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Autore: Cj Spencer    03/09/2023    1 recensioni
Secondo volume de "Napoleon of Another World!"
Dopo un primo volume introduttivo la situazione inizia finalmente ad evolversi in modo rapido e decisivo.
La Rivoluzione che Daemon ha pazientemente pianificato volta a mettere nelle sue mani la provincia imperiale di Eirinn è finalmente scoppiata, ora lo scopo è portarla a termine affinché diventi il primo passo verso la costruzione del suo impero destinato a unificare Erthea sotto il suo comando e preparare il continente per affrontare l’esercito del Re dei Demoni quando farà la sua comparsa.
Genere: Avventura, Fantasy, Guerra | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Yuri
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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“La religione è ciò che trattiene

il povero dall’uccidere il ricco”

CAPITOLO 2

LA SANTA

 

 

Sylvie lo sapeva di essere speciale.

Era venuta al mondo con un’affinità per la magia con pochi precedenti nella storia scritta, e prima ancora di prendere i voti in molti già la veneravano come una santa.

Di certo aveva un animo puro e misericordioso come pochi, ma curare orfanotrofi o assistere i malati nei sanatori non erano attività degne di un Vescovo, il cui unico dovere era vivere fianco a fianco con il nobile al quale si era destinati dal Conclave, offrendo consigli e assistendolo nella gestione del potere.

Sylvie però era troppo furba per non rendersi conto che la sua nomina era stata solo il frutto delle pressioni che Sua Santità aveva subito da parte dei membri più tradizionalisti del Conclave, che mal sopportavano l’idea di vedere una popolana di umili origini accostata al soglio di Gaia.

Ma a lei non importavano i giochi di potere dei cardinali, e tutto quello che voleva era di usare le sue conoscenze per aiutare gli altri. Non per niente la sua specialità erano gli incantesimi curativi, che praticava ad un livello irraggiungibile anche per il più esperto dei guaritori.

L’epidemia che aveva colpito Basterwick e che stava mietendo così tante vittime era una delle peggiori che si fossero mai viste, e il suo arrivo era stato visto come una benedizione da parte degli abitanti ormai allo stremo.

Per fortuna quel morbo non si propagava attraverso l’aria, e a meno di non toccare qualcosa di infetto era difficile ammalarsi, quindi per il momento confinare tutti i malati all’interno del grande sanatorio della città stava servendo a tenere sotto controllo il diffondersi del contagio.

Allo stesso tempo però non si trattava del genere di malattia che si potesse debellare con gli incantesimi curativi, e tutto quello che Sylvie e la sua apprendista potevano fare era lenire le sofferenze dei malati nella speranza che questo permettesse loro di vivere abbastanza a lungo da dare al loro corpo il tempo di guarire spontaneamente, cosa che purtroppo non sempre succedeva.

Tutti i giorni alla solita ora il sindaco e il comandante della guarnigione visitavano il sanatorio per constatare lo stato delle cose, rigorosamente attraverso i ballatoi superiori dell’edificio.

«La puzza di questo posto è sempre più insopportabile.» protestò Van Lobre passandosi tra i baffi il suo fazzoletto profumato. «Lady Valera, non dovreste stare così vicina agli ammalati. Anche lavandosi continuamente le mani e bruciando le tuniche protettive c’è sempre il rischio di ammalarsi.»

«Io ho già contratto in passato questa malattia.» rispose lei senza neanche alzare gli occhi dalla bambina che stava accudendo. «Quindi non corro alcun pericolo. Piuttosto signor Sindaco, mi avevate promesso di destinare nuove risorse al sanatorio.»

«Sfortunatamente ragazza mia le cose sono cambiate. A quanto si dice quei bifolchi di Dundee hanno sconfitto la spedizione punitiva organizzata dal Governatore. Non posso rischiare di lasciare i miei ragazzi senza medicine e guaritori.»

«Ma l’epidemia peggiora di giorno in giorno. Se non facciamo qualcosa i nostri sforzi non saranno sufficienti a tenere a freno il contagio. Inoltre dal momento che sia la milizia che la legione non pattugliano più la città subiamo continuamente furti di cibo e medicinali.»

«Non c’è altra scelta. Con quei pezzenti che scorrazzano liberi per tutta la provincia l’ultima cosa che ci serve è che comincino ad ammalarsi anche i soldati.»

«Almeno fateci avere dei rifornimenti dai granai e dai pozzi cittadini. Gli abitanti consumano acqua e cibo probabilmente contaminati da giorni.»

«Vi ho già detto che è impossibile. È proprio tramite acqua e cibo che il morbo si diffonde. I malati e i cittadini avranno accesso solo ai rifornimenti che gli sono già stati destinati, il resto resterà a disposizione dell’esercito. Pazientate mia cara, e vi prometto che appena il problema dei ribelli sarà risolto vi garantisco che faremo qualcosa in proposito.»

Sylvie aveva già avuto a che fare con cattivi amministratori e malgoverno, ma mai avrebbe immaginato che ci fossero persone talmente egoiste ed insensibili da lasciar morire i propri sudditi in modo tanto spregiudicato ed insensibile.

Ma d’altronde lei che poteva fare? La sua posizione non le permetteva certo di sfidare gli ordini, specie in una regione come Eirinn dove i nobili erano tutti in ottimi rapporti con il Circolo.

«Cercherò di far destinare una parte delle nostre risorse al sanatorio. Se mi promettete di tenerlo lontano dai malati più gravi, chiederò anche al nostro guaritore di venire a dare una mano.»

«Vi ringrazio Centurione. Sarebbe di grande aiuto.»

«Centurione Mannio! Il vostro compito è proteggere la città!»

«Proteggere la città significa anche portare aiuto ai suoi abitanti in caso di necessità. Ho parlato coi miei uomini e sono tutti d’accordo.»

Era quasi incredibile che un Centurione si preoccupasse per la sorte degli abitanti di una regione ostile all’Impero più di un nobile locale, che sbandieravano sentimenti reunionisti per accattivarsi le simpatie della gente ma che poi quando serviva si preoccupavano solo di sé stessi.

«Signor Sindaco!» strillò all’improvviso una guardia «Un’emergenza!»

«E adesso che c’è?»

«I ribelli, Vostra Grazia! Sono diretti qui!»

«Che cosa!? Dove si trovano?»

«Avanzano da est lungo la Via Dioscura

«Perché scegliere una strada così vecchia e trascurata?» si domandò Mannio. «Se volevano muoversi in fretta non aveva più senso usare la Via Magna? Forse cercavano di passare inosservati?»

«Chi se ne importa? Quella strada passa proprio attraverso le mie terre! Non permetterò certo a quegli animali di devastare i miei preziosi campi! Suonate l’adunata! Voglio tutti i soldati della milizia pronti a partire il prima possibile! E anche tu Mannio, chiama i tuoi uomini e ordinagli di prepararsi!»

«E chi rimane a presidiare la città? Così Basterwick resterà indifesa.»

«Al diavolo Basterwick! Fai come ti ho detto!»

Isabela arrivò a fare rapporto alla sua protetta quando Van Lobre e Mannio se n’erano già andati.

«So già tutto.»

«Legionari e miliziani si stanno già mobilitando. A difendere la città restiamo solo io e alcuni volontari. Lady Valera, per la vostra sicurezza forse sarebbe meglio che vi ritiraste nel palazzo del sindaco, dove potremmo difendervi più efficacemente.»

«Isabela ha ragione, Maestra Sylvie. Non puoi restare qui.»

«Non posso lasciare queste persone Vaelia. Hanno bisogno di noi adesso più che mai. E poi, qualcosa mi dice che non abbiamo niente da temere.»

 

La regione di Basterwick era molto diversa dal resto dell’Eirinn Occidentale, e nelle sue valli fertili si coltivavano grano, verdure e frutteti.

La città stessa era circondata da campi rigogliosi, che con l’avanzare della primavera andavano già riempiendosi di germogli destinati a trasformarsi in ottimo frumento.

E di tutti i campi che sorgevano attorno a Basterwick più della metà appartenevano a Van Lobre, che non aveva alcuna intenzione di permettere ai ribelli di passarci in mezzo e distruggere il suo raccolto.

Per questo motivo aveva scelto come luogo di scontro un vasto terreno incolto al di fuori dei suoi possedimenti, ad un paio di miglia di distanza dalle mura della città lungo la Via Dioscura.

Mannio aveva provato ad obiettare, sostenendo che un terreno così vasto e spoglio, circondato da boschetti, avrebbe potuto prestare il fianco ad un aggiramento, ma il sindaco non aveva voluto sentire ragioni facendo valere la sua autorità e costringendo il Centurione ad adattarsi.

Passarono ore, mentre il nemico si faceva desiderare esitando a farsi vedere.

«Sembra stia per arrivare un temporale.» osservò Mannio alzando gli occhi al cielo plumbeo.

Quando cominciarono a cadere le prime gocce di pioggia i ribelli si fecero finalmente vedere, ma definirli un esercito sarebbe stato fuori luogo.

«Sono pochissimi. Quanti saranno, cinquecento al massimo?»

«Tanto meglio. Risolviamo in fretta questa cosa e torniamocene a casa. Se ci sbrighiamo faccio ancora in tempo a prendere il mio tea.»

Per nulla spaventati dai numeri soverchianti dei loro nemici i ribelli andarono a disporsi sul campo di battaglia magistralmente guidati nei loro movimenti da Daemon, che in sella al suo cavallo bianco risaltava come un diamante nel fango.

«Li falceremo come le erbacce che sono! Miliziani, è ora di guadagnarsi la paga! Avanzate e spazzateli via!»

Stretti in formazione metà dei soldati della milizia avanzarono verso il nemico, venendo prima bersagliati da un lancio di frecce che ne uccise alcuni e poi caricati dai mostri, che usarono la loro forza e dimensioni per generare un urto devastante che la linea di scudi riuscì però faticosamente a reggere.

Nel mentre poche gocce di pioggia si erano trasformate in un batter d’occhio in un violentissimo temporale, e non occorse molto perché i miliziani iniziassero a vedersi mancare letteralmente il terreno sotto i piedi.

«Ma che diavolo succede?» protestò qualcuno. «Sembra di combattere sulle sabbie mobili!»

Di fronte allo spettacolo dei soldati nemici che affondavano nel fango, appesantiti oltretutto dalle proprie ingombranti armature, Dameon sorrise beffardo.

«Questi campi erano usati come risaie fino ad un paio di anni fa. Anche se adesso sono incolti e abbandonati, non sorprende che basti un po’ di pioggia perché si trasformino in paludi.»

Dall’altro capo del campo di battaglia Mannio notò il suo sguardo, e ricordandosi di aver sentito dire come quel ragazzo avesse inventato un qualche apparecchio capace di prevedere l’arrivo dei temporali allora capì.

Ecco perché è passato da qui. Sapeva che questo idiota avrebbe fatto di tutto per proteggere i suoi campi, e ci ha portati proprio dove voleva lui!

E il peggio doveva ancora venire. Perché se un terreno ridotto ad un pantano poteva risultare il peggior nemico di un esercito in assetto di guerra e abituato a combattere in formazione chiusa, non rappresentava certamente un problema per uno schiavo che aveva passato tutta la vita a lavorare e faticare immerso nel fango.

Dopo aver subito in un primo momento il contrattacco dei miliziani i ribelli presero nuovamente a guadagnare terreno, frantumando con una poderosa spinta la linea di scudi dei miliziani e ingaggiandoli in scontri uno contro uno in cui i mostri, più agili nonostante la mole spesso superiore, stavano rapidamente avendo la meglio.

«Dobbiamo ripiegare su di un terreno più favorevole!» provò a dire Mannio. «Se restiamo qui rischiamo di essere travolti!»

«Non se ne parla neanche! Ci basterà spingere di più!» e Van Lobre ordinò alle sue riserve di scendere in battaglia, minacciando di far tagliare la lingua al suo secondo quando questi tentò di far ragionare il Comandante sull’assurdità di ciò che stava facendo.

La mossa come previsto non sortì l’effetto sperato. Al contrario, i soldati della milizia erano talmente intralciati nei movimenti da risultare un facile bersaglio per gli arcieri ribelli, che ne uccisero a decine prima ancora che questi potessero giungere allo scontro.

«I tuoi uomini si stanno facendo massacrare! Devi ordinare loro di ripiegare!»

«Invece di parlare dammi una mano, razza d’incapace! O i tuoi legionari servono solo a marciare in parata e fare la guardia ai sanatori?»

Mannio non aveva alcuna intenzione di mandare i suoi soldati a morire in quella palude. Decise quindi di tentare una manovra di aggiramento, ordinando a metà dei suoi seicento legionari di staccarsi dallo schieramento e procedere attraverso il sentiero rialzato che tagliava i campi fino alla strada, avanzare quanto bastava e quindi attaccare il nemico su di un fianco, lasciando i restanti indietro come riserva.

Una mossa molto saggia e potenzialmente efficace. Peccato solo che Daemon se l’aspettasse, e prima ancora della battaglia avesse ordinato a Jack di prendere con sé un paio di centinaia di soldati e di andarsi ad appostare sul fondo di un fossato che costeggiava la Via Dioscura approfittando del momento in cui tutte le attenzioni del nemico sarebbero state concentrate su di lui.

In silenzio, appiattiti nel fango e coperti da mantelli di foglie, attesero fino a quando i legionari non furono passati.

«Adesso! All’attacco!» e con Jack in testa si scagliarono contro il nemico prendendolo alle spalle.

Alla vista dei suoi legionari travolti e costretti ad una difesa disperata Mannio non riuscì a crederci, rinunciando subito all’idea di inviare i suoi restanti uomini a dare una mano per non lasciare sé stesso e quell’incapace di Van Lobre senza alcuna protezione.

Dannazione, ma come fa questo ragazzino ad essere sempre due passi avanti a noi? È come se ci leggesse nel pensiero!

Ma lo sgomento che provava era niente rispetto a quello che stava per succedere.

«Comandante! La città!»

Al che i soldati, persino quelli impegnati in battaglia, girarono gli occhi alle proprie spalle, e ciò che videro fu sufficiente a far gelare a tutti il sangue nelle vene.

«Per tutti gli dei!»

 

Era incredibile come Daemon riuscisse a pensare alle cose con giorni di anticipo ed avere sempre ragione.

Ormai l’avevano capito tutti: lui era nato per comandare. E il mestiere di condottiero in particolare sembrava calzargli come un guanto, quasi che fin dalla nascita non fosse stato destinato ad altro che a quello.

Poco dopo aver lasciato l’accampamento aveva ordinato a Scalia, Drufo e una decina di altri di staccarsi dal resto dell’armata e procedere per sentieri secondari fin sotto alle mura di Basterwick.

Una volta giunti sul posto si erano nascosti in un vecchio fienile abbandonato e semidistrutto, da cui come previsto potevano vedere chiaramente tutto quello che succedeva sia verso la città che in direzione del campo di battaglia.

«Allora?» domandò Scalia quando Drufo tornò dal suo giro di esplorazione

«È come aveva detto Daemon. Le mura e le torri sono deserte. È probabile che l’intero esercito tra miliziani e legionari sia impegnato a combattere.»

«E le porte ad est?»

«Aperte, come da previsioni. E a sorvegliarle ci sono solo un pugno di civili armati della guardia cittadina.»

«Allora sbrighiamoci. Siete pronti?»

«Tu che cosa dici?» rispose Passe facendo le veci di tutti

«Ricordate quello che ha detto Daemon, dobbiamo evitare a tutti i costi di uccidere. Meno vittime ci saranno e meglio sarà per noi.»

«E se tentano di farci la pelle?»

«Sono solo civili spaventati e confusi.» disse Drufo «Graffiateli o spaventateli un po’, e vedrete che si arrenderanno subito. Altrimenti perché credi che avremmo portato un vecchio coboldo monco e orbo come te su di un campo di battaglia?»

«Ha parlato la mezza capra. Sicuro di sapere ancora come affrontare un nemico faccia a faccia?»

«Smettetela voi due. Forza, andiamo.»

Quando i guardiani li videro apparire dal nulla lanciati alla carica tentarono vanamente di chiudere il portone, ma Drufo li mise tutti fuori combattimento con una freccia ciascuno aprendo la strada.

La città come previsto era deserta, e i pochi cittadini armati che la stavano proteggendo si arresero prima ancora che gli assalitori arrivassero nella piazza centrale.

«Dove sono tutti i soldati?» chiese Scalia a uno di loro, cercando di apparire il più minacciosa possibile

«Sono tutti fuori che combattono. Ci siamo solo noi.»

«È davvero incredibile.» disse Passe «Come si fa a lasciare tutte queste persone senza alcuna protezione?»

«Se non altro abbiamo ottenuto quello che volevamo. La città è nostra, e nessuno ci ha rimesso la vita.»

«Fermi dove siete!»

Dal grande edificio dall’altro lato della piazza venne fuori una ragazza in armatura con la spada in mano, e che avanzò verso di loro come se volesse sfidarli tutti da sola.

«È finita. La città è già nostra, e presto i nostri compagni sconfiggeranno i soldati che stanno combattendo all’esterno.»

In realtà non era del tutto vero; al contrario, stando alle parole di Daemon buona parte delle loro possibilità di vittoria passavano dal compito che Scalia e gli altri dovevano ancora portare a termine.

«Non c’è motivo di combattere ulteriormente.»

«Io ho giurato di proteggere questa città e i suoi abitanti, e lo farò a qualsiasi costo!»

L’ordine di evitare di uccidere era ancora valido quindi Drufo tentò di mettere fuori combattimento quell’esaltata con qualche tiro dei suoi, ma lei intercettò tutte le frecce spezzandole di netto.

Allora fu il turno di Passe, che caricò come un toro sventolando l’ascia sopra la testa, e che venne prima schivato nel suo assalto e poi messo al tappeto con uno sgambetto dopo aver subito un fendente che, non fosse stato per la sua pelliccia ispida, gli avrebbe aperto in due il ventre.

Gli altri erano già pronti a saltarle addosso tutti insieme, ma Scalia li fermò; non perché temesse per la sua o la loro incolumità, ma perché tutto d’un tratto la ragazza sentì uno strano calore percorrerle tutto il corpo, accompagnato da un fremito irresistibile.

«Voi restate indietro. Me la vedo io con lei.»

La sfidante restò immobile ad osservare Scalia che uscendo dal gruppo si portava davanti a lei, e una volta che furono faccia a faccia passarono diverso tempo ad osservarsi vicendevolmente negli occhi con aria di sfida.

«Non credo di conoscere il tuo nome.»

«Ha importanza?»

«Ci tengo a sapere con chi mi sto battendo. E poi mio fratello lo dice sempre che è buona educazione chiedere il nome al proprio sfidante.»

«Se questo tono è l’idea che tu hai di educazione direi che devi ancora lavorarci parecchio.»

Più che due guerriere sul punto di battersi sembravano due gatte che si soffiavano addosso mostrando i denti.

«Il mio nome è Isabela, e sono una Guardia del Tempio.»

«Io invece mi chiamo Scalia, e sono la figlia del Generale Zorech

«Ho sentito parlare di lui. La sua fama lo precede.»

«Ironico, non sei d’accordo? Una Guardia del Tempio che sfida a duello la figlia del Primo Generale del Signore Oscuro. Vorrà dire che considererò la tua morte la giusta compensazione per tutti i nostri compagni che avete ucciso cinquecento anni fa.»

Forse, pensò Scalia, era per questo che le corde del suo cuore avevano vibrato nel momento in cui l’aveva vista; forse istintivamente aveva riconosciuto quella corazza scintillante e quello stemma d’oro di cui suo padre qualche volta le aveva parlato.

«Un consiglio. Non ti azzardare a usare il bind. Provaci, e i miei amici ti salteranno addosso tutti insieme.»

«Per chi mi hai presa? Il nostro sarà un duello leale. Lo giuro sul mio onore di Guardia del Tempio.»

Non poteva più aspettare.

«Eccomi che arrivo!»

Caricò mettendoci tutta la forza e la velocità di cui era capace, guidata da una sete di battaglia che mai aveva sentito prima di quel momento.

Durante l’ultima battaglia era stata capace di sfondare gli scudi dei nemici e trapassarli con un solo colpo, ed era sicura che anche stavolta sarebbe stato lo stesso; invece quella tettona abbronzata non solo riuscì a deviare la sua spada facendola scivolare placidamente sulla propria, ma per poco non fu lei a prendersi un affondo in pieno ventre evitandolo per un soffio.

«Non ci credo! Lo ha evitato così facilmente?»

In realtà non si trattava solo di maestria nell’arte della spada; nell’istante in cui le loro armi si erano toccate Scalia aveva percepito qualcosa di strano, come se tutta l’energia che aveva messo nel suo attacco si fosse dissolta.

Come se non bastasse Isabela era riuscita a graffiarla leggermente, e Scalia si accorse subito che nonostante il passare dei secondi la ferita non dava segno di voler guarire.

«Non essere così sorpresa.» disse l’avversaria come se le avesse letto nel pensiero. «Sia la mia spada che l’armatura sono benedette. I tuoi poteri, qualunque essi siano, saranno annullati fintanto che starai nelle mie vicinanze.»

Ora era tutto chiaro.

Ecco perché un colpo che come minimo avrebbe dovuto romperle il braccio si era trasformato in una carezza così facile da respingere.

«Maledetta! Questo è giocare sporco!»

«Allora? Non volevi uccidermi per vendicare i tuoi compagni? Ti sto aspettando.»

«Adesso ti uccido, maledetta presuntuosa!»

Scalia si era sempre reputata una brava spadaccina, ma in realtà forse aveva sempre confidato troppo nella sua forza fisica di molto superiore a quella di un qualunque essere umano.

Ora invece sembrava solo una scimmia con in mano un bastone, una lucertola senza cervello né forma che aveva dimenticato tutti gli insegnamenti e cercava solo di prevalere contando unicamente sulla potenza.

«Sarebbe tutta qui la tua abilità? Non è altro che mera forza bruta.»

«Taci, maledetta!»

Scalia si sforzava di mettere a tacere la rabbia e recuperare un minimo di autocontrollo, ma per quanto ci provasse non riusciva in alcun modo a superare le sue difese; lei al contrario era già riuscita a ferirla altre due volte, e il fatto che si stesse palesemente trattenendo dall’infliggere attacchi mortali aveva il solo effetto di rendere Scalia ancora più furiosa.

La fortuna però venne improvvisamente in suo soccorso. Da che avevano iniziato a combattere Isabela non era stata ferma un attimo, muovendo le gambe a destra e a sinistra come una ballerina e schivando quasi sempre gli attacchi della sua avversaria senza neanche dover usare la spada. Forse si distrasse, forse appoggiò male un piede, fatto sta che ad un certo punto perse l’equilibrio, e una smorfia di sofferenza comparve sul suo volto di pietra.

«Sei mia!» gridò Scalia mirando al braccio sinistro, senza pensare che con la sua avversaria così indifesa avrebbe potuto staccarglielo di netto, armatura sacra o meno.

Ma non le importava. Volevo solo vincere.

E invece fu la sua spada a spezzarsi come un giocattolo limitandosi a lacerare la cappa bianca che celava il braccio, e che aprendosi rivelò uno scintillante guanto metallico che brillava di una luce carica di magia.

«Uno scudo sacro!?»

Suo padre e il vecchio Taren gliene avevano parlato, ma visto che venivano concessi solo alle Guardie più abili non avrebbe mai pensato di poterne vedere uno con i suoi occhi.

Tale era il suo stupore che quasi non si oppose al contrattacco di Isabela, finendo a mangiare la terra dopo un paio di assalti cui oppose una difesa tanto disperata quanto inutile.

«Non ci credo!» disse Passe. «Scalia ha perso!?»

Prima che potesse rialzare la testa, Scalia aveva la punta della spada di Isabela appoggiata sulla fronte.

«È finita. Arrenditi.»

Invece no.

Aveva ancora una carta da giocare.

Zorech le aveva detto di non farlo mai, perché in quanto sanguemisto avrebbe potuto rischiare di farsi male, ma ormai era diventata una questione personale in cui non poteva né voleva permettersi di perdere.

Bluffando pietosamente, abbassò la testa come se avesse avuto davvero intenzione di arrendersi.

Ma nell’istante in cui Isabela abbassò la guardia, ecco arrivare la sorpresa.

Dopotutto Scalia era pur sempre un drago, anche se solo per metà, e oltre alle corna, alla coda e alla lunga vita aveva ereditato da suo padre anche la capacità di sputare fuoco.

«Ma cosa…» strillò la guardia vedendosi arrivare addosso una nuvola fiammeggiante.

Non la si poteva neanche considerare una vera fiammata, ma tanto bastò per ribaltare la situazione; rialzatasi, Scalia usò tutta la forza che le era rimasta per assestarle un pugno dei suoi e metterla fuori combattimento.

«Hai ragione. È proprio finita.»

«Hai imbrogliato. Con che coraggio ti definisci una spadaccina?»

«Ha parlato la santa. Non sono stata io a nascondere la spada magica e lo scudo sacro. E comunque in guerra non c’è onestà che tenga. Chi vince ha sempre ragione.»

«E allora avanti, che aspetti? Uccidimi e facciamola finita. Solo promettimi che non farete del male ai cittadini e ai malati.»

In realtà non aveva mai voluto davvero ucciderla, e ora che la rabbia stava passando se ne rendeva nuovamente conto.

Era ancora indecisa su come fare per uscire da quella situazione senza ferire ulteriormente il suo orgoglio quando Isabela le crollò letteralmente davanti, iniziando a tremare e a tossire sangue.

Anche se in quell’ultimo pugno aveva messo tutta sé stessa era stata attenta a non colpirla in punti pericolosi, quindi la spiegazione poteva essere soltanto una.

«Non è possibile! Sei malata anche tu!?»

Ora Scalia si spiegava quelle indecisioni e quei movimenti goffi che le avevano permesso di vincere, e quel poco che restava del suo amor proprio si sgretolò sotto il peso di una consapevolezza che minacciava di schiacciarla.

Non poteva morire. Non glielo avrebbe permesso; non prima che fosse riuscita a batterla in un vero scontro facendole ingoiare tutta la sua presunzione.

«Presto Passe, trova qualcuno che la aiuti! Gli altri invece mi seguano. Abbiamo ancora una missione da portare a termine.»

 

«La città! La città è caduta!»

La vista del vessillo imperiale ammainato dal torrione di Basterwick e rimpiazzato da uno straccio rosso, bianco e blu sconvolse i soldati ancora impegnati in battaglia, e per come si stavano mettendo le cose Mannio sapeva che ormai era solo una questione di tempo prima che venissero messi in rotta.

«Dove state andando branco di conigli?» strillò Van Lobre quando i miliziani al suo comando iniziarono a scappare disperdendosi nelle campagne. «Tornate subito a combattere!»

Con il nemico sia davanti che dietro e ogni via di fuga preclusa, Mannio sapeva che ormai restava una sola cosa da fare.

«Fate alzare la bandiera bianca!»

Come se non stessero aspettando altro gli sbandieratori obbedirono immediatamente, e nel momento in cui anche dal campo opposto si alzò una bandiera gli scontri si fermarono, permettendo ai due eserciti di rientrare nei ranghi.

«Che state facendo? Cosa vuol dire tutto ciò! Non possiamo arrenderci!»

«È finita, signor Sindaco. Abbiamo perso.»

«Non abbiamo perso nulla! Chi sei tu per decidere? Io sono il tuo comandante in capo, e voi tutti dovete obbedirmi! E io vi ordino di riprendere subito a combattere! Mi avete sentito maledetti? Vi ho detto di…»

Quella era la prima volta che Van Lobre riceveva un pugno, e con la forza che aveva Mannio quel suo battesimo in tal senso fu decisamente traumatico.

«Come hai osato? Arrestatelo subito!»

Invece fu lui ad essere arrestato.

«Maledetti! Questo è tradimento!»

«Consideralo un colpo di stato, razza d’idiota!»

«Lasciatemi, dannazione! Vi ho detto di lasciarmi!»

Mentre Van Lobre veniva portato via Mannio mandò il suo secondo Vero a chiedere un incontro con il comandante nemico per tentare di negoziare una resa onorevole; il centurione non era mai stato un diplomatico e per i politici aveva solo disprezzo, ma date le circostanze più che alla diplomazia si poteva confidare solo nella clemenza dei vincitori.

«Allora?»

«Accettano, Centurione. Io e voi da soli.»

L’incontro avvenne su di un dosso rialzato nel cuore del campo di battaglia, al riparo dal fango ma dove tutti potevano vedere cosa accadeva, sotto un telo allestito in fretta e furia per l’occasione.

«Centurione Mannio. È un piacere per me conoscervi. Ho sentito parlare molto bene di voi.»

«Non sono qui per ascoltare chiacchiere da imbonitore. Avete preso la città, quindi non siamo certo nella posizione di poter negoziare.»

«Il fatto che voi siate qui vi fa onore. Significa che siete abbastanza saggio da capire quando è il momento di far tacere le armi e di parlare.»

«Ma voglio essere chiaro su di una cosa. Questo incontro morirà sul nascere se non mi darete la vostra parola che agli abitanti della città non sarà fatto alcun male. Tra il sindaco e l’epidemia, questa gente ha già sofferto anche troppo.»

«Potete stare tranquillo. Vedete l’asta con la bandiera? Non c’è nessun drappo nero sopra di essa, il che significa che l’occupazione è avvenuta senza che vi sia stata alcuna vittima. La nostra lotta non è contro i civili e gli inermi. E non sarà neanche contro di voi se ora deciderete di arrendervi.»

«Se lo facciamo, quale sarà la sorte dei miei uomini?»

«Chi lo vorrà potrà unirsi a noi, tutti gli altri dovranno essere messi agli arresti e internati fino alla fine della guerra. Ma avete la mia parola d’onore che a nessuno di loro sarà fatto del male. Quando questa terra sarà liberata dal controllo dell’Impero e restituita al suo popolo potranno restare qui e ricominciare o tornare alle loro case.»

Mannio era confuso e sorpreso, anche se cercava di non darlo a vedere; mai una volta nella sua storia l’Impero aveva parlamentato con una nazione sconfitta, limitandosi a porre degli ultimatum che la parte avversa doveva accettare per non essere spazzata via.

Quel ragazzo aveva tutto per poter esigere quello che voleva, eppure si stava comportando in modo a dir poco cavalleresco, per non parlare del fatto che era un umano al comando di un esercito di mostri.

«Perché lo state facendo?»

«L’avete detto voi stesso. Questa gente ha sofferto anche troppo.»

«E pensi davvero che questo cambierà le cose?»

«Se non ci proviamo non lo sapremo mai. D’altronde, che alternative abbiamo?»

Ora che l’accordo era stabilito restava solo una cosa da fare.

«Ufficiali come voi ci farebbero molto comodo.» disse Daemon, quasi che gli avesse letto nel pensiero

«Io posso negoziare la salvezza dei miei uomini, ma devo essere pronto ad assumermene la responsabilità. Non c’è onore nel cambiare la propria bandiera a seconda di chi sia il più forte.»

«Altri legionari si sono schierati al nostro fianco.»

«Sono giovani. Hanno il diritto di sognare un mondo migliore. Io sono troppo vecchio per mettermi ad inseguire dei sogni che mi costringerebbero ad andare contro ciò per cui ho combattuto tutta la vita. Ti affido i miei uomini e questo Paese, ragazzo. Confido che darai loro qualcosa di meglio rispetto a ciò che hanno avuto finora.»

Detto questo, e senza tradire alcuna emozione, Mannio estrasse il suo pugnale da ufficiale e si tagliò la gola.

Da tempo il suicidio aveva smesso di essere una consuetudine per gli ufficiali imperiali che venivano meno ai propri doveri, ma Mannio non era uomo da venire meno ai propri principi. E anche se ormai non credeva più in quell’Impero per il quale aveva appena sacrificato la sua vita non poteva sopportare l’idea di aver fallito nel difenderlo.

«Risparmiate tutti. Se qualcuno alza un dito, lo uccido con le mie mani.»

 

Fin dal momento in cui Septimus mi aveva descritto il personaggio avevo capito subito che la sorte di Mannio non sarebbe stata altro che quella.

Avevo conosciuto abbastanza vecchi sottufficiali veterani nel corso della mia vita da sapere che potevano essere allo stesso tempo un’utile risorsa e una spina nel fianco; da una parte il fascino magnetico che esercitavano sulla truppa era indubbiamente utile e permetteva loro di tenere in pugno i propri reparti anche nelle situazioni più disperate, dall’altra il loro attaccamento al dovere li rendeva troppo spesso dei fossili, capaci magari di ammettere il cambiamento dei costumi ma non di adeguarsi ad esso.

E allora perché quella messinscena della presa della città, vi chiederete?

In primo luogo per evitare un inutile bagno di sangue, e poi per togliermi di torno quell’incapace di Van Lobre senza dover essere io a sporcarmi le mani. Ero certo che tra i due i rapporti dovessero essere tesi, e che al momento fatidico Mannio avrebbe messo la vita dei suoi uomini davanti alla cupidigia di un pazzo.

L’ingresso in città fu perfino troppo scenografico, ma era necessario per impressionare sia gli abitanti che le spie che avrebbero in seguito fatto rapporto al Castello. Dietro di noi marciavano anche i legionari catturati, e dato che i grandi scudi blu catturavano tutte le attenzioni nessuno sembrò fare caso al fatto che non avessero più lance né spade: una piccola precauzione per evitare a qualche testa matta di fare qualcosa di stupido e un espediente per permettere loro di salvare le apparenze.

«Ottimo lavoro Scalia. Senza il vostro aiuto ci sarebbero state molte più perdite.»

«Avremmo fatto anche prima se non ci fosse stato un piccolo intoppo. Chi se l’aspettava una Guardia del Tempio in questo posto sperduto?»

«Una Guardia del Tempio!? E dov’è adesso?»

«Al sanatorio. Anche lei era contagiata a quanto pare.»

«E nonostante tutto è riuscita a metterti in difficoltà, stando a quanto dicono Passe e Drufo

«Cos’è questo tono sarcastico? Mi ha colta di sorpresa, e per di più ha barato!»

«E scommetto che l’hai fatto anche tu.»

Era un colpo di fortuna che non mi sarei mai aspettato, così ignorando le puerili argomentazioni di Scalia per giustificare la sua condotta nel duello mi diressi subito al sanatorio, dove ero sicuro di trovare la persona che stavo cercando.

Nella mia vita precedente mi ero abituato alla vista dei morti e dei moribondi, ma vedere un uomo venire mangiato vivo da una malattia era uno spettacolo davanti al quale ancora mi veniva difficile trovare la forza per restare impassibile.

Dinnanzi a tutta quella sofferenza mi sembrava di essere tornato nei lazzaretti di Alessandria e del Cairo, dove avevo visto tante, troppe giovani vite marcire in quella disgraziatissima campagna d’Egitto della quale, negli anni successivi, mi sarei sempre pentito.

Per fortuna in quel mondo c’era la magia, che anche se non poteva curare del tutto i malati poteva però alleviare almeno un po’ le loro pene e dagli qualche speranza di sopravvivenza in più.

In parte mi aspettavo che sapendo dell’epidemia in corso lady Valera non avrebbe esitato a fare quello che era in suo potere per andare in aiuto di quelle persone, ma incontrarla lì, intenta a curare i malati con le sue arti mistiche fino a farsi pallida come un morto lei stessa, fu un po’ una sorpresa.

I santi sono sempre così prevedibili.

«Lady Valera.»

«Signor Haselworth.»

«Ormai dovreste averlo capito che quel cognome era solo una messinscena. Per voi sono solo Daemon.»

«La città è vostra, e io sono il vescovo assegnato al governatore contro cui state combattendo. Se volete espellermi o cacciarmi non mi opporrò. Vi chiedo solo di permettermi di assistere ancora un po’ queste persone.»

«Non è mia intenzione fare niente del genere. Al contrario, se aveste voluto andarvene vi avrei chiesto di restare. In questo momento nessun altro saprebbe essere più di aiuto a queste persone, la cui sorte mi sta a cuore tanto quanto sta a cuore a voi.»

Sylvie non sembrò sorpresa di sentirmi parlare in quel modo. Forse pensava che fossi determinato a sfruttare la sua presenza per ingraziarmi i seguaci di Gaia nonostante fossi il capo di una rivoluzione di mostri, che di certo non erano amanti della chiesa e dei suoi rappresentanti; e avrebbe avuto ragione.

«Pensando che poteste averne bisogno abbiamo portato con noi cibo e acqua non contaminati. Non è molto, ma spero possa esservi d’aiuto.»

«Lo sarà di sicuro.»

«Farò anche implementare le misure di quarantena. Anche se il morbo non colpisce mostri e mezzosangue dobbiamo evitare che qualcuno di noi finisca per portare in giro il contagio senza volerlo. Pertanto, io e i miei soldati resteremo fuori dalla città, e ripartiremo solo una volta conclusa la quarantena.»

Tanto non c’era nessuna fretta.

Il tempo di sopravvivenza del germe che causava la malattia fuori dal corpo era di soli sei giorni, quindi sarebbe bastato attendere una settimana per poi potersi allontanare in tutta sicurezza.

Molto meno del tempo che sarebbe servito a Ron per organizzare la nuova spedizione, soprattutto ora che gli avevamo tagliato i rifornimenti.

«Sto facendo allestire un quartier generale appena fuori dalla porta nord. Per qualsiasi cosa potete trovarmi là.»

 

 

Nota dell’Autore

Salve a tutti, ed eccomi qua con il secondo capitolo del secondo volume di “Napoleon of Another World!”

Dopo i primi preamboli questa è la prima vera battaglia che ho descritto, e state pur certi che ce ne saranno molte altre.

Da appassionato di storia militare e tattica mi diverto sempre molto a raccontare eventi di questo genere, ma riuscire ad entrare nella testa di un genio tattico come Napoleone e cercare di ipotizzarne le mosse è stata un’impresa per niente semplice, e alla fine ho cercato di restare entro concetti basilari per non andarmi ad inerpicare per soluzioni troppo intricate.

Per quelle semmai ci sarà tempo.

A presto!^_^

Carlos Olivera

   
 
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