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Autore: blackjessamine    02/10/2023    4 recensioni
Una storia è fatta di attimi.
Ricordi, rimpianti, talvolta sogni.
È iniziato tutto con un mazzo di chiavi (il mio, quello che perdevo sempre – lo perdo ancora, ma adesso sono diventata brava a ritrovarlo da sola).
Raccolgo quel che resta.
[Storia partecipante al Writober di Fanwriter.it]
Genere: Introspettivo, Malinconico, Poesia | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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prompt 2: permesso





 

Tutta colpa di Proust

 

Ho iniziato dalla fine, e ora provo a riavvoltolarmi su me stessa (te lo ricordi? Ti ricordi di quella notte che è stata solo un avvoltolarsi e riavvoltolarsi, a dispetto dei dizionari e in barba a Sartre? Io non ricordo nemmeno se la colpa fosse di Sartre, che del resto ho letto poco. Forse era tutta colpa di Proust, che invece non ho letto affatto, o chissà, magari non si è mai trattato di letteratura francese. Si è trattato di un concetto, e della mia idea di di prendere un concetto ed esplorarlo avvolgendomi su me stessa, e tu mi hai ascoltato e hai letto i balbettii che poi ho cancellato, ed è stato come imparare a camminare sapendo di non poter cadere) e trovare il bandolo della matassa e cominciare dal principio. 

È iniziato tutto con un mazzo di chiavi (il mio, quello che perdevo sempre – lo perdo ancora, ma adesso sono diventata brava a ritrovarlo da sola) e con quel tè che neanche era buono bevuto in stazione Centrale (non è vero, sai benissimo quale fosse la stazione, ma se dobbiamo giocare al gioco della narrativa, qualche bugia possiamo concedercela). 

Ricordo ancora il messaggio che ho scritto a metà, lamentandomi solo delle chiavi smarrite  e del tempo che avrei dovuto trascorrere fuori casa. Un messaggio gettato al vento.

Un seme.

E ricordo ciò che è stato dopo, il calore nel petto davanti a una risposta che non c’è bisogno di ricordare.

Un seme al vento talvolta trova un angolo di mondo in cui germogliare, e lo fa senza chiedere il permesso. 

Io non l’ho chiesto, il permesso. Non l’ho chiesto quando ho cominciato a sperare, né quando quel vorrei essere con te si è trasformato in un sussurro in fondo alla mia testa, non l’ho chiesto nemmeno quando ho cominciato a parlare con la tua voce. 

Tu il permesso lo hai chiesto sempre. Anche quando mi hai lasciato con il vuoto sotto i piedi, ed è stato come cadere sapendo di non essere in grado di camminare.

Come sempre, non ho smesso di avere il singhiozzo. 

Rigurgiti lunghi di parole aggrovigliate come fili in un cassetto, getti irregolari che improvvisamente terminano.

Non chiedo il permesso per cominciare a singhiozzare, non lo chiedo neanche per smettere di farlo.

Tu mi hai sempre perdonata. E poi mi hai chiesto il permesso di smettere.

 

Il singhiozzo oggi ha un’altra forma. 

 
   
 
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