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Autore: robyzn7d    22/10/2023    6 recensioni
“Non poteva non darle sui nervi quell’atteggiamento maschilista, e, per questo, non poteva non raccoglierne la provocazione. Pensava che se fosse stato quell’uomo ad estenuarla, a sfinirla più del dovuto, non avrebbe potuto farlo più nessun altro.
Quell’altro…”
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nami, Paulie, Roronoa Zoro, Z | Coppie: Nami/Zoro
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo II
Fragilità femminile 
 
 
 
Lo sfrusciare rumoroso dell’acqua, il rimbombo del suono del getto che cambiava a seconda del movimento, il ticchettio delle goccioline che scendevano a ritmo sul corpo, e lo stridio del rubinetto che veniva chiuso nel momento dell’insaponarsi erano tutto ciò che dava forma alla sua nuova tortura. 
 
L’abitacolo che li ospitava prevedeva uno spazio comune composto da una grande sala che faceva loro sia da zona giorno che da zona notte, con in più il bagno a parte. Per garantire un maggiore riposo e spazio per Robin, e ad entrambe un posto più privato in cui stanziarsi e cambiarsi, erano riusciti a ricavare un’altra piccola stanza con un letto, e Nami non poteva che esserne sollevata di quella soluzione appena diventata un salvavita in quel momento delicato. Una volta rientrata in quell’alloggio improvvisato, aveva deciso di dileguarsi proprio in quell’idea di stanza, in una fuga che raccontava di un’intenzione ben precisa: prendere del tempo, quel tanto che le serviva per ripensare a tutto quello che era successo con Pauly quella sera, per trarne le sue conclusioni ma, soprattutto, per non doversi immediatamente incontrare col suo compagno dai capelli verdi, mentre tutto il resto della loro combriccola beatamente dormiva. Compresa l’archeologa, come aveva sorprendentemente notato, vedendola collassata sul letto in uno stato quasi catatonico che non le apparteneva affatto, in contraddizione col suo essere sempre molto vigile anche nel sonno; immaginandola risentire di tutto lo stress psicologico che aveva dovuto sopportare in quelle ultime giornate. Quale soddisfazione però se non quella di vedere la sua compagna finalmente libera di rilassarsi.
E Nami era talmente assorta in sé stessa che solo dopo aver vagato ancora con la mente in pensieri su cui solitamente non si soffermava mai, mentre si avvicinava al letto, aveva notato una forma ingombrante e bizzarra con dei cappelli blu sbarazzini che stanziava accanto a Robin. Aveva sgranato gli occhi dalla sorpresa, soprattutto quella di non essersi resa conto fin dall’inizio di quella presenza, deducendo, dalla finestra sollevata verso l’alto con l’aria fresca che faceva capolinea nella stanza, un’entrata in sordina. Con la schiena poggiata al muro, il cyborg, forse sporco di fuliggine e segni del lavoro in cantiere su tutto il corpo, dormiva anche lui in bella grossa, occupando perciò parte di quella che avrebbe dovuto essere la sua metà del letto, con lo sguardo rimasto immobile su una Robin dormiente, probabilmente ignara di quella presenza al suo fianco. La mano del cyborg era anche questa rimasta immobile nel suo ultimo gesto prima di chiudere gli occhi per riposare, sporta verso quella dell’archeologa che invece stava stesa del tutto sul lenzuolo. In un’altra occasione avrebbe probabilmente preso Franky per i capelli e lo avrebbe sbattuto fuori con una bella spinta in cui avrebbe calibrato tutta la sua forza, ma stavolta no, stavolta, nella sua temporanea sensibilità, aveva sorriso col cuore. Sapeva quanto quello strano cyborg umano si era prodigato per Robin e quanto, con allegra sorpresa, le era stato il più inimmaginabile degli amici, o, forse…amanti…? Nami si rese conto immediatamente di aver azzardato qualcosa di così infondato, insensato e forse paradossale, ma dopo quella serata, dopo quell’avventura irrazionale e sciocca con Pauly, stava iniziando a dar più peso ad un suo lato che aveva bisogno di un certo…romanticismo. (?)
Ma, ancora una volta, quel fruscio dell’acqua l’aveva velocemente riportata alla realtà come uno schiaffo gelido che l’aveva fatta quasi sussultare, risvegliandola da quell’intorpidimento dei sensi in cui era caduta. 
Aveva evitato di uscire dalla stanza nel momento stesso in cui aveva sentito dei rumori provenienti dalla sala, e aveva immaginato che Zoro, rientrato subito dopo di lei, avesse fatto tappa in bagno per una doccia rapida. Le gambe le erano rimaste ben impantanate al pavimento, decidendo così che sarebbe rimasta lì finché lui non si sarebbe deciso ad addormentarsi. E, conoscendolo, sapeva che non ci sarebbe voluto poi molto tempo. Ma, nel momento stesso in cui aveva udito prima la porta del bagno chiudersi e l’acqua scorrere, aveva realizzato come tutte quelle congetture, riflessioni, osservazioni che le occupavano tutti i pensieri, l’avevano distratta da quel brontolio che sentiva nello stomaco e da quella voglia costante che richiamava un po’ di liquore a gran voce. 
Avvertiva il divampare di un incendio che le partiva da dentro. E più quell’acqua scorreva e più la sua pelle bruciava. Scosse la testa in preda ai tormenti che Pauly le aveva innescato nella testa. ‘E se non fosse più riuscita a scacciarli via?’ si chiedeva, spaventata, mentre sostava al centro dalla stanza. Si stupì di sé stessa quando mentalmente fece una supplica verso Zoro di muoversi a chiudere quell’acqua o lei avrebbe continuato a immaginarcelo sotto. 
Non sapeva cosa fare. Avrebbe tanto voluto sprofondare sotto alle lenzuola e dormirci sopra a tutto quel marasma di tormenti e congetture di quella sera, ma per poterlo fare avrebbe dovuto rovinare quella visione che aveva davanti agli occhi e che un po’ la stava commuovendo. Scosse nuovamente la testa inorridita da sé stessa. ‘Cosa stava aspettando a svegliare quell’idiota di un cyborg e cacciarlo via a calci?’ ma quelle mani che quasi si incontravano, senza sfiorarsi, erano bloccate nella sua mente come un ricordo sacro, una romantica metafora della sua stessa situazione. 
Era finita. Era una donna finita se bastava questo ad incantarla! Continuava a maledire mentalmente il carpentiere biondo con quel suo dannato sigaro sempre in bocca, perché in qualche modo le aveva fatto qualcosa, anche se non sapeva bene cosa! Anche se, pensava, forse non era del tutto colpa di Pauly, forse in quel momento vedeva solamente un uomo che senza fine personale aveva fatto tanto per salvare Robin, per aiutarla nel suo momento peggiore, e questo, per sua esperienza, significava tutto. Uscì dalla stanza, chiudendo loro la porta, lasciandoli così in pace.
Si ritrovò nuovamente nella sala e, nel momento in cui aveva superato i letti raggiungendo la cucina, venne colta da un sobbalzo improvviso quando da dietro alle sue spalle un mugugno l’aveva improvvisamente raggiunta, raggelandola; ma, voltandosi, aveva scoperto immediatamente che quel verso apparteneva ad un Chopper dormiente, preso senza indugio dai suoi sogni. La parte più a nord della stanza ospitava i letti a castello con sopra i propri compagni che dormivano esausti - nemmeno se si fosse messa ad urlare probabilmente si sarebbero ripresi alla svelta - con una luce più fiocca ad illuminare quel perimetro. 
Nami si domandava com’é che quella più pensierosa e complicata doveva essere proprio lei, quando avrebbe voluto volentieri starsene a dormire per riprendere energie, sia fisiche che mentali, mentre tutti loro dormivano alla grande nonostante quel peso che aleggiava sopra le teste di tutti.
Beh, tutti, tranne uno. 
 
Quando lo stomaco brontolante aveva preso a martoriare con insistenza, si diresse al frigo, riempendo una parte del tavolo di tutti gli avanzi che Sanji aveva rinchiuso in modo ordinato e premuroso all’interno dei contenitori. Aveva deciso di approfittare di quella doccia insolitamente lunga per fare un veloce spuntino, consapevole di non avere più un posto dove fuggire, cercando di accettare che non sarebbe riuscita ed evitare così di incontrarsi con lui faccia a faccia. Aveva però perso troppo tempo in stupidaggini, perciò, quando nelle sue orecchie risuonava solo il rumore delle ultime goccioline cadere sul pavimento, s’irrigidì. Cercò di affrettarsi nel combinare il suo panino, sperando di riuscire anche a riposizionare tutto in frigo, sentendo i battiti del suo cuore aumentare, come se avesse avuto un timer il cui ticchettio segnava i secondi che mancavano allo scoppio della bomba. I passi di Zoro che arrivava alla porta del bagno certamente non aiutavano a diminuire la tensione. 
Maledizione. 
In quel momento, Nami comprese non solo che non avrebbe mai fatto in tempo a riporre tutto nel frigo, ma anche che si stava comportando in modo esageratamente ridicolo. Doveva tirar fuori tutto quell’autocontrollo che raramente possedeva, ma a cui poteva ricorrere in caso di bisogno. L’idea di affrettarsi per non affrontarlo avrebbe potuto invece farla cogliere in fragrante mentre se la svignava, e quello sarebbe stato sicuramente più difficile da spiegare e rischioso da mettere in atto. Ma poi, si chiedeva, dove avrebbe potuto svignarsela? Con lui ci voleva sempre e solo polso duro e sicurezza, o si sarebbe insospettito. 
Ma poi, ancora continuava a macinare, per questo si era sentita così calda? Per una cosa così ridicola come un uomo nudo? Ma lui non era un uomo qualsiasi... 
Sentì un nodo alla gola e una strana nausea allo stomaco e capì di doversene andare da lì. Non era stabile. Stava però riuscendo a mantenere abbastanza il controllo di sé stessa, seduta al tavolo mentre finiva di preparare il sandwich. 
“Dannazione a quel Pauly!” esternava ad alta voce, mentre continuava a pensare a quei discorsi frivoli e inutili. E infatti, come preannunciato, in un batter di ciglio, il suo compagno era fuori dal bagno. 
Nami s’irrigidì ancora una volta quella sera, e mentre realizzava il fatto che quello si stesse per palesare davanti a lei, non poteva riuscire a pensare a chissà cosa le avrebbe detto, sempre se l’avesse pur avuta qualcosa da dirle o se si fosse diretto a dormire senza accennare nemmeno un saluto. Cosa che l’avrebbe fatta imbestialire ancora di più, così tanto da farle tagliuzzare con il coltello con più forza e precisione una fetta di pomodoro decisamente troppo grande. Ma in fondo, per loro, non sarebbe stato meglio evitare di parlare direttamente? 
Alzò la testa pronta all’ignoto, consapevole di non aver preparato nessuna difesa per proteggersi. Ma proprio in quel momento notò che il compagno appena uscito la guardava assonnato e con tanti punti di domanda che gli alleggiavano sulla testa. 
“Che fai ancora sveglia?” 
Nami, rimasta pietrificata, incurvò lo sguardo e aggrottò la fronte in preda ad un panico che stava svanendo, perdendo una manciata di anni di vita tutti insieme. 
“Rufy?” 
“Si?”
“Ma sei sempre stato tu ad occupare il bagno?” 
“Avevo caldo e ho fatto una doccia” le rispose con uno sbadiglio incontrollato e senza nemmeno portarsi la mano alla bocca per coprirlo. “Ora però me ne torno a dormire.” 
“Ma non c’era Zoro?” 
Il capitano fece spallucce dando una veloce occhiata alla stanza “Qua non c’è” le disse, prima di rubarle le fette già tagliate di formaggio e pomodoro, per poi raggiungere il suo letto a castello, dove s’era arrampicato con un gesto rapido per collassare velocemente confondendosi tra le coperte. 
“Questo potevo vederlo anche da sola!” Nami lo ignorò, riprendendo a tagliuzzare e respirare insieme. Un gesto che di conseguenza ricreava un suono che le serviva per quietare i bollori, fermare il tempo, capire dove fosse posizionato il compagno. 
Non é più rientrato? Che gli sarà preso?
Smise di tagliuzzare il frutto, componendo il sandwich con il restante avanzo lasciato dal capitano. Ma era poi rimasta immobile, con uno sguardo fermo sul panino e la mano ancora a mezz’aria su di esso. Cosa le stava succedendo? Perché doveva sentirsi spiazzata da questa sorpresa? 
Poi si rese conto di quanto fosse assurdo che Rufy andasse a fare una doccia nel bel mezzo della notte. E capì che forse non era così tranquillo come lei aveva creduto. Che forse quel momento era stato per lui un tormento che non avrebbe voluto far vedere a nessuno e che aveva tentato di scacciare via con l’acqua. E di nuovo il fantasma dell’ammutinamento di Usop occupò tutta la sala, lasciandola sprofondare in quel dolore, portandosi dietro quella minaccia che l’accompagnava, con uno Zoro le cui azioni non riusciva a comprendere. 
Il sandwich pronto da svariati minuti sostava ancora sul piatto sotto ai suoi occhi, in attesa di essere consumato. Ma in tutto quell’attimo di voltastomaco legato ad una strana e forse irrazionale paura, non sarebbe mai riuscita a buttarlo giù. Le dispiaceva per il dolore di Rufy che non poteva gridare a voce alta, in quanto capitano con delle responsabilità, costretto da Zoro ad adempierle; e le dispiaceva per Usop, che lei vedeva bene soffrire per il suo orgoglio. Tutti stavano soffrendo. Tutti loro avrebbero voluto affrontare questo dolore trovando una soluzione - tutti tranne uno
Con un gesto delicato ma deciso, aveva allontanato il piatto con la mano. “Mi é passata di nuovo la fame!” e non lo aveva in realtà annunciato a nessuno, se non a sé stessa, ma non aveva potuto fare a meno, come reazione, e senza pensarci eccessivamente, di alzarsi in piedi, raggiungere la porta e aprirla con un gesto brusco e deciso. 
E lui era lì. 
 
Stava seduto sulla stessa roccia su cui lo aveva trovato al suo rientro, occhi chiusi, braccia incrociate al petto, le sue due spade accanto. Era tutto lì, dunque, Zoro? Obiettivi da raggiungere, regole da seguire, sentimenti da evitare. Strinse il pugno lungo al fianco, mordendo dentro una vagonata di parole che avrebbe voluto gettargli addosso ma che per fortuna riusciva a trattenere. 
E Nami aveva iniziato a capire solo in quel momento, con la mano ancora ancorata alla maniglia della porta, che l’amore le faceva così tanta paura perché non poteva controllarlo. 
“Che cosa fai? Perché sei rimasto fuori?”
Aveva sentito subito la tensione circondarli, facendo caso all’abbondante serietà di cui quel volto ne era impresso. Lei, comunque, non si impegnava affatto a nascondere troppo quello che provava, alimentando un nervosismo già palpabile in quel modo che aveva di reprimere i sentimenti che si sentiva tutto. 
Zoro l’aveva avvertita lasciar scivolare dalla mano la maniglia della porta che le si chiudeva in automatico alle spalle, e facendola sussultare silenziosamente, aveva aperto gli occhi nel momento in cui lei aveva avanzato fino ad arrivargli davanti, mentre si stringeva inconsapevolmente nella giacca di Pauly in un'azione spontanea che venne frantumata quando lui la raggelò con un’occhiata. 
“Allora?” Nami cercava di evitare quella serietà che a volte era un porto sicuro altre sapeva essere assai fastidiosa. Lo aveva squadrato per bene, indispettita, trovandolo con lo sguardo fisso su di lei senza però risponderle, con quell’aurea da bello e dannato che si portava sempre dietro. Aveva scosso il capo, nel suo modo plateale, senza smettere mai di guardarlo, ricambiando quello sguardo enigmatico che le stava riservando e che la stava mettendo a disagio in modo che non aveva mai vissuto. E, chiedendosi cosa vagasse nella mente del compagno guardingo, continuò quel gioco non smettendo di perdere il contatto visivo con lui che sembrava lo stesso Zoro di sempre, ma con qualcosa di diverso rispetto a poco prima, quando lo aveva trovato lì fuori, senza riuscire a capire cosa fosse cambiato in un tempo così breve. 
Perché la stava guardando in quel modo ambiguo? Perché tutto d’un tratto sentiva una strana sensazione di calore nel petto? Era quella tensione di cui Pauly blaterava tanto?
Ma lei buona e calma non ci sapeva proprio stare e con un gesto irruente aveva alzato le braccia in aria nel suo fare teatrale ed eccessivamente drammatico.
“Ma insomma che diavolo ti prende?”
Aveva esagerato, come consono anche con il tono di voce, ma d’altronde era una caratteristica che le apparteneva. Scocciata per quel fastidioso mutismo, non aveva nemmeno aspettato che lui si muovesse, ed era stata direttamente lei ad avvicinarsi maggiormente, incrociando le braccia al petto mentre cercava di sovrastarlo fisicamente, sospirando agitata, in un nervosismo nascente in procinto di esplodere. Era tentata di lasciarlo stare, piegare i piedi e andarsene, tanto ormai non capiva le sue decisioni e i suoi gesti, ma qualcosa di inspiegabile la stava trattenendo lì. Forse la stessa forza invisibile che l’aveva spinta ad uscire, nonostante quella situazione era tutto ciò che aveva cercato di evitare da tutta la sera. Era esausta di dover avere sempre quel comportamento autoritario da maestrina costretta ad attirare l’attenzione di un adolescente capriccioso. 
E lui, ostinato, era rimasto in silenzio, non ignorando però le sue movenze, continuando ad indugiare su di lei. Se ne stava seduto, non proprio nascosto nel buio, dal momento che si prendeva quello spazio sulla roccia come se fosse stata solo sua, ma così, illuminato dalla luce della luna, solo, dava sempre la stessa impressione di quello che continuava a portarsi dietro situazioni che lo rendevano chi in realtà non era per davvero: un solitario. 
“Sono venuta a controllare se stessi bene”
lo guardava dritto negli occhi senza alcun timore di lui.
E lui la vedeva, così fiera, decisa, lo sguardo molto poco arrendevole. E la sentiva anche, sentiva che la stava in qualche modo indisponendo con quell’atteggiamento.
“Vedo che è così. Allora me ne torno dentro”
gli disse, stanca di non avere attenzione o uno straccio di risposta. 
Lo spadaccino, come risvegliatosi da un richiamo a cui doveva rispondere seppur contro la sua volontà di affrontare quel discorso, si era piegato un po’ in avanti, forse pronto a fermarla, a dirle finalmente qualcosa. Nami, capendone l’intenzione, rimase allora immobile, tendendo immediatamente le orecchie, in preda ad un'ansia che non sapeva spiegarsi. 
“Giacca nuova?”
La rossa strinse gli occhi più volte confusa, senza capire a cosa si riferisse, abbassando lo sguardo per guardarsi sul torace, ricordandosi d'indossare ancora quella di Pauly. Doppiamente confusa, alzò lo sguardo riscontrandosi con lui che non aveva smesso di scrutarla attentamente in volto.
“Che vuoi dire?”
“Niente.”
“Ma insomma che ti prende?”
Zoro sapeva che se anche lei si intestardiva in quel modo, e minacciava di andarsene, togliersela di torno o farla calmare, non sarebbe stato così facile, così, forse per questo, forse per altro, le gettò un amo. 
“Ho saputo…” aveva preso qualche secondo di finta calma come a concentrarsi per pensare, mentre Nami pendeva dalle sue labbra in un’attesa che la mandava fuori di testa “che sei arrabbiata con me.” 
Con le sopracciglia improvvisamente aggrottate, lei continuò a sentire quel calore divamparle dentro, cosa che la spinse ad abbassare lo sguardo per un attimo verso il basso, con la bocca semiaperta e l’ansia che le entrava da una piccola fessura tra le labbra che la faceva respirare appena. 
Immediatamente l’idea di andare a picchiare Pauly non era mai stata così forte e decisa nella sua mente, sarebbe stato la sua valvola di sfogo necessaria, l’unica soddisfacente in quel momento. Odiava sentirsi così scoperta. Ma fu quando un pensiero scabroso le aveva attraversato la mente che il mondo aveva smesso di girare, con un solo pensiero fisso, e se…Che altro aveva detto quella bocca larga di quel balordo di un carpentiere? 
Adesso sentiva di essere lei quella silenziosamente rimproverata in quel momento, benché conscia di essere ancora sotto quello stramaledetto sguardo difficile e giudizioso.
“Maledetto idiota!” aveva sibilato tra i denti senza farsi sentire, riferita al biondo. 
“Quindi é così?” Zoro, che non aveva alcuna intenzione di parlarne ma che allo stesso tempo non riusciva a trattenere troppe verità che dimoravano in lui come un parassita che stava iniziando a costruire il suo nido e voleva sfamarsi, aveva approfittato di quel momento di incertezza negli occhi di Nami per prendersi il suo spazio. 
“É stato lui a dirtelo?” 
volta a guardarlo nuovamente negli occhi, in una finta indifferenza che non riusciva a trasmettere, cercava di trattenere quella rabbia mista a vergogna che provava, incapace di gestire una situazione che aveva perso di vista, in cui le informazioni non erano più a suo favore. 
“Che altro ti ha detto?”
domandò, con le guance tra l’essere accaldate dentro e gelide come quelle di una statua fuori, impossibilitata nel trattenere questa domanda. In un primo momento era rimasta sorpresa quando aveva scorto un broncio in quell’espressione ferma e immutabile, per poi dimenticarlo in fretta, troppo concentrata in una morsa che le teneva in ostaggio lo stomaco. 
“Allora? Che cavolo ti ha raccontato quell’idiota di un carpentiere? Non credo che sia rimasto qui fuori con te così a lungo per una chiacchierata al chiaro di luna!”
Stringeva le estremità di quella giacca con tutta la forza che possedeva nelle dita delle mani, immaginando che quel tessuto duro fosse il collo di Pauly, pronto da torcere in un solo gesto deciso. 
“Noi non di certo” si alzò in piedi e, prendendo le spade in mano, le era passato accanto superandola “ma a voi sembra sia andata così.”
È stato LUI a dirtelo.
Era solo un pronome. Eppure, rimanevano tre lettere così dannatamente fastidiose per le sue orecchie. Con quel suo fare serio ma pungente, che poteva essere irritante come poche cose al mondo, Zoro aveva reagito. 
Nami si raggelò fin dentro alle vene. Lo avrebbe ucciso, avrebbe ucciso quel biondo muscoloso maschilista pieno di debiti. 
“Ma che diavolo dici?”
Gli urlò dietro come a voler mettere un cerotto all’aria, un cerotto su un’insinuazione sbagliata. 
Una frase, una reazione, un dubbio che era stato insinuato.
Non era stata una domanda ma una constatazione. E questa cosa la feriva. Perché Zoro arrivava sempre alle sue congetture senza mai prima chiedere. O meglio, senza prima indagare di più. A volte gli bastavano che poche informazioni per arrivare alle sue conclusioni. E questo era il suo più grande difetto. 
Nami non ricordava lucidamente bene cosa fosse successo con Pauly, il momento che aveva vissuto, i sentimenti che aveva provato, ma allo stesso tempo sapeva che quell'affermazione, l’allusione che Zoro le aveva appena gettato addosso era errata. E adesso, senza un motivo valido, non si sentiva bene, anzi, si sentiva improvvisamente uno schifo. 
E sapeva anche che era inutile provare a discutere con lui nel modo in cui voleva lei, spesso quando in ballo c’era troppo nervosismo, e la situazione eccedeva di sensibile complessità, tendevano a scontrarsi, così, decise di cercare di stare calma il più possibile, onde evitare di peggiorare questa falsa congettura. Lei sentiva che si trovavano dentro ad uno strano tormento, uno di quelli in cui mai avrebbe detto che Zoro avrebbe potuto sguazzarci dentro - ma in fondo nemmeno lei; e non riusciva più a ricordare quanto tempo avesse passato con Pauly, e cosa fosse successo di preciso tra loro, o meglio, a lei. Cosa avrebbe potuto dire per rassicurare il suo compagno? Ma poi, perché avrebbe dovuto rassicurarlo? Da che cosa? 
Lei era conscia del fatto che avrebbe anche potuto spiegarglielo, ciò che era successo quella sera, ma aveva anche una gran voglia di non voler dare quel genere di spiegazioni, quando lei stessa aveva solo vissuto un momento, cercato di sfogare la sua agitazione a suo modo. 
“Mi sembra che ti preoccupi un po’ troppo di sapere cosa mi ha detto quel tipo!”
Una rabbia che prendeva di nuovo a scalciare dentro di lei, non tanto quando pensava a Pauly, ma quando sentire la voce di Zoro liberare ancora quell’arroganza le faceva risentire quella sua minaccia antipatica nella testa, risentendo quelle parole che l’avevano irrimediabilmente ferita fare eco ai suoi pensieri. Sentiva di avere un grido in gola che si sforzava di reprimere, mentre pensava a cosa tutto volesse urlargli in faccia, lasciandosi alle spalle quelle allusioni che lui stava tirando in ballo. 

Allora sarò io a dire addio alla ciurma! 

Si bloccò.  Si era ripromessa che lo avrebbe trattato con freddezza per fargli sentire il gelo che aveva sentito lei a causa sua.
Ma poi, non era riuscita a farlo per davvero. 
“Zoro!”
Prese un profondo respiro e si disse che ne valeva la pena esporsi, stavolta. Per lui. Anche fosse stato gettargli tutto addosso. 
Il tono si era abbassato, la voglia di litigare quasi assopita, quella di saperne di più, invece, accresciuta.
“Avresti potuto evitare di dire quella cosa.”
“Che ti preoccupi troppo di quello che mi ha det-.” 
“Pauly non c’entra un tubo!”
Zoro non faceva il finto tonto, voleva solo sentire da lei quale fosse il vero problema, a cosa esattamente si riferisse. 
“Ah, e così che si chiama” 

Lui sapeva che doveva ringraziare la sua forza se poteva essere quello che era senza farsi troppi problemi. Essere lui sembrava difficile, e forse lo era davvero, per via dei carichi che era solito portarsi addosso, delle rinunce a cui si sottoponeva, ma a volte sembrava essere anche piuttosto facile. Si buttava a capofitto nelle battaglie che faceva diventare sue, e poi, se non fosse sopravvissuto, avrebbe concluso lì, in pace, lasciando la decisione al destino senza nessuna remora. Ma senza questa grande forza come sarebbe stato? Lo stesso così vigoroso, moralista e a suo modo violento nelle sue decisioni? Ma lui non era mai stato veramente una persona violenta, aveva solo bisogno di sfogare quella rabbia violenta che spesso si portava dentro, che effettivamente erano due cose diverse. E forse era quello che lui aveva bisogno di fare anche in quel momento. Era stato il suo modo di reagire ad una delusione grande come una casa. Una delusione da uomo d’onore, pirata, compagno fedele per la sua ciurma; un dettaglio che Nami non poteva capire. Non che per lei la fedeltà non fosse importante, in realtà era tutto ciò che voleva di più prezioso, ma lei sapeva anche andare oltre quando aveva la certezza che quell’amico in questione voleva bene a tutti loro. Ma per Zoro, e per il suo codice, era un discorso assai diverso. 

“Zoro!”
Era l’unica quando pronunciava il suo nome a fargli rabbrividire il corpo, quando anche per terrore, però.  
“Anche agli altri, quella volta, hai fatto la stessa minaccia?” 
“Umh?”
Si avvicinò un po’ di più a lui. Lui che ancora le dava le spalle, pronto per primo ad abbandonare il terreno di scontro.
“Quando sono stata io ad andarmene, a lasciarvi…”
Nami era solita, quando si arrabbiava, di reagire. E toglieva fuori tutto il suo armamentario se voleva arrivare ad un punto, o ad aver ragione. E Zoro lo sapeva molto bene. Forse più di chiunque altro.
“Non é la stessa cosa.” 
Lui voleva provarci ad essere distaccato, ma Nami aveva appena tirato fuori quella che era stata una ferita sanguinante. Al contrario di Usop, non si trattava di delusione, ma di un ricordo doloroso al sapore di ingiustizia. Nami aveva mentito, era fuggita, gli aveva abbandonati, ma se avesse potuto scegliere non l’avrebbe mai fatto. Usop, invece, stava prendendo delle scelte ben precise senza nessuna situazione insormontabile sulle spalle, se non guidato dal suo mero orgoglio. E questo in realtà lo sapevano molto bene entrambi. Ma Nami non voleva vederlo. Voleva sbatterci la testa fino in fondo alla questione. 
“Non m’importa.” 
Lei reagiva in questo modo al dolore. Lei aveva necessità di reagire e basta. Era capace di vedere oltre a queste stupide battaglie, di arrivare al punto, di vedere l’orgoglio di Usop e perdonarlo seduta stante. Lo avrebbe torturato in un secondo momento, lo avrebbe malmenato, sgridato, punito, ma solo dopo la certezza che non lo avrebbe perduto. 
“Importa invece.” 
Ma Zoro no. Zoro ci andava pensante. Zoro non perdonava scuse che non vedeva arrivare. 
“L’ho fatto anche io! Vi ho fatto la stessa cosa per mio interesse personale! Perché io sono stata perdonata e Usop non può avere lo stesso?” 
Nami sapeva che Zoro poteva essere anche forte e imponente, ma in quel momento, nel momento stesso in cui lei aveva sollevato quella questione, posto quella domanda, in cui aveva tirato fuori quella storiala sua storia, era sembrato anche e soprattutto fragile. E in un certo senso era colpa sua. Ma non riusciva a farne a meno di volerlo provocare. 
“Smettila di tirare fuori questa storia!”
Lo sentiva adesso, alzare leggermente la voce ma cercare di trattenersi, mentre voltava le spalle girandosi nella sua direzione, guardandola in faccia
“perché diavolo lo stai facendo?”
“Se tu mi dici perché stai montando tutta questa sceneggiata contro Usop!”
“Starei montando una sceneggiata, secondo te?”
Zoro non poteva crederci. Stava davvero facendo un paragone simile? Si chiedeva se lo pensasse davvero o se lo stesse facendo di proposito ad esagerare. 
“Si, stai montando una scenata capricciosa!” 
“E Usop che l’ha montata la scenata capricciosa!”
 
Lei credeva di vivere un’inferno, se pensava di doverne perdere anche solo uno di loro…ma dopo quell’esperienza assurda con Pauly era anche riuscita a capire qualcosa in più, a schiarirsi un po’ le idee, ripromettendosi di non concertarsi troppo solo su sé stessa, perché dopotutto non era l’unica a soffrire. Lì dentro soffrivano tutti e c’era chi aveva perfino la forza e il coraggio di affrontare la giornata tenendosi dentro ogni cosa, nonostante tutto. Rivide Rufy uscire dalla doccia nel cuore della notte. Doveva soffrire così tanto, e come capitano non poteva piangere sulle spalle di nessuno. 
Nami si prese un attimo per respirare, prima di riprendere a portare il compagno all’estremo delle sue emozioni. E, conoscendo Zoro, non ci sarebbe voluto poi così tanto. Era già riuscita a fargli fare un clic. Lo fissò dritto negli occhi e…
“Io non ti ho mai chiesto scusa.” 
Nami avrebbe giurato di averlo sentito smettere di respirare.
“Ti ho detto che non è la stessa cosa!”
Sentì quella voce che gli grattava la gola venire fuori a fatica in una rabbia che non aveva voglia di provare. Era troppo aggiungere questo ingrediente a quella serata, era troppo per lui sopportare anche questo tormento.
“Perché le stai provando tutte per farmi arrabbiare!?”
Il verde si era voltato a lei del tutto, con gli occhi sgranati, il cipiglio all’insù, rimasto spiazzato da simili frecciate che per lui non avevano nessuno senso logico, niente in comune come situazioni, seppur potessero sembrarlo.
“Ti sei chiesta invece se Usop vuole davvero essere perdonato da noi? Ti sei chiesta se lui pensa di aver sbagliato?
Nami non avrebbe mai voluto riassumere Zoro come un ricordo di una presenza che prima c’era e poi non ci sarebbe stata più. Non sarebbe stato il più doloroso dei suoi rimpianti, doveva vuotare il sacco, doveva farsi sentire da lui. Ma allo stesso tempo quella sua ottusità la lasciava di stucco.
“Ma come ci riesci…” voleva urlare, urlare, urlare forte “a non provare un briciolo di interesse e…di amore…?”
E per questo Nami era ancora così dura con lui, ma non poteva essere altrimenti. Non poteva aprirsi a chi invece era capace di chiuderle il cuore davanti in modo così naturale.
E aveva usato la parola amore, ancora non poteva crederci! Maledetto carpentiere!
“E questo che credi?”
“Io credo che non ne provi abbastanza. Altrimenti non potresti essere così distaccato, da Usop…da noi…”
“Anche da voi?”
“Lasceresti la ciurma per una sciocchezza.” 
“Smettila di prenderla alla leggera, Nami!” aveva sillabato a denti stretti, cercando anche lui a sua volta di non infuriarsi. 
Zoro si allontanò, proseguendo verso il nulla - dal momento che non si stava dirigendo alla porta - come se si fosse ustionato. E ben due volte quella sera. Come se avesse paura di starle troppo vicino, senza voler rischiare ancora di venire inghiottito e scombussolato da quel vortice chiamato Nami. 
Ma lei avanzava a sua volta, cercando di raggiungerlo, come se quei passi nell’ignoto anticipassero la sua ritirata. Come se vedendolo avanzare ancora avrebbe significato il non rivederlo mai più. 
“Ma quanto sei testardo!” e in quel momento per Nami quell’appellativo era paragonabile ad un insulto. Quel loro legame avrebbe dovuto essere la loro ancora di salvezza, e anche se il buio adesso era temporaneo e la mancanza di risposte su Usop li aveva abbattuti tutti, ne sarebbero potuti uscire. “Dovremmo pensare a trovare un modo per migliorare le cose affrontandole insieme, senza creare altri inutili contrasti!”  
E lei non sapeva cosa la spaventasse di più tra l'idea che Zoro non la capisse, non capisse quello che lei stava passando o il fatto che lui non fosse spaventato dall’idea di perderla, così come lo era lei.  
Non riusciva a sentirlo in quel momento, e questo perché lui probabilmente non glielo permetteva. La teneva fuori. Oppure era tutto lì, lui era quello e basta. Tutto ciò che lui dimostrava di volere, che reputava più importante, era scomparire, andarsene, se le cose si fossero svolte in quel modo che lui non avrebbe mai potuto accettare. 
E si rese conto che cercare di conoscere davvero qualcuno era davvero complicato, forse impossibile, specie con tutti quei dannati muri che si trovava ora ad affrontare. O forse non erano nemmeno dei muri, era solo Zoro. 
“É proprio nel tuo stile confondere dei principi morali per ‘inutili contrasti’.” 
Era successo, lo aveva innervosito. E infatti non lo sentì parlare con aria di trionfo, o di provocazione, tutt’altro. 
“E il tuo stile invece è sempre quello di giudicare pesantemente le persone senza prima sapere la verità!” 
“Ti riferisci a qualcosa in particolare?”
“Lo sai a cosa!”
“Se sei qua per farmi prendere una decisione diversa, sappi che non cambierò me stesso perché tu vuoi aver ragione.” 
Per Zoro quello era un concetto molto chiaro. Non aveva intenzione di creare dei muri. E non si sentiva colpevole di aver aggravato una situazione già complessa. La sua reazione, per lui, era quella giusta, quella che tutti dovrebbero pretendere, avere, rispettare. In più, non si sentiva così distaccato dagli altri sentimentalmente come lo incolpava Nami. Ci teneva ai suoi compagni. E teneva a lei. In un modo così forte che nemmeno lei poteva saperlo, tanto che ammetterlo nei pensieri era così devastante che a parole non sarebbe mai riuscito a tirarlo fuori. 
 
Nami rammentò che quelle di Zoro erano state condizioni anche di Pauly, in cui ne aveva immediatamente capito la reazione e concordato con lui. E seppur in quel momento aveva reagito male, ora vedeva che per loro c’era solo questa strada davanti. Anche sforzandosi nel trovare soluzioni, per loro c’era solamente un’opzione. Chiedevano delle semplici scuse, tutto qua. In fondo questi uomini che le rovinavano la vita non stavano nemmeno pretendendo qualcosa di troppo folle o spropositato. E lei questo lo sapeva bene, solamente che la sua filosofia di vita era differente. 
Pauly le aveva fatto capire che anche non avere orgoglio poteva essere deleterio per tutti. Ma nonostante ci provasse nel cercare di diventare complice di quella decisione, non ci riusciva. Se lui aveva i suoi principi, regole, codice morale, anche lei aveva le sue idee, e dovevano avere la stessa importanza. Lei poteva metterlo da parte l’orgoglio, per salvare un amico. 

“Ti sbagli” continuava a cercare di monitorare il respiro, dominare i suoi istinti rabbiosi.
Vide Zoro voltarsi ancora una volta, sempre serio, ma sembrava anche un po’ provato da quella conversazione. O dalla serata, tutta. Ma sembrava pronto ad ascoltare il seguito. 

Allora sarò io a dire addio alla ciurma! 

Quanto faceva male quella frase.
Ma come poteva farglielo capire in altri modi che non la scoprissero eccessivamente nei sentimenti? 
Avrebbe dovuto scandire solo un paio di parole, avrebbe dovuto dire solo Te ne andresti. E mi lasceresti come se non fossimo niente per nessuno motivo che riguardasse noi.
Ma come avrebbe potuto dire una sciocchezza simile. Eppure, quelle non erano solo parole, erano un sentimento, ed era anche bello intenso. Ed era maledettamente tutta colpa di Pauly che l’aveva quasi costretta a farlo uscire, a fargli prendere una dimensione reale da cui non sarebbe più potuta scappare. 
Accettare l’idea che lui potesse sparire dalla sua esistenza a questo punto del viaggio, a questo punto del loro incontro, a questo punto di essersi abituati alla reciproca presenza, alla stregua di un doloroso tormento, dividendosi per sempre senza che non lo volessero entrambi, era davvero tanto da pretendere. O forse per lui era normale, forse lui lo voleva. E questo faceva molto più male al cuore di Nami. 
Perché era così difficile urlargli che questa sua decisione le ustionava le membra? 
Si domandava ancora in un grido silenzioso e soffocato. 
Quella mattina era riuscita ad opporsi davanti a tutti, le era venuta naturale quella reazione. E nessuno l’aveva appoggiata. Tutti erano rimasti in silenzio. Persino Sanji aveva dato ragione a Zoro. E Rufy lo aveva ascoltato seduta stante senza opporsi. Sapeva che Zoro e Usop avevano un egual importanza per il capitano, non si era mai posta questo dubbio in merito, ma allo stesso tempo Rufy stava facendo una scelta. Aveva iniziato ad assumersi le sue responsabilità nel momento peggiore - o migliore, risponderebbe Zoro. E lei non si era mai sentita così sola. Possibile che fosse stata l’unica a preoccuparsi di quella maledetta minaccia? 
Possibile che Pauly avesse avuto ragione e fosse così dannatamente innamorata di Zoro che la paura di perderlo per questo, l’aveva ferita così tanto da farle perdere la testa? E qualcuno si era reso conto della sua reazione? O erano tutti talmente orgogliosi da sacrificare i propri sentimenti in proposito? 
Era stato così strano, così incomprensibile, così…assurdo!
“Non ho mai avuto intenzione di cambiare chi sei. Ma cambiare idea su qualcosa di importante non significa ignorare te stesso.” 
In quel momento Nami non poteva sentirlo che lui era sempre stato vicino a lei, perché quella minaccia sovrastava ogni cosa, ogni gesto, ogni momento che avevano condiviso, troppo immersa com’era in quella paura che aveva di perderlo. E invece disse qualcos’altro, seppur simile di significato era lontano per impatto.
“Io vorrei solo che tu ti rendessi conto del peso e delle conseguenze di questa tua decisone. Lo sei?”
“Sono sempre pronto alle conseguenze.” 
“Ne sei così certo?”
“Sai già la risposta.” 
A Zoro sembrò di vedere gli occhi di Nami diventare lucidi. Non la capiva, non capiva a cosa volesse alludere, però una cosa gli fu abbastanza chiara, non era perché voleva solo aver ragione o vincere quella battaglia morale. Lei stava così proprio perché lui non la capiva. E Lui non avrebbe mai potuto immaginarlo cosa quella sua decisione avrebbe potuto scaturire negli altri. A lei, poi. 
E forse in quel momento la sentì di nuovo quella morsa a stringergli lo stomaco. Era già successo quella sera, quando quel carpentiere, quel tipo diventato improvvisamente uno scocciatore di primo livello, uno di quelli finiti nella sua lista di persone non desiderate alla pari di Bagy il clown, gli aveva detto quella cosa maledetta. E lei, senza poterlo nemmeno sapere, stava continuando ad infierire su di lui. 
 
Nami aveva sentito l’urgenza irrefrenabile di allontanarsi, di prendere una piccola distanza, andandosi a sedere nel posto che prima ospitava lui, lo stesso che aveva scoperto essere scomodo come nient’altro al mondo, ma rimanendovi lo stesso per via della sensazione delle gambe molli. Non ci sarebbe stato nessun Pauly a soccorrerla se fosse caduta, poiché sapeva che chi aveva vicino non era certo il cavaliere del secolo. Ma lei stessa, poi, non era realmente mai stata la damigella in pericolo. Se sveniva davanti ad un uomo solitamente era per derubarlo. Con Pauly era stato un caso. Ed era successo solo per colpa di Zoro. Così come stava succedendo anche in quel momento. 
“È evidente che ci sono cose che per te contano più di altre. Il tuo orgoglio conta più di noi. L’ho capito. Ma scusami se non lo accetto.”  
Rimase un attimo immobile, ad occhi chiusi, tenendosi la testa fra le mani. 
Non sapeva con certezza se lui avesse fatto un passo avanti o se ormai avevano finito di…spolparsi, così tanto da chiuderla lì. Ma almeno era riuscita a dire almeno una parte di ciò che avrebbe voluto. 
 
Zoro non l’aveva sentita rompersi nel momento in cui aveva esternato quell’ultimatum a Rufy, non come la vedeva adesso…ma ciononostante non avrebbe comunque potuto fare altrimenti, non avrebbe potuto lo stesso prendere un’altra decisione, fermarsi, cambiare sé stesso, infrangere il suo codice morale. 
Avrebbe voluto dirle che non avrebbe voluto mai separarsi dalla ciurma, o da lei. Solo che in quel momento non aveva pensato proprio a tutto, non aveva calcato ogni dettaglio, non aveva potuto mai credere che proprio lei ne avrebbe sofferto. Adesso come poteva rimediare? Ma allo stesso tempo non voleva rimediare, perché pur sapendo quali sarebbero state le condizioni e conseguenze, non avrebbe potuto fare altrimenti, sarebbe comunque stata quella la decisione da seguire. Gli faceva male il non riuscire a lasciarsi scivolare addosso qualcosa come quella che evidentemente faceva soffrire lei, ma perché sapeva che non si trattava di una condizione in cui mettendo da parte l’orgoglio avrebbero davvero risolto. Avrebbero dovuto affrontare il nuovo mondo, come potevano pretendere di farcela se non rimanevano saldi come gruppo?  
Se Nami lo avesse visto dentro si sarebbe resa conto che a tutto somigliava tranne che ad un insensibile, ad un demone, o a qualcosa di spaventoso come lo vedevano i nemici.
Si voltò a guardarla nel suo crollo. Scorgendoci tutta quella ferita di cui Pauly gli aveva accennato, nascosta dietro alla rabbia e, adesso, alla resa. 
Nami non era solamente preoccupata per Usop, era ridotta così per lui. 
 
 
 
“Ma tu non sei davvero nemmeno un po’ geloso?”
Sembrava irritato e imbarazzato allo stesso tempo, sicuramente si aspettava qualcosa, ma certamente non una questione simile. Però, con la sua solita irremovibile inflessibilità, era riuscito a divincolarsi, continuando ad avanzare verso la porta. 
Ma poi, con le dita ad avvolgere la maniglia, Zoro si era fermato. 
“Dovrei esserlo?”
Pauly non voleva indispettirlo, però aveva capito di averlo appena messo in una situazione in cui non si sarebbe voluto trovare, e, visto che ormai era lì, tanto valeva dargli fastidio del tutto. Così, da vero “bastardo” gli gettò il peggiore degli ami. 
“L’ho baciata.”
Zoro aveva lasciato la presa sulla maniglia, abbandonando immediatamente l’idea di entrare. Sentiva una stretta improvvisa per lo stomaco. I suoi istinti in guardia che volevano reagire, in più di un modo, ma allo stesso tempo non aveva idea del perché avrebbe dovuto reagire. Non riguardava lui. Doveva farsi gli affari suoi, ignorare quella informazione e ignorare quelle voci che cercavano di entrare nel suo cuore diventato nero. 
“Mi hai sentito?”
Quanto avrebbe voluto stritolarlo quel tipo che voleva in qualche modo dargli fastidio.
“E lo dici a me perché…?”
Pensava di essersene tirato fuori, ma capì di sbagliare quando lo sentì quasi sghignazzare alle sue spalle. 
“Perché avresti dovuto farlo tu.” 
Nemmeno quando non era riuscito a contrastare l’attacco di Lucci, aveva provato un tale gelo interiore. 
Si sentiva quasi paralizzato, dalla confusione di quella provocazione, dalla vergogna di essere invischiato in una situazione come quella, dal cuore che aveva smesso di battere. Perché doveva sentirsi così a disagio per una sciocchezza simile? Lui un ragazzino timido o innamorato non lo era mai stato all’età più indicata, figurarsi adesso. Le questioni d’amore non lo riguardavano da nessun punto di vista. Baciare Nami. Figurarsi se avrebbe mai potuto anche solo avvicinarsi ad un’idea tanto lontana da lui. E da lei. Ma poi, com’è che la strega si era fatta baciare da un uomo? Solitamente ne stava alla larga da simil situazioni. E non era certamente una donna romantica o mai gli aveva dato parvenza di aver bisogno di simili attenzioni. Ma vista come era rincasata insieme a quello, con quella complicità che aveva scorto in loro insieme – ecco nuovamente la stretta stringere forte le sue interiora – era chiaro che lei non fosse arrabbiata, inferocita con quel cavolo di carpentiere!
“O dovrei dire ‘avresti voluto farlo tu!’”
Guarda che ti stai sbagliando – voleva rispondergli immediatamente, ma qualcosa lo aveva bloccato, come se volesse andargli contro ma allo stesso tempo come se sapesse che quel tipo avesse anche ragione. 
“Straparli” aveva poi esternato in un grugnito, ma senza comunque voltarsi o decidere di entrare. Nessun uomo, avversario o no, era mai riuscito a metterlo così in difficoltà. Perché era ancora paralizzato?
“L’ho baciata più di una volta.” 
Non sentiva più niente. Solo fischi sordi. 
Era come trafitto da mille spade. E lui era uno spadaccino, le spade erano la sua vita. Ma non aveva mai provato quel dolore fisico. Perciò, se si fosse impegnato ad immaginarlo, sarebbe stato sicuramente quello il tipo di dolore che avrebbe vissuto se lo avessero infilzato, trapassato nel torace da parte a parte.
Sentiva i nervi tirare per i muscoli già tesi, sentiva ogni fibra del corpo stridere, e tirare tirare tirarsi fino a non sentire più un dolore fisico. Era tutto ovattato, distante, confuso. Un dolore infame, quello che ti trapassa il corpo con violenza. E poi non era più riuscito a non voltarsi, non era riuscito ad ignorarlo fino alla fine quel tipo, come invece avrebbe voluto.
E si guardarono, in quello strano scontro che non l’avrebbe mai visto come vincitore. Pauly teneva lo sguardo attento e dritto su di lui, con il sigaro in bocca. Lo stava provocando, era chiaro. Ma Zoro per un attimo percepì che forse non lo stesse facendo con cattivi propositi. Non del tutto, almeno. Lo aveva notato smettere di sghignazzare, era serio, era quasi trasparente nelle intenzioni.
“Mi sono innamorato come un pivello” gli aveva confessato “di Nami, intendo.” Aveva continuato a fumare cercando di scorgere altre emozioni nel viso di Zoro che in quel momento non trasmetteva niente, se non che una voglia visibile di non trovarsi lì, immischiato in una conversazione come quella. 
“Auguri allora” aveva poi risposto, tentando ancora una volta di fare dietrofront. 
“Lo dici per esperienza?”
“Senti damerino biondo” Zoro adesso iniziava ad irritarsi. Quel tipo non somigliava affatto a Sanji, ma per un attimo l’idea di detestare tutti i tipi biondi di tutti i mari esistenti sarebbe stata una sua nuova missione personale. Si congratulava con sé stesso per l’ottima idea, prima di andarsene definitivamente da lì. 
“Aspetta… guarda che lei mi ha rifiutato.”  
No, si era detto il verde, forse invece che rimango ancora un po’.
“Mi spieghi perché continui a dire a me queste cose?”
“Sei davvero così chiuso allora, proprio come ha detto Nami” 
“É venuta da te per parlare di me?” Anche in quei momenti in cui si sentiva più sconfitto che vinto non riusciva comunque a perdere quel suo ego spocchioso e arrogante. 
“Peggio” Pauly sospirò rassegnato. “Ha fatto molto peggio!” 
“E questo che diavolo vorrebbe dire?” Non si era mai sentito così esausto dopo una conversazione non voluta. 
“Che non sono io il suo uomo” disse, voltandogli le spalle per andarsene definitivamente, alzando la mano in segno di saluto.
 
 
Così, in quel momento, come un’ombra nel buio, si era mosso. 
Infatti, non era passato poi molto tempo prima che Nami ne percepisse la presenza accanto. Zoro, adesso era lui che si ergeva davanti a lei, in maniera sempre imponente e seria, ma più comprensiva. Forse quell’avvicinamento era un impegno nel voler trovare una soluzione, in fin dei conti? 
Nami sapeva che per Zoro doveva essere difficile scendere a patti con i sentimenti. E lei poteva capirlo benissimo, d’altronde sapeva che mostrarli rendeva esposti, senza più protezioni, fragili. Ma in realtà sapeva anche che non era vero per niente, erano solo illusioni che si portavano addosso fin da bambini, poiché vittime di situazioni emotivamente strazianti. 
Ad un certo punto aveva davanti lo schema: avevano idee diverse sul modo di affrontare certe questioni, ma allo stesso tempo condividevano egual principi, ed erano sempre d’accordo in quelle grandi cose che contavano di più. Se Usop fosse tornato e avesse solo chiesto scusa, Zoro non lo avrebbe mai mandato via. 
Doveva anche fidarsi di lui, di tutto quel pacchetto che era Zoro. Contrastarlo si, fargli sentire che anche lei aveva la sua voce, certo, ma poi ognuno di loro doveva seguire la propria identità. Ciononostante, vedere la soluzione era tremendamente difficile. 
Sentiva quanto in quel momento il respiro del compagno fosse diventato pesante. Sapeva che lui non si torturava con gli stessi dubbi e pensieri, ma sicuramente vederla ridotta in quello stato lo aveva spinto a fare un passo indietro. Perché lui era fatto così, non sempre sveglio e voglioso di crogiolarsi nei tormenti delle donne, compresi i suoi, poco incline a porsi mille domande o continui dubbi, per lui c’era sempre una sola domanda e una risposta. Ma stava incredibilmente attento quando chi amava soffriva davanti ai suoi occhi. 
E lei lo sentì sedersi su quella stessa roccia. Con un tonfo aveva rotto il silenzio calato di quella notte, colpa di quelle sue preziose e terribili spade che venivano appoggiate alla roccia dall’altra parte del suo fianco. 
Lo sentiva vicino. Percepiva quell’incredibile calore che emanava quel corpo. E in un attimo tutte le sensazioni di quella sera a casa di Pauly erano tornate a torturarle la mente. Perché ricordava di quando lo aveva scambiato per Zoro. 
Dannata attrazione. 
Sentì il compagno tentare di schiarirsi la voce. Forse stava per dire qualcosa. E lei aveva paura di non essere pronta a sentirla. Avvertiva che tutto di lui era caldo, persino bollente, dal suo corpo a quella voce ruvida, fino a quella frase che aveva lasciato prendesse vita. 
“Nami” 
Solo lui aveva quel potere di farle sentire un brivido per tutta la spina dorsale, quando la chiamava con quel tono meno ruvido ma comunque sempre autoritario. 
“È Usop che non riesce a mettere l’orgoglio da parte, non io.” 
Aveva messo le mani in tasca com’era solito fare quando era un poco a disagio.
“Guarda che quello più orgoglioso di tutti in questo momento é il tuo amico nasone, lo spadaccino che colpa ha, se quello non torna da voi con le sue gambe?” 
“Lo so.” 
Aveva riposto alzando il capo, ancora prigioniero delle sue mani, voltandosi a guardarlo. Cercava di respirare piano, mentre pensava al fatto che forse si stesse arrendendo a quella verità egualmente scomoda cui lei non poteva controllare, cambiare, forzare. Spettava ad Usop decidere per il suo destino. E il senso di impotenza sulle scelte degli altri, delle persone care, poteva essere devastante. 
“Il mio orgoglio è ciò che sono” rimasto serio, e sempre poco incline a diventare dolce o troppo delicato, e senza guardarla in viso, Zoro stava cercando di esprimere qualcosa di importante. E Nami ne sentiva tutta la fatica. 
“Ma se lo avessi sempre posto davanti a tutto, visto che l’hai tirata in ballo, quella volta, ad Arlong Park a riprenderti, non ci sarei mai venuto.”
Talvolta, nonostante i modi, nonostante l’imponenza, nonostante il carattere, Zoro mai aveva avuto a che fare con il gelo, il distacco, l’indifferenza…lui era caldo, e lo era sempre stato.
“E mai avrei potuto fare errore più grande.” 
Gli occhi di Nami erano rimasti fissi su di lui, senza proferire parola né esalare un solo respiro, mentre nel suo corpo oltre quella del calore, era aumentata la sensazione delle gambe molli. 
Si sentiva improvvisamente senza fiato. 
 
Ma solo interiormente, perché fisicamente, ad un certo punto aveva dovuto reagire. Era scoppiata in una risata folgorante, mista a lacrime improvvise seguite da una agitazione palpabile che la faceva strepitare come una pazza. Era stato un momento così importante e intenso che davvero non avrebbe saputo come altro affrontarlo. Fin troppo sentimentale per Zoro. E forse anche per lei. E si ricordava di quella tensione che Pauly vedeva esserci tra loro in momenti di intimità, quella che le aveva fatto notare in ogni modo e con molta difficoltà, soprattutto da parte sua di accettarla. E ora si rendeva conto di quanto quell’uomo avesse avuto dannatamente ragione. 
Zoro dall’essere stato sicuro di sé si era sentito stralunato, non pensava di aver fatto chissà quale rivelazione, ma quando lei era esplosa in quella reazione controversa lui aveva sgranato gli occhi e le aveva urlato contro arrossendo violentemente mentre ringhiava come un animale offeso. 
“Che idiota che sei” gli aveva urlato, mentre si asciugava le lacrime. Lacrime di un pianto che aveva cercato di trattenere ma non essendoci riuscita allora aveva deciso di far passare per risa. 
“Ma perché non la smetti con le tue finte sceneggiate?” Ringhiava ancora togliendo le mani dalle tasche e mettendosi a braccia incrociate sul petto, guardando dalla parte opposta, non sapendo cosa più pensare della compagna che lo faceva ammattire. 
In quel momento però Nami era certa che con quelle strane e bizzarre confessioni i loro cuori stessero entrando a stretto contatto ancora una volta. 
Nemmeno lei era mai stata romantica o eccessivamente sentimentale, e proprio per questo, e per via del suo trauma, non sempre sapeva leggere i sentimenti altrui. Ma ciò che vide nel viso di Zoro, in quel breve momento in cui si era aperto, spingendosi leggermente un po’ più in là, l’aveva sorpresa più di qualsiasi altra cosa. Quel primo tentativo di voler migliorare la questione in qualche modo era in fin dei conti riuscito. Nonostante non avessero trovato nessuna soluzione al problema originario. 
L’espressione di Nami era stata così tanto sorpresa che Zoro si era dovuto mettere per forza sulla difensiva, con sul viso la sua solita espressione imbronciata. 
 
 
Se ne stavano lì seduti in silenzio, vivendo attimi sospesi tra respiri e battiti accelerati.  
Nami aveva riabbassato la testa tenendola ferma con le mani mentre cercava di mettere tutto in ordine, per distrazione, come bisogno patologico per poter avere un quadro lucido davanti agli occhi. E, mentre pensava ad ogni cosa, nonostante quella frase confessione le rivoltasse il cuore, le era uscito un sibilo fatto di parole quasi impercettibili “Ti sei appena preoccupato per me, nonostante tutto.” 
Cercava di contenere quei suoi battiti cardiaci che voleva confondere con la trepidazione per essersi alterata. Ma non le riusciva così bene. 
Lui l’aveva sentita però e le aveva risposto con un troppo veloce “ti sbagli”, sempre voltato dalla parte opposta però, cercando di non cadere nella trappola di quel viso dai mille volti. “Non hai bisogno della mia preoccupazione.” 
“A volte non é così. A volte invece ho bisogno anche io di…” non sapeva nemmeno come terminare la frase, ma Zoro non le aveva dato il tempo di continuarla, dalla frenesia di qualcosa che dimorava e bolliva dentro di lui fin da quando lo aveva ritrovato là fuori.  
“E per questo che sei andata da quello?”
Nami scattò svelta alzando la testa dalle sue gambe. Per un attimo aveva dimenticato di questa vergogna. 
“Pauly?” aveva chiesto, pur sapendo già la risposta, ma tanto per prendere tempo. 
Vide Zoro continuare a tenere il viso di lato e grugnire in segno di risposta.
“Ma no. L’ho incontrato per caso.” 
“Quando sei sgattaiolata via dopo cena.” 
“Non avevo molta fame” alzò le spalle, prima di accorgersi di qualcosa d’importante “ma non pensavo te ne fossi accorto.” 
“Umh.” 
Nami sospirò. Continuava a provare strane sensazioni, e un presentimento che l’angustiava le volteggiava intorno. 
L’atmosfera era diventata strana. Come se anche quello fosse un confronto che non potevano ormai evitare. 
“È un grande chiacchierone dal momento che ha sentito il bisogno di dirti…” venne colta da una improvvisa necessità di inghiottire “che ce l’avevo a morte con te!” 
“Lo è.” 
Zoro aveva davvero creduto di aver perso un paio di battiti. 
Anche Nami provò la stessa terribile sensazione. Lei voleva sapere se Zoro avesse saputo molto di più di quello che le aveva detto. E lui invece voleva a tutti i costi evitare di farle sapere che era venuto a conoscenza di dettagli privati che la riguardavano, nonostante però avesse un gran bisogno di sapere qualcosa in più da lei sulla questione, non riuscendo del tutto ad astenersi dal farglielo capire.

Il silenzio aveva preso il sopravvento, di nuovo. Ma loro erano i due spiriti della ciurma che bruciavano, bruciavano come legna ardente. E stavano bruciando anche in quell’istante. Erano emozioni incandescenti. E loro erano sempre i primi ad alimentarne la fiamma in fretta. 
Era sempre così quando stavano insieme, ingabbiati in sentimenti ai quali non sapevano mai dare un nome, chiusi in emozioni che bruciavano e da cui tentavano, senza riuscirci, di fuggire. Ma stavolta non erano più riusciti a trattenersi e insieme avevano parlato nello stesso momento, con lo stesso tono di voce tra l’offeso e l’arrabbiato. 
“Ti ha detto del bacio!!!”
“Com’é che l’hai permesso?” 
Entrambi si erano voltati di lato guardandosi negli occhi ancora un’altra volta, in quel terribile momento di bizzarro confronto che non avevano incluso di dover vivere.  
Quei sentimenti che diventavano così vividi. Quegli impulsi indecifrabili che non sempre si riuscivano a controllare. Quelle emozioni divoratrici che prendevano fuoco così facilmente come fossero benzina. 
Nami aveva sbuffato alla vista di Zoro che voltava nuovamente la testa dall’altra parte, forse imbarazzato, forse arrabbiato, deduzione ovvia all’udire di quei grugniti. 
E Zoro grugniva come faceva sempre.
Ma ormai lo aveva capito anche uno come lui, che provava qualcosa per Nami che era diverso da ciò che sentiva per gli altri compagni. Ma a volte, alcuni segreti, era di fondamentale importanza che se li tenesse per sé. 
“Non sono andata a cercarlo di proposito! Tuttavia, dev’essere il mio destino essere invischiata con uomini testardi, solitari e impenetrabili” aveva preso coraggio voltandosi di fianco con il viso, guardandolo, anche se lui era voltato dalla parte opposta “difficili, scorbutici, brontoloni e”
“Si si ho capito, piantala però” 
Zoro doveva solo respirare. Non avrebbe mai creduto certamente che avrebbe affrontato una conversazione come quella. Lui evitava queste situazioni imbarazzanti. Evitava i problemi di cuore. Ma in quel momento, quella loro intimità, che spesso portava con sé una dose eccessiva di nervosismo ed eccitazione, adesso sembrava necessaria da condividere. Qualcosa che lo rendeva inspiegabilmente interessato.
“Proprio non capisco perché te lo abbia detto!”
Nami tornava a tenersi il volto con i palmi aperti delle mani e con i gomiti poggiati sulle cosce. “Pensava che questo avrebbe aiutato a risolvere la nostra situazione? È chiaro che ho incontrato un altro idiota sulla mia strada.”
“Perché é biondo.” 
Lei scosse la testa incredula, capendone il sottile riferimento, chiedendosi quanto potesse essere dura a morir quella competizione estenuante. 

“Comunque”
Zoro non riusciva più a tenerlo per sé “non hai risposto alla mia domanda”
Finalmente si era voltato verso di lei. Lei, che a sua volta aveva nuovamente alzato il capo, non potendo fare a meno di scontrarsi con lui, provando un leggero imbarazzo. 
Anche se era “un duro”, proprio come quella roccia che li ospitava entrambi, e sempre estraneo da questioni così sentimentali, e anche se di quell’amore romantico con cui la gente spesso non poteva fare a meno di confrontarsi di cui lui sapeva poco, era pur sempre un uomo con degli impulsi fisici e desideri privati, e, perciò, quando provava delle emozioni, anche a lui si fermava il mondo. E il suo mondo, in quelle occasioni - il suo battito - era sempre lei. Ed era sempre stata lei fin da quando era entrata nella sua vita come una croce nel petto che non era più riuscito a togliere. E pensava a qualcosa di così macabro solo perché per lui era stato doloroso accettare di esserne succube, o per lo meno, incastrato… in quel sentimento. 
 
Nami lo sapeva di non poter fuggire dalla verità.
Lui la guardava con quegli occhi neri e profondi, il viso imbronciato, come fosse sempre Zoro, ma ferito, ferito nell’orgoglio di cui gli piaceva blaterare tanto. E sembrava davvero interessato alla cosa. Non per mero pettegolezzo, e su questo non aveva dubbi, ma come se vi fosse invischiato personalmente. 
È certo che lo era…
Io sono innamorata sfinita di te, avrebbe voluto dirgli. Ma forse tutto questo é sbagliato da far uscire adesso. 
Aveva improvvisamente caldo. Tanto caldo. Con un gesto sicuro si levò la giacca di Pauly, facendola cadere sulla roccia dietro di lei.
“D’accordo!” disse più a sé stessa che a Zoro.
Doveva fare una scelta: non dire niente e salvarsi, e però vedergli addosso quella ferita giorno dopo giorno; o rivelare il necessario, scoprendosi ma cancellandogli quel tormento dalla faccia.
“Sentivo un gran bisogno di sfogarmi dopo quella scenetta di stamattina. E avrei voluto parlare con te ma ero troppo arrabbiata.” 
“…” 
“E poi ho trovato lui.”
“E hai ceduto ad un uo-“
ma Nami lo zittì svelta con un dito sulle labbra, non distogliendo gli occhi da lui nemmeno per un secondo in quella sorta di confessione, in cui aveva racchiuso tutta la sua autodeterminazione, chiedendosi come avrebbe potuto liberare in aria un sentimento come quello. 
Si pentì di aver aperto questo argomento, non appena vide quegli occhi profondi scrutarla con un interesse che non riusciva a decifrare. Lui era davvero attento e pronto a sentire. E lei allora sarebbe stata un’anima forte.
 
“E lui…”
inghiottì saliva inesistente poiché aveva la gola totalmente secca e asciutta, “lui mi ha ricordato te.” 
 
Erano rimasti ancora lì, uno accanto all’altra. Nessuno dei due voleva andarsene. L’idea di separarsi in quel momento, dopo tutta quella lunghissima nottata interminabile, sembrava ormai l’azione più dolorosa e difficile di tutte. Ma lo era anche il parlare, dopotutto. 
 
Zoro, imbarazzato, ma più che altro sorpreso, meravigliato, stranito da quelle parole, che senza troppa attesa l’avevano quasi liberato dalla stretta che ancora gli teneva imprigionato lo stomaco, iniziava a sentirsi più leggero. 
Forse iniziava a capire le parole di Pauly.
E Nami, anche lei meno imbarazzata di quanto avrebbe creduto sarebbe stata, sentiva di essersi liberata di quel macigno, e tutto solamente per cancellare dal volto di Zoro quella ferita che aveva addosso per colpa sua e della parlantina del biondo. Era rimasta stranita e sorpresa da quella reazione del compagno che inaspettatamente però le alleggeriva la morsa che anche lei aveva sempre avuto sullo stomaco. 
Si erano sfiorati la mano nel momento in cui Zoro la stava per ficcare in tasca e Nami l’alzava per spostare il ciuffo dei capelli che le cadeva sulla fronte, dietro l’orecchio. 
Quei corpi che ancora stavano ribollendo. Quel calore che niente aveva a che fare col disinteresse o il distacco. Quelle sensazioni pari ad esplosioni che per ora potevano solo reprimere.  
Parte di quello che provavano lo avevano appena liberato all’aria per la prima volta, ma tutto il resto lo tenevano nascosto nel cuore, dove nessuno altro avrebbe potuto accedervi, dove nessuno avrebbe potuto rubare loro i sentimenti. E in un certo senso lo sapevano entrambi. E andava bene così. Nessuno avrebbe potuto intromettersi tra loro. E anche se adesso non era il tempo giusto per poter approfondire il loro amore, se qualcun altro avesse provato ad ostacolarli, sarebbero stati preparati ad affrontarlo. 

Nami aveva sistemato i capelli, e sentiva che nonostante il voler alzarsi da lì, poiché era tutto troppo per lei, non riusciva comunque a farlo. Ma anche Zoro non dava segno di volersi muovere, dopotutto. Qualcosa su cui entrambi, a quanto sembrava, concordavano. 
 
“Ehi, capo” 
 
Entrambi visibilmente storditi e provati vennero distratti da una voce, che apparteneva ad una persona sbucata all’improvviso davanti a loro; seguita poi da altre persone che sostavano dietro. 
“Vedo che la ragazza é tornata” 
“Capo?” Fece eco Nami, seguendo lo sguardo di quel tipo bizzarro verso Zoro. 
Un’espressione indecifrabile apparve sul viso dello spadaccino, che ad un certo punto si trasformò ancora in un’altra più indecifrabile, come se stesse per azzannare loro o soffocarsi lui stesso. 
“Ehi tu”,
quello stesso uomo, con i capelli sparati in aria e con indosso una aderente salopette nera, indicò Nami, tendendo il braccio e il dito verso di lei
“ti abbiamo cercata ovunque, e per tutta la sera!”
“A me? E perché mai?” Nami riconobbe che quelli che aveva davanti non erano altri che i membri di quella assurda Frankie family. 
“Ma co-“
“Non c’è bisogno che rimaniate qua a spettegolare”
Zoro si era alzato in piedi prendendo il comando della situazione in una fretta un po’ sospetta. “Potete andare adesso!”
“Si capo! Ma non vuoi sapere prima del nasuto?”
Lo spadaccino divenne improvvisamente paonazzo. 
“Aspettate un po’ voi” e Nami ovviamente non poteva non cercare di vederci chiaro. “Informate pure “il capo” di questo nasuto!” il tono di voce improvvisamente interessato e ironico “…prego.” 
Zanbai, che non si accorse minimamente del tono diabolico di Nami, prese parola ignorando l’ordine di Zoro, che in piedi adesso sbuffava scazzato.
“Si é curato tutte le ferite con i medicinali lasciati dal vostro medico. E adesso sta bene. Non rischia la pelle.” 
“Altro?”
“Non si é mosso dalla sua postazione per tutta la sera.”
Con una mano si tolse gli occhialini neri dal viso, che indossava nonostante fosse sera, “ma non dovete preoccuparvi o angustiarvi troppo, il mio uomo, Schollzo, si trova lì a controllarlo in ogni movimento.” 
Nami era allibita. Stava avendo delle idee al riguardo ma non sapeva esattamente che pensare e da dove iniziare a ragionare. 
“E così state controllando Usop?”
Incrociò le gambe, nella sua solita posa da detective, “E a voi che entra in tasca?” 
Vide i quattro membri uomini alzare tutti un sopracciglio all’insù, sbalorditi da quella domanda.
“Ma noi…vi dovevamo più di un favore, per come ci siamo comportati in passato…soprattutto a lui” Zanbai indicò Zoro, che continuava a sbuffare e suggerire loro di andarsene. “Così ci ha incaricato di venire a cercare te e il nasuto. E siamo stati felici di adempiere a questo compito. Giusto ragazzi?”
Un coro di “certamente” aveva fatto eco dentro la testa di Nami, dove tutto era diventato ovattato e anche troppo rimbombante. Qualcosa dentro di lei voleva urlare, implodere, correre, fermarsi poi correre ancora. Possibile che…?
E mentre Zoro si liberava dei quattro, Nami stava…Nami stava ridendo? 
E molto anche. 
Quando si era voltato dietro, pronto a ricevere qualsiasi cosa da lei, la trovò ancora in quello stato. 
Lui si sentiva così dannatamente scoperto adesso! Come aveva potuto permetterlo?  
Ma Nami si lasciava dietro una risata liberatoria in favore di un magnifico sorriso felice. E ciò, comunque lo faceva sentire bene, nonostante l’imbarazzo nel sentirsi improvvisamente così ridicolo. Zoro non voleva perdere la sua facciata da duro “per una sciocchezza simile”. 
“Questa non è una sciocchezza…”
Nami l’aveva quasi sussurrato, anticipandolo. 
E i ruoli si erano inaspettatamente invertiti. 
Per Zoro era normale l’essersi preoccupato per i compagni. Perché lui era sempre vigile e pronto a proteggerli tutti. Perciò sapeva di non aver fatto nulla di eclatante. 
“Non é niente di speciale!” aveva così borbottato. 
Continuava a vedere Nami ridere, che socchiudeva a tratti gli occhi che luccicavano. Una serenità che era ricomparsa su quel viso ultimamente sempre troppo angusto. 
“É tutto, invece!” gli aveva risposto a voce più alta, alzandosi anche lei e raggiungendolo. “E tu saresti quello che ci avrebbe abbandonati?”
“Nami…”
Il suo richiamo era un ammonimento che voleva dirle che lui era così, che era ancora tutto valido. 
Nami gli posò una mano sul viso, quello che adesso aveva davanti e che leggeva benissimo in quel momento, in una carezza che voleva trasmettergli quanto lei apprezzasse tutto di lui, anche dove andavano meno d’accordo, o dove non lo sarebbero stati mai. 
“Si, si…tu sei quello e sei anche questo.”
Forse dirgli ti amo sarebbe stato troppo in quel momento. Ma poteva iniziare da un caldissimo ti voglio bene. Ma lo avrebbe fatto, prima o poi, perché se non era amore quello, di cos’altro si trattava?
Quindi,
Ti voglio bene, Zoro…
Pauly aveva ragione, ancora non riusciva a dirlo ad alta voce. Ma sperava che lui ci arrivasse lo stesso da solo con quel gesto, con quello sguardo, con quel sorriso, ma anche per via di tutta quella “lotta” che significava solo quanto ci tenesse. 
non ho alcuna intenzione di lasciarti andare, di perderti. 
E Pauly aveva ragione. Perché mai sarebbe riuscita a dirlo ad alta voce, nemmeno adesso. Piuttosto si sarebbe fatta mettere un sasso in gola. Ma perché doveva essere così difficile? 
“Hai mandato qualcuno da Usop.”
“Nami”
aveva distolto lo sguardo, ma straordinariamente senza annullare il contatto con lei. Ma quel richiamo era ancora un bisogno di riprenderla, di smetterla di farlo sentire esposto, di smetterla di pensare alla non veridicità di quel suo ultimatum. 
“E hai mandato qualcuno a cercare me” il tono diventato dolce come la torta alla panna che giaceva in frigo e che adesso stava sognando di mangiare “Perché hai mandato qualcuno a cercare me?”
con la mano Nami gli aveva voltato il viso e ricostretto a guardarla negli occhi. Vedeva tutto adesso, dentro quelle pupille, quella fragilità, quella paura che lui aveva di perderla in altri modi. 
“Siamo pur sempre in pericolo. Con la Marina pronta a farci secchi.” 
E si, lei lo sentiva chiaramente che quella era solo una parte della verità. Allora gli sussurrò parole che gli arrivavano sul viso insieme al suo respiro. 
“Tutte queste cose di te mi piacciono. Mi fanno anche arrabbiare, ma senza non saresti tu.” 
Zoro si imbronciò, ancora in imbarazzo. Ma sollevato. 
Era capace di trattenere dentro uragani di emozioni e non farle trasparire. Ma Nami sapeva anche questo. 
“Ho mandato quegli idioti a cercarti stasera” aveva sbuffato, ma in modo più leggero, quasi inesistente “perché” 
“Perché?”
“Perché io mi sarei perso” 
Scoppiò a ridere. Ridere come una scema innamorata. Ridere come non rideva da prima di tutti quei problemi riguardanti Robin e Usop. 
“Finalmente l’hai ammesso!”
In fondo lo sapevano entrambi, non c’era bisogno di dover spiegare di più.
Avevano litigato e lei era fuggita via subito dopo una cena silenziosa e deprimente. E lui si era sentito strano, aveva avvertito il suo corpo e i suoi pensieri incupirsi. Avrebbe voluto parlarle. Avrebbe voluto non sprecare nemmeno una serata in quel modo, perché, e lo stavano imparando sulla propria pelle, niente dura, tutto é mutabile nel momento in cui sei più distratto. 
E poi lei era finalmente tornata…
ma con quel carpentiere al seguito. Con la sua giacca indosso. Con quella confessione che lo aveva spezzato. 
 
Quella sera, loro non avevano mai avuto nessuna intenzione di oltrepassare quel confine invisibile, ma erano stati spinti a toglier fuori qualcosa, parole di conforto, qualche maggiore sicurezza, qualche sentimento. Anche se a loro modo si erano messi a nudo, avevano dovuto farlo per darsi una chance, per non soffrire troppo. Avevano faticato a comprendere cose che li riguardavano e li confondevano fino a portarli a farsi del male, a torturarsi. Così almeno per un po’ avevano risolto, quietato le emozioni che bruciavano. Trovato una ragione a quella tensione. 
 
 
Lei aveva fatto cadere la sua mano dal viso di lui, lasciandolo. 
“Mi dispiace per Pauly” 
Gli aveva poi detto, dandogli le spalle in ritiro verso l’abitacolo bizzarro, mentre tirava all’insù il labbro in un ghigno strafottente che lui non poteva vedere. 
“Non devi scusa-”
Lo sentì subito sulla difensiva, come se non avesse ancora imparato niente. 
“Intendo che mi dispiace per lui. Ma è arrivato troppo tardi.” 
Sul viso di Zoro era comparso finalmente un sorriso acceso e irrinunciabile, mentre si accingeva a seguirla all’interno. 
 
 
 
 
 
 
 
 
Non potendo riposare nel letto insieme a Robin, sempre per la presenza di Franky, Nami aveva accettato la proposta di Zoro di dormire nel letto dove avrebbe dovuto stare lui, tanto, a detta sua ‘non faceva differenza il dove mettersi a dormire’. 
E quando dopo poco aver preso sonno si era risvegliata per via di tutte quelle agitazioni dovute alle emozioni di quella giornata, qualcosa aveva catturato la sua attenzione. Zoro dormiva accanto a lei, ma seduto sul pavimento con la schiena poggiata al muro e il braccio teso verso il suo letto, con la mano a pochi centimetri dalla sua. 
Aveva sorriso, riuscendo a riaddormentarsi col cuore più leggero. 
In qualche modo quel gesto colmava quel sul nuovo bisogno di un po’ di romanticismo nella sua vita, dall’unico uomo con cui lo voleva vivere. 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Note dell’autrice_________________________
Quando parlavo della possibilità di lasciarla incompiuta non mentivo. In fondo sarebbe rimasta poetica con soltanto il primo capitolo. Con quell’alone di mistero sul possibile seguito. In realtà ognuno poteva immaginarsi il suo finale. Sarebbe stato comunque giusto. E quindi forse ho rovinato tutto. Ma questo sarete voi a dirmelo, vero? 
Spero. 
 
Per tanti mesi ho creduto dunque di non voler continuare, ma poi abbozzavo un pezzo e poi un altro e poi lo scheletro del capitolo prendeva forma. Ciononostante, ancora non ero affatto sicura. Scrivevo qualcosa ma nella consapevolezza che non l’avrei mai finita. 
Ma poi all’improvviso é arrivato tutto insieme:
l’amato canto dell’ispirazione che ho deciso di ascoltare, e le voci di chi mi legge che non ho potuto abbandonare. 
 
Comunque, il problema é che adesso, attorno a questo seguito - oppure meglio vederlo come una seconda parte - e senza volerlo, si é creata così tanta aspettativa da mettermi un’ansia illegale addosso…e sinceramente non saprei dire se sono stata capace a soddisfarla. 
Ma sappiate che ho cercato di stare il più possibile dentro ai personaggi di Oda, e spero che almeno questo mi valga 50 punti a Griffondoro!
 
beh, non ho molto altro da aggiungere. 
Come sempre specifico che non scrivo romanzi, perciò se cercate scritture più alte, ricercate e sofisticate che io non sono tenuta a soddisfare, leggete Salinger, Tolkien o Tolstoj. 
Qua troverete sicuramente errori, sbadataggini e confusioni. Ma spero venga apprezzata di più la mia passione per One Piece e per Zoro e Nami. 
 
Alla prossima storia.
Roby.
 
 
 
 
 
 
   
 
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