine dei compagni, che proprio non riuscirono a trattenersi.
«Come volete allora» acconsentì infine, seppur controvoglia. «Sappiate però che sarà enormemente soddisfacente potervi dire “Ve lo avevo detto”, quando perderemo il campionato».
 «Ah ma tranquilla Scarlett, non succederà mai!» la rassicurò un più che convinto James. «Siamo troppo bravi e poi, dopo le selezioni, rafforzeremo ancora di più le nostre tattiche con nuovi membri nella squadra».
«Sì, la tua prospettiva è anche fin troppo tragica» le fece notare poi Harper che, d’un tratto pensieroso, si girà verso il resto della squadra. »Voi avete già un’idea di chi invitare?»
«Malania Hossas, Tassorosso» annunciò solenne Crosby.
«Elizabeth Smith, Corvonero» fu invece il turno di Tyler, il viso animato da un sorrisetto malizioso.
«Io non ho ancora deciso» ammise James, con un sospiro affranto.
E gli altri si scambiarono sguardi stupiti.
«Ma come Capitano… non hai intenzione di prosciugare Lily Evans a forza di suppliche?» gli domandò Harper, sinceramente colpito.
«Infatti James è commovente questo tuo tentativo di fare il distaccato, ma non ci crede nessuno» lo informò Scarlett, dolcemente spietata.
«Miei prodi, la strategia è cambiata» celiò lui di rimando, con espressione seria e risoluta. «Non mi piace però anticipare le mie mosse e…»
«E preferiamo non saperle, tranquillo» lo stroncò Tyler, facendo scoppiare a ridere tutti gli altri e lasciando James piuttosto indispettito.
All’ora di cena fu piuttosto chiaro che la tanto chiacchierata festa di Grifondoro sarebbe stato un successo: tutti gli studenti erano in trepidante attesa di essere invitati da qualcuno della Casa perché, come ben precisato dai Malandrini, l’accesso non era certo per chiunque desiderasse partecipare.
Lily, che aveva appreso la notizia nel bagno delle ragazze da alcune Corvonero, si diresse a passo di guerra verso il proprio tavolo: gli occhi smeraldini fiammeggianti alla ricerca di qualcuno in particolare, contro cui riversare la propria ira funesta.
«Potter!» ruggì infatti, una volta individuato il ragazzo.
Il malcapitato, seduto proprio tra Remus e Sirius, alzò con lentezza calcolata il viso in sua direzione. Un’espressione gioiosa e colpevole al tempo stesso, mentre alzava una mano a mo’ di saluto in sua direzione.
«Lily cara, buonasera» la salutò gentile e afferrò una ciotola proprio di fronte di lui, porgendola verso di lei. «Hai visto? Stasera c’è il purè, il tuo contorno preferito!»
«Non me ne frega un accidenti» sibilò lei, i pugni stretti lungo i fianchi. «Esattamente che cosa ti è saltato in mente quando, in veste di Caposcuola, hai deciso di organizzare un festino clandestino nella Stanza delle Necessità?»
James fece per rispondere, cercando di assumere un’espressione sorpresa e offesa, pronto a difendersi da tutte le accuse, ma sfortunatamente per lui fu Sirius a risponderle per primo.
«Andiamo Evans, non ti scaldare» sbuffò infatti, versandosi con fare annoiato un bicchiere d’acqua. «E’ una festa, mica un raduno di Arti Oscure. Perché siete tutti così restii a un po’ di sano divertimento?»
«Perchè forse odiamo il rischio di finire in punizione con la McGranitt fino alla fine dei nostri giorni» lo informò pacato Remus e Lily annuì, come per dargliene atto.
«Senza contare che io e questo essere inutile abbiamo anche delle responsabilità» continuò lei, indicando con rabbia James. «Ci hai pensato, Potter? Dovremmo essere un esempio per gli studenti più piccoli e tu cosa fai!? Organizzi una festa con addirittura alcolici!»
«Mi duole correggerti, ma sappi che abbiamo imposto limiti molto precisi» si difese, cercando di darsi un tono nonostante il suo dito pericolosamente vicino al viso. «La festa è aperta solo dal terzo anno in su.»
Lily nel sentire quell’assurdità, boccheggiò dalla rabbia.
«Odio spezzare una lancia a favore dei ragazzi, ma per una volta potremmo anche divertirci no?» azzardò Emmeline, poco distante da loro. «E’ il nostro ultimo anno e sarebbe carino iniziarlo come si deve.»
«Esatto Vance, mi piace come ragioni» annuì colpito Sirius in sua direzione, ignorando una Lily incredula che stava per riprendere la sua filippica sui doveri e responsabilità. «Voi donzelle avete già pensato chi invitare?»
«Io ci andrò con Frank» fu la fulminea risposta di Alice, che si premurò di lanciare un’occhiata al suo amato, come per riceverne immediata confermata. E lui, con prontezza e senza esitazione, annuì con fermezza.
«Io non ci ho ancora pensato» ammise Emmeline, attorcigliandosi pensierosa i capelli scuri tra le dita.
«Nemmeno io» sospirò Mary e girò meditabonda la sua zuppa, lanciando occhiate furtive a Remus. «Voi invece?»
«Ragazze, ma fate sul serio!?» le bloccò Lily, sinceramente incredula per la solidarietà che le amiche stavano dimostrando all’iniziativa della festa. «Voi ci andrete!?»
«Ma certo, Evans» la informò Alice, stupita da quella domanda. «Perchè mai dovremmo perderci una festa?»
«Perché forse è incredibilmente stupida come idea?» chiese una sarcastica Scarlett, perfettamente solidale a Lily in quella circostanza.
«Mi sembrava strano non aver sentito questa voce» fece Sirius. «E’ la tua specialità essere una guastafeste, vero Brooks?»
Lei si girò a guardarlo, un sorriso gentile dipinto sulle labbra.
«Non ti preoccupare Black, non intendo assolutamente intralciare i tuoi piani» rivelò, con dolcezza. «Metterti in ridicolo con la prima che passa è l’occasione migliore per dare mostra della tua bassezza interiore.»
«Hai ragione, spero di riuscire a prendere esempio dalla passione travolgente che emanerete tu e il tuo fidanzato» continuò lui, altrettanto cortese. «Lo hai già invitato a proposito?»
Scarlett non rispose e tornò a concentrarsi sulla fetta di arrosto che aveva nel piatto, ignorando il suo sorrisetto tronfio e soddisfatto che lui le stava rivolgendo.
«Dai sei ancora arrabbiata per il fatto del campionato?» le chiese invece James, sinceramente annoiato. «Come può la più brava Cacciatrice di Hogwarts cedere alla superstizione?»
«E sopratutto di cosa ti lamenti?» continuò Emmeline, mentre una piccata Lily prendeva posto di fianco a lei sbuffando e borbottando parole incomprensibili ma sicuramente poco garbate. «Hai anche un ragazzo, zero sbattimento per un invito.»
«E’ anche ammessa l’opzione di venire da sole?» fu l’incerta domanda di Mary ai ragazzi. «Io odio invitare le persone per prima.»
«Anche io» ammise Peter e guardò gli altri, come per spronarli a rispondere positivamente alla domanda appena fatta dalla ragazza.
«Vi prego» sbuffò Sirius, passandosi una mano sul viso. «Si può sapere dov’è la difficoltà di invitare qualcuno?»
«Classico commento di uno che crede di avere il mondo ai suoi piedi» fu l’osservazione sarcastica di Scarlett, che non lo degnò nemmeno di uno sguardo mentre parlava. E lui, che prendeva ogni cosa che gli diceva come una sfida, non si lasciò certo sfuggire l’occasione di zittirla.
I suoi occhi grigi vagarono brevemente attorno a loro e individuarono la preda perfetta: Anya Bilson, Corvonero al sesto anno.
Bionda, carina e con un fisico niente male. Il caso volle che, proprio di fianco a lei, c’era Margareth Scott.
Uno sguardo complice con James, che sembrava aver intuito le sue intenzioni, fece disegnare sulle labbra di entrambi il medesimo sorrisetto malizioso.
«Ehi, Bilson» la chiamò Sirius, alzando la voce.
La ragazza si fermò e, con lei, anche l’amica si voltò verso il loro di tavolo prima di raggiungere il proprio. Anya gli sorrise e si avvicinò di qualche passo a lui.
«Ciao Sirius» lo salutò, allegra e vagamente lusingata dall’essere stata notata. «Come stai?»
«Una meraviglia» rispose, un occhiolino ad accompagnare le sue parole. «Avete sentito della festa che stiamo organizzando suppongo.»
«Oh sì, ormai lo sanno tutti» annuì una raggiante Margareth, come se si stesse già pregustando quello che stava per succedere, e diede un’impercettibile gomitata al fianco dell’amica. «Sarebbe davvero bello poter venire.»
«E’ il vostro giorno fortunato allora» le confidò Sirius e portò un braccio sulle spalle, di un ammiccante James. «Io e il mio amico qui ci chiedevamo se siete disposte ad accompagnarci, infatti. Che ne dite? Sarebbe divertente passare la serata insieme.»
Lily e Scarlett si scambiarono una smorfia schifata nel sentire i risolini delle due Corvonero a quella proposta e non riuscirono a trattenere il proprio scetticismo, quando tornarono a guardare quell’assurdo quadretto.
«Sarebbe davvero un sogno» sospirò Anya, le guance tinte di un rosso innaturale. «Abbiamo sempre desiderato venire a una delle feste che organizzate.»
«Allora è proprio il vostro giorno fortunato» si intromise James. «Ci vediamo sabato sera, buona cena ragazze.»
Le due, ancora incredule e colme di gioia, si scambiarono due sguardi raggianti e annuirono all’unisono in direzione dei due Malandrini prima di trottare entusiaste al loro tavolo, dove un gruppetto di amiche stava osservando la scena impazienti di essere aggiornate sui fatti accaduti.
«Però, davvero commovente» fu il commento di Lily, fingendo un’aria colpita per l’impresa appena compiuta da due. «I miei più sinceri complimenti, doveva essere una specie di dimostrazione?»
«Esatto, Evans.» la informò Sirius, pacato e risoluto. «Come potete vedere è semplicissimo invitare qualcuno a una festa, quindi Peter smettila di fare la femminuccia e datti da fare.»
Il ragazzo annuì, seppur con poca convinzione.
«E la stessa cosa vale per te, vecchio mio» fece James, con un cenno a Remus. «Non penserai di venire da solo mi auguro.»
«Sogno un mondo in cui avere diritto di fare delle scelte senza dover rendere conto a voi» rivelò l’interessato, mentre tagliava arreso una fetta di pane. «Ogni volta che mi sembra di averlo raggiunto, ecco che tutto si rivela un’illusione.»
«Remus stai tranquillo, ti siamo tutti vicini più che mai» lo rassicurò Scarlett, annuendo comprensiva e addolorata in sua direzione.
Il trascorrere degli ultimi giorni della settimana non fecero certo scemare l’interesse per quella che sembrava essere la festa del secolo e, anzi, gli studenti delle altre Case sembravano fremere più che mai per ricevere un invito da un membro di Grifondoro. Lily si costrinse a non tornare più sull’argomento con i ragazzi, ormai arresa al fatto che avrebbe dovuto partecipare seppur controvoglia, sopratutto una volta constato anche l’interesse di Marcus per tale iniziativa. E Scarlett, dal canto suo, fu praticamente costretta dall’amica a partecipare con Dylan. Quest’ultimo non sembrò affatto elettrizzato all’idea di andare a divertirsi insieme a lei, considerati i loro problemi e l’ultimatum che aveva chiaramente imposto, ma dopo gli insistenti lamenti di Marcus affinché ci fosse anche lui non potè far altro che cedere fingendosi addirittura partecipe.
Emmeline invitò Oliver Swander, un ragazzo carino di Tassorosso al loro stesso anno e ne parve mediamente soddisfatta.
Remus e Peter, invece, si sarebbero presentati da soli con la speranza che Sirius sarebbe stato troppo ubriaco per accorgersene e prenderli in giro fino alla morte. Anche Mary non aveva invitato nessuno, non tanto per mancanza di coraggio ma per il totale disinteresse che nutriva in chiunque. Ad eccezione di una persona, naturalmente.
Sabato sera quando varcò la soglia della Stanza delle Necessità con le amiche, i suoi occhi cristallini vagavano per la sala alla ricerca del soggetto con cui le sarebbe più piaciuto trascorrerla.
L’impresa, però, non si rivelò così semplice.
La stanza infatti era piena di persone e a tutte fu chiaro che parecchi studenti dovevano essersi imbucati senza aver ricevuto un invito.
«Prevedibile» commentò Lily, sospirando seccata. «Solo loro poteva pensare di riuscire a contenere un evento del genere.»
«Ormai ci siamo dentro amica mia» sbuffò Scarlett di rimando. «Cerchiamo di divertirci e di far passare alla svelta questa agonia.»
«Ottimo piano Brooks» annuì Emmeline e, senza aspettare che la seguissero, si immerse nella folla con una direzione ben precisa: il tavolo dove erano stati sistemati tutti gli alcolici.
La musica era piuttosto alta e mischiata con il vociare degli studenti, alcuni già piuttosto alticcci, risultava quasi impossibile riuscire a sostenere una conversazione. Mary, i lunghi capelli biondi raccolti e lo sguardo sempre attento senza una direzione precisa, perse ben presto le tracce delle amiche che si dispero quasi involontariamente feramdosi a chiacchierare con vari conoscenti.
Quando finalmente riuscì a trovare un piccolo varco verso una zona meno affollata, il suo cuore fece un balzo nel vedere appoggiato alla parete Remus.
Il ragazzo aveva tra le mani un bicchiere e lo sorseggiava con aria assente, per nulla coinvolto dalla festa. Lei sorrise, quasi meccanicamente, e lo raggiunse senza la minima esitazione.
«Ehi!» lo salutò, alzando il tono della voce per essere sicura che riuscisse a sentirla. «Sei venuto alla fine.»
Remus sobbalzò appena per la sorpresa ma, una volta inquadrata la persona che gli si stava avvicinando, si aprì in un sorriso felice.
«Già, credevi che avrei avuto davvero scelta?» scherzò, per poi indicare il bicchiere. «Ovviamente questo è succo di zucca, ma se dovesse chiedertelo Sirius digli che è il drink più alcolico a disposizione.»
Mary rise e annuì, fingendosi molto seria a riguardo.
«Certo, tranquillo. Non tradirei mai la tua fiducia» gli promise e si andò sistemare proprio di fianco a lui, mantenendo le spalle al muro. La musica, doveva ammetterlo, era molto carina: ritmata, coinvolgente, grintosa. E, dopo aver ondeggiato un po’ sul posto, lanciò un’occhiata in tralice a Remus.
Una domanda le si agitava dentro e, prima ancora di riflettere, si scoprì a parlare spinta da una curiosità lancinanate.
«Allora, dimmi… chi hai invitato?»
Il ragazzo si girò a fissarla stupito e lei, sentendo le sue attenzioni addosso, fece lo stesso. Nel notare la sua espressione arrossì appena, pentendosi appena dello slancio appena fatto, e si morse una guancia.
«Scusa, non sono affa…»
«Nessuno» dichiarò Remus, bloccandola. «Non… beh, non mi interessava invitare nessuno in particolare.»
Il cuore di Mary fece un altro balzo e le sembrò precisare nello stomaco, pervadendola di nervosismo misto a gioia: per quella sera sarebbe stato suo, forse. Quell’ipotesi appena sfiorata la fece aprire in un sorriso e Remus, che ancora la stava guardando con il bicchiere a mezz’aria, la imitò senza esitazioni.
«Anche io» lo informò, facendosi poi un po’ pensierosa. «Anche se notando la quantità di gente che è predente, credo che l’invito non fosse strettamente necessario per partecipare.»
Remus rise e annuì, come per dargliene atto.
«Mai avuto nessun dubbio a riguardo» ammise, scrollando le spalle. «Sono le solite idee di Sirius, a lui piace mettere del pepe in ogni cosa.»
«Vedi quel gruppetto di ragazze poi?» continuò Mary, facendosi più vicina come per dirgli qualcosa all’orecchio. Remus, nel sentirla addosso a lui, si irrigidì e fu pervaso immediatamente da un nervosismo mai sperimentato prima. Il suo cuore iniziò a mettere velocemente, la bocca si seccò all’istante e si ritrovò a trattenere il respiro. «Sono abbastanza certa che siano del secondo anno, per giunta Tassorosso. Anche la promessa di James a Lily non pare essere stata mantenuta.»
Remus l’ascoltò immobile, il respiro caldo di lei che si infrangeva sulla pelle del suo collo. Quando Mary si allontanò, con una risata divertita, lui ne avvertì immediatamente la mancanza, come se in realtà avesse voluto che quel momento durasse per tutta la sera.
«Davvero?» si sforzò poi di rispondere, meravigliandosi della propria voce roca e della gola secca. «Un’altra cosa prevedibile allora.»
Il Malandrino sospirò a pieni polmoni, come per calmare tutto il miscuglio di sensazioni che si agitavano in lui senza logica e freni. Si passò una mano sul viso e dietro il collo, scoprendosi imperlato di sudore, e d’istinto volle allontanarsi da lei, cercare di fuggire un qualcosa che sentiva tanto sbagliato quanto dannatamente meraviglioso.
«Forse… è il caso che io esca un attimo» le disse, appoggiando un bicchiere su un tavolo poco distante. Mary lo fissò, l’ombra della risata precedente ancora sul bel volto.
«Perché?» gli chiese subito, senza riuscire a nascondere la propria delusione.
«Non mi sento tanto bene credo» mentì lui, dopo l’ennesimo sospiro. «Forse un po’ di aria fresca mi farebbe bene.»
«Vengo con te.»
Prima ancora che Remus potesse obiettare e dirle di non preoccuparsi, Mary gli afferrò risoluta una mano e lo condusse con foga verso l’uscita della Stanza delle Necessità. Il ragazzo si sorprese della decisione con cui schivava gruppetti danzanti e alticci di studenti e, quando un loro conoscente fece per fermarli, lei gli strinse più forte la mano e lo trascinò con decisione oltre, fino ad arrivare al portone perdio chiuderselo alla spalle.
Quando Mary si girò a guardarla aveva l’aria attenta, preoccupata, e i suoi occhi azzurri fregavano il suo viso alla ricerca di un qualche malanno.
«Sei pallido in effetti» osservò poi, con un filo di voce. «Vuoi andare in infermeria?»
«No!» si affrettò a rassicurarla Remus, scuotendo energico il capo. «Credo di aver avuto solo molto caldo… sai, non sono esattamente un fan delle feste e odio la confusione. Un po’ d’aria fresca mi rimetterà in sesto.»
Lei annuì, senza smetterlo di fissarlo, ma non sembrò del tutto convinta da quella spiegazione.
«Perché non rientri?» continuò lui, abbozzando un sorriso gentile. «Le altre ti staranno cercando. Mi dispiacerebbe toglierti il divertimento per una cosa così stupida…»
«Sciocchezze!» lo rissicurò Mary, con un sorriso. «Le altre saranno tutte impegnate con i loro accompagnatori e poi… a me fa piacere passare del tempo con te.»
Remus si sentì spiazzato e impreparato a quella dichiarazione, semplice e anche così sincera. E lei, che lo guardava felice, non aveva certo pronunciato quelle parole con malizia.
Il fatto che loro stessero bene insieme era innegabile e le incessanti lettere durante l’estate ne erano la prova inconfutabile. Perché allora costringersi ad essere così sfuggente quando erano vicini? Perché sminuire ogni volta il loro rapporto?
“Perchè tu sei un mostro” gli ricordò all’improvviso quell’insopportabile vocina dentro di lui, crudele e maligna.
Quella volta però, per una qualche strana motivazione, Remus si costrinse a reprimerla. E non perché avesse deciso di dichiararsi, di fregarsene di tutto e di mettere a tacere tutte le sue convinzioni.
La ragione era lì, a due passi da lui.
Gli occhi di Mary.
La luce da cui erano pervasi, la sincera gioia nel poter trascorrere con lui una manciata di minuti senza che nessuno potesse rovinarli.
«Andiamo in Sala Comune, allora?» propose, facendo un cenno verso la fine del corridoio. «Credo che la mia festa sia ufficialmente finita.»
Mary rise e annuì, pensando che invece la parte che preferiva stava per iniziare. Trascorsero l’intero tragitto a parlare dei libri che si erano consigliati durante l’estate, commentandone le trame e recensione i punti più salienti. Remus rise a parecchie osservazione fantasiose della ragazza e sentì leggero, sereno come mai lo ero stato.
Quando arriveranno al buco del ritratto, entrambi pensarono a quanto sarebbe stato bello avere tutta la notte disposizione per poter stare insieme, a ridere e parlare di ogni cosa.
Remus desiderò più che mai non essere ciò che era, avere la libertà di vivere ciò che provava senza freni o sensi di colpa. Il suo sguardo si puntò sul viso di Mary, raggiante e felice, prima che si salutassero per andare nei rispettivi dormitori. Un altro, al suo posto, avrebbe probabilmente allungato una mano per accarezzarla e tirarla a sé, baciandola fino a quando entrambi non avrebbero più avuto ossigeno. Ma lui non era uno qualsiasi.
E se anche per una volta si era costretto a dimenticarlo, quella consapevolezza tornò a colpirlo con una forza inaudita, frenando ogni suo fantasticare su mondi paralleli in cui avrebbe avuto la grazia di vivere come un ragazzo di 17 anni.
«E’ stata una festa breva ma intensa» dichiarò Mary. «La parte migliore è stata sicuramente andarmene, devo ammetterlo.»
Remus avrebbe voluto ridere, ma si costrinse a non farlo.
E lei, che probabilmente si era illusa di essere riuscita a fare un passo verso di lui, si sentì immediatamente farne cento indietro.
«Mi dispiace molto avertela rovinata, effettivamente» ammise, improvvisamente triste, e scostò lo sguardo sul pavimento. «La prossima volta non accadrà. Buonanotte Mary e grazie ancora.»
La ragazza lo guardò darle le spalle e allontanarsi, diretto verso il dormitorio maschile.
Un’altra al suo posto lo avrebbe rincorso e probabilmente gli avrebbe fatto capire che no, non era stato affatto un problema aver passato la serata con il ragazzo che più le interessava al mondo.
Ma Mary non era quel tipo di persona e, nonostante tutti i buoni propositi, non lo sarebbe stata nemmeno quella sera.


«EVANS! EVANS!»
James agitava la mano in sua direzione, un sorriso raggiante sulle labbra e l’aria inconfondibile di chi non aveva bevuto solo Borrobirra.
«Buonasera Potter» lo salutò lei, divertita suo malgrado da tale gioia.
«Non credevo che saresti venuta alla fine» commentò subito lui e, senza aspettare una risposta, le passò un bicchiere.
Lily lo afferrò e, dopo averne annusato il contenuto alcolico, si lasciò andare a una piccola smorfia disgustata.
«Non amo gli alcolici» diachiarò e si premurò di darglielo indietro.
«Andiamo Evans, bevi quel drink e dacci un taglio» fu lo spassionato consiglio di Sirius, qualche passo dietro a James. Accanto a lui c’era Anya Bilson, adorante e ancora incredula di essere alla festa con lui, mentre Margareth Scott non sembrava essere pervasa dai medesimi sentimenti.
Il suo sguardo, infatti, sembrava piuttosto scontento e irritato dalle attenzioni che James stava serbando a Lily. Quest’ultima non riuscì a trattenere un piccolo accenno di sorriso soddisfatto a tale visione.
«Non preoccuparti Black, sono perfettamente in grado divertirmi senza l’ausilio di questa robaccia» lo rassicurò e, visto che nessuno lo avrebbe mai preso, appoggiò il bicchiere su un tavolo vicino. «Hai visto Scarlett?»
«COME DICI!?» urlò James, che per la musica assordante e forse un paio di drink di troppo non sembrava essere molto sul pezzo.
Lily scosse esasperata il capo e puntò gli occhi smeraldini al cielo.
«Ho detto: hai visto Scarlett?» ripetè, alzando il tono delle voce e tornando a guardarlo
Il ragazzo si fece pensieroso e, dopo essersi girato brevemente attorno, scrollò le spalle.
«In realtà è da un po’ che non la vedo, abbiamo bevuto qualcosa insieme alla squadra e poi è sparita»
«Fantastico» sbuffò Lily, che ormai non solo aveva perso tutte le amiche ma non riusciva nemmeno a trovare Marcus nella folla.
«In compenso se vuoi, la Vance è proprio là.»
La ragazza, nel sentire le parole divertite di Sirius, si animò appena e si girò nella direzione che lui le stava indicando: con sommo orrore scoprì Emmeline totalmente avvinghiata ad Oliver Swander, immersi nel bacio più appassionato e scoordinato che avesse mai visto prima.
Il fatto che entrambi avessero esagerato con i drink ingurgitati le fu subito chiaro.
«Caspita, questo sì che è un colpo di scena» ridacchiò James, sinceramente colpito da quella performance. »Non la facevo una tipa del genere.»
«Nemmeno io se è per questo» ammise Lily e non riuscì a trattenere una risata, pensando a quanto sarebbe stato divertente usare tutto ciò contro di lei la mattinata seguente.
Margareth iniziò a fare un paio di colpi di tosse, scocciata e irritata ai massimi livelli. Le braccia conserte e l’aria in attesa di essere degnata da uno sguardo da James, che le dava le spalle assolutamente noncurante della sua indisposizione.
«La tua dama ti spetta Potter» gli disse Lily e, vedendo la confusione sul suo volto, gli fece cenno alla Corvonero dietro lui.
James sbuffò e alzò gli occhi al cielo.
«Ti prego, non me lo ricordare» biascicò, l’aria disperata. «Non puoi capire… è la ragazza più stupida che abbia mai incontrato. E la Bilson poi è logorroica! La vedi, eh!? Non sta zitta un attimo, non so come faccia Sirius ad essere ancora lì vicino a lei… forse non la sente per la musica troppo alta, altrimenti non me lo spiego.»
Lily scoppiò a ridere come una matta dopo il quadretto che James aveva dipinto e Margareth, ormai priva di pazienza, se andò con aria superiore e scocciata, liberando inconsapevolmente il ragazzo dalla sua presenza.
«Credo che tu abbia appena risolto il tuo più grande crucio» tossì poi Lily, facendogli notare con un cenno la Corvonero che si allontanava. «Adesso sei libero, Potter. La prossima volta magari selezione con più cura la persona con cui vuoi uscire.» James annuì, serio e risoluto.
«Vuoi ballare, Evans?»
«COSA!?»
Lily lo fissò interdetta mentre le porgeva una mano e mimava un inchino galante.
«Ho detto: vuoi ballare, Evans?» ripetè lui, facendole un occhiolino. «Mi pare che anche il tuo cavaliere sia irrimediabilmente assente e che le tue amiche siano tutte impegnate… perciò, perché sprecare questa bellissima canzone?»
La ragazza si guardò attorno, come alla disperata ricerca di una delle persone a cui James alludeva, ma la verità era che quella festa le stava inaspettatamente piacendo.
Le luci, la musica, l’atmosfera da cui era pervasa.
Normalmente lo avrebbe mandato al diavolo e se ne sarebbe andata, ma solo per quella volta si concesse il lusso di non farlo e godersi un momento di spensieratezza. Certo, ne era sicura, l’opinione che aveva su di lui non sarebbe cambiata dopo un ballo.
«Va bene Potter, ci sto» acconsentì, porgendogli con teatralità la propria mano.
James la fissò incredulo e sorridente, per poi appoggiare il bicchiere sotto allo sguardo severo di Sirius.
«Ramoso, ti farai del male» lo redarguì bonario e scosse divertito il capo, mentre si portava il drink alle labbra osservandolo.
«Tranquillo Felpato, il rischio è il nostro mestiere. Ricordi?»
James trascinò Lily nella pista e, una volta raggiunto uno spazio abbastanza grande per entrambi, le lasciò le mano. Lei iniziò a ballare, tenendo con accuratezza una certa distanza tra loro, ma al ragazzo non sembrò importare poi così tanto.
Il solo fatto di essere lì con lei, a ballare spensierati alla festa che aveva organizzato, lo fece sentire felice come mai lo era stato. Per un secondo immaginò di aver chiesto proprio a Lily di uscire e che lei avesse accettato, che quel ballo fosse la più che degna conclusione di una bellissima serata passata insieme.
La realtà era che in lui albergava una convinzione che nessuno dei suoi amici era in grado di capire, uno schiaffo ricevuto dalla realtà durante il quinto anno subito dopo la prova dei GUFO.
In quel preciso frangente James aveva realmente capito quello che Lily vedeva in lui: un perfetto idiota.
Un ragazzo frivolo, stupido, inutilmente crudele e del tutto privo di morale. Lo scherzo che aveva deciso di fare a Severus Piton si era rivelato in un qualche modo illuminante e, al tempo stesso, gli era servito per capire in cosa migliorare e modificarsi per riuscire ad essere una persona che Lily avrebbe apprezzato in ogni senso. L’immagine che lui aveva sempre mostrato orgogliosamente di sé stesso era la versione peggiore, un tentativo infantile di mostrarsi superiore e desiderabile da tutti gli altri studenti del Castello.
Quando però aveva deciso che Lily doveva essere sua, il mettersi in discussione e aprire gli occhi fu inevitabile. E la ragione che lo aveva spinto in tale direzione non era di certo solo la bellezza della ragazza, ma qualcosa di molto più profondo e impalpabile.
James amava la sua forza, ammirava la capacità che aveva di infondere energia e sicurezza agli altri anche solo con un sorriso o uno sguardo. Spesso si era sorpreso ad osservarla, ad ammirare la risolutezza con cui affrontava qualsiasi ostacolo e l’intelligenza che poneva in ogni suo commento o consiglio al prossimo. Le conversazioni tra loro erano sempre piuttosto sbrigative e sarcastiche, ma lui vedeva chiaramente come Lily si comportava con gli altri e il suo più ardente desiderio era farle cambiare opinione, riuscire a farsi vedere e apprezzare per ciò che realmente era.
Per questo motivo si era tanto impegnato per emergere a scuola, per essere meritevole e diventare Capitano, Prefetto e Caposcuola.
Per lei.
Per farle capire che oltre al sorrisetto arrogante e i modi da teppista c’era molto, molto di più.
«Ti diverti Evans?» le chiese e, senza aspettare una sua risposta, le afferrò la mano, facendole fare una piccola piroetta sul posto. Lei parve divertita e sorpresa al tempo stesso da tale slancio e annuì sorridente in sua direzione.
«Sì Potter, devo ammettere che non è stata affatto una cattiva idea» ammise. «Anche se come ballerino lasci piuttosto a desiderare.»
James assunse un’espressione caricatamene offesa.
«Io sono un ballerino provetto» la corresse con fierezza. «Non vedi come sono bravo?»
Lily scosse divertita il capo nell’osservare i suoi movimenti scoordinati e del tutto fuori tempo, e James pensò che il suo sorriso fosse la cosa più bella del mondo. Specialmente perché, per quella volta, lo stava rivolgendo proprio a lui.
«Spiacente infrangere i tuoi sogni di gloria, Potter. Io mi concentrerei più sul Quidditch se fossi in te» gli consigliò dolcemente. »Non credo che avresti un futuro brillante nel ballo.»
James rise e annuì, come dargliene atto.
«Devo ammettere che hai ragione, sono terribile» ammise, limitandosi a ondeggiare sul posto. «Fortunatamente ho altre doti.»
«Ah si?» chiese Lily, inarcando un sopracciglio. «Ad esempio?»
«Beh…» iniziò lui, grattandosi pensieroso il capo. In altre circostanze avrebbe sicuramente detto una battuta stupida e frivola, ma quella volta non volle farlo. Dopotutto era da tempo che non gli capitava di essere solo con lei, in un clima così sereno e disteso. E forse, a dirla tutta, era la prima volta in assoluta.
«Sono un buon amico» iniziò, sorridendole. «Leale e presente.»
Lily annuì e non aggiunse nulla, come se fosse in attesa di sentire altro. E James prese la palla al balzo.
«Mi ritengo anche altruista e coraggioso, anche se ogni tanto mi rivelo più che altro uno sconsiderato» ammise, l’espressione leggermente colpevole nel ricordare le sue gesta passate.
«Però, niente male» commentò Lily, fingendosi colpita da tale descrizione. «Se non ti conoscessi, penserei quasi che tu sia un ragazzo modello e non un bulletto arrogante.»
James smise all’improvviso di ballare e la fissò, inspiegabilmente triste. La ragazza ci impiegò qualche secondo per accorgersene, ma quanto lo notò si fermò immediatamente e lo guardò a sua volta confusa.
«Tutto bene?» gli chiese, facendo un passo verso di lui.
«Tu non mi conosci affatto»
Lily lo fissò, interdetta da quella dichiarazione inaspettata.
«Non ti conosco?» gli chiese, un sopracciglio inarcato e gli occhi smeraldini che lo scrutavano. «In realtà ho avuto svariate occasioni per capire che genere di persona sei e, se proprio vuoi saperlo, quello che ho visto non mi è mai piaciuto.»
James non si lasciò abbattere da quell’osservazione e accorciò di poco la distanza che li separava. I suoi occhi nocciola erano fermi, sicuri, e il suo volto era pervaso da una serietà che mai lei aveva visto prima.
La festa attorno a loro sembrava essersi fermata e a nessuno dei due parve importare della musica o degli schiamazzi degli altri.
Per quella volta si fermarono, entrambi concentrati unicamente l’una sull’altro.
«Tu sei ferma a delle cose passate, a una persona che ormai non esiste più» disse, aggiustandosi gli occhiali. «Fingi anche di non vedere tutte le cose buone che ho fatto, quello che mi sono meritato. Certo non sono perfetto e ammetto di aver fatto delle cazzate, ma non credo di meritare l’etichetta come peggior persona che tu abbia mai incontrato. C’è molto, molto peggio in circolazione e onestamente non voglio essere catalogato in quella categoria. Non credo di meritarlo.»
Lily fu decisamente colpita dalle sue parole e non riuscì a trovare nessuna battuta al veleno da dirgli.
«Perché ci tieni tanto al mio parere?» gli chiese, senza nessuna particolare inflessione nel tono di voce.
James scrollò le spalle e poi allargò le braccia, come a mimare un segno di resa.
«Perché mi piaci» fu la sua conclusione, senza la minima vergogna. «E perché credo che anch’io potrei piacerti, se solo tu mettessi da parte i tuoi stupidi pregiudizi.»
«Ecco, infatti» sbuffò Lily di rimando e roteò spazientita gli occhi al cielo. »Vedi come sei? La tua arroganza? La sicurezza di essere sempre il migliore? Non potrà mai piacermi una persona che si crede sopra a chiunque altro… mettitelo in testa, Potter.»
«Ah capisco» annuì lui, facendo finta di seguire il suo stesso filo logico. E, per caricare ancora di più il tutto, portò una mano sul viso facendo finta di pensare molto intensamente a ciò che stava per dire. «Quindi Scarlett, che è la tua migliore amica, deve essere proprio stupida a volermi bene e a starmi così vicino. E anche Remus, che tu trovi una persona fantastica, è davvero un idiota ad essere praticamente mio fratello. Curioso, non trovi? Tutti i nostri amici mi trovano piacevole, una brava persona… solo tu mi ritieni una specie di coglione incapace di stare al mondo.»
E, quando finì di parlare, tornò a guardarla con un sorriso.
«Tu mi piaci Lily, dico sul serio. Non ti sto dicendo che dobbiamo sposarci domani, anche se non nascondo che mi piacerebbe, ma il punto è… prova perlomeno a darmi una chance. A parlarmi, a conoscermi sul serio e solo dopo formula un’idea priva di qualsiasi pregiudizio sul passato.»
Lily aveva ascoltato tutte le sue parole quasi pietrificata, immobile a pochi passi di distanza da lui. Ciò che aveva detto l’aveva colpita in pieno e si ritrovò ad accarezzare l’idea che forse, per la prima volta, non aveva nemmeno tutti i torti. Lei stessa infatti si era scontrata col pregiudizio dal primo giorno in cui aveva messo piede ad Hogwarts e lo aveva sempre odiato con tutto il cuore.
Di certo non reputava Scarlett o Remus due sciocchi, ma non si era mai davvero fermata a pensare come due dei suoi più cari amici fossero così legati al ragazzo che aveva davanti, lo stesso che lei si ostinava così tanto a screditare in tutti i modi da anni ed anni. Infondo James era davvero maturato rispetto alla prima volta che lo aveva visto e quel cambiamento, che lei si era sforzata di non vedere, era talmente evidente da essere diventato innegabile.
Dopo un piccolo sospiro, si bagnò appena le labbra secche e annuì in sua direzione.
«Hai ragione» ammise, seppur controvoglia. «Il fatto è che… sono successe tante, forse troppe, cose negli anni in cui ci conosciamo. Credimi, sono la persona che più odia il pregiudizio e tutto ciò che ne comporta, ma forse su di te ho inevitabilmente formulato un’idea che mi è quasi impossibile cambiare.»
James la osservava attento, il capo inclinato e lo sguardo perforante. Era la prima volta che riuscivano ad avere una conversazione sana, priva di sarcasmo o del solito tono di scherno che tra loro era quasi abitudine. E lui, che da tempo aspettava un’occasione del genere, non se la sarebbe certo lasciata sfuggire.
«Non pretendo di cancellare tutto, sia chiaro» disse infatti, abbassando lo sguardo e assumendo un’espressione triste, quasi amara. «Io so perfettamente di essere stato un coglione e capisco che tu non puoi certo cambiare idea stasera… ti chiedo solo di provarci. Dopotutto mi dispiacerebbe finire il nostro ultimo anno con la consapevolezza che tu mi riterrai per sempre un essere inferiore alla Piovra Gigante.»
Lily, dopo aver sentito quelle parole, scoppiò a ridere di cuore. E James, nel sentire quel suono, tornò a guardarla meravigliato, come se non si aspettasse una reazione del genere da parte sua.
«Va bene Potter, messaggio ricevuto» lo rassicurò infine, senza smettere di sorridere divertita in sua direzione. «Cercherò di essere… diciamo più morbida e accomodante nei tuoi confronti. Non montarti la testa però: non uscirò con te.»
«Facciamo un patto» iniziò allora a proporre lui, un ghigno malizioso che andava a dipingersi sulle labbra. «Io smetterò di assillarti in continuazione, non ti chiederò più di uscire né di darmi un appuntamento.»
«E io cosa dovrei fare in cambio di questa liberazione?» chiese, scettica e sospettosa. «Niente» la tranquillizzò subito James e rise divertito per la preoccupazione che l’aveva pervasa. «Vorrei semplicemente che iniziassimo ad avere un rapporto normale, amichevole… insomma: civile.»
Lei parve soppesare brevemente quella prospettiva e fece finta di pensarci intensamente, prima di rispondere.
«Credo che si possa fare» dichiarò infine. «Purché tu rispetti la tua promessa.» James annuì raggiante e fece per continuare, ma qualcuno interruppe bruscamente il momento che stavano vivendo.
«Lily, finalmente!» Marcus McKinnon emerse dalla folla e le cinse le spalle con un braccio, un sorriso sulle labbra e l’aria decisamente accaldata. «Ti stavo cercando da una vita.»
«Ehi!» lo salutò lei, sorpresa e vagamente in imbarazzo. «Io ero qui… beh, stavo parlando con Potter. Ho perso anche le altre e…»
Marcus annuì e si girò finalmente a guardare James, salutandolo allegramente con un cenno.
«Ah il mio acerrimo nemico» scherzò, dandogli una pacca sulla spalle. E l’altro pensò che tale descrizione non era mai stata più vera. «Grazie per averle tenuto compagnia, vorrei dirti che ti ripagherò in campo ma sarebbe una bugia.»
James annuì brevemente e lanciò un ultimo sguardo a Lily, prima di andarsene.
«Lo sai McKinnon, non ho certo bisogno di mezzucci per batterti.»
E lei, mentre lo seguiva allontanarsi, si chieste d’istinto se tale frase fosse riferita solo al Quidditch.


Scarlett  fece tamburellare le dita sul proprio bicchiere, scivoloso per la condensa, per poi trarne un piccolo sorso.
Dopo un vano tentativo di divertirsi aveva trovato un angolo di pace, agli antipodi della pista, e si era concessa il lusso di estraniarsi per cinque minuti da tutto, immergendosi totalmente in un turbinio di pensieri.
Nell’ultimo periodo aveva come la sensazione che la sua vita fosse diventata mostruosamente piatta, monotona, uno schema di perfezione e rigidità che lei si ostinava a seguire senza il minimo sbandamento. Con aria svegliata appoggiò il bicchiere vuoto e si raccolse i capelli, senza legarli davvero, come per rinfrescarsi. Lo sguardo altero, l’aria superiore, quel piglio di costante austerità che si ostinava così tanto ad ostentare. I capelli scuri le ricaddero disordinatamente sulle spalle e sbuffò, per l’ennesima volta quello sera.
Dylan era perfetto. Un ragazzo buono, gentile, affidabile e con la testa sulle spalle. Ma lei, che intimamente forse non lo era poi così tanto, sentiva crescere la voglia incontenibile di una novità esplosiva. Di un cambiamento in grado di scuoterla da capo a piedi.
Scarlett desiderava sentirsi viva.
Non le bastavano più il Quidditch, gli amici, un fidanzato che la adorava.
C’era qualcosa in lei che sentiva il bisogno di aggiustare, un vuoto che ancora non riusciva a spiegare con le parole. Cosa le mancava, allora?
Perché aveva la sensazione che niente fosse mai abbastanza?
Infondo aveva amici sinceri e leali, che le volevano bene in modo incondizionato. Un fidanzato pronto a fare qualsiasi cosa per lei.
Uno sport in cui era brava, ben considerata e apprezzata, che la riempiva di soddisfazione.
Una famiglia che appoggiava con amore e fiducia ogni sua scelta.
Da dove veniva, allora, quella sensazione sgradevole? Quel senso di oppressione, di angoscia, come se stesse perdendo tempo prezioso a vivere una vita così poco interessante?
Scarlett poteva fingere con chiunque, mostrando quanto fosse felice ed appagata, ma a sé stessa non poteva certo mentire. Spesso si sorprendeva ad esplorare circostanze parallele, irrealizzabili, dove si concedeva il lusso di perdere il controllo ed agire d’impulso. La sua mente ripercorse i sei anni precedenti ad Hogwarts, tutte le occasioni che forse si era persa.
Quanti inviti aveva rifiutato? Quanti ragazzi che davvero le interessavano aveva allontanato, per il sommo gusto di apparire irraggiungibile? Quante volte si era frenata, cercando di mantenere le apparenze che tanto faticosamente si era costruita?
La verità, quella amara e dolorosa, era che Scarlett aveva paura.
La paura di apparire insicura e debole, di lasciare che gli altri vedessero le sue fragilità e se ne potessero approfittare. Ed era proprio quell’ostacolo insormontabile a frenare la sua voglia di cambiamento.
Il fatto che non fosse mai stata innamorata di Dylan Miller le era sempre stato fin troppo chiaro.
L’amore, quello vero, Scarlett lo aveva sperimentato al quarto anno.
All’epoca usciva con Aaron Spinnet, Grifondoro due anni più grandi lei. Fu solo per lui che la ragazza abbassò ogni difesa, che si concesse il lusso di lasciarsi andare e provare cose di cui non sapeva di essere capace. Si morse appena il labbro inferiore, nel ricordava le sensazioni che aveva provato.
Le farfalle nello stomaco, quella scoppiettante agitazione ogni volta che le era vicino, l’incessante voglia di stargli accanto. Con lui, Scarlett aveva sperimentato la gioia di amare ed essere amata.
O almeno era quello che credeva.
La loro storia durò all’incirca un anno e, alla fine, lui lasciò tradendola con un’altra. Scarlett ricordava nitidamente quel giorno, il senso di umiliazione che aveva provato. Era come se Aaron avesse fatto a pezzi ogni cosa, come se tutto quello che era  successo tra loro avesse perso d’un tratto di significato. Il dolore che provò, successivamente, fu un qualcosa di quasi insopportabile.
Ciò che però fu davvero impossibile da tollerare, oltre al fatto di essere stata sostituita come un vecchio giocattolo, era il senso di vuoto che lui le aveva lasciato. Una voragine che lei si era costretta a riempire costruendo l’immagine di sé che avrebbe voluto diventare, una fredda caricatura della persona che in realtà non era mai stata.
Quando, circa un anno e mezzo dopo, Dylan incrociò i suoi occhi pensò che in fondo lui non sarebbe mai stato capace di annientarla in quel modo. Il Corvonero non era affatto un tipo impulsivo, imprevedibile, scorretto a tal punto da ferire la persona che diceva di amare.
E Scarlett, ormai privatasi di ogni cosa bella e leggera, aveva un disperato bisogno di sentirsi amata senza correre il rischio di essere ferita. Ancora.
«Ti diverti?»
Dylan non si diede nemmeno pena di guardarla e rispose dopo un lungo sorso di drink.
«Mai divertito tanto» disse infine, sarcastico e annoiato.
Marcus e Lily erano in pista a ballare e, incredibilmente, anche lei sembrava essere molto divertita dall’atmosfera che si era creata.
Scarlett li guardò brevemente e poi si concentrò su di lui, il cuore a mille e una consapevolezza che le faceva attorcigliare lo stomaco.
Ormai non poteva più aspettare.
«Ti va se… usciamo?»
Dylan si girò e annuì, senza nessuna particolare emoziona sul volto.
Scarlett gli fece cenno col capo al portone e si avviarono verso l’uscita, in silenzio e con una serietà che per nulla si addiceva alla festa che vorticava attorno a loro. Sirius, poco distante e in compagnia di una logorroica Anya Bilson, li seguì quasi involontariamente con gli occhi grigi, improvvisamente attenti e incuriositi da quella visione. Quando Dylan chiuse dietro di sé il portone, Scarlett avvertì tutto il freddo del corridoio sulla pelle e non riuscì a reprimere un brivido, che la scosse da capo a piedi.
Quella sensazione non fece altro che intensificarsi, quando si ritrovò a fissare gli occhi del ragazzo, scorgendovi una luce mai vista prima: erano freddi, distaccati, per nulla colmi del sentimento che solitamente le dimostrava. E Scarlett ebbe la netta impressione che già sapesse ciò che stava per accadere.
«Quindi?» disse poi, le mani affondate nelle tasche e l’espressione dura. «Cosa devi dirmi?»
La ragazza respirò profondamente, le labbra dischiuse e la fronte leggermente aggrottata.
«Io… » iniziò, meravigliandosi di quanto la sua voce fosse flebile e spezzata, «ho pensato molto a quello che ci siamo detti qualche giorno fa. A dirla tutta, ci ho pensato in ogni istante.»
Dylan inclinò appena il capo e continuò a studiarla, in silenzio. Era chiaro che non avrebbe detto nulla, quello non era il suo turno di parlare e Scarlett lo sapeva perfettamente.
Gli occhi castani scivolarono sul pavimento, come attratti da una forza troppo grande per essere contrastata, e le sue labbra si costrinsero a pronunciare le parole che mai avrebbe pensato di riuscire a dire, di liberarla da un peso che ormai la stava soffocando da troppo tempo.
«Non possiamo più stare insieme.»
Il silenzio che seguì quella frase, fu quanto di più assordante avesse mai sperimentato prima.
Scarlett non aveva il coraggio di alzare lo sguardo, ma poteva sentire chiaramente gli occhi di Dylan ancora fissi su di lei. Il suo disprezzo, la delusione, il risentimento che provava in quel momento.
Quando finalmente riuscì a guardarlo, scoprì sul suo volto l’ombra di un sorriso amaro e un’espressione per nulla stupita, come se in realtà quell’epilogo se lo aspettasse da molto tempo.
«E questa tua decisione quando l’avresti presa?» chiese, atono. «Prima dell’estate? Durante? O dopo? Oppure non te n’è mai importato un cazzo?»
«Non è così!» si affrettò a ribattere con forza, compiendo un passo verso di lui. «Sai perfettamente che non è così… ti prego Dylan, non rendere tutto ancora più difficile o doloroso.»
«Ah sarei io quello che rende il tutto difficile o doloroso?» le chiese, freddo e incredulo. «Mi hai tenuto in bilico in questa situazione per mesi, facendomi sentire un coglione. Sapevi perfettamente che sono innamorata di te e non te ne è mai importato niente, non ti è mai passato nemmeno per la testa che mi stavi ferendo. Dimmi una cosa Scarlett: ma tu mi hai mai amato davvero, in questo anno e mezzo? Oppure ero semplicemente il tuo giocattolo da esibire con gli altri?»
Lei azzerò le distanza e gli afferrò una mano, sentendolo liberarsi all’istante dalla sua presa con rabbia e in tutta velocità. Gli occhi le si inumidirono quando vide la furia e la sofferenza sul suo volto, come se solo in quel momento fosse riuscita a comprendere ciò che il suo comportamento gli aveva fatto passare nei mesi precedenti.
«Ti prego» sussurrò, stringendogli un lembo di camicia. «Devi credermi, io non avrei mai voluto farti soffrire! Ero confusa, non capivo i miei sentimenti e sopratutto di cosa avevo bisogno…»
«C’è un altro?» continuò imperterrito Dylan, divincolandosi nuovamente, e fece qualche passo per allontanarsi. Era evidente che in quel momento non sopportava il fatto di averla vicino e Scarlett incassò quella consapevolezza come un pugno allo stomaco.
«NO!» ruggì lei, una lacrima che le rigava il volto. «Ti stai sbagliando, non è come pensi… Sono io. Il problema sono io! Mi sento sbagliata, sento che tutto ciò che mi circonda lo è e non so come uscirne, non riesco a stare bene e ad essere felice…Io non… »
Il respiro le mancò appena e si sentì sopraffatta da ogni cosa, ogni pensiero o sensazione che aveva provato nell’ultimo orrendo periodo. Le sarebbe piaciuto riuscire a trovare le parole giuste, cercare di dare voce a ciò che provava nel modo più giusto, ma la verità era che nemmeno lei poteva identificare con chiarezza una causa nitida che aveva provocato un tale turbamento.
Dylan scosse il capo e si portò una mano tra i capelli biondi, frustrato e arrabbiato come mai l’aveva visto. E quella visione le spezzò il cuore. Perché lui non si sarebbe mai meritato quella situazione, né tanto meno un simile trattamento dopo tutto ciò che aveva fatto per lei.
«Ti prego» sussurrò ancora Scarlett, la voce rotta e un’altra lacrima a rigarle il viso contratto. «Devi credermi… tu non hai fatto niente, sono io che…»
«Io non credo più a una tua singola parola» la interruppe, freddo come il ghiaccio. «E non mi interessa nemmeno ascoltarti. Hai avuto mille occasioni per parlarmi ma non lo hai fatto, sono dovuto venire io a chiederti cosa stesse succedendo. E se l’altro giorno non ti avessi affrontata? Saresti andata avanti con questa cazzo di recita?»
Dylan aveva alzato parecchio il tono della sua voce, più rabbiosa che mai. Scarlett si sentì come mai si era sentita prima: viscida, sporca, piccola e insignificante come un verme. E per una volta non riuscì più a dire nulla, non trovò nessuna giustificazione plausibile o frase che potesse tirare fuori per aggiustare quella situazione ormai irreparabile.
Lui continuò a fissarla e, dopo qualche secondo, capì che non avrebbe più ricevuto nessuna risposta. I suoi occhi la squadrarono un’ultima volta, freddi e quasi disgustati, prima che la sorpassasse per lasciarla lì da sola.
«Non voglio parlarti mai più» fu il saluto lapidario che le riserbò mentre si allontanava di spalle e lei, pietrificata, non si girò nemmeno per seguirlo con lo sguardo.
Le lacrime iniziarono a rigarle il volto in modo copioso e, quasi d’istinto, andò a coprirlo con entrambe le mani, come per nascondere anche a sé stessa tutto il dolore che stava provando.
Scarlett Brooks era scoppiata.
Il suo mondo perfetto era in frantumi.
E l’ultima cosa che avrebbe voluto era farsi vedere in quelle condizioni dalla persona che più detestava ad Hogwarts.
«Brooks.»
La voce di Sirius arrivò all’improvviso e la fece sobbalzare, meravigliandosi del fatto di non aver sentito alcun passo, ma allo stesso tempo fu grata di percepirlo alle sue spalle.
Il fatto di vederla così, priva dall’aurea di invincibilità che solitamente che la pervadeva, lo meravigliò suo malgrado. Non l’aveva mai e poi mai sorpresa senza corazza o circondata da muri insormontabili, e a lui sembrò quasi di rivolgere lo sguardo a una persona sconosciuta.
Ma, infondo, poteva davvero dire di conoscerla?
«Tutto bene?» le chiese, prima ancora di realizzare realmente ciò che stava per articolare. Normalmente quelle parole gli sarebbero uscite con un tono canzonatorio, quasi di scherno, e si sarebbe beato nel vederla in difficoltà. Invece Sirius era serio, l’espressione attenta e lo sguardo fermo su di lei. E Scarlett, il viso ancora nascosto da entrambe le mani, non ebbe il coraggio di voltarsi.
«Vattene» biascicò, cercando disperatamente di darsi un tono, e liberò il volto dalla propria presa. «Lasciami in pace Black.»
Sirius continuò a fissare la sua figura di spalle e affondò le mani nelle tasche, sospirando appena.
«Non è una vergogna mostrarsi tristi o fragili, di tanto in tanto. Non sei un essere invincibile o così superiore come credi» le rivelò, pacato e neutro. «A dirla tutta, apparire più umana non ti farebbe affatto male.»
Scarlett non aveva alcuna intenzione di intraprendere quella conversazione, di sfogarsi su ciò che era appena accaduto, e di certo non lo avrebbe mai fatto con lui. Il ragazzo che non perdeva occasione di torturarla con frecciatine maligne, che non perdeva nemmeno occasione di ricordarle tutti i suoi difetti e che, ne era certa, avrebbe usato qualsiasi parola fuori posto contro di lei alla prima discussione. Le vie di fuga erano parecchie: poteva andarsene, mandarlo al diavolo ancora, insultarlo come meglio credeva. Eppure, inspiegabilmente, non lo fece.
«E’ questo quello che pensi di me?» gli chiese e si girò finalmente a guardarlo. Sirius constatò che il suo viso arrossato e gli occhi lucidi, l’espressione tipica di chi aveva appena finito di piangere. Non ci mise molto a capirne il motivo, sopratutto dopo aver visto con chi aveva lasciato la festa, ma si costrinse a non buttarle in faccia la realtà.
Almeno, solo per quella volta.
«Non credo di averne mai fatto un segreto» osservò Sirius, con semplicità. E fece un passo verso di lei, inchiodandola con lo sguardo. «Come tu non hai mai nascosto il ribrezzo per il mio atteggiamento… come dici di solito? Frivolo, superficiale e sconsiderato. Il tuo saccente modo di fare ha sempre fatto sì che il tuo parere su di me si esprimesse in modo molto preciso, ogni volta… anche quando non era necessario farlo. E non parlo solo di me, ma di chiunque ti capiti a tiro. Non credo di averti mai sentita indulgente o tenera verso una persona che per un qualche tuo assurdo standard non ti andava a genio, ho avuto anzi il piacere di constatare il tono sprezzante e lo sguardo superiore con cui ne apostrofavi ogni atteggiamento.»
Scarlett arretrò, ritrovandosi con le spalle al muro. Lo guardava con la fronte aggrottata, le labbra contratte, riflettendo il senso di smarrimento e nervosismo per tutte quelle verità che le stava vomitando addosso senza ritegno. Il fatto che Sirius, che non le era mai sembrato un abile osservatore, avesse colto così tanti aspetti di lei la scosse nel profondo.
Fu quella la prima volta in cui, suo malgrado, non riuscì a trovare nulla di convincente da dirgli. Nessun insulto, nessuna frase sarcastica o osservazione pungente.
E Sirius, che di certo non era uno sciocco, si rese conto della difficoltà da cui era pervasa. Eppure, ancora una volta, non se ne approfittò, non si beò nell’averla di fronte così fragile e vulnerabile. Si limitò a sospirare appena, inclinando il capo e sostenendo quell’insopportabile, continuo sguardo perforante su di lei.
«Sei una persona come tutte le altre, Brooks.» continuò, con un tono quasi rassicurante. «Riconoscerlo e scendere al livello di noi comuni mortali ti fa così paura?»
Scarlett deglutì, gli occhi sbarrati in sua direzione.
Solo in quel momento si rese conto di aver trattenuto il fiato tutto il tempo mentre lo ascoltava, pietrificata da ogni parola usata.
Come poteva aver colto così nel segno? Com’era possibile che Sirius Black sapesse tutte quelle cose di lei?
Il loro rapporto non era mai esistito, gli unici scambi di parole che si erano rivolti avevano sempre avuto come oggetto insulti, frasi taglienti, frecciatine sarcastiche. Eppure nessuno mai , prima di quel momento, aveva dipinto un così perfetto quadro della sua persona cogliendone perfino la più sottile delle sfumature.
«Sei soddisfatto?» sussurrò e si sorprese della propria voce, tremante e incerta. Ma infondo erano gli stessi attributi di cui il suo sguardo era intriso. «Adesso puoi anche tornare trionfante alla festa, hai fatto il tuo dovere. 1 a 0 per te Black, complimenti.» A Sirius quasi scappò da ridere, ma non lo fece.
«Ah sì, era proprio quello che volevo » ammise, sarcastico ed annoiato, mentre con una mano si portava indietro i capelli scuri. «E dimmi, mia algida Brooks, cosa si vince alla fine di questa ridicola guerra? Un set nuovo di calderoni? Spero che il premio sia succulento perché, sarò franco, sono fottutamente stanco di questa inutile farsa che vuoi disperatamente portare avanti.»
«Inutile farsa?» gli fece eco lei, ancora schiacciata contro la parete.
Sirius, di tutta risposta, fece un altro passo verso di lei. I loro volti a una quindicina di centimetri di distanza, gli occhi fissi gli uni negli altri.
E Scarlett, che aveva ormai rinunciato ad ostentare la sua compostezza, voltò il viso socchiudendo appena le palpebre. Come se avesse paura dell’impatto che altre verità avrebbero avuto su di lei, dell’effetto che avrebbero scaturito nelle sue espressioni. Era impreparata a quello scontro, completamente in balia di lui.
«Puoi fingere quanto vuoi con gli altri di avere una vita perfetta, ma con me non attacca» le rivelò. «Credi che questa tua caricatura ti renda più forte o desiderabile agli occhi altrui? Pensi davvero che trattare le persone così ti renda migliore? A giudicare dall’esito evidente della tua serata, dovresti riuscire a risponderti da sola.»
Scarlett si girò per rispondergli ma, quando fece per aprire bocca, si sorprese nel vederlo darle le spalle ed allontanarsi verso il portone della Stanza delle Necessità, per poi varcarlo senza più guardarsi indietro.
E lei, rimasta sola e senza certezze, fu invece costretta a guardarsi dentro.








Spazio dell’autrice


Buonasera a tutti cari :)
Come sono andate le vostre ferie?
Io purtroppo sono tornata mercoledì e, ahimè, domani si ricomincia.
Devo dire però che il tempaccio che mi ha accolta è stato perfetto, mi ha permesso di lavorare in tutta serenità a questo nuovo capitolo e devo dire che sono abbastanza soddisfatta.
Come commentare questa festa?
Sicuramente ha creato abbastanza scompiglio nel gruppo, non c'è che dire.
James e Lily sembrano a un piccolo punto di svolta, ma Marcus non credo che si farà da parte tanto facilmente. Il Malandrino però non è disposto nemmeno a lasciar perdere quindi: ne vedremo delle belle!
Remus e Mary, invece, sono alle solite. Vi confesso che è sempre un po' frustrante scrivere di lui e delle sue insicurezze, ma credo che siano anche ciò che lo caratterizza. La domanda quindi è: riuscirà Mary a far breccia in questo tanto odiato muro? La risposta a questa domanda credo che sia ancora lontana...
Infine loro, Sirius e Scarlett.
Lei completamente in crisi, che sta vedendo il suo mondo di apparenze sbriciolarsi. Lui invece ne è spettatore, ma anziché compiacersi inizia a suo modo a valerne far parte per una qualche assurda ragione. Curiosità, forse? Anche per loro la strada è ancora molto LUNGA e TORTUOSA.
Infine, dal prossimo capitolo entreremo un po' più nel vivo della vita a scuola: lezioni, Quidditch (sperando che la profezia di Scarlett non si avveri) e altre piccole faccende di cuore.
Come chicca vi lascio anche qui sotto tutti i PV dei miei personaggi: è così che io me li immagino :) Spero anche di riuscire delle immagini ad hoc, più avanti, magari quando le ship saranno più definite.
A presto gente e, sopratutto, grazie per la recensioni al prologo. Adesso risponderò a tutti
<3



JAMES POTTER è AARON TAYLOR
SIRIUS BLACK è BEN BARNES
REMUS LUPIN è ANDREW GARFIELD
PETER MINUS è MICHAEL CERA
LILY EVANS è KAREN GILLAN
SCARLETT BROOKS è LILY COLLINS
MARI MACDONALD è ANNA SOPHIA ROBB
EMMELINE VANCE è HAILEE STEINFIELD




M


   
 
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