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Autore: _Tallulah_    18/10/2023    0 recensioni
A breve inizierà il secondo al Karasuno. Una corona cadrà, una nuova monarchia sta per fare un colpo di stato nel regno che è la Palestra N2.
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«Per me sei la pallavolo al di fuori della pallavolo.»
Sgranò gli occhi a quelle parole, quella ammissione, con il cuore che pompava e il battito come un tamburo a riempirle le orecchie.
«Ti rendi conto di quello che hai detto?» chiese quasi senza fiato non osando girarsi «Tu..t-tu ami la pallavolo...»
«Già...»
Genere: Romantico, Sentimentale, Sportivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Karasuno Volleyball Club
Note: Lemon, Lime, Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
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Kageyama non riusciva a scrollarsi di dosso la consapevolezza della presenza a pochi passi torreggiare dal suo rialzo. Più di quanto fosse disposto ad ammettere si era ritrovato, troppo spesso, a spostare lo sguardo in direzione del palco su cui se ne stava Ikeda. Si era rimessa le cuffie dopo quell’ultima risata chiudendosi in silenzio nella propria fatica, lasciando fuori il resto dei presenti, della palestra e i suoi suoni. A colmare quei silenzi come sempre fu Hinata, troppo curioso dell’esercizio che stavano svolgendo i ragazzini di primo anno. Li aveva tempestati di domande e lui si era ritrovato a correre posizionandosi per ultimo, in questo modo seguiva il discorso senza dare l’impressione di un reale interesse. Era ultimo in fila, era ovvio che fosse rivolto avanti, il più delle volte, e se con le orecchie restava concentrato alle domande e alle risposte, gli occhi, beh, gli occhi sfuggivano, ogni tanto, spostandosi in direzione del palco e a ogni giro si posavano brevemente sul cellulare illuminato. Poggiato su un asciugamano accanto ad altri oggetti e l’involucro logato Asics, la forma inconfondibile presa dal tessuto tecnico non nascondeva il fatto che all’interno si trovassero delle scarpe. Lo schermo di un’iPhone, nuovo modello 5 uscito a settembre dell’anno precedente, rimandava a ogni giro un video simile, una scala di grigi sfocata troppo distante perché l’alzatore riuscisse a capire cosa trattasse. 

L’esercizio eseguito dopo, per Kageyama, aveva molto più senso, non che stesse prestando particolare attenzione (o almeno così continuava a ripetersi). L’elastico aveva lasciato la presa sulle caviglie per essere stretto tra le mani. In maniera cadenzata il braccio sinistro si distendeva in avanti mentre quello destro andava indietro piegato verso l’alto in linea con la spalla. Nonostante l’allenamento con formazione da alzatore anche lui aveva praticato quell’esercizio sotto direzione del nonno, anche senza lo aveva svolto senza elastico. Gli sembrava di vedere le forme di omini stilizzati disegnate nei libri di base per pallavolo. Kageyama scosse la testa, aveva davanti a sé altri quindici minuti buoni di allenamento da poter svolgere in santa pace, decise quindi di mettere da parte tutto e concentrarsi sul serio. Il ricordo era ancora lì, vivido come fosse ieri. Aveva cinque anni, la manina da bambino stretta in quella grande del nonno mentre si dirigevano alla palestra dove allenava. Palestra che frequentava sempre maggiormente e lo aveva visto crescere per due anni. 

 

19 Agosto 2002 lunedì, Ōgawaramachi Total Gymnastics (Ōgawara), Prefettura di Miyagi. 

 

Era una calda giornata estiva, quando entrò con il solito entusiasmo nella palestra dove allenava il suo amato nonno. I loro occhi si illuminarono di gioia, sapendo che avrebbero trascorso una giornata speciale insieme. 

Il nonno di Tobio una volta entrati aveva salutato il suo allenatore in seconda. 

«Coach Kageyama salve, non si era preso il giorno libero oggi?» 

Il vecchietto si grattò la testa «Questa era l’idea Ishikawa-kun, mio figlio e sua moglie sono fuori per lavoro e mi hanno chiesto di fare da babysitter, ma come vedi…» Indicò una piccola figura corvina che si era nascosta dietro la sua gamba alla vista dell’enorme schiacciatore. «Miwa-chan ha i suoi allenamenti e il piccolo Tobio si annoiava quindi ho pensato fosse un buon momento per provare ad insegnargli qualcosa.» 

Il minore annui, per poi richiamare l’attenzione di un paio di membri che stavano facendo da raccattapalle. 

«Ehi, andate a recuperare l’attrezzatura da mini-volley.» 

L’anziano apprezzò «Non serve la rete, portate solo una palla più leggera, ci metteremo in un angolino in modo da non disturbare l’allenamento delle ragazze.» 

La palla arrivò insieme a troppe giocatrici per una consegna così semplice. Tobio ringraziò educatamente come il nonno gli aveva insegnato. Una ragazza all’urlo di Che carino!” 

lo abbracciò con disappunto delle altre. Le voci si moltiplicarono su come non fosse giusto e che anche loro volevano strizzare quelle guanciotte. Tobio era impassibile, mentre il nonno rideva di gusto. Ishikawa riuscì a riportare l’ordine minacciando le ragazze di usare un idrante per disperderle. «Ma è così piccolo, profumato e morbidoso.» La ragazza lo strinse più forte. «È un bambino non un gatto, lascialo andare.» E finalmente Tobio fu liberato dalle loro grinfie. 

«Guarda, Tobio,» disse il nonno con un sorriso affettuoso. «Oggi impareremo qualche altro movimento fondamentale del volley!» 

Tobio, che era rimasto come apatico fino a prima spalancò i suoi grandi occhi curiosi, annuì con entusiasmo. «Sì, nonno!» 

Il nonno prese la palla e si posizionò accanto a Tobio nella metà della palestra in cui non avrebbero recato disturbo. «Prima di tutto, qualche palleggio con la palla, proprio come fanno i palleggiatori. È un movimento molto importante nel volley. Vediamo se riesci a non farla più scivolare dalle mani.» 

Tobio si concentrò attentamente sulle parole del nonno, mentre lui gli mostrava come tenere le mani per ricevere la palla e come spingerla delicatamente verso l'alto con le dita. 

«Allora, Tobio, prova tu stesso,» incoraggiò il nonno, passandogli la palla. 

Tobio, determinato, si mise in posizione, seguendo le istruzioni del nonno. Le sue piccole manine afferrarono la palla con decisione, ma la sua coordinazione motoria era ancora in fase di sviluppo. La palla gli scivolò dalle mani e rotolò sul pavimento. 

Il nonno sorrise amorevolmente e si chinò per raccogliere la palla. «Non preoccuparti, Tobio. È solo una questione di pratica. Ricorda, tutti iniziano da qualche parte.» 

Con pazienza, il nonno riprese a spiegare i movimenti, stavolta utilizzando parole semplici e gesti lenti. Tobio osservò attentamente e si preparò di nuovo, più concentrato che mai. 

«Ora, vai Tobio! Prova ancora una volta,» lo esortò il nonno, passandogli nuovamente la palla. 

Tobio afferrò la palla e la sollevò con tutte le sue forze, cercando di replicare i movimenti che il nonno gli aveva mostrato. Questa volta, la palla si alzò un po' più in alto e il nonno riuscì a riceverla. 

«Yu-hu! Vai Tobio-chan!» Arrivò un coro lontano da loro. 

«Tornate ad allenarvi!» Un urlo di Ishikawa sovrastò il coro. 

«Bravissimo, Tobio!» Esclamò il nonno, con gli occhi pieni di orgoglio. «Stai facendo progressi! Continua così!» 

Tobio si illuminò di gioia e si lanciò nelle braccia del nonno per un abbraccio affettuoso. 

«Se continui ad allenarti e ad amare questo sport, raggiungerai grandi traguardi, Tobio.» 

Una giornata, come molte già passate e altre che sarebbero seguite.  

Il ricordo del libero che volle mettergli un fiocchetto invece lo cancello rapidamente. 
 

 ***


Ikeda scese solo quando, alla fine, si fece quasi orario per il club di riunirsi. Le prime avvisaglie furono le voci lontane di Nishonya e Tanaka, la manager rimase sul bordo del palco mentre il piccolo gruppetto sotto direzione dei due senpai presenti si erano spostati intenti a bere e riprendere fiato. Aspettò pazientemente che l’alzatore le rimettesse la sedia, in un braccio di ferro a colpi di sguardi che gli altri sembravano non aver notato. Shimada invece se ne era accorto e mentre gli altri si dirigevano verso le bottiglie per bere si era fatto avanti verso la sedia sotto lo sguardo truce dell’alzatore, non gli importava; quindi, con la sedia in mano si diresse verso il palco. 

Ikeda gli sorrise porgendogli una mano tanto da far rimanere il ragazzo confuso. 

«Dammi la mano pulcino numero quattro,» disse scuotendo appena la sua a mezz’aria. «Vorrei evitare di cadere.» 

Con una certa vergogna mista a soddisfazione Shimada fece quanto richiesto, con imbarazzo si asciugò la mano, improvvisamente sudata, sui pantaloncini prima di lasciare che Ikeda gliela afferrasse. In un gesto impacciato e troppo rigido alzò la mano. 

«Thanks for helping. I appreciate it.» Ringraziò facendo comunque più attenzione alla sedia che al viso del ragazzo divenuto rosso e alle bocche aperte in lontananza. 

«Stronzo fortunato...» Sentenziò a bassa voce Shoji con una punta di invidia in direzione del ragazzo, il cui colore epiteliale non sembrava accennare a tornare alla gradazione normale; sotto il loro sguardo si era riavvicinato trascinando la sedia con aria trasognata. 

Da dietro la bottiglia Kageyama era più intento a studiare quel problema. Il modo veloce in cui si era tolta le scarpette per indossare di fretta le calze di spugna, si irrigidì appena stringendo le labbra sul beccuccio della borraccia scorgendo una brutta cicatrice sul piede destro. Sembrava troppo lungo e spesso per essere un graffio accidentale. ‘Infortunio...’ L’unica cosa che gli venne in mente. Il cervello iniziò a proporgli alcune alternative possibili. 

Ikeda sorrise tirando fuori le scarpe nuove. 

Il logo olografico si confondeva perfettamente tra le macchie colorate che formavano il motivo di quella particolare edizione; una base bianca quasi inesistente coperta da un miscuglio dove il viola restava protagonista anche se accompagnato da un azzurro e rosa, entrambi chiarissimi abbastanza da essere definiti pastello. Il rosa, con dispiacere della proprietaria, ripreso nell’imbottitura interna e nei lacci che però aveva cambiato subito dopo l’acquisto.

«Waaaa che belle!» Osservò Hinata sedendosi per vederle meglio. «Da vicino sono anche più belle.» 

Ikeda passò i polpastrelli sulla suola in caucciù, quando le aveva comprato insieme a Helmi non credeva le avrebbe mai indossate per giocare effettivamente su un terreno che fosse parquet. Queste e quelle che aveva utilizzato a fino a consumarle a Brixton erano state più un acquisto di capriccio, una scusa per andare a Berlino e vedersi lì. Quei colpi di testa stupidi, il mettersi in fila fuori dal negozio insieme a un quantitativo di persone presenti per il medesimo scopo... 

Kageyama fece una smorfia disgustato. «Belle solo se ti piacciono le cose false.» 

Ikeda rimase in silenzio e Hinata sospirò prima di rispondergli «Sei un idiota...» Disse girandosi «Ho visto le foto nel suo profilo mentre le comprava.» 

«Non esistono scarpe così.» Ribatté. L’alzatore rivolse una smorfia ai due. 

Ikeda non sollevò lo sguardo, si mosse solo per indossarle tirando bene i lacci. 

«Ma queste non le aveva comprate la ragazza con te?» Domandò ignorando di proposito il ragazzo. Ormai sapeva quando era necessario parlare e quando no. 

«“Queste”...» Ikeda si decise ad aprire bocca per rispondere anche a Kageyama. «Sono un’edizione limitata, disegnata per il mercato europeo e venduta esclusivamente lì. Cos’è hai un feticismo per le scarpe? Da pallavolo nello specifico? Maschili? Femminili? Entrambi? Speravi di allacciarmele già adesso?» Il tono di voce sarcastico si sopì tornando normale mentre alzava gli occhi per osservare Hinata ridacchiare. «Le hanno vendute in anteprima a Berlino, la politica del negozio, però, vista la vendita anticipata e l’esclusività imponeva un acquisto per persona. Io volevo entrambi i modelli quindi Helmi ha comprato il secondo per me.» 

«Perché entrambi? Le altre dove sono?» Domandò incuriosito. I primi si erano allontanati rimettendosi a passarsi la palla, più per gioco per che allenamento, attendendo i senpai presentarsi in palestra. Kageyama invece era rimasto.  

Le labbra di Ikeda si incresparono in un sorriso accondiscendente. «Le altre le ho già belle che consumate. Entrambi perché...» 

«Se sono due modelli vuol dire che sono differenti tra loro, idiota! Come diavolo le hai comprate le scarpe fino adesso?» Kageyama non aspetto nemmeno che l’altro rispondesse «Non ti sarai curato di nessuna tabella come tuo solito. In ogni caso sono delle Beyond di merda.» 

«Oooooh, sentiamo, e perché lo sarebbero?» Ribatté Ikeda, ignorando come Hinata volesse rispondere di come fosse stato giornate intere a studiare cataloghi, consigli in rete e quelli del negozio in cui lo aveva indirizzato Kageyama stesso. 

«Hanno un colore di merda!» 

Ikeda si alzò di scatto, le mani sui fianchi sporgendosi appena verso di lui. «Oh, scusa...» Il tono sarcastico nuovamente presente, «Preferisco, almeno, qualcosa del genere. Non vedo motivi ragionevoli del perché quelle femminili nere debbano costare un rene in più rispetto a quelle rosine del cavolo. Quelle maschili non hanno uno stacco di prezzo così esagerato.» 

«Sono solo colori!» Ringhiò Kageyama non volendo mollare il punto. 

«Indossale tu rosine se vuoi! Spendere per spendere meglio queste! Venivano venti talleri più rispetto a quelle nere.» 

Kageyama si accigliò. «Che diavolo dovrebbe essere?!» 

«Poco di più! Ecco quanto!» Replicò Ikeda in tono alto, come se il ragazzo di fronte fosse totalmente stupido. ‘Bravo un corno!’ Pensò ‘Idiota. Re degli Idioti!’ 

«Ehi!» 

Si erano girati entrambi in direzione della porta. Il capitano se ne stava a braccia incrociate, serio, troppo serio, serissimo. Entrambi decisero di tacere. Dietro Ennoshita il resto della squadra se ne stava divertito. Tsukishima non si sorprese di trovarli già ai ferri corti. ‘Avrei dovuto preparare dei popcorn, dora in poi entrerò in palestra con un pacchetto’ 

«Cos’è tutta questa folla stamattina?» Domandò Ennoshita spostando gli occhi dai due, sentiti anche fuori la porta, focalizzandosi sul gruppetto di kohai al centro del campo. Come da copione, per il sollievo del duo strambo, si erano attenuti al copione concordato dicendo di come avessero in programma di incontrarsi con Ikeda per correggere i compiti di inglese avendo poi incontrato i due ragazzi si erano spostati tutti insieme in palestra. 

Tsukishima lanciò un’occhiata veloce alle scarpe di Ikeda. «Gli hai concesso il grande onore?» Domandò alludendo alla possibilità di farsi, forse, allacciare le scarpe dal Re, provocando una smorfia sul viso di Kageyama. 

Ikeda sgranò gli occhi nocciola. «Non dire sciocchezze.» 

«Mi offro volontario!» La voce di Nishinoya arrivò da dietro le spalle di Yamaguchi e Kinoshita. 

«Anche io mi offro volontario come Noya senpai!» fece eco il secondo libero. 

Shoji ghignò «Al massimo potrai essere il giullare, sarò il suo servo personale» 

«Noya smettila di dare il cattivo esempio, non dire sciocchezze dai. Yaotome non copiarlo così o finirai in un mare di guai, anche tu Shoji.» Narita poteva non ricoprire il ruolo da vicecapitano, come Kinoshita, conoscendo tuttavia l’influenza generata dalla personalità del suo compagno sapeva di dover dare manforte ed essere anche lui una voce ragionevole in più per la squadra. 

«Avanti, avanti.» Fece Ennoshita battendo le mani. «Tutti con le giacche forza. Sapete cosa fare.» 

Kinoshita batté le mani, «In fila, veloci.» 

L’invito del capitano spinse i presenti ad affrettarsi per esaudire quella richiesta. Kageyama strinse i denti voltando il capo indossando l’indumento, prima avrebbe terminato anche quella operazione prima avrebbe potuto andare oltre. I quattro ragazzi di primo anno si erano ben guardati dal dire quella cosa a Ikeda, certo quando i senpai gli avevano dato quel benvenuto si erano guardati tra loro mordendosi le labbra, sicuramente avrebbero preferito ci fosse anche Ikeda a riceverlo ma erano ben contenti di essere dal lato opposto. Infilandosi velocemente le giacche si posizionarono dandole le spalle mentre Yachi dalla busta che teneva tra le mani fece spuntare la divisa nuova, ben lavata e piegata con cura, mettendola tra le mani di Ikeda come Kyoko-San aveva fatto con lei l’anno precedente. 

Ikeda osservò la divisa. La sua nuova divisa, il tessuto in alcuni punti rifletteva la luce rendendo quel nero appena lucido e il piccolo logo bianco sul lato destro risaltava, protagonista assoluto in tutto quel nero. Ennoshita prese un gran respiro, «Tre...due...» 

«BENVENUTA NEL CLUB DI PALLAVOLO DELLE SUPERIORI KARASUNO!» Terminarono a gran voce i componenti della squadra indicandosi i caratteri sulla schiena. 

Hinata giurò che Kageyama avesse tenuto la bocca più serrata di quando cercava, invano perché alla fine capitolava sempre, con tutte le sue forze di sopportare e resistere durante le sessioni di studio con Tsukishima. L'espressione stitica era la stessa di quei momenti scanditi dall’insistente schiocco prodotto dallo spilungone occhialuto altrettanto infastidito. 

Nishinoya si voltò subito, più eccitato per quello che stringeva in mano, guardò Tanaka che annuì complice anche lui. «Ikeda aspetta! Tieni!» 

Ikeda alzò una mano, dubbiosa, afferrando quella che sembrava una maglietta. Dal colore rosa sgargiante non sembrava qualcosa di scolastico, sicuramente non qualcosa che avrebbe scelto volontariamente di indossare ma i due sembravano così allegri con un sorriso allargato da parte a parte del viso. Poggiandola sul braccio che reggeva la divisa nera, il rosa sembrava ancora più carico, la aprì per vederla meglio. Tutta quell’esaltazione non poteva derivare solo da una maglietta e infatti in breve tempo, dopo aver assorbito quel regalo, si ritrovò a ridere. Continuò a ridere senza riuscire a fermarsi tenendosela stretta mentre poggiava la divisa a terra. Il suono della risata proseguì mentre si dirigeva nello sgabuzzino. 

«Si sta...?» Mormorò Nishinoya rivolto a Tanaka, entrambi osservando la porta chiusa. 

«Gwaaaa...!» 

«Hinata ricomponiti!» 

Il blu degli occhi di Kageyama si appuntarono di nuovo sul mucchietto degli effetti personali della ragazza. La divisa abbandonata con noncuranza, come un oggetto qualsiasi, lo innervosì. Non prestò attenzione alle risatine del resto della squadra, il commento sarcastico e saccente di Tsukishima arrivò leggero segno che l’occhialuto, fortunatamente, si trovasse troppo distante da lui. 

«Lasciate che se ne accorga da solo...» 

Quelle parole invece arrivarono chiare, il timbro della voce divertito; mentre Ikeda si avvicinava. L’anonimo candore della maglietta che indossava poco prima sostituito da un accecante, fastidioso, rosa sgargiante. 

Ikeda fece cadere la maglietta appena tolta sul pavimento, tra le sue cose, e con un grande sorriso stampato in faccia prese la bottiglietta iniziando a bere. 

Raramente Kageyama aveva dei tempi di reazione così brevi al di fuori del campo; quello che vide, tuttavia, fece scattare immediatamente tutti gli ingranaggi. Tra le pieghe increspate si poteva comunque leggere chiaramente quanto scritto. 

Anche i Re devono cedere il campo 

L’espressione dell’alzatore di fece minacciosa. «Toglila...» Sibilò digrignando i denti, la voce vibrante di rabbia. «Immediatamente!» Aggiunse nel silenzio creatosi in palestra. 

Non si udiva una mosca volare. Se anche stesse volando avrebbe chiuso le ali, preferendo una caduta al suolo volontaria al volare lungo delle turbolenze che tutti avvertivano lungo la pelle sottoforma di brividi. 

Erano rimasti tutti ammutoliti. Ukai sul ciglio della porta appena giunto per l’allenamento se ne restava a bocca aperta, sicuro che quel giorno avrebbero perso l’unico alzatore in squadra per dilagante stupidità. Tutti in attesa nel sentire il suono, sordo, di uno schiaffo. 

Idiota...irrimediabilmente idiota forse...’ Ragionò Ikeda osservandolo trattenere a stento la rabbia colorargli il volto. Decise di non si mostrarsi turbata, era chiaro il limite mentale della persona che le si parava davanti. 

«Non mi hai sentito?» 

«Kageyama!!» Fece il capitano a distanza in tono di rimprovero. 

Da dietro la spalla del ragazzo, Ikeda, notò Ukai pronto per fare una lavata di capo al ragazzo che difficilmente avrebbe dimenticato, socchiuse gli occhi alzando una mano e l’allenatore si bloccò. La squadra chiuse gli occhi aspettandosi il peggio. Il rumore invece non arrivò. 

«Credimi, Kageyama...ti hanno sentito tutti,» disse Ikeda mantenendo una calma stoica provocando una risatina tirata tra i presenti, Ukai passava dal sollievo al voler mettere le mani al collo dell’alzatore. «Facciamo che vengo incontro ai tuoi limit-» 

«Non ho ness-» Kageyama la interruppe venendo a sua volta bloccato. 

«Facciamo che la metto in palio.» Disse interrompendolo a sua volta. Ikeda sospirò alzando lo sguardo su Kageyama. 

«Levala!» Ordinò Kageyama stringendo i pugni. 

«Hinata dice che ti piac-» 

«Non sono io che sto perdendo contro Hinata!» Lanciò un’occhiataccia in direzione del centrale nascosto tra Yamaguchi e Tsukishima. 

«-e gareggiare. Mi vuoi far finire di parlare?! E chi ha parlato di perdere? Cos’è? Stai mettendo le mani avanti perché sai di non poterla spuntare?» 

Kageyama inspirò profondamente dal naso tornando ad analizzare la ragazza e Hinata tremò, quel gesto solitamente anticipava un pugno o un calcio. Con sorpresa di tutti invece rimase immobile, contratto nello sforzo per combattere quell’istinto. Ma aveva sentito Ukai alle sue spalle, la presenza a intimargli di non provarci nemmeno a pensare a quel gesto. Ikeda se ne stava tranquilla, in attesa; l’angolo destro delle labbra leggermente sollevato in un accenno ironico. 

«Bene,» commentò la ragazza. Quello era decisamente un buon segno, un’ondata da prendere con le vele spiegate. «Facciamo che se riesci a intercettare, tenere e permettere di rigiocare un mio attacco di seconda io rinuncerò a questo dono,» propose lisciandosi il tessuto della maglietta sulle spalle. «Naturalmente sono escluse le schiacciate,» concluse porgendogli la mano. 

Kageyama rimase titubante, squadrando la mano protesa verso di lui. «Accetti o no? Stringila ed è fatta. Sono di parola lo hai visto,» facendo spallucce mosse leggermente le dita per invitarlo a stringerle la mano e accettare. «Riesci a fare questo e te la consegnerò subito.» 

Kageyam tentennò ancora un momento, poi strinse quella mano facendo poca pressione. Avrebbe voluto stritolarla ma quella mano gli serviva. Ikeda scosse la testa superandolo, facendo ondeggiare appena la treccia sulle spalle, bofonchiando qualcosa a voce troppo bassa per il resto della squadra ma non per lui. «Ripetilo se hai coraggio!» 

«Quale parte vuoi che ripeta Kageyama?» Chiese la manager, le labbra ancora lievemente piagate. «Quella idealizza a più idiota di te chiunque ti abbia soprannominato “Re del campo”,» fece una pausa. «Forse la parte del “Re puoi esserlo solo degli idioti”? Ripeto, confermo,» alzando una mano prese a scrivere con una penna fatta di nulla su un foglio invisibile. «Sottoscrivo.» Concluse Ikeda. 

Kageyama serrò le labbra contraendo la fronte. La squadra taceva. 

«Ti sei fatto andare bene i miei termini,» disse la ragazza dopo un istante. «Non hai fatto nessuna controproposta, nulla.» 

«Non ne ho bisogno.» 

Scacco. Ikeda alzò leggermente il capo. «Quindi non sarebbe stato meglio mettere dei paletti? Non so...accettare ma a condizione che l’azione dovrebbe essere svolta nel primo set. Entro i primi 10 punti di ogni set,» spiegò Ikeda vedendo come quei capelli corvini risaltavano sul viso che stava impallidendo. 

«Sua Ex-Maestà poteva almeno pensare di richiedere un numero minimo di pallonetti,» aggiunse Tsukishima facendo voltare tutti. 

Scacco matto. 

Ikeda schioccò le dita indicando il centrale ma continuando a fissare negli occhi Kageyama. «Avrei risposto con un numero massimo da non superare, ma ottima osservazione Tsukishima,» proseguì. «Questo ci porta al nocciolo della questione. Hai lasciato tutto in mano mia. E tu te ne starai dall’altro lato della rete con l’ansia, in una situazione in cui ti ci sei infilato da solo. Io deciderò se e quando mi andrà di farlo. Penso proprio che non mi andrà di farlo e questa maglietta resterà nel mio armadio.» 

Kageyama strinse le labbra per evitare di mordersele fino a farle sanguinare. Preso dal momento, dalla rabbia e dal desiderio di bruciare seduta stante quella maglietta si era fatto trascinare, di nuovo, da Ikeda senza rendersene conto. 

«Bene, allora facciam-» 

«No, no, no...» Ikeda sbuffò schioccando in seguito la lingua un paio di volte per continuare con quel diniego. «Hai accettato, dovevi pensarci prima. Non ci hai pensato? Un tuo problema! Ti sembro stupida? Perché dovrei ritrattare un accordo che va completamente a mio vantaggio?» 

«Ikeda,» la richiamò Ukai. «Vieni fuori un momento.» 

Guadò con calma un’ultima volta Kageyama, si girò incamminandosi per raggiungere Ukai. Le mani dietro la schiena, spalle dritte, testa leggermente alzata. «Segnatevelo questo giorno. Il prossimo anno il 15 Aprile festeggeremo il primo anno della mia incoronazione, avvenuta ufficialmente oggi.» 

‘Giuro le servo a cinque centimetri dal piede! Non la sopporto.’ 

   
 
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