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Autore: Neamh Moonstar    26/09/2023    2 recensioni
Bene e Male non possono toccarsi, letteralmente. Se angeli e demoni provassero ad avvicinarsi gli uni a gli altri, si ferirebbero a vicenda fino a consumarsi: è un dato di fatto. Per questo i Regni del Bene e del Male - con le loro rispettive armate - vivono e lavorano a distanza di sicurezza, affidando a gli umani il compito di combattersi a vicenda in una serie infinita di battaglie.
In questo mondo nettamente diviso e basato su tali certezze - un guardiano distratto, una bestia casinara e un gruppo di umani poco convinti, scopriranno cosa significa stare giusto nel mezzo.
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Aziraphale/Azraphel, Crowley, Nuovo personaggio
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Ciao a tuttə!

Incredibile ma vero, anche questa long è arrivata alla fine. È stata un'avventurona, ma mi è piaciuto moltissimo viverla.

Ho deciso di concluderla anche per dedicarmi completamente ad Alpha Centauri; perciò, nel caso qualcunə la stesse seguendo, sappiate che da adesso in poi dovrebbe tornare ad andare avanti come un filo di gas - vita permettendo.

Detto ciò, vi lascio all'ultimo capitolo di questo AU a tratti sofferto 😂 ma che ho adorato scrivere. Sapete come si suol dire, no? Una storia si conclude solo perché altre possano nascere ❤️

Un bacio,

Neamh


~•°•~


Crowley passeggiava avanti e indietro di fronte all'uscio della stanza degli ospiti. Non c'era nulla di cui preoccuparsi, eppure una punta di ansia gli stava rosicchiando l'aura.


Lui e l'angelo avevano ritrovato presto la strada per la Zona e da lì erano accadute tante, troppe cose.

In primis, il villaggio pullulava di gente - così come quando se n'erano andati - ma i terremoti di Adam avevano lasciato qualche casa diroccata e qualche umano sanguinante. Con grande sollievo di Aziraphale, vennero poi a sapere che, almeno lì, nessuno era rimasto gravemente ferito o peggio.

La prima a trovarli, in realtà, fu Anathema.

Il demone non l'aveva mai vista così sconvolta, nemmeno il giorno in cui li aveva visti tornare dall'Inferno. Si era portata le mani alla bocca, le lacrime agli occhi, e si era fiondata a stringerli entrambi in un abbraccio schiacciante che Crowley si costrinse a far finta di rifiutare - un po' per orgoglio, un po' per imbarazzo.

Fu lei a metterli al corrente di più cose sconcertanti. La prima fu che, a quanto pareva, dalla fine della Battaglia erano passati tre giorni. Tre.

    Il rosso si scambiò un'occhiata stralunata con l'angelo. «Starai scherzando, spero!» Esclamò poi.

    La sua umana gli diede un colpetto infastidito sulla spalla. «Ti pare che stia scherzando? Vi credevamo morti. Si può sapere che vi è successo?»

E spiegarglielo fu alquanto strano dal momento che, effettivamente, non ne erano certi nemmeno loro. Sapevano solo di essersi ritrovati misteriosamente illesi in mezzo ad un gruppo di alberi, e che adesso potevano tenersi per mano senza paura.


Le altre cose gli vennero rivelate dopo che Anathema ebbe deciso di spostarsi con entrambi al cottage. Durante il tragitto, disse che i suoi colleghi erano occupati a limitare i danni - chi spostando macerie, chi curando persone, chi raccogliendo richieste. Li avrebbe messi al corrente in un momento più tranquillo, anche se era certa che ormai la voce del loro ritorno si fosse sparsa.

Almeno il loro piccolo quartier generale di periferia sembrava essersela cavata egregiamente, mostrando giusto qualche crepa sulla facciata. L'interno era a sua volta un po' disordinato, alcuni oggetti e piccoli detriti erano caduti a terra, ma generalmente era rimasto illeso - soprattutto la loro "sala delle riunioni" preferita, nella quale si accomodarono.

Per la prima volta da quando avevano iniziato a parlare attorno a quel tavolo, Crowley poté avvicinare la sedia a quella di Aziraphale sapendo che nulla sarebbe accaduto. O meglio, nulla a parte la sua aura che, come sempre, iniziava a saltellare impazzita.

Ignorò la sensazione, ascoltando la sua umana che raccontava di come, di punto in bianco, i tre fossero spariti di nuovo - salvo poi tornare perfettamente illesi con Adam e Dog a seguito.

    Aziraphale era scattato sulla sedia. «Adam è qui?»

    Lei annuì. «Lui e gli altri hanno raccontato storie assurde. Adam dice di aver parlato con Dio ed io, beh, non so cosa pensare. So solo che ha chiesto di voi e vi sta ancora aspettando a casa di Tracy.»

    Crowley, invece, sulla sedia vi si accasciò con uno sbuffo. «Dopo tutto quello che è successo, sarebbe la cosa meno impressionante.»

E in effetti, mettere in ordine ciò che avevano passato durante la Battaglia, richiedette un tempo ed uno sforzo non indifferenti. Lui e Aziraphale si fermarono a vicenda solo qualche volta, soprattutto perché l'angelo era evidentemente uno a cui piaceva infarcire i discorsi di dettagli.

Ritornare su Raphael e su ciò che aveva fatto ad Aziraphale, fu per il rosso terribilmente difficile. Ogni tanto buttava un occhio verso le ali dell'altro, quasi come avesse paura di vederne di nuovo solo una spuntargli sanguinolenta dalle scapole.

Persino Anathema rimase sconvolta. Ascoltò in silenzio religioso per molto tempo, le mani premute sul viso, gli occhi sbarrati e il respiro sospeso. Tutta la paura che aveva provato le parve niente in confronto a ciò che stava sentendo.

    «Ora capisco perché avete le facce distrutte» ridacchiò, seppur con una punta di nervosismo. «Ma sappiate che non ho dubitato di voi nemmeno per un secondo.»

Oltre ad avere la faccia distrutta, Crowley si sentiva decisamente tanto tanto distrutto. Di certo, non ebbe la forza di controbattere quando la sua umana insistette per dar loro una controllata - come se l'assenza di ferite e gli abiti perfettamente integri non fossero abbastanza da convincerla che stavano bene, nonostante tutto.

La sua preoccupazione era istantaneamente volata alle ali dell'angelo - e come darle torto. Così lo aveva preso delicatamente sotto braccio e se l'era portato nella stanza degli ospiti, la stessa nella quale si era chiusa da ormai mezz'ora.

Una mezz'ora che al demone stava sembrando un secolo.


Prese a chiedersi se stesse succedendo qualcosa di grave. Per un po', al di là della porta, aveva sentito un chiacchiericcio che andò spegnendosi lentamente. Tutto il silenzio che era calato gli stava facendo fischiare le orecchie, aumentando il suo nervosismo ogni secondo di più.

    Quando la porta si aprì, sussultò. «Si può sapere che state combinando?» Chiese, rilasciando in quelle parole la frustrazione di tutti i minuti che gli era toccato attendere.

    Anathema si portò un dito alla bocca, zittendolo con un'occhiataccia. «Abbassa la voce. Possibile che tu debba essere sempre così sguaiato?» Lo rimproverò. «Sta dormendo. Fisicamente starà anche bene, ma moralmente è a pezzi. E lo sei anche tu.»

Pronunciò le ultime parole con fin troppa dolcezza sia nel tono che nello sguardo. La cosa peggiore, era che Crowley non poteva proprio darle torto. Ogni qualvolta si rimetteva, anche solo per un attimo, a pensare a ciò che aveva vissuto, gli piombava addosso un peso senza pari.

    Sospirò, facendo ricadere le braccia lungo i fianchi. «Diciamo che ci sono alcune cose che non vedo l'ora di ritrovare nei miei incubi» confessò con amara ironia.

    Lei annuì, affranta ma ben conscia della situazione. «Dai, andiamo in salotto» gli disse, prendendogli delicatamente il polso e guidandolo giù per le scale, fino alla stanza dove il demone stesso era riuscito a domare tre curiosissimi bambini.

Era anche la stessa stanza in cui Anathema gli aveva esposto la sua incredibile "teoria"; quella che aveva mandato Crowley in paranoia - soprattutto negli ultimi giorni.

Si buttò sul divano adesso come allora, ignorando le ali schiacciate sotto la sua schiena. E adesso come allora, l'umana gli si inginocchiò accanto, guardandolo con assoluta comprensione.

    «Immagino che tu non gli abbia ancora detto niente, eh?» Disse lei, sapendo di non dover specificare.

    «E quando accidenti avrei dovuto dirglielo? Già è tanto se siamo vivi. Figurati se peggioravo la situazione dicendo che- beh, ammettendo-»

Caspita se era difficile tirare quelle parole fuori dalla bocca, si disse Crowley. Si sentiva un perfetto imbecille, soprattutto se ripensava a tutte le smancerie che si era lasciato scappare.

    «Sai, più vi guardo e più so di avere ragione» affermò Anathema. «Lui piace a te e tu piaci a lui. E tanto, anche.»

    «Come fai ad esserne così sicura?» Chiese il rosso che, per quanto ci provasse a capire quelle cose, rimanevano sempre dei rebus che riusciva a decifrare solo a metà.

    L'altra alzò un sopracciglio, divertita. «In primis, sono umana: me ne intendo di sentimenti. Seconda cosa: sono fidanzata, ci sono passata, e sposarmi sarà la prima cosa che farò non appena questo casino sarà finito, stanne certo. Terzo: tu non l'hai visto.»

    «Visto cosa?»

    «Il modo in cui quell'angelo ti guardava mentre eri troppo occupato a spiegarmi cosa vi fosse accaduto. Ti stava praticamente mangiando con gli occhi.»

Crowley non aveva bene idea di cosa ciò potesse significare. Sentì comunque le guance pizzicargli, il che bastò ed avanzò a fargli capire, o comunque credere, che fosse una metafora positiva.

    «Mettiamo caso che sia vero» ribatté, giocandosi la carta dell'incredulità, «cosa dovrei fare con lui, adesso? Ho a malapena idea di come si mandi avanti un rapporto qualsiasi, figuriamoci- beh, ecco, hai capito.»

    La sua umana si lasciò scappare una risata. «Nessuno lo sa, all'inizio. Non è una cosa che pianifichi: succede e basta.»

Al rosso venne uno strano senso di deja-vu. La primissima volta che ne avevano parlato, Anathema gli aveva detto che non avrebbe dovuto fare né cambiare niente. «Intendo dire che ad Azi piaci già cosí. Perciò rilassati e sii te stesso». Testuali parole.

    «Quindi dovrei solo, non so, passarci del tempo?» Chiese, stavolta seriamente incredulo. Davvero era così semplice? Un sentimento così umano, che spesso e volentieri aveva portato gente a fare cose assurde, poteva davvero essere vissuto in maniera così genuina?

    «Passaci del tempo, parlaci, approfondisci, conoscilo... insomma, godetevi la vostra nuova esistenza senza impedimenti» confermò lei. «Quando arriverà il momento, lo capirai da te.»


    «Sai, ho una teoria» aveva detto Anathema quel giorno, dopo aver ascoltato Crowley in religioso silenzio. «Ma se te la dicessi, mi uccideresti.»

    Il rosso aveva sbuffato, facendo svolazzare una ciocca di capelli. «Nah, non ne ho le forze. Potresti insultarmi pesantemente e uscirne viva.»

    Alchè, lei aveva sorriso. «Normalmente ci farei un pensierino, ma per stavolta passo.»

E se normalmente il demone avrebbe fatto una smorfia, quella volta decise invece di optare diversamente e alzare gli occhi al cielo, in attesa.

    «È semplice, cara la mia Bestia dell'Eden. Ti sei innamorato.»


Era molto decisa per essere una teoria. Eppure, per quanto - almeno in primis - la sua reazione fosse stata prendersi a botte con la lingua e il rossore che gli aveva mandato a fuoco le guance, Crowley ci aveva creduto. Era imbarazzato, spaesato, non sapeva che pesci pigliare, ma ci credeva.

Aveva sempre considerato l'affetto fuori dalla sua portata: una di quelle cose morte assieme all'angelo che era stato. Poi si era imbattuto in quell'essere tutto piume scombinate che non aveva fatto altro che stupirlo, incuriosirlo, rimbambirlo e sconvolgerlo. Più guardava in quegli occhi azzurri, e più sembrava scoprire cose che lo attiravano come una luce attirava le falene. Più il tempo passava, più la curiosità lo spingeva ad avvicinarsi ad un qualcosa che avrebbe potuto ucciderlo, ma che era di una particolarità troppo interessante per essere ignorata.

Adesso che le cose erano cambiate, però, quella luce non avrebbe più potuto fargli male. Poteva solo continuare ad attrarlo fino a tirarlo in un abbraccio. E solo il pensiero era abbastanza da rimescolargli l'aura in quella che Anathema aveva definito come "farfalle nello stomaco", o semplicemente come: "In sostanza, hai una cotta".

    «Perchè ti preoccupi tanto?» Ridacchiò l'umana, dandogli un pizzico sulla guancia e strappandolo brutalmente dai suoi pensieri.

    Crowley emise un sibilo nervoso, scacciandole la mano. «Non mi ssto preoccupando» mentí. La verità era che si sentiva ancora troppo lontano dall'idea che uno come lui - una bestiolina strisciante dal sarcasmo facile - potesse avere un qualcosa con uno come Aziraphale - un angioletto adorabile, luminoso e composto.

Non disse niente, decisamente per orgoglio ma anche un po' per imbarazzo. Le emozioni erano davvero un qualcosa per la quale avrebbero dovuto inventare un libretto delle istruzioni.

    Anathema alzò gli occhi al cielo. «Crowley, avete eliminato la dicotomia con un abbraccio. Direi che qualche passo nella giusta direzione lo avete fatto. E poi» aggiunse, spostando improvvisamente lo sguardo verso il resto del salotto, «un uccellino mi ha detto di aver trovato davvero, com'era? Ah, sì: "carino per quanto violento" il tuo siparietto con Raphael.»

    Il rosso scattò a sedere, il volto in fiamme, le mani strette alla stoffa del divano. «Lui cosa?!» Esclamò, beccandosi istantaneamente la mano dell'altra sulla bocca.

    «Per amor di- chi ti pare, bestiaccia» lo riprese lei, esasperata. Poi riprese a sorridere: «Sai, per quanto sia stato da perfetti pazzi imbecilli aggredire un arcangelo, il fatto che tu ti sia arrabbiato tanto per ciò che Raphael ha fatto ad Aziraphale, beh, dice tante cose.»

    Non appena riebbe libertà di parola, Crowley si preoccupò di mettere in chiaro una convinzione ormai ben salda nella sua mente. «Sappi che ce l'ho ancora con quel bastardo» affermò. «Se mi comparisse davanti, sappi che finirei il lavoro.»

Incrociò le braccia, conscio di non essere stato convincente come avrebbe voluto. La verità era che la rabbia nei confronti di Raphael c'era ancora: ribolliva sommessa, ma era ben presente nel suo ipotetico stomaco. Mai e poi mai avrebbe dimenticato ciò che l'arcangelo aveva fatto; eppure sapeva di non voler più fare una scenata come quella che aveva fatto sul campo di Battaglia. Ancora non si capacitava del fatto che Aziraphale fosse riuscito a fermarlo senza muovere un dito. Non voleva più farsi vedere in quello stato, non da lui.

    Anathema, come sempre, lo capì al volo. «Va bene, facciamo finta che tu sia diventato un violento tutto d'un tratto» scherzò, «e che il guaritore abbia i giorni contati, se può farti stare meglio. Ora mettiti composto e ridimmi dove ti sei fatto male». Si era portata dietro la borsa dove teneva tutti i suoi unguenti e cianfrusaglie. Peccato che non gliene sarebbe servita nemmeno una.

Crowley lasciò che lo scandagliasse da cima a fondo, testa poggiata su un palmo e sbuffo sempre pronto a far capire alla sua umana che stava perdendo tempo. Le diede persino il permesso di tirargli indietro i capelli.


    «Beh, direi che stai bene - a parte la faccia di un demone con decisamente troppi pensieri per la testa» concluse lei infine, lasciandolo ricadere sul divano con un sussurrato e ironico: "Chi l'avrebbe mai detto". «Quand'è che darai una sistemata a quelle ciocche scombinate?»

    Il rosso alzò lo sguardo al cielo. «Non so. Il giorno del tuo matrimonio?»

    «Aw, ma come siamo carini tutto d'un tratto. Dovrei lasciarti solo con Azi più spesso». Il rossore sulle guance dell'altro la fece ridere. Incredibile ma vero, quella serpe aveva l'incredibile capacità di capovolgerle la giornata, persino quando veniva da lei per lamentarsi o fare il sarcastico. Nonostante tutto, era sempre felice di rivederlo.

    «Vattene» ordinò Crowley buttandosi un braccio sugli occhi.

    E Anathema non poté far altro che eseguire, ormai abituata alla spinta involontaria causata da quella piccola clausola del loro patto che la rendeva, in un certo senso, succube di quel tono. Fece giusto in tempo a riafferrare la borsa intanto che le gambe la trascinavano fuori. «Cerca di dormire» gli intimò, mano sulla maniglia della porta.

Non che ne avesse bisogno veramente. Nessuno dei due ne aveva bisogno veramente: era un piacere inutile, un modo per dar tempo ai loro animi di riassestarsi, una cosa tipicamente umana - come gli abbracci.

Si allontanò dalla stanza sospirando, sapendo che aveva altro lavoro da fare al di fuori di quelle mura ora leggermente rotte, ma pur sempre capaci di darle un senso di famigliarità. 

Si sarebbe concessa del caffè, dopodiché sarebbe tornata all'opera.

O almeno, quelli furono i suoi piani iniziali.

A fermarla fu una sensazione particolare, come di un peso che le veniva spostato dal petto. Si tenne ad una parete per un secondo, confusa, intanto che la sensazione si trasformava in un formicolio ed il formicolio in una schiacciante rivelazione. Sussultò, gli occhi sbarrati e un sorriso radioso sul volto.

    Fece dietrofront, tornando davanti alla porta del salotto. Fece per aprirla, ma la trovò chiusa, irremovibile. «Crowley!» Richiamò, il tono mezzo gioioso e mezzo incredulo.

    Dall'altro lato le arrivò un sibilo stizzito. «Abbassa il tono, umana. Possibile che tu debba essere sempre così sguaiata?»

    «Non puoi averlo fatto davvero, serpe maledetta». Le rispose solo il silenzio. «Crowley!»

    Si udì un fruscio. «Davvero ti vuoi sposare con quello sfigato?»

    «È il mio sfigato, non ti permettere. E smetti di tergiversare.»

    «Vattene, prima che cambi idea.»

Ma lei non si mosse. Quell'ordine non portò a niente: né a spinte involontarie, né alle sue gambe che la portavano automaticamente a fare ciò che il rosso voleva. Non era più costretta a fare niente: quella piccola clausola, se non tutto il loro patto, era stato spezzato. In effetti, ora non avrebbe più avuto senso continuare ad essere legati in quel modo, e Crowley lo sapeva. L'aveva liberata e Anathema gliene sarebbe stata eternamente grata - il che era anche un motivo in più per stuzzicarlo.

    «Prima o poi dovrai uscire da lì» canticchiò, scerzosa. «Dovesse essere anche tra una settimana.»

Ovviamente, lui la ignorò - quello, o si era effettivamente messo a dormire. Ma poco importava: si sarebbero rivisti e allora Anathema gli avrebbe ricordato quanto quel gesto fosse stato carino. Magari davanti ad Aziraphale, così, giusto per farlo vergognare un pelino di più.


~•°•~


L'essere un angelo porta davvero parecchi vantaggi.

Prima di tutto, c'erano tantissime cose che Aziraphale poteva spostare con uno schiocco di dita - vedi muri mezzi crollati, o pezzi di lastricato - così come c'erano tanti animi tristi che poteva risollevare, piccoli miracoli che poteva eseguire per dare una mano. Erano le prime cosa che aveva fatto una volta sgusciato fuori dal letto e, ovviamente, non le aveva fatte da solo.

Crowley lo seguiva come un'ombra, aiutandolo occasionalmente, osservandolo come se lo stesse studiando. Era sbucato fuori dal salotto non appena l'angelo aveva messo piede in cucina, portando quest'ultimo a pensare di averlo disturbato.

La verità era che ad Aziraphale quella compagnia non dispiaceva affatto, anzi: lo faceva stare meglio, lo aiutava a offrire un aiuto migliore - o forse era solo un'impressione, non avrebbe saputo dirlo. Insomma, era felice come non lo era mai stato, e la sua aura continuava a rimescolarsi in quel modo particolare, come se qualcuno gliela stesse girando con un cucchiaio.

Ancora non aveva idea di cosa fosse, ma lo portava a sorridere, perciò doveva per forza di cose essere una sensazione positiva.

Si illuminava un pochino ogni volta, e la gente non faceva che farglielo notare.

Persino Adam glielo disse quando andarono a trovarlo.


L'ex-anticristo era stato affidato alle sapienti mani di Tracy, e alla Zona sembravano averlo accolto tutti più o meno bene - molti "meno", e molti meno "più", a dirla tutta. Passava il tempo con i suoi tre nuovi amici, aiutando come poteva a sistemare i danni che lui stesso aveva causato. Alla fine, d'altronde, i tre della Zona erano diventati i quattro della Zona, capitanati più dal ragazzino dalle ciocche dorate che da Pepper - la quale, chissà perché, non pareva essersi dispiaciuta poi tanto. Probabilmente, ed Aziraphale ci avrebbe messo la mano sul fuoco, il tutto stava nel fatto che Adam era - e per molti ovvi motivi - molti passi avanti agli altri.

Fu l'ex Arma stessa a raccontar loro della sua bizzarra visita ai piani più alti del Paradiso, invitandoli in un angolo del giardino di Tracy. Dog gli trotterellava accanto, scodinzolando come non mai.

E dato che un altro vantaggio dell'essere un angelo è captare la sincerità, Aziraphale non vide nemmeno una traccia di bugia nei movimenti e nelle parole dell'ora giovane umano davanti a loro. Aveva davvero parlato con Dio, aveva veramente visto l'allora suo Padre colmo d'ira, e aveva seriamente accettato le scuse di Raphael.

    Crowley aveva voltato la faccia di fronte a quell'ultima parte di resoconto. «Certo, a lui le seconde occasioni le dà» aveva farfugliato, ovviamente innervosito.

    La sua espressione rabbuiata venne prontamente demolita da Adam stesso. «È stato lui a curarvi e a riportarvi indietro» affermò. «Glielo ha chiesto Lei.»

Aziraphale aveva sentito un moto di sollievo non indifferente. Una parte di lui lo aveva sempre saputo, persino durante la Battaglia: Raphael era triste, deluso, ma salvabile. Alla fine, non aveva fatto nulla che un angelo "come si deve" non farebbe: cercava semplicemente di tenere il suo lato al sicuro.

Il demone, più che sollevato, era sorpreso - e non piacevolmente. Non commentò, e l'angelo si chiese se fosse il caso di tornare sulla questione, prima o poi.


Tra le tante cose che Adam disse, ce ne furono due che stravolsero l'esistenza di entrambi.

La prima rese Crowley stranamente taciturno e decisamente distratto nelle ore a seguire. La seconda fece venire ad Aziraphale una bella idea che lo avrebbe tenuto occupato per molto tempo a partire da allora.

Non ebbero molte occasioni per parlarne durante il giorno, però. L'intera Zona era interessata a loro, a ciò che era accaduto e al fatto che stessero sempre tanto, troppo, vicini; soprattutto i colleghi di Anathema. Dovettero vedersela con questi ultimi per buona parte del già tardo pomeriggio e della sera, come sempre riuniti al tavolo della cucina del cottage. Fu soprattutto l'angelo a rispiegare il tutto, fermato solo occasionalmente dal fare decisamente più sbrigativo del suo compagno.


Riuscirono a liberarsi solo quando ormai era calata una notte limpida e puntellata di stelle; stelle che Crowley andò quasi automaticamente a fissare, ginocchia raccolte, sul tetto.

    «Ci stai ancora pensando, vero?» Gli chiese Aziraphale, raggiungendolo.

Dio pensava ancora a lui ogni volta che si ritrovava a guardare il cielo notturno. Non che l'angelo fosse sorpreso, anzi: La capiva perfettamente. Sarebbe stato davvero difficile non ripensare a quella figurina ora scura e aggrottata che dipingeva la volta celeste, un sorriso sul volto. Perché era così che se lo immaginava, e non poteva fare a meno di dirsi che rimaneva sempre e comunque una meraviglia di creatura, anche adesso che gli astri li poteva rimirare solo da lontano.

Quei pensieri gli rigirarono l'aura, ma ormai non era più stranito da quella reazione. La stava accettando, sguardo fisso su quelle pozze dorate ancora troppo occupate a fissare il cielo notturno. Si fece scappare un leggero sospiro, chiedendosi ancora una volta con quale emozione stesse facendo i conti.

    «Non so davvero come prenderla» mormorò Crowley, senza voltarsi. Era combattuto, e si vedeva dal modo nervoso in cui si tamburellava il braccio con le dita. «Non so se ringraziarLa o arrabbiarmi per avermi usato per i Suoi piani.»

    Nemmeno Aziraphale si voltò, sentendosi stranamente al sicuro sapendo che non poteva essere visto. Prese distrattamente a giocherellare con la manica della camicia, preso da una punta di imbarazzo. «A me non è dispiaciuto questo Suo piano» ammise.

    L'altro, finalmente, prese a guardarlo a sua volta. Era serio, non una ruga sul volto scarno. «Non ti è dispiaciuto nemmeno quando ti ho fatto male? Nemmeno quando è stato Raphael a fartene? O nemmeno quando sei dovuto andare fino alla fortezza oscura per salvarmi?»

    Ritrovarsi lo sguardo del demone addosso gli fece un effetto strano, diverso. Forse dipendeva dal fatto che adesso non era più l'unico contatto che potevano avere, o forse da quel qualcosa che Aziraphale ancora non riusciva a decifrare. In ogni caso, sapeva bene - e fu strano - cosa rispondere: «Lì per lì è stato doloroso, fastidioso e, beh, decisamente poco piacevole. Ma guarda a cos'ha portato» disse, allungando un braccio davanti a sé. «Sta cambiando tutto e siamo stati noi. E poi, se devo essere sincero, la nostra fuga dall'inferno è stata la parte migliore.»

Tu sei stato la parte migliore, fu quello che non disse ma che pensò quasi automaticamente.

    In risposta gli arrivò un'occhiata stralunata, circondata da un rossore che si intravedeva persino al buio. «Tu sei fuori di testa, lo sai, vero?»

    «Me lo dicono spesso.»

    Crowley si addossò a lui con uno sbuffo e le braccia incrociate. I suoi occhi erano tornati distanti, stavolta diretti verso il vuoto. «Sappi che non perdonerò mister ali dorate tanto facilmente.»

    «Non mi aspettavo che lo facessi» affermò Aziraphale, «non subito, almeno.»

    «Cosa ti fa credere che succederà?»

    «Il fatto che ti abbia curato?»

    «Non ero cosciente, altrimenti gliele avrei mangiate quelle mani.»

    «Non sei credibile, mio caro.»

L'ammasso di vocali che gli arrivò in risposta lo fece sorridere. Si chiese se avrebbero mai rivisto l'arcangelo, o comunque qualcuno dei loro rispettivi lati.

Probabilmente sì, probabilmente no, non importava poi così tanto. C'erano tante cose che potevano fare assieme, senza dover tenere conto di niente e di nessuno, e solo l'idea fece illuminare l'angelo come una lucciola nel sottobosco.

Mise una mano sul braccio di Crowley solo perché sapeva di poterlo fare. Sentì l'altro tendersi per un secondo, salvo poi rilassarsi abbastanza da tornare a battibeccare con lui.

Si stava davvero bene così, si disse Aziraphale. Davvero davvero bene.


~•°•~


Col cavolo che era semplice. Come avesse fatto a pensarlo anche solo per mezzo secondo, Crowley non lo sapeva.

Sapeva solo che più il tempo passava, più scopriva qualcosa che mandava la sua aura oscura a saltellare come un bimbo davanti ad una ciotola di caramelle.

Ad esempio, scoprì che gli piaceva guardare Aziraphale che provava qualcosa di nuovo e particolarmente buono per la prima volta. Era lì quando si illuminò per i pasticcini di Tracy, o persino per il tentativo che i quattro ragazzini fecero di preparare una torta per il compleanno della mamma di Brian. Era lì quando sorrideva all'odore del tè o al sapore del gelato alla crema sulla torta di mele. Era lì ogni singola volta, e ogni singola volta non poté fare altro che stare lì a fissarlo.

Scoprì quanto automatici stessero diventando certi gesti e quanto ciò gli piacesse. Si prendevano a braccetto quando passeggiavano, Aziraphale gli metteva sempre una mano sulla spalla quando qualcosa lo stupiva, e lo proteggeva sempre con un'ala dalla pioggia così come lui lo schermava sempre quando il sole picchiava più del solito.

Scoprì quanto certe cose fossero diventate abitudine e quanto ci si stesse accomodando una spira alla volta. Ogni giorno andavano a prendere qualcosa da spostare nella casa vuota poco fuori dalla Zona che avevano adocchiato, decidendo quasi all'unanime che sarebbe diventata casa loro. D'altronde, Adam - anzi, Dio - aveva fatto venire un'idea all'angelo, il quale ogni volta si ritrovava con le braccia piene di tomi e volumi che andava poi accuratamente a posizionare al piano inferiore della loro ancora spoglia dimora. Al piano di sopra, invece, ricavarono una stanza nella quale Crowley avrebbe iniziato a sonnecchiare spesso intanto che Aziraphale leggeva. Poi, quando non stavano con gli umani, semplicemente stavano assieme e chiacchieravano, battibeccavano, qualche volta litigavano persino - e allora il rosso scoprì persino la strana sensazione che gli portava il dover chiedere scusa, o il sentirselo dire; così come scoprì le cose che potevano appianare le loro divergenze.


Quella casa non rimase vuota a lungo. Ogni giorno si riempiva un pelo di più, intanto che il mondo attorno a loro cambiava e la Zona diventava sempre più frequentata da gente pronta a cedere loro qualcosa che non utilizzava.

Più ci si accomodavano dentro, più i libri al piano di sotto aumentavano; più i mesi si susseguivano, più Crowley si ritrovò a scoprire anche che certe cose non cambiano mai.

Sognava spesso ciò che era accaduto durante la Battaglia, persino quando ormai era passato un anno o poco più dal giorno in cui il mondo aveva iniziato, lentamente, a mutare. Le sue notti si coloravano degli stessi rivoli dorati che tanto lo avevano alterato, portandolo a svegliarsi con un sussulto e il cuore in gola. Ma il peggio non erano tanto gli incubi - ai quali era ormai abituato - ma il fatto che, ogni singola volta, Aziraphale tirava su il naso dal libro di turno e lo guardava con una ruga ben segnata tra le sopracciglia.

    Dopodiché, gli chiedeva: «Stai bene?»

E tutte le volte Crowley mentiva, pur sapendo che l'angelo poteva praticamente vederle le bugie, tornando a imbozzolarsi nelle ali.

    Alla fine, arrivò la notte in cui l'altro lo raggiunse, sedendosi composto sulla sponda del letto. «Ne vuoi parlare?»

    Scostandosi un'ala dalla faccia, Crowley lo fissò con un sopracciglio inarcato. «Che c'è da dire? È un incubo. Te l'ho detto che mi capita.»

    «Beh, capita alquanto spesso.»

    «Che ci vuoi fare? È parte della condanna.»

In realtà non ne era certo, così come Aziraphale non era decisamente convinto di quelle parole. Nonostante ciò, tornò alla sua scrivania con un sospiro e uno sguardo che Crowley aveva ormai imparato a decifrare.

Sbuffò, portando il volto al cuscino. Quando quegli occhietti azzurri si caricavano di delusione, per lui era finita. Scattava qualcosa nel suo animo che lo portava a fare qualsiasi cosa pur di vederli sparire. Era un trucchetto subdolo, e di trucchetti subdoli Aziraphale ne aveva una caterva.

Funzionavano tutti, ovviamente.

Semplice, eh? Tutto questo dovrebbe essere semplice secondo te, idiota. Si rimproverò.

    Alla fine si mise a sedere, ali premute contro la parete alle sue spalle, le ciocche in faccia e l'aria scontenta. «Beh, sonno rovinato. Che leggi?» Chiese, sperando di alleggerire l'atmosfera.

    «Temo sia una storia un po' lenta per i tuoi gusti» rispose l'altro senza staccare gli occhi dalle pagine.

    «Perchè? Di che parla?»

    «Stai cercando di sviare il discorso.»

    «Io non svio.»

    «Sì, invece.»

Crowley alzò gli occhi al cielo, un po' deluso da sé stesso e dal fatto che ancora non aveva capito che quei suoi tentativi andavano sempre a scontrarsi con l'imprevedibile natura della sua controparte.

Alla fine si arrese. «Ho ancora in testa la tua ala che viene staccata di netto. Contento?»

Non avrebbe voluto essere così duro, ma il punto era che aveva scoperto anche quello nel corso della sua convivenza: che tutto ciò che stava costruendo, che stavano costruendo assieme, serviva in primis a tenere entrambi il più possibile al sicuro, laddove il centro del mondo si stava lentamente mescolando al resto.  O almeno, per lui era così: quel luogo era il posto dove tenere l'angelo lontano dai suoi simili e sé stesso lontano dai demoni che ancora non aveva rivisto - nessuno di loro aveva più rivisto gli altri, effettivamente, ma era solo motivo di sollievo.

Aveva paura, una paura fottuta, che qualcun altro potesse far loro del male. Un sentimento stupido che lo portava a non dormire la notte.

    Dopo qualche secondo di silenzio, Aziraphale richiuse il libro e lo portò con sé sul bordo del materasso. «Ti capisco, sai?» Mormorò, passando le dita sugli angoli della copertina. «Penso spesso anche io a ciò che è successo, al modo in cui hai reagito... Per un attimo, ho avuto paura di non riuscire a farti tornare come prima.»

E rieccoli quegli occhietti lucidi come Crowley non li vedeva da tempo. Ultimamente, l'unico motivo che Aziraphale aveva di rabbuiarsi era per mettere il broncio a qualche suo comportamento volutamente scorretto. Quella che si ritrovò a guardare, invece, era vera e propria tristezza mista a delusione.

    Si spostò per sedersi accanto a lui, spalla contro spalla. «Con quella luce accecante avresti distratto chiunque» scherzò, o almeno, cercò di scherzare. Il tutto gli venne fuori con una dolcezza fuori programma.

    L'altro si fece scappare un sorriso. «Beh, ne sono contento.»

Erano abituati a guardarsi attentamente, ma c'era qualcosa di diverso nei loro scambi di sguardi - un'altra cosa che Crowley aveva scoperto e che aveva reso il gestire le sue emozioni un'operazione ancor meno semplice. Quello scambio, in particolare, gli fece risalire un brivido lungo l'ipotetica spina dorsale.

Si rese conto che c'era un bel divario tra il "ti voglio bene" e il "ti amo". Un divario grande quanto lo spazio che intercorreva tra i loro volti: piccolo ma difficile da colmare.

    «Forse dobbiamo solo, non so» balbettò, facendo volare gli occhi altrove, «distrarci ed aspettare che diventi un brutto ricordo.»

    Vide Aziraphale riaprire il libro, stavolta ripartendo dalla prima pagina. «Se il tuo metodo per distrarti non funziona, possiamo sempre provare con il mio» propose.

Per quanto lo usasse praticamente solo Crowley, il letto che gli avevano dato si rivelò abbastanza capiente da ospitarli entrambi, fianco contro fianco.

L'angelo non aveva più voluto dormire dal giorno in cui si era svegliato in quello spiazzo in mezzo agli alberi, e il rosso non poté certo biasimarlo. Tutte le volte che Aziraphale aveva chiuso gli occhi, era stato per colpa di qualcosa di non esattamente positivo. La prima volta, Crowley stesso gli aveva fatto talmente male da farlo crollare. La seconda ci aveva quasi lasciato le piume per colpa di Adam. La terza era stato sopraffatto sia fisicamente che moralmente dal giro all'Inferno. La quarta volta, le piume ce le aveva lasciate davvero. Dalla quinta, l'angelo aveva capito che c'erano modi migliori per riprendersi e rilassarsi; così aveva chiesto direttamente a Crowley come volesse il materasso, o il cuscino, o le coperte.

E adesso il demone se ne stava proprio sul giaciglio che lui stesso aveva accomodato, testa poggiata alla spalla dell'angelo, che cercava di seguire con lo sguardo le righe che l'altro gli leggeva.

Si assopì senza nemmeno accorgersene, scoprendo quindi un'altra cosa davvero niente male: addormentarsi con la voce di Aziraphale nelle orecchie era la miglior medicina contro gli incubi.


Anche quella divenne presto un'abitudine.

Un po' per stuzzicarlo, un po' perché era una cosa che adorava, Crowley aspettava che Aziraphale prendesse posto sul divanetto al piano di sotto per tuffarcisi e poggiare la testa sulle sue gambe - e l'angelo alzava gli occhi al cielo, ma si vedeva che non gli dispiaceva poi tanto, in realtà.

Quando dormiva male, sapeva di poter contare su di lui e sul tono un po' più profondo che adottava quando gli leggeva qualcosa. Allo stesso modo, Aziraphale sapeva che Crowley lo avrebbe portato a passeggiare o a mangiare qualcosa ogni qualvolta fosse giù di corda.

Andarono avanti così per un altro anno ancora, durante il quale l'angelo raccolse scaffali interi di tomi consunti, Crowley scoprì altre mille cose - come le piante in vasetto - e mantenne persino la "promessa" fatta alla "sua" umana.

    «Che ne pensi?» Chiese infatti all'altro quella fatidica mattina, scendendo le scale.

    Questi sbarrò appena gli occhi - arrossì persino, ma il demone cercò di non farci caso. «Ti donano» commentò, «ma non ci sono abituato.»

    «A chi lo dici.»

Avere i capelli fin poco sotto le orecchie gli faceva strano, ma era un cambiamento che non gli dispiaceva. Col tempo avrebbe scoperto che poteva farci davvero un sacco di cose con il pettine, ma per ora si limitò a non arrivare in ritardo al giorno che Anathema aveva passato mesi interi a preparare - con l'aiuto di Aziraphale che, ovviamente, tra la prospettiva della tavola imbandita, dei volti sorridenti e della gioia generale, era decisamente molto più emozionato di lui.

Nulla poté smuovere Crowley dall'idea che la cerimonia andò benissimo anche per merito del suo luminoso compagno. Sicuramente ci aveva messo lo zampino e sicuramente lo avrebbe stuzzicato per quello nei secoli a venire - a partire proprio da quel pomeriggio.


Paradossalmente, quel giorno non segnò una svolta solo per Anathema e Newton.

Ormai da due anni a quella parte, l'umana si approcciava al "suo" demone solo per fare un sorriso furbetto e chiedergli come andassero le cose con l'angelo. E tutte le volte alzava gli occhi al cielo alle scuse smozzicate e balbettate che il rosso tirava fuori per l'imbarazzo.

    «Non sono fatto per queste cose» le aveva detto una volta lui, esasperato.

    Alchè, la giovane aveva ridacchiato. «Ma dico, lo hai visto Shadwell? A te pare un tipo da avere una compagna? Eppure eccolo con la donna più dolce e disponibile del villaggio.»

Quella volta non fu da meno.


    Crowley stava sorseggiando del buon vino quando la vide avvicinarsi. «Bel vestito» commentò, prima di poggiare il bicchiere sul tavolo. «E prima che tu me lo chieda, la risposta è no.»

    Lei sbuffò divertita. «Siete lente voi creature immortali. Si vede che avete tutto il tempo del mondo.»

Si trovavano all'aperto, precisamente nel piccolo gruppo di alberi sul retro del cottage. Era una gran bella giornata, nonostante avesse piovuto fino a qualche giorno prima. Il tutto era stato celebrato all'aperto, l'intera Zona ad assistere.

C'era davvero un gran bel viavai.

    «I ragazzi vengono ancora da voi a "cercare i libri di storia"?» chiese quindi la giovane, deviando il discorso.

    «Lo fanno solo perché Aziraphale gli offre tè e biscotti, quei furbastri.»

    «Lo so. Ma se questo può invogliarli a studiare un po', ben venga. A proposito dell'amore della tua esistenza-»

    Crowley la zittì, sentendo il rossore bruciargli le guance. Voltò la testa a destra e a manca, sperando e pregando che Aziraphale non fosse nei paraggi. «Proprio con i ragazzini» rispose in un mezzo ringhio. «Si è offerto di controllarli, e lo stanno decisamente usando per sfuggire a qualche regola, come al solito.»

Si dice che se parli del diavolo... beh, in quel caso a comparire fu proprio l'angelo con un certo tono di urgenza nel volto e nella voce.

    Si rivolse ad Anathema con un: «Ciao, cara. Scusaci un secondo». Dopodiché, afferrò Crowley per un polso e si allontanò dal tavolo.

    «Si può sapere che stai combinando?» Chiese quest'ultimo, confuso da quel fare sbrigativo.

    «Diciamo che mi hanno trascinato in una partita di nascondino» balbettò l'altro, imbarazzato.

    «Diciamo che ti sei fatto fregare. Perché devo venire anche io, poi?»

    «Se non vuoi, puoi anche tornare indietro.»

Oh, quel broncio. Crowley adorava quel broncio: la prova provata che aveva stuzzicato il suo angelo per benino - anche se stavolta il merito andava tutto ad Adam e compagnia bella.

    Scosse la testa e prese il comando, trascinando Aziraphale verso un gruppo più fitto di alberi. «Tutti contro di te, scommetto. Sai che probabilmente è solo un modo per allontanarti e fregarsi i dolciumi, vero?»

    L'angelo sussultò. «Non credo lo farebbero mai.»

    «Perchè sei un ingenuo.»

Si appostarono in uno spiazzo nascosto, piccolo, abbastanza lontano da ovattare i suoni della festa.

    Crowley si appostò davanti ad Aziraphale, braccia incrociate. «Ora le cose sono due: o hai ragione tu e ci verranno a cercare, o ho ragione io ed usciremo da qui per scoprire che il quartetto dell'Apocalisse si sta beccando una sgridata.»

    Il biondo mise su un'aria seria che, comunque, faceva trasparire una punta bruciante di dubbio. «Anche se fosse, è un giorno speciale: se non hanno il permesso di mangiare qualche dolce in più, glielo concederò io.»

    «Sai, non è male come prospettiva. Tu, mani sui fianchi e facciotta arrabbiata, che inveisci sulle mamme dei ragazzini con il tuo tono da maestrina. Sai cosa? Spero proprio di avere ragione io, allora» ridacchiò Crowley, decisamente ancor più rallegrato dal volto pieno di rimprovero di Aziraphale.

    Questi, dopo una scrollata di testa, cambiò discorso. «Anathema ti ha detto che ha intenzione di accogliere Adam?»

    Oh, quella era una novità. Una novità che fece scappare al rosso un sorrisino. «Non so quanto gli conviene al ragazzino: tra qualche mese si ritroverà con un fratello, o una sorella. O magari con entrambi.»

    «Sono una bella coppia. Non mi stupirebbe» rimbeccò l'angelo, volutamente ignorando cosa l'altro volesse insinuare. «Hai visto quant'erano carini?»

    «Già, carini e anche fortunati. Hanno beccato l'unica giornata di sole.»

Oh, quel broncio, stavolta accompagnato da uno sguardo sfuggente e un leggero rossore sulle guance: la prova provata che qualcuno era stato sgamato.

Stropicciandosi le mani, Aziraphale emise un rantolo.

    Mani dietro la schiena e sguardo furbetto, Crowley inclinó un po' la testa verso di lui. «Scusa, hai detto qualcosa?»

    «Non potevo lasciare che la pioggia rovinasse tutto, va bene?»

    «Chissà perché non sono stupito.»

Non che la cosa gli dispiacesse. Neanche a farlo apposta, il rosso era finito in una zona d'ombra, dove le fronde degli alberi coprivano lo spiazzo d'erba in mezzo quale si erano rifugiati. L'altro, invece, se ne stava tutto imbarazzato sotto una bella pozza di sole che rendeva i suoi occhi più luminosi, i suoi capelli più candidi e il suo rossore più evidente. Controluce, al demone parve quasi di vedere la normalmente nascosta aureola di Aziraphale fare breccia tra le volute dei suoi riccioli. Non era la prima volta che succedeva, ma era una vista alla quale non si sarebbe mai abituato.

    Gli scappò un sospiro. «Ma sì, è proprio una bella giornata.»

L'altro alzò lo sguardo verso il suo, come se avesse capito che l'aggettivo non si riferiva certo al clima, o al cielo terso, o al sole piacevolmente caldo.

L'aura del rosso riprese a rimbalzare, irrequieta. 

«Quando arriverà il momento, lo capirai da te», e se non era il momento giusto quello, allora Crowley non aveva veramente idea di cosa potesse essere.

Erano soli, temporaneamente lontani; con ogni buona probabilità, nessuno sarebbe venuto a cercarli e c'era quel qualcosa nel loro scambio di sguardi, il qualcosa che aveva iniziato a muoversi dalla prima volta in cui avevano scoperto di potersi toccare.

Avrebbe potuto rovinare tutto.

Non avrebbe probabilmente rovinato niente.

Magari l'umana aveva ragione e tutto ciò di cui avevano bisogno era quel passo decisivo, quel qualcosa in più.


Così il rosso mandò al diavolo - si fa per dire - le insicurezze. Portò le mani tremanti alle guance dell'altro e guidò quel bel volto morbido verso il proprio. Gli baciò le labbra come spesso aveva visto fare in giro per la Zona, sentendo immediatamente un brivido percorrergli le membra, gli occhi stretti da chissà quale emozione tra il nervosismo, la paura e l'eccitazione.

Sentì anche la bocca dell'angelo schiudersi abbastanza da accoglierlo con una dolcezza misto timore che tanto gli si addiceva. Le sue mani, perennemente indecise, gli sfiorarono prima le spalle, poi le guance, poi la schiena...

Da lì in poi fu tutto in discesa.

Capirono presto la dinamica. Si separarono un po' di volte solo per riprendersi, finendo in una specie di piccolo tira e molla sempre più sicuro e sempre più deciso. Magari era un gesto assolutamente inutile, assolutamente troppo piccolo e troppo semplice per riuscire a contenere le loro emozioni, ma anche solo il fatto che potesse esistere era tanto. Solo il fatto che potessero incontrarsi così, far cozzare le loro auree, senza ferirsi era il simbolo della loro vittoria.


    Sarebbero andati avanti ancora, probabilmente, se solo una vocina non avesse improvvisamente esclamato: «Beccati!»

Fu come se il mondo si fosse bloccato di colpo. Staccandosi da Aziraphale come se qualcuno lo avesse tirato per i capelli, Crowley fissò inebetito i quattro della Zona - più sacchetto di pulci abbaiante - che se la ridevano piegati in due, ovviamente felici di averli colti in flagrante.

    Avesse potuto mangiarseli con lo sguardo, lo avrebbe fatto. «Piccole pesti. Vi ha mandati Anathema, vero? Quella maledetta. Appena la rivedo mi ssente» sibilò, rosso come solo i suoi capelli erano mai stati.

I ragazzini, per niente intimoriti, continuarono a ridersela. Quello fu abbastanza da far capire al demone che era stato tutto un subdolo giochetto fin dall'inizio.

    Aziraphale lo affiancò, ancora leggermente colorito proprio sulle gote che l'altro aveva afferrato con involontaria veemenza. «Temo che non ci lasceranno in pace sulla questione per un po'» affermò, nervoso e tremante.


Effettivamente, ma non sorprendentemente, fu così. Ma tanto a nessuno dei due importava davvero.

Anzi: la sesta volta che Aziraphale si addormentò fu proprio quella sera accanto a Crowley, cullato da tanti tocchi delicati che gli passavano tra i capelli e gli accarezzavano le guance. La seconda volta che ricevette un bacio fu la mattina dopo, e segnò il più dolce dei risvegli. La prima volta che riuscì a decifrare cosa la sua aura stesse cercando di dirgli, segnò invece il giorno migliore della sua esistenza.

La terza volta, il bacio fu lui ad iniziarlo. Scoprì che adorava il piccolo schiocco che le loro labbra facevano quando si separavano quel mezzo secondo che serviva loro per ritrovarsi ancora, ancora e ancora.

E intanto che si perdeva in quei gesti, lo colpiva la dolce consapevolezza che la dicotomia non esisteva più - almeno non tra loro due. Che si era innamorato, e che vedeva nell'aura oscura dell'altro lo stesso attorcigliamento che caratterizzava la propria.

Era il più perfetto dei lieto fine, ma non era la fine.

Era un nuovo inizio, e trovava il suo incipit in quelle meravigliose pozze dorate.

Le sue preferite.


~•°•~


    «Ce ne hanno messo di tempo» sussurrò Raphael tra sé e sé.

Se ne stava davanti alla sua vetrata preferita, osservando la Zona - o meglio, quella che prima era la Zona - dall'alto.

Tra Aziraphale e Crowley c'era davvero un tipo di Amore, con la "a" maiuscola; quel tipo di Amore che poco spesso si vedeva in giro. Era un rapporto costruito un pezzo alla volta, di quelli così apparentemente impossibili, descritti solo nei migliori romanzi e cantati solo nelle più belle canzoni. Un tipo di Amore capace di cambiare il mondo.


Sarebbe andato a trovarli, si disse. Avrebbe decisamente messo il demone di cattivo umore, ma era un rischio che si sentiva di correre. Aveva ancora un po' di conti in sospeso con quei due, e voleva chiuderli tutti.

    Alzò gli occhi verso l'alto, sorridendo. «Spero tu sia contenta» disse, il tono carico di affetto.

Ovviamente, Lei non rispose. Stavolta, però, il guaritore non si offese. Tanto, lo sapeva che Lei ascoltava sempre, anche se non sembrava.

Dio sa tutto, in fondo.


Con un sospiro, fece dietrofront e decise di andare a controllare i suoi colleghi.

Da quando il mondo era cambiato, Michael e Gabriel erano andati ancor più su di giri. Di certo, ora che potevano prendersela per bene a botte con i demoni, tornavano da lui molto più a soqquadro del solito - soprattutto il guerriero.

Vero era che, da quando la dicotomia era caduta, il loro rapporto era tornato come quello di un tempo. Anzi, forse era persino migliorato.C hi l'avrebbe mai detto, si disse, sorridendo tra sé e sé.

Nonostante tutto, nonostante quell'Amore impossibile ancora sulla bocca di tutti, nonostante la Terra che diventava sempre più grigia, la fortezza celeste non gli era mai parsa così bella. Nonostante tutte le emozioni negative che aveva provato, nonostante la rabbia e le cattive azioni, si sentiva rinato.


Era un nuovo inizio, odorava di cambiamento, e trovava il suo incipit nel sorriso di un Raphael nuovamente in pace.


~•°•~


Fine

   
 
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