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Autore: CervodiFuoco    03/10/2023    2 recensioni
Questa è una raccolta di racconti brevi la cui trama è la parola chiave suggerita dall'InkTober di quest'anno 2023!
Non mi attengo ad alcuno stile, atmosfera o genere fisso: entrate a vostro "rischio e pericolo", coscienti che potrebbe capitarvi di tutto sotto gli occhi! Ogni giorno una nuova storia, inventata e scritta sul momento lasciando libera l'immaginazione e la creatività. Spero di avervi numerose/i a leggere! Purtroppo l'introduzione può fare poco per stuzzicare la vostra attenzione, ahinoi; dovrò affidarmi alla mia, e vostra, buona stella.
Genere: Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Introduzione pre-capitolo

 

Ciao a tutti, e grazie mille di esser qui a leggere! Sarò breve, così da non bruciarmi la vostra presenza tediandovi con chissà quale noioso preambolo!

Inizio dicendo che ho deciso di prender parte attiva all’InkTober 2023 con qualche giorno di ritardo (come al solito) quindi la prima storia, quella di oggi 3 Ottobre, ho deciso di renderla un condensato delle prime 3 parole chiave suggerite per i primi 3 giorni del mese, ovverosia:

Sogno

Ragni

Sentiero

 

Parole peraltro estremamente significative nella mia vita.

 

Basta! Finita l’introduzione. Visto? E’ stata veloce e indolore, vero?

 

Pronti!

Buona lettura. Spero davvero di divertirvi con questo capitolo (a me ha divertito un mondo scriverlo), ma anche che attraverso il “velo delle parole” trapeli qualcosa di speciale, non-detto. Chissà!

 

P.s.: perdonate eventuali errori, non tanto ortografici ma più magari nella “forma” (si dice così?) o nel passaggio da persona a persona. Per me questi racconti sono un “flow”, un viaggio e mi diverte vivermeli così. Ma sono sicuro che sono perfettamente apprezzabili.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

ESPLETARE RAGNATELE

 

 

Nel sogno, i ragni erano ovunque.

 

Bello, vero?

Ma partiamo dall'inizio, senza mescolare troppo le carte sul tavolo o rimanere impigliati nella ragnatela (ridiamo).

Il sogno.

 

Parliamo del sogno, si: com'è che si era addormentato? O per meglio dire... perché si era addormentato?

Fu una causa di forza maggiore? Fu abitudine? Fu un senso di costrizione, di soffocamento, di... apatia? Ah, ma andiamo a chiederglielo, dato che il diretto interessato è qui.

Avviciniamoci, attiriamo la sua attenzione picchiettando con veemente gentilezza sulla sua spalla e attendiamo che si volti. E poi, dopo esserci schiariti ben bene la voce, domandiamogli:

«Ehm... salve. Ci stavamo giusto chiedendo... com'è che si è addormentato?»

 

«Ah... oh» replica lui al rallentatore, neanche fosse un bradipo umanizzato. Addirittura batte le ciglia, al rallentatore. Ma sta guardando noi o il presagio che ci saremmo avvicinati venti secondi fa? «Ehm... semplicemente ero triste» continua, con il suo tono piattino e rassegnato, ma amichevole. Come se non fosse di queste parti e si stesse accorgendo solo ora di trovarsi in terra sconosciuta. «E di solito, quando sono triste io mi accascio da qualche parte e mi addormento.»

«Ah» sillabiamo noi piano, un po' delusi, ma principalmente sorpresi. «E... non... potrebbe dirci qualcosa di più? Insomma... abbiamo bisogno di un report completo, almeno sul ''sogno''. Poi il resto dopo può fluire alla grande, ma per quanto riguarda il ''sogno'' abbiamo bisogno che sia lei a dirci qualcosa, altrimenti qui si fa notte.»

Le espressioni facciali sul viso di lui, tondo e amichevole pure quello, nascono e si susseguono senza una precisa scorrevolezza o motivazione. Sembra una statua colpita da una luce in movimento, di cui si ha soltanto l'impressione che provi emozioni cangianti; ma in realtà è una sola.

«Eh, che posso dirvi. Ero qui a far niente. Cioè... stavo cercando di far di tutto, per andare avanti. Per tirare avanti, come si dice, no? E poi... mi è piombata addosso questa stanchezza, questa pesantezza insopportabile... tutto era come addormentato, lontano, distante. Inarrivabile. Mi scivolava via dalle dita. Avete presente la sensazione, no?» E aspetta una replica, con un sorrisetto spento e un pochino ebete.

«Ehm... si, certo. Certamente. E poi, quindi? Vi siete addormentato.»

Dopo una pausa straordinariamente lenta, quello fa, flemmatico: «Si.»

 

Sbuffando irritati, ma cercando di non darlo a vedere, noi ci scostiamo e riponiamo il microfono. Diamo il segnale al cameraman di staccare e portar via tutto, con l'aria di chi è chiaro voglia levare le tende il prima possibile.

«Grazie di tutto, davvero. Cercheremo di fare del nostro meglio ora parlando dei ragni, addentrandoci nel sogno, insomma.»

Lui fa appena in tempo ad accorgersi che gli abbiamo rivolto la parola per l'ultima volta, ed è lì in procinto di formulare una frase di commiato, che noi gli abbiamo già voltato le spalle e ce ne siamo andati.

Non è che non siamo gentili, eh. E' che ne abbiamo un po' le scatole piene di certi tipi, ecco. Poi rispetto per tutti, per carità.

 

 

 

*suono improvviso, impressionante e impattante di cose che si scontrano*

 

IL SOGNO

(pronunciato con voce maschile accattivante)

 

 

 

Dicevamo: nel sogno, i ragni erano ovunque.

 

Zampettavano, strisciavano, picchiettavano le superfici sulle quali si muovevano con sottilissimi, morbidissimi, acutissimi e sibilanti ''tic-tac-toc''. Eppure, ancora non si vedevano! Eh no, perché... sapete perché? Volete veramente saperlo? Noi vi avvisiamo, questo non è un sogno piacevole, o per lo meno non nelle sue fasi iniziali. Ma oramai siete qui, non penserete mica di svignarvela adesso? No no, dovete rimanere e continuare. Perché di sicuro ci sarà qualche misterioso ma illuminante significato da trarre dalla storia che andremo narrando. E dunque: le zampine picchiettano, ma nessun, e dico nessun, ragno ancora si vede.

Ora, inseriamoci all'interno della visione alla prima persona, proprio come il sognatore in questione. Fiiiium! Eccoci: siamo lui adesso. Ci troviamo proprio sulla soglia, in piedi, e abbiamo appena aperto la porta della casa che, nel sogno, si trovava in cima alla strada in salita, a qualche isolato di distanza da casa nostra. Ci siamo svegliati nel cuore della notte perché un barbagianni è venuto a picchiettare col becco contro il vetro della finestra davanti al nostro letto e, se in un primo momento noi l'abbiamo scambiato per un ramoscello birbantello dell'albero lì di fronte, in un secondo ci siamo subito accorti che non era l'albero perché è troppo l'ontano (scusatemi). Così siam scattati su! E, tutti spettinati e con la bocca secchissima, abbiamo visto il Barbagianni sostenersi in volo lì davanti al vetro, e con la voce della nostra migliore amica Brittany (gentile concessione da non so quale serie tv) ci fa: «Devi correre subito nella Casa dei Ragni, Sam! Devi correre, devi. Vai subito, o perderai il treno!»

 

Ora, non state a sindacare sul senso logico di tutto ciò, poiché si tratta di un sogno. Non siam mica qui a spillare i ricci. Proseguiamo.

 

Allora ti tiri su di botto, ti vesti in fretta e furia e in un baleno, ma letteralmente in un baleno, ti ritrovi in fondo alla rampa delle scale e mentre pensi di infilarti gli scarponcini da montagna, invece stai già girando la chiave della porta, e una frazione di istante dopo stai risalendo la salita buia illuminata da quegli sparuti lampioni che non ti piacciono tanto; e poi, dopo, sei lì. Davanti alla casa di Mr.Franz, che è risaputo faccia le Gicocche, perché tu nel sogno colleghi, chissà perché, quella casa con una memoria infantile nella quale la tua quotidianità ed il mondo dei Pokémon sono una cosa sola. Ma tu sai, tu lo sai, che lì dentro non c'è Mr.Franz né si producono Gicocche. Tu sai soltanto che devi entrare, perché altrimenti perderai il treno; e sai anche che là è tutto buio e non vedrai un accidente. Ma in qualche maniera dovrai arrangiarti ed entrare dentro.

Così attraversi il giardinetto percorrendo il vialetto di lastre d'ardesia (ardesia, eh), fissi un secondo il campanello tondo d'ottone col pulsantino nel mezzo, lo ignori completamente; metti la mano sul pomello e giri.

Sckreeeek, la porta si spalanca lentamente. Sul buio. Oscurità totale, piena e accecante. Se già prima il silenzio aveva fatto da padrone durante i tuoi movimenti, adesso si è infittito, è precipitato in una sorta di cava abissale dove i tuoi timpani sono del tutto assuefatti e addormentati. Sai solo che devi infilarti là dentro e basta.

 

Un passo. Il piede viene inghiottito da una viscosa, avvolgente oscurità. E' tipo una barriera. Un altro passo. Mica puoi fare il frignone e fermarti lì, non esiste proprio. Insomma, nel giro di qualche secondo sei dentro! E l'oscurità ti ha inesorabilmente avviluppato, e adesso ti sembra quasi di essere cieco (senza quasi, attento). Anche se giri la testa, non cambia nulla; è tutto buio ovunque. Potresti pensare di trovarti sospeso nel vuoto, in un limbo senza peso né forma, se non fosse per i tuoi piedi poggiati sul morbido tappeto davanti all'entrata, sul linoleum (sai che c'è il linoleum a intuito, non rompere).

Tac-tac. All'inizio è solo un tac-tac. Microscopici piedini, chissà dove. Un brivido ti percorre la spina dorsale e istintivamente tu trattieni il respiro. Subito pensi a Brittany dentro al corpo del Barbagianni che svolazza davanti alla finestra di fronte al tuo letto, mentre ti dice: «Te l'avevo detto, che avrebbe fatto paura, ma devi andarci lo stesso, è il tuo destino.» Così, per un attimo maledici Brittany; ma poi immediatamente dopo ti dispiace, e la ringrazi. Sai che ha ragione. Dunque deglutisci e ti fai coraggio: è tempo di scoprire

perché sei venuto qui.

 

Tic-tac-toc.

Tic-tac-toc, tic-tic, tic-tac-tic-tac-tictoctictaottcoatcottaotuctaoci.... due zampine son diventate dieci, e le dieci venti, e le venti centosessanta, e le centosessanta una quantità incalcolabile. Tu non puoi vederli, ma nel sogno tu sai che lì dentro, da qualche parte, è pieno zeppo di ragni. Grossi e ciccioni? Piccoli e con irte zampine spigolose? Tondi e pelosetti con enormi occhietti lucidi? Con le scarpe da clown, la bombetta e il trucco rosso sulle guanciotte? Chi lo sa, lo scopriremo solo vivend- ehm, cioè, sognando.

 

Tu devi fare un passo. Devi. Devi per forza, se no il sogno s'interromperà, oppure te ne resterai lì in eterno e probabilmente si spalancherà una tremenda voragine sotto i tuoi piedi che ti farà precipitare, e ti sveglierai. E tu non puoi svegliarti adesso. Devi affrontare la tua prova. Devi affrontare il buio, e i ragni, e la casa di Mr-Franz con le sue Gicocche-che-non-ci-sono. Prendi un bel respiro profondo, stringi i pugni e fai quel maledetto passo in avanti; se non lo facessi, quei tic-tac-tatitatic continuerebbero ad assordarti e a farti immaginare cose raccapriccianti. Quel passo va fatto, per forza, avanti.

Lo fai.

 

E d'improvviso, come se qualcuno avesse premuto un interruttore, una luce da palcoscenico si accende dal pianerottolo del piano di sopra, andando a bagnare nel suo cono acuto e preciso una zona ai piedi delle scale davanti a te, dove si trova uno sgabello a tre piedi circolare molto, molto carino a dire il vero, di un verde chiaro tenero e piacevole: su di esso si trova seduto un bel ragno, con le zampe penzoloni e lo sguardo attento e divertito rivolto a te.

E ti fa: «Ehy, come andiamo?» sollevando una delle otto zampine a mo' di saluto.

 

In parte offeso per l'aspettativa che finora ti aveva accompagnato, suscitandoti l'orrendo timore che dovessi sorbirti un qualche evento raccapricciante, doloroso, o per lo meno spaventoso... aggrotti le sopracciglia e ti fai rigido, impettito.

«Eh?» mormori, senza voce.

 

«Avaaanti, chi ti aspettavi di vedere? Dai dai, vieni via dal tappeto che lo sporchi tutto di fango. Fai un passo e avvicinati, che devo parlarti.»

Io obbedisco, guardandomi i piedi e il tappeto (adesso posso farlo, perché il ragnetto sotto al riflettore irradia un tenue ma piacevole e distensivo bagliore) e noto che non c'è nessun fango. Altra assurdità dei sogni su cui soprassederemo.

«Ecco. Così» borbotta soddisfatto il ragnetto, togliendosi il minuscolo cappellino a cilindro che teneva in testa. E' lucido e con una fascia rossa di velluto, come il migliore dei maghi. Però minuscolo. Ma il ragno non è tanto minuscolo: è grande più o meno come un gatto, o giù di lì. Mi fissa battendo gli occhi a canone, prima i due davanti e poi i due in coppia laterali, e così via. Sono magnetici e ipnotizzanti. Catturato da quell’effetto, penso: mi sta ipnotizzando perché vuole mangiarmi?

«Ma smeeettila! Insomma! Cos'altro devo ancora dimostrarti, prima che inizi a fidarti di me?» dice lui.

Al che io strillo, istigato: «Senti, non è colpa mia se ho l'aracnofobia, occhei? Con tutte quelle lunghe zampe ed il corpicino minuscolo. Lo so che siete innocui se non vi tocco, ma mi fate senso lo stesso, mi fate venire la pelle d'oca, ecco! E poi, dove sono tutti gli altri?» Sono proprio arrabbiato, wow.

«Eeehy, datti una calmata, coso» ribatte con tutta calma il ragnetto, sistemandosi il papillon blu a pois bianchi (boh). «Qui ci sono solo io, non rompere le balle.»

Indispettito, faccio una faccia arcigna e mi siedo sul linoleum a terra (hai visto, che c'era il linoleum? ah-ha!).

«Oh!» cinguetta soddisfatto il ragnetto. Si posiziona sullo sgabello di modo da porsi dritto davanti a me, incrocia le gambette-zampette e poggia il musino su una mano-zampetta. Ora sta fumando una piccolissima pipa di legno scuro, dalla quale fuoriesce un refolino di fumo.

«Te lo ripeto. Allora: come andiamo?»

 

Sono entrato totalmente nel mood paziente-terapista, così de botto.

«Eh. Dormivo di brutto. Ero un po' triste. Un po' troppo... mi sa.»

Il ragnetto mi fissa; apre la bocca a ''O'' e sbuffa una pallina perfetta di fumo. Poi commenta: «Giah».

«E quindi mi sono un po' trascinato avanti per inerzia, insomma.» Sospiro profondamente. Mi stringo le braccia con le mani in una sorta di auto-abbraccio, traendo un profondo sospiro.

«E' stata dura, eh?»

«Mh-hm» confermo. Mi sento bene, così.

«Però adesso le cose vanno diversamente, suppongo» dice il ragnetto, indicandomi col beccuccio della pipa che s'è tolto dalla bocca. «Anzi, che dico! Non è solo da supporre. E' vero! E' proprio così. Guardati, che sguardo! Ma dimmi, com'è che hai fatto?»

«Beh. E' una storia lunga» premetto. Anche se in realtà non ho nessuna voglia, e nemmeno l'intenzione, di raccontare la mia storia ad un perfetto sconosciuto: così mi limito a quella banale e piatta scusa del: «Mi sa che te la racconto un'altra volta.»

Il dottore-ragnetto mette su un'aria indiavolata e si tira perfino in piedi sullo sgabelletto. «Eh no, bello mio! Ora sei qui e parli! Forza. Non vuoi mica che i miei amici vengano a... romperti le balle?»

Ah, è una minaccia?, penso fra me e me. Ma se prima avevi detto che i ragni non ci sono.

Proprio in quel mentre, la telecamera (?) ruota sulla destra, illuminando in un cerchio di luce grigia la parete dell'ampio corridoio: è totalmente ricoperta da un fitto strato di ragni neri, lucidi e rotondi, simili a palline da golf però schiacciate. Sono immobili e fissano tutti me. Quando la luce della telecamera li inquadra, la porzione illuminata fa un Sssshhhhhh di serpente (questa non so proprio giustificarla), atto a intimorirmi e a dimostrarmi la loro superiorità, sia numerica sia spirituale.

Con la coda fra le gambe, ammetto l'inferiorità e la sconfitta, così la telecamera può riprendere a inquadrare il ragnetto sullo sgabello. Che nel frattempo dev'essersi addolcito, lo vedo dal suo sguardo multi-occhio.

«D'accordo. Posso intuire, e anche comprendere bene. Però io te lo dissi. Te lo dicemmo molte, molte volte, che cosa dovevi fare.»

«Si. Beh, non è sempre così facile come pensate voi nel vostro mondo. Nel mio le cose sono un po' più complicate.»

«Ah si?» mi stuzzica lui, tornando a dare una boccata alla pipa. «Per esempio?»

«Beh, tanto per cominciare, io non caco fili di ragnatela. Non è così facile per me creare una ragnatela.»

«Aaaaahh~» fa lui, un po' intrippato dal ragionamento. O forse no, perché poi mi dice: «E tu pensi che questo noi non lo sappiamo... ?»

Mi ammutolisco. Ma sempre la risposta pronta, hanno, 'sti ragni?

Un sospiretto di gioviale condiscendenza dimostra che in realtà il ragno non ha, e non ha mai avuto, né rabbia né spirito di superiorità nei miei confronti (al contrario di tutti gli altri qui presenti, a questo punto).

«Vedi, noi non abbiamo mai, ma proprio mai!, voluto che tu fossi chi non sei. Tu non hai mai dovuto diventare ''qualcun altro'' per essere felice. Il nostro messaggio è semplice!» Con un gesto ampio e semicircolare della manina-zampina libera dalla pipina, come a tracciare un ragnoso arcobaleno innanzi a sé, esclama con saggezza: «Caca la tua realtà irradiando la tua essenza nel mondo!» Mi sorride, un sorrisetto tutto carino e gonfio da gote arrossate. «Sei te che ti sei incasinato da solo l'esistenza. Perché voi umani fate sempre un po' così. Pensate di essere seeeempre inadeguati, di dover seeempre raggiungere qualcosa o qualcuno che ancora non siete... e non vi rilassate mai nella vostra natura! NELLA-VOSTRA-NATUURA!» gridola sul finire, accendendosi. Scocciato pure, ha sbattuto il palmo di una delle sette zampine (l'ottava regge la pipa) contro quello di un'altra, a demarcare l'enfasi della frase che pronunciava. «Stai sciallo, hai capito?»

In silenzio, rimango lì seduto a guardare il fumo che se ne esce dalla pipetta che tiene a mezza bocca, a fare un po' il figo, no. Lui mi osserva con sopracciglio inarcato e fare da psicologo che-sa-le-cose-e-aspetta-che-le-cogli-anche-tu. Io stringo le labbra in un sorriso un po' mesto, ma anche conciliante.

«Si. Hai ragione.»

«Eh certo, che ho ragione! Altrimenti mica me ne starei qui, su un dannato sgabello a fumare una cacchiarola di pipa!» Il ragnetto si sfila di bocca la pipa e la lancia via. Un lontano coro di Ooooh stupefatto proviene dai possibili ragni che si trovano su una parete da quella parte.

«Quindi... a posto così?» ipotizzo io. Ora sopraggiunge la voglia di andarmene da quella casa spettrale piena zeppa di ragnetti sibilanti.

«A posto cosiii? Ma neanche per sogno!» esclama indignato, ma anche ironico, il mio terapista-ragno. «Ora devi dimostrarmi che hai imparato la lezione. Forza. Ragazzi! Ragazzi, venite, è il momento!» Si mette in piedi a far cenni con le zampine di modo che altri ragni sopraggiungano. E così è: nell'inquadratura entra un folto gruppetto di ragni, di quelli tondi e schiacciati che c'erano sulla parete. Sorreggono un oggetto grosso e pesante per loro... ma per me no: è un vasino. Di quelli per i bambini quando devono imparare a... insomma. E' chiaro.

Dopo averlo deposto ai piedi dello sgabello, salutano prima il Signor Ragno, e poi me, con una profonda ed elegante reverenza (alcuni di loro mi fanno però ancora Ssshhhhh) dopo di che se ne vanno scomparendo nell'ombra dalla quale sono venuti.

«Forza!» dice il Signor Ragno, che nel frattempo è sceso dallo sgabello per raggiungere il vasino. «Vieni. Siediti.»

«Perché?» domando, indignato e sorpreso.

«Se hai imparato a cacare la tua ragnatela, dimostramelo!» Mi elargisce un ampio sorriso come nessuno finora.

 

E così io vado lì a sedermi sul vasino, dopo essermi tirato giù brache e mutande insomma. Mi sento un po' bambino.

Un po'??

Solo un po', ne sei sicuro... ?

 

...

... ...

... oh.

 

«AH-HAAAAH!» mi urla il Ragnetto nell'orecchio, a un palmo di naso dalla mia testa, io ormai con le natiche sulla plastica del vasino. «Hai visto?! Hai visto, eh? Questo, questo è ciò che ti serve! Ripigliati! Siii! Hahahah» e se la ride, giù di risate. «Come un bambino! Hahah, come un bambino, piccolo imbecille umano! Hahahah!»

 

E così, con tutta probabilità il sogno continua con me seduto sul vasino che trova il flow per cacare fili di ragnatela, mentre Mister Ragnetto mi sbeffeggia, se la ride sotto al mio naso e mi danza attorno facendo lo scemo - ma sotto sotto lo so che mi vuole bene, e vuole solo ed esclusivamente il mio bene.

Avrò fatto la cacca-ragnatela? Eh... chi lo sa. Purtroppo solo chi nella casa resterà, perché in quel momento noi usciamo - Fuuuuuomph!- dalla visuale in prima persona, per tornare alla terza.

Ebbene si... questa storia finisce così. Con noi che ci allontaniamo lentamente, retrocedendo, dalla scena: il riflettore su di lui seduto sul vasino, col ragno che gli danza attorno... il corridoio ci scorre ai fianchi, e poi, poipoipoi? Attraversiamo la soglia (che si era chiusa -sbattendo- da sola dopo essere stata aperta, ovviamente, come in ogni buon racconto che deve incutere inquietudine) e ci ritroviamo fuori dalla non-casa di Mr.Franz. E' ancora notte... ma noi lo sappiamo. Lo sappiamo che il sole è già sorto, da qualche parte. Probabilmente, dietro quella casa là poco distante si può già vedere.

Ma adesso, dobbiamo alzarci. Dobbiamo uscire dal sogno? Si, esatto.

 

 

FINE DEL SOGNO

*fiamme divampanti*

 

 

 

*voce fuori campo* «Ehy, ma... e il Sentiero? Il Sentiero dov'è, in questa storia?»

 

E fate bene, a chiedervelo. Ma, osservate, prodigio! A-ha! L'intera storia, è stata il ''Sentiero''. Il Sentiero non inizia mai e non ha mai fine... e- *spinto via malamente dal microfono*

«SE PERMETTETE» interviene una vocina familiare, mentre suoni rasposi e di tessuto contro tessuto fanno interferenza nel microfono. «A-haem. Se permettete, vorrei dire io due parole giusto a concludere.»

Ma si, è lui! Il mitico Mister Ragnetto Psicologo-Terapista. Come ha fatto ad arrivare fin qui non si sa... ma si sa, invece, che... nei sogni tutto è possibile! Tutto.

«Il Percorso della vita non ha mai fine, e non ha mai inizio. E voi direte: seh, tutte balle. Ad un certo punto nasco, e poi dopo un certo tot muoio. Nah! Pensi, te! Ma hai forse la certezza, la certezza assoluta, la convinzione motivata da esperienza, che prima di nascere tu non esistessi? Ne hai memoria? Lo sai? O lo supponi? O forse... ti è più comodo adagiarti sugli allori come le cicale, mentre le farfalle e le formiche si danno da fare? EH?»

«Ehy, mister Ragnetto... dovrebbe darsi una calmata, sa.. non c'è bisogno di scaldarsi così» mormora la famosa voce fuori campo di poc'anzi, ovattata dalla distanza dal microfono.

Rumorosi sospiri di Ragnetto, atti a ricomporsi.

«Si... si. Dunque. Il percorso della vita non ha mai fine. Ma quello che volevo dirvi veramente, senza divagare, è questo: non usciamo mai dal Sentiero. Mai. Anche quando crediamo di averlo perso, smarrito, di esserci Persi nella Selva Oscura» (e qui il Ragnetto ammicca tirandosela perché ha citato -la frase più scontata e conosciuta di- Dante) «in realtà non siamo mai persi, e siamo sempre, sempre sul Sentiero. Lo so che queste parole possono essere poco confortanti magari per alcuni, ma-»

Ma qualcuno ha tirato il filo del microfono, facendo slittare via quest’ultimo da sotto il naso (che non ha) di Mister Ragnetto. Che ora si mette a sbottare, a straparlare, lamentandosi probabilmente del fatto che qualcuno ha osato interromperlo durante il suo importante monologo sul senso della vita e su fondamentali passi spirituali; ma niente, presenze fuori campo si prendono gioco di lui, bighellonano.

 

Ora c'è solo il tavolo dove prima c'era il microfono con Ragnetto. Silenzio. Dobbiamo aver perso il suono, purtroppo.

Bella la parete di fondo. Bianca. Anzi, no: tipo un beige-caffelatte.

 

Ma- qualcuno può togliere il muto al microfono? Magari la lite è interessan- no, ok.

D'accordo.

 

Fine della storia, per oggi.

   
 
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