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Autore: Enchalott    20/09/2023    3 recensioni
Questa storia è depositata presso lo Studio Legale che mi tutela. Non consento "libere ispirazioni" e citazioni senza il mio permesso. Buona lettura a tutti! :)
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Dopo una guerra ventennale, i Salki vengono sottomessi dalla stirpe demoniaca dei Khai. Negli accordi di pace figura una clausola non trattabile: la primogenita del re sconfitto dovrà sposare uno dei principi vincitori. La prescelta è tanto terrorizzata da implorare la morte, ma la sorella minore non ne accetta l'ingiusto destino. Pertanto propone un patto insolito a Rhenn, erede al trono del regno nemico, lanciandosi in un azzardo del quale si pentirà troppo tardi.
"Nessuno stava pensando alle persone. Yozora non sapeva nulla di diplomazia o di trattative militari, le immaginava alla stregua di righe colorate e numeri su una pergamena. Era invece sicura che nessuna firma avrebbe arginato i sentimenti e le speranze di chi veniva coinvolto. Ignorarli o frustrarli non avrebbe garantito alcun equilibrio. Yozora voleva bene a sua sorella e non avrebbe consentito a nessuno di farla soffrire."
Genere: Avventura, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Dietro il perdono
 
«Ti ho trascurato, piccolo amico, scusami. Oggi siamo liberi di volare quanto vuoi.»
Lo sguardo di Delzhar s’incollò al suo cavaliere, feroci schegge di granato capaci di sbigottire il nemico eppure di esprimere un affetto privo di rancore. Quando sentì la mano di Rhenn sul collo, arruffò le piume d’onice.
L’Ojikumaar montò in arcione: decollò dicendosi che la tanto decantata libertà non si estendeva alla mente. Gli pareva di soffocare in una cella angusta ove l’unica finestra si era serrata quando Mahati aveva posto il veto su Yozora. La mansione di tutore era esaurita, nemmeno in qualità di principe della corona disponeva di pretesti atti a giustificare una frequentazione troppo cospicua. Per non citare le maldicenze e la gelosia di Rasalaje, ombre sulla sua integrità e sul suo trono.
Dovrei difendere i miei desideri? Assurdo! Io reggo Mardan e tutti i Khai!
Il morso che gli sigillava lo stomaco assomigliava alla rabbia, ma in tal caso avrebbe saputo incanalarla in un combattimento, in un volo o in un amplesso. Invece era una vertigine che a tratti acquisiva le fattezze di una voragine pronta a inghiottirlo se non l’avesse cibata con ciò che bramava.
Mi piacerebbe sapere di cosa si nutre.
Spronò il rapace per disperdere i pensieri. In basso l’argilla danzava in volute, il Sole Trigemino allo zenit incurvava il deserto in dune gibbose, la siccità infuocava l’aria. Da lassù il tempio di Valarde era un rettangolo in un fluttuante nulla. Un’irrisoria macchia nera in un oceano rosso sangue.
Perché diavolo sono venuto qui!?
Porsi la questione equivaleva a un intempestivo pentimento, incolpare l’inconscio era un’aggravante, procurarsi delle attenuanti manifesto di viltà. Era semplicemente il momento di affrontare la battaglia incorporea che gli sottraeva la lucidità.
Perché ho sempre preferito l’attacco alla difesa.
Quando balzò di sella, le vestali erano schierate sul crepidoma, i veli color terra a frustare l’aria con energia antitetica all’aspetto dimesso.
«Convocate Hamari!»
Non usò l’onorifico e non la definì madre: era solo la prova che gli avrebbe consentito di recuperare il distacco. La ragione sottesa all’incontro risedeva nel non riconoscersi in lei, nel non comprenderla.
Varcò la soglia con le sacerdotesse alle calcagna, che si spesero in un vano pigolio. Il buio dell’interno gli schermò la vista: quando la pupilla si dilatò a catturare la scarsa luce, la regina era lì, un sorriso lieve sulle labbra.
Assomiglia al mio… ma è l’unico tratto comune, escludendo il viola degli occhi.
«Sei il benvenuto, Eirhenn.»
«Risparmia i convenevoli.»
L’afferrò per un braccio e la trascinò lungo il corridoio che, da ciò che rammentava, conduceva alle sue stanze. Lei licenziò le compagne con un cenno e non si ribellò. Tenne il passo senza insistere per la debita deferenza e chiuse la porta come se il riserbo fosse scontato.
«Sei turbato, othysar.»
Bella scoperta.
Rhenn abbassò il cappuccio e lasciò che lo guardasse al chiarore proveniente dalle aperture velate d’organza.
«Non sto morendo e non sono venuto per riconciliarmi.»
Hamari annuì come se lo desse per certo ma la preoccupazione non scemò.
«E non sto dando la caccia ai ribelli, se è quanto ti preme» precisò glaciale.
«Sei tu la mia premura. Qualunque sia la cagione che ti porta da me, ringrazio la somma Valarde per la tua presenza.»
«Sarà una gratitudine di breve durata. Reclamo una verità, non lascerò gioco all’interpretazione.»
«Non ti ho mai mentito.»
Rhenn sogghignò sprezzante ma gettò un’occhiata oltre la finestra, un’esitazione che in altre circostanze non avrebbe manifestato.
Mi odio per questo. Ma finirà. Oggi finirà.
«Hai perdonato mio padre anziché rivalerti secondo il nostro credo» replicò senza mezze misure «Ci ho riflettuto, non è stato per viltà o per le tue disgustose tendenze hanran. Sei fuggita per non ostacolare la sua ascesa, non per avversione. Lo amavi e lo ami ancora.»
La regina impallidì, ma il cuore accelerò al verbo proibito pronunciato senza remore dal figlio. Emise l’aria e le sembrò di averla trattenuta per un secolo.
«Mardan non è posto per una donna innamorata, rimanendo a corte avrei inferto al clan una macchia peggiore di quella che conosci. Sei stato il mio primo pensiero, ti ho protetto con la mia assenza. È vero, amo tuo padre. Non ho chiesto di essere svincolata dalle promesse perché essere sua moglie è ciò che mi resta di lui. Kaniša l’ha compreso, altrimenti mi avrebbe ripudiata.»
«Non l’ha fatto per evitare una faida, non per riguardo! Ha cancellato il tuo nome, ha preferito Naora, ti ha umiliata e tu hai continuato a perdonarlo!»
«Non giudicare con leggerezza, othysar. Esistono innumerevoli vincoli in un’unione, alcuni sfuggenti o insospettabili, i sentimenti non sono formule matematiche.»
«Non m’interessa la tua filosofia shitai! Voglio sapere se possedere facoltà di perdono è un difetto di chi è intaccato da ahaki
Hamari sgranò gli occhi a fissare l’espressione stravolta del figlio e dopo tanto tempo rivide il ragazzino che suonava il chakde, libero dall’odio e dalle costrizioni del rango.
«Se ami una persona, dentro di te la perdoni anche se è la più infima delle creature.»
Allora sono salvo! Celeste Belker, sia lode al vostro nome!
«È quanto ambivo sentire. Toglierò subito il disturbo.»
La regina scosse il capo e gli prese le mani fra le sue. Percepì il fremito di disappunto, ma lo trattenne con dolce tenacia.
«Perché, Eirhenn? Cosa ti è accaduto?»
«Niente! Io non perdono mai, non riuscirei neppure sotto tortura! Significa che non ho contratto il morbo.»
Hamari avvertì la commozione salire alla gola e inalò l’ossigeno per non cedere alla bellezza di ciò che scorgeva oltre la scorza del futuro sovrano.
«Chi, othysar? Chi è che non riesci a perdonare?»
«Yozora!»
«C-come?»
Dannazione! Perché rispondo!? Tanto vale, eviterò che distorca le cose con sciocche interpretazioni.
«Ha promesso di aiutarmi in una traduzione, invece è bastato che Mahati lo proibisse per farla desistere. Finire secondo è intollerabile, ma ora so che la mia indignazione è incanalata nel credo khai… perché sorridi, madre?»
«Un vecchio ricordo. Hai memoria di quando tuo fratello, giovanissimo e inesperto, ti ha ferito davanti al re e a tutta la corte? Hai giurato che non l’avresti mai perdonato.»
«Così è stato.»
«Dalla tua bocca non è uscita l’indulgenza ufficiale, ma nella realtà sei stato l’unico padre che ha avuto. Provavi un affetto tale che il presunto sgarbo è sparito, in nome di quello non hai avvertito la necessità di assolverlo.»
«Scomodi quell’unica casualità per proferire un’idiozia!»
«Anche Mahati ti vuole bene, tanto che non ti ha mai più battuto in duello.»
«Perché non ne è in grado! E poi è diverso!»
«In cosa lo sarebbe?»
«Non mi sorge certo il dubbio di provare per mio fratello qualcosa d’ignobile!»
Hamari allungò le dita e gli sistemò una ciocca dietro l’orecchio.
«Yozora rispetta i desideri del suo sposo ma ti porta un affetto sincero: non averne paura. Ahaki possiede infiniti volti come quello dell’amicizia o della fraternità e, se uccidesse, sarei morta secoli fa.»
«Un Khai non ha paura! E tu sei morta! Hai smesso di esistere in dignità e orgoglio! Niente perdono niente ahaki, sono sollevato! Il sangue che mi hai trasmesso non mostra la stessa debolezza!»
Hamari si impose di trascinare il colloquio nel campo della disputa.
Altrimenti non ascolterebbe ragioni.
«Che ti piaccia o meno, sono stata io a metterti al mondo e ti capisco persino quando sei adirato o sfiori l’insolenza per mascherare l’inquietudine.»
«Cosa!?»
«Yozora non ti abbandonerà, è una donna che mantiene le promesse. Ne sei conscio ma non hai pazienza, così la costringi in un ruolo spiacevole.»
«Insinui che soffro di solitudine!? O che non ho diritto di vita e di morte!?»
«Se coinvolgessi Mahati anziché scontrarti con lui, per giunta in un campo in cui non è appropriato che tu ti imponga, eviteresti di scomodare la purezza del tuo sangue a favore dell’iwatha. E non ti verrebbe negato nulla.»
Rhenn rimase di sale: ormai Mahati sapeva dell’eclissi, delle visioni e dello Shikin. Tenerlo fuori non aveva senso, la logica suggeriva di renderlo partecipe e includerlo nel confronto. Sarebbe stato un valido alleato, come sempre.
Perché bramo uno spazio soltanto mio e di Yozora?
Constatare che la madre aveva ragione lo riportò al punto di partenza, con l’aggiunta di scorgersi colpevole del muro eretto dal fratello. La capacità di perdonare non era una discriminante, nemmeno quando lui stesso ne era l’oggetto.
«Mi stai facendo la predica!?»
«No, Eirhenn. Sarebbe triste se negassi a te stesso la letizia e la completezza che l’amicizia dona all’anima. Ma non andare oltre.»
«Oltre?» ripeté lui inghiottendo la furia che gli annebbiava i sensi «Non capisco che intendi! Sono il futuro sovrano dei Khai, posso ciò che voglio!»
«Un proclama appreso da tuo padre. Non commettere il suo stesso errore.»
Il principe spalancò gli occhi, un furore accecante, intriso d’infelicità, gli si riversò nelle vene. Sguainò con la rapidità del pensiero.
«Insultami ancora una volta e sarà l’ultima.»
Il tempo congelò mentre puntava la spada contro colei che lo aveva generato e che, a prescindere dalle colpe assegnatele, in ogni decisione aveva esibito un coraggio fuori dal comune. E in quel momento il suo sguardo era straziato ma privo di paura.
Io non riuscirei a rinunciare a tutto. Certo non sono lei, non credo nella pace e nell’uguaglianza. Allora perché? Perché mi sento un verme?
Rinfoderò e le girò le spalle senza aggiungere altro.
 
Il volo rapido di Delzhar non servì a calmarlo, le acrobazie aeree sull’Haiflamur gli impolverarono solo le vesti. Puntò lo sguardo a sud, dove il citrino del cielo sfumava in avorio.
Andrò a Shamdar, le udienze possono aspettare. Tutti possono aspettare.
Mosse le redini e il vradak virò nell’abbagliante controsole. Nell’attimo in cui lo sguardo fu invaso dalla luce, Rhenn avvertì una fitta al petto.
No. Laggiù vivono ricordi che acuirebbero il vuoto.
Impartì il comando opposto e si volse alla sagoma turrita di Mardan. La fiamma del tempio di Belker sfolgorava all’orizzonte a simboleggiare il dominio del dio della Battaglia, colui che rappresentava e che da tempo aveva trascurato.
«Hiyak
Il rapace incrementò l’andatura, il sibilo del vento divenne assordante, le riflessioni cambiarono rotta ma non abbandonarono la sfera dell’autoanalisi.
Quando aveva scoperto che Ishwin lo stava drogando, aveva stabilito di fargliela pagare. Era in attesa dell’occasione perfetta, non che l’ira trascorresse o la relazione si ricucisse.
Perdonarla non mi è neppure balenato per l’anticamera del cervello.
Yozora non lo aveva colpito alle spalle e il suo negarsi non era grave come l’inganno ordito dall’amante, forse era quello il motivo per cui si era dimostrato tollerante nei suoi confronti. Tuttavia, esaminando la direzione dell’inconscio, capì di essere in collera con se stesso.
Percepire che qualcuno, pur senza volerlo, mi tiene legato a sé e che il mio umore dipende dagli alti e bassi del rapporto, mi manda fuori di testa. Non sono sciolto da lei neppure nei sogni.
Peggio, come aveva diagnosticato Hamari, non aveva bisogno di perdonarla. Era venuto da sé, anzi stava già meditando come avvicinarla per riguadagnare punti.
Questo non sono io! Io prendo senza domandare e le porte chiuse sono una sfida!
Partì dalla più semplice per uscire dal dedalo in cui si era smarrito, sicuro che ogni tassello sarebbe tornato nella sede prestabilita.
 
Al suo passaggio le guardie si prostrarono a terra, un’ala di uniformi scarlatte lungo il corridoio che conduceva alle stanze della prima sacerdotessa.
Come al solito non si fece annunciare e pretese la precedenza. Ishwin lo tenne in attesa un secondo più del dovuto: spalancò i battenti e varcò i drappi senza invito.
«È così che invochi il nostro dio?» sibilò sarcastico.
La pithya gli riservò un’espressione di altero rimprovero e congedò il giovane shitai che le stava massaggiando le caviglie.
«Stare in piedi per ore mi stanca» ribatté tirando la veste a coprire le gambe.
«Chissà quanto ti affaticano le formule rituali. Per riaverti ti fai ficcare la lingua in bocca?»
«Che diavolo vuoi, Rhenn? Se sei qui per insinuare falsità, torna dalla tua Rasalaje!»
«In realtà sono deluso, pensavo di trovarti con Ŷalda, non con uno schiavo benché più grazioso di quello stagionato cospiratore.»
Il tono educato non prometteva nulla di buono, così l’assenza di reazione al freddo benvenuto. Ishwin si mise sul chi vive, cercando il pugnale nascosto tra i cuscini.
«Capisco. Mi hai vista discorrere con lui al banchetto e torni a marcare il territorio.»
«Diciamo che non mi hai sorpreso ma mi hai spinto a rivedere i progetti.»
«Nessuna legge mi proibisce di accettare doni e cortesie da chi detesti.»
«Se te li infila tra le gambe, non mi trovi d’accordo.»
«Quanto sei volgare! Ŷalda è devoto a sua moglie, i suoi figli hanno sangue eccelso! Non sono pochi i Khai che ritengono sarebbe un sovrano migliore di te!»
Rhenn sollevò il viso, gelido fuoco nello sguardo.
«E lo pensi anche tu?»
La donna alzò le spalle, stringendo l’impugnatura dell’arma: una misera sicurezza davanti all’impeto letale che ben conosceva.
«Penso che dovresti darti da fare anziché sputare veleno!»
«Sono qui per questo.»
Le sedette accanto, all’apparenza calmo, si versò il vino e lo gustò. Ishwin rimase in allerta, però la precauzione non servì: per rovesciarla sul divano gli fu sufficiente fingere di posare il calice. La colpì con un manrovescio e le strinse i polsi fino a farla urlare, il pugnale cadde sul tappeto.
«Rhenn, ti prego! Non ti ho tradito!»
«Non m’interessano le tue trame politiche! Ti sei fatta sbattere da Ŷalda!?»
«No! Lo giuro! Non uccidermi!»
Lui la fissò feroce, abbeverandosi al suo terrore: non era andata a letto con la concorrenza ma certo aveva pattuito favori e vaticini. Un accordo che gli avrebbe procurato guai.
«Reclami il mio sangue, Ishwin? Allora mettilo al mondo!»
Le stracciò l’abito e la costrinse con la forza, eccitandosi per la rabbiosa quanto vana opposizione. Quando la penetrò, lei gridò più per la sorpresa che per il dolore.
«Rhenn, che stai…?»
«Non è evidente? Scegli se fartelo piacere, è quanto mi chiedi da anni.»
Il suo ritmo la coinvolse, essere bloccata sotto di lui senza scampo era stimolante, il piacere dilagò scacciando la collera e l’incredulità.
«Mi prendi in giro?» esalò stordita dalla carica erotica che lui emanava attraverso la prevaricazione «Non è un addio?»
Per tutta risposta Rhenn le morse le labbra, la cadenza del movimento incrementò finché non raggiunse il climax con un grugnito liberatorio. Rimase dentro di lei, Ishwin avvertì il calore del suo seme e si abbandonò alla medesima beatitudine.
«Quanto pensi di impiegare a restare incinta?» mormorò asettico.
«Non ne ho idea.»
«Scopriamolo.»
 
Ishwin stirò le membra spossate dalla focosa prestanza dell’Ojikumaar e si immerse nel bagno tonificante. Aveva sentito che il calore favoriva il concepimento, inoltre era importante liberarsi dall’odore maschile per conservare la reputazione.
Finché non sarò ufficialmente sua.
Travolta dall’imprevista virata, si era lasciata possedere tre volte nell’amplesso privo di precauzioni e la sensazione di trionfo si era mescolata alla curiosità.
 
«Comunicami se ti ho ingravidata» le aveva detto Rhenn raccogliendo gli abiti «In caso contrario tornerò per rimediare. Procurati del vino decente.»
«L’alcol intralcia la potenza riproduttiva.»
«Anche le chiacchiere inutili. La procedura si arresta in partenza, è seccante.»
Ishwin aveva cercato un modo indolore per estorcergli quanto le stava a cuore.
«Poniamo che tra poche settimane attenda il tuo erede. Come farai con tua moglie?»
«Non è un problema.»
«Lo è eccome! La mite Rasalaje ha un clan alle spalle, potrà non agire di persona, ma la sua famiglia non si lascerà oltraggiare, l’hai sempre detto. Sarò io a rischiare, non l’irraggiungibile principe della corona!»
«Non se sarà lei ad autoaccusarsi.»
«E di cosa? È pura come un fiore di yurishi, scommetto che non osa neppure pensare a un altro uomo!»
«Infatti. Dichiarerà davanti al sovrano di essere in balìa di ahaki. Persino i suoi la riterranno una vergogna. Finirà al tempio di Valarde e nessuno mi odierà per averla ripudiata.»
La sacerdotessa aveva avvertito un brivido lungo la spina dorsale: era un’accusa infamante, degna della mente diabolica di Rhenn.
«Nemmeno una come lei cederebbe all’onta. Come intendi convincerla?»
«Non ce n’è bisogno. È la verità, me l’ha confessato. Basterà mostrarmi disgustato e chiedere soddisfazione.»
Lo aveva fissato incredula: il contrasto tra l’agghiacciante rivelazione e l’indifferenza che mostrava l’aveva sconvolta. Sapeva di essere complice di un uomo pericoloso, però aveva superato ogni aspettativa.
«Ciò non giustificherà che sono stata con te. Resto una pithya consacrata a Belker.»
Il principe aveva riso tra le zanne, lo sguardo arrogante di chi sa di possedere un intelletto superiore.
«Se cadessimo in trance e ci accoppiassimo sull’ara maggiore, chi oserebbe dubitare di una possessione divina?»
«Cosa!?»
«Andiamo, sei diventata pudica? Non chiedo se riesci a inorridire a comando perché potresti tenere lezione. Quando ci saremo riavuti e resi conto dell’accaduto, tu tenterai di ucciderti con il tarken per lavare al disonore, ma io ti fermerò avvallando l’ipotesi della volontà superiore.»
«Tu sei pazzo.»
«Non si ottiene nulla, se non si rischia.»
Ishwin aveva riflettuto frenetica, riconoscendogli il piano perfetto. Nascondersi per paradosso sotto la luce del Sole Trigemino avrebbe allontanato ogni sospetto.
«Mi sposerai?»
«Farò lo sforzo. Per ora partorisci mio figlio.»
 
Ishwin si avvolse in un telo pulito e trasse lo scrigno in cui conservava il composto che rendeva sterile il suo amante. Lo sparse nel braciere e contemplò la fiammata con un gradevole senso di liberazione. Poi si velò e uscì.
Raggiunse una fucina abbandonata nel quartiere artigiano della capitale e s’infilò con sicurezza nel vano annerito dove una volta ruggivano le fiamme. Scese a tentoni per una scaletta di pietra, fermandosi a una porta di legno consunto. Bussò un segnale convenuto.
L’uomo che le aprì, ingobbito dall’età e dalla fatica, la scortò in una stanza ingombra di ampolle e recipienti di vetro. Sui piatti delle bilance riposavano erbe di ogni genere, dai mortai si levavano effluvi penetranti.
«La sostanza inibente non è più necessaria» disse lasciando cadere sul bancone un sacchetto di monete d’oro «Prepara l’antidoto.»
Quello annuì e s’inchinò.
 
La spia rimase genuflessa davanti all’Ojikumaar, il volto parzialmente in ombra.
«E così abbiamo l’alchimista» riepilogò Rhenn «I miei complimenti, Kalika.»
«Ho solo sorvegliato la sacerdotessa come da vostra disposizione.»
«Un lavoro eccellente, sarai ricompensato. Il traditore ha parlato o devo interrogarlo di persona?»
«Temo sia inutile, altezza reale. È muto.»
Rhenn si arrestò sotto il colonnato dell’ala occidentale, la meraviglia nelle iridi viola.
Bel colpo, Ishwin, te ne do atto.
«Sai cosa si dice di questo posto, Kalika?» domandò con un sogghigno.
«No, mio signore.»
«Che quando il cielo s’imporpora, le pietre di Mardan urlano parole e sangue. Io sono il signore del tramonto. Io odo quelle silenziose grida.»
   
 
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