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Autore: Milly_Sunshine    31/10/2023    3 recensioni
Kay è una giornalista radiofonica affermata e conduce un programma di cronaca, accerchiata da un entourage di fedelissimi, il marito Anthony, a sua volta giornalista, il loro collega Samuel e l'assistente Theresa. Fissata con i crimini irrisolti, matura un'ossessione insolita nei confronti dell'omicidio di un'anziana locandiera che le costa a sua volta la vita. Kay si ritrova a sua volta vittima di un delitto, lasciando le persone che le stavano intorno, oltre che la collega Rebecca, con la quale aveva una feroce rivalità appianata soltanto nelle sue ultime settimane di vita, a interrogarsi su chi l'abbia eliminata e perché, su chi fosse la femme fatale che si aggirava presso la sede della radio il giorno prima del delitto, oltre che sulle ragioni per cui fosse così in fissa con lo specifico caso della locandiera assassinata. // Long fiction scritta nel 2015 sulla base di un'idea già in parte sviluppata cinque anni prima, unisce elementi del giallo classico e del thriller.
Genere: Mistero, Suspence, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
Capitoli:
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Lui e Avah erano appena usciti dal bagno, quando per Samuel tutto iniziò ad assumere un senso.
«Credo di averti già vista, prima di stasera» azzardò.
Lei aggrottò le sopracciglia, mostrando uno di quei sorrisi beffardi ai quali Samuel sapeva di dover prestare attenzione.
«Può darsi. Te l’ho detto, abito a Scarlet Bay già da un po’ di tempo. È possibile che io e te ci siamo già visti, quando ancora non sapevo chi eri. Forse ti sei ricordato di me e...»
«No» la interruppe Samuel, «Io so esattamente dove e quando ti ho vista.»
«Ah, sì?»
«È stato tre o quattro anni fa. Ci siamo incontrati proprio a Radio Scarlet.»
Avah scosse la testa.
«Quello che dici è impossibile. Non sono mai entrata a Radio Scarlet. Mi piacerebbe, ma...»
Samuel non la interruppe.
Se Avah voleva continuare a mentirgli, forse era più prudente fingere di crederle.
«Devo averti confusa con qualcun’altra, allora. Per caso hai una sorella che vive a Scarlet Bay?»
Samuel non sapeva se fosse soltanto la sua immaginazione o se davvero Avah fosse stata scossa da un fremito nel sentire quella sua allusione.
«Non ho una sorella che vive a Scarlet Bay» gli assicurò lei, qualche istante più tardi. «Evidentemente dovrò arrendermi all’evidenza: ci sono donne che mi somigliano, da queste parti.» Fece una breve risata. «Non è poi così terribile.»
«No, per loro no» ammise Samuel. «Te l’ho già detto che sei stupenda?»
«Non espressamente» ribatté Avah, «Ma ho intuito che lo pensavi. Se così non fosse stato, forse non avremmo passato una serata così piacevole. Ora, però, che cosa ne dici di prenderci quel famoso drink?»
Era arrivato il momento di rifiutare.
«Mi piacerebbe, ma non posso.» Samuel guardò l’orologio, fingendo di avere fretta. «Mi dispiace, ma è il caso che me ne vada. Devo tornare a casa.»
«Di già?» Avah non parve molto allettata da quella prospettiva. «Hai detto che non sei sposato, non c’è nessuno che potrebbe avere qualcosa di cui lamentarti, se sprechi ancora un po’ del tuo tempo con me.»
Samuel doveva trovare una mediazione, se voleva andare via.
«Potremmo rivederci.»
«Perché?»
«Perché l’hai detto tu stessa, la nostra è una serata piacevole. Potrebbero esserci tante altre serate piacevoli, prima o poi.»
Avah gli si avvicinò e lo guardò dritto negli occhi.
«Mi stai dicendo che, ora che hai avuto un orgasmo, le nostre strade possono dividersi? Non è così che funziona, Samuel. Vorrei poterti conoscere meglio, parlare un po’ con te...»
«Potrebbero esserci altre serate piacevoli, se tu lo vorrai» ribadì Samuel. «Il concetto di “serata piacevole” può avere mille sfaccettature. Anche parlare e conoscerci potrebbe essere una di queste, non credi?»
Avah annuì.
«Tutto sommato, può darsi che tu abbia ragione.»
«Sono felice di sentirtelo dire» ribatté Samuel. «Posso andare, adesso?»
«Solo se mi dici dove trovarti.»
«A Radio Scarlet. Quando vuoi vedermi, basta che chiami e chiedi di me alla ragazza del centralino.»
Avah spalancò gli occhi.
«Mi stai dicendo che dovrei cercarti alla radio?»
«Perché no? Passo molto tempo là dentro.»
«Non lo metto in discussione, ma...»
Samuel la interruppe: «Basta che tu comunichi il tuo nome alla ragazza del centralino, perché lei mi passi la chiamata. A quel punto decideremo quando vederci.» Sorrise. «Ora scusami, ma devo andare.» Diede ad Avah un leggero bacio sulle labbra. «È stato un piacere.»
«Il piacere è tutto mio» replicò Avah, più seccata di quanto avrebbe dovuto essere una donna che si dichiarava felice di averlo incontrato. «Spero di rivederti presto.»

Avah si appoggiò alla parete.
Doveva lasciare passare qualche istante, prima di andare dal gestore - o da chiunque fosse il tizio che si atteggiava come se lo fosse - a elemosinare la possibilità di usare un telefono.
Non sarebbe stato difficile, dato che sapeva bene come giocare le proprie carte.
Bastava solo che Samuel Jeffrey non si accorgesse di nulla.
Quel tipo era troppo sospettoso, per i suoi gusti. Inoltre era meno fesso di quanto si fosse illusa in un primo momento.
Fece un profondo respiro, e poi un altro.
Attese ancora qualche istante, prima di allontanarsi dal bagno.
Doveva chiamare Albert.
Doveva avvertirlo che Samuel si era messo in testa qualcosa e che, con tutta probabilità, era quella la ragione per cui si era affrettato ad andarsene quando davanti a lui c’era la prospettiva che la loro “serata piacevole” si protraesse ancora per un’ora o due.

Anthony era già fuori, quando vide Samuel salire in macchina.
Se n’era andato in gran fretta, dopo essere uscito dal bagno in cui si era rifugiato insieme alla donna che, poche ore prima della morte di Kay, gli aveva fatto credere di essere la figlia di Marissa Flint.
Qualunque rapporto ci fosse lei e Samuel, quel rapporto andava approfondito. Anthony aveva intenzione di seguirlo, di vedere dove si stesse dirigendo.
“Non sarebbe uscito così in fretta, se avesse avuto soltanto l’intenzione di tornare a casa.”
Inoltre, in tal caso, la pantera l’avrebbe accompagnato fino all’uscita, o almeno l’avrebbe salutato pubblicamente.
Era possibile che quei due avessero intenzione di rivedersi.
Rebecca doveva avere ragione: non poteva fidarsi di Samuel, che con tutta probabilità aveva avuto un ruolo indiretto nell’omicidio di Kay.
Avrebbe pagato anche lui, come tutti.
Anthony ne era certo, i colpevoli avrebbero commesso uno sbaglio, prima o poi.
A pochi metri di distanza, Samuel richiuse violentemente la portiera.
Poco dietro di lui, qualcun altro fece lo stesso, notò Anthony.
Per quanto il fatto potesse essere casuale, decise comunque di sprecare qualche istante del proprio tempo per dare un’occhiata.
Aveva visto bene?
Il tizio al volante aveva un’aria molto familiare.
Anthony si diresse verso la propria automobile, domandandosi se Rebecca Shepard fosse davvero una persona degna della sua fiducia.

Veronica Freeman uscì dal bagno, pronta a tornare in ufficio. Era già tardi, ma non se ne sarebbe andata finché anche il direttore non avesse abbandonato lo stabile.
Non si trattava di eccesso di zelo nello svolgere la propria professione, anzi, il signor Carpenter non aveva nemmeno bisogno di lei. Era un'altra la ragione che la tratteneva a Radio Scarlet a tarda ora: la speranza, seppure vana, che il direttore si accorgesse del legame che li univa.
Erano stati l’uno accanto all’altra per anni, ma il loro rapporto era sempre stato puramente professionale. Veronica si era messa il cuore in pace giù da tanto tempo, ma non poteva fare a meno di continuare a sognare e, quando le era possibile, di rimanere da sola con lui: dopotutto non aveva altro.
Il signor Carpenter era al telefono, mentre Veronica si apprestava a rientrare in ufficio.
«Sì, è tutto a posto» stava dicendo. «Ho chiesto proprio al tuo amico di tenerlo d’occhio, dato che ho iniziato a sentire puzza di bruciato anch’io.»
Dall’altro capo del telefono, qualcuno - forse una donna - si mise a sbraitare.
«Non c’erano altre soluzioni» sbottò il direttore, a quel punto. «Ho pensato che quel tizio potesse farci molto comodo e gli ho promesso una ricompensa in cambio di un piccolo aiuto. Non capisco che cosa ci sia di male. Ora scusami, ma devo lasciarti. Stai tranquilla, perché è tutto sotto controllo.»
Veronica rientrò nel momento stesso in cui il direttore sbatteva giù il ricevitore.
«Qualche problema?» gli chiese, con un sorriso.
Il signor Carpenter scosse la testa.
«No, è tutto a posto: sempre le solite questioni, quando c’è qualcuno a cui le cose non stanno bene.»
«Avrebbe dovuto evitare di rispondere. Se quell’imbranata di Penny avesse staccato il telefono, la chiamata non le sarebbe mai stata passata in automatico.»
«È tutto sotto controllo, Veronica» le assicurò il direttore. «Anzi, perché non se ne va a casa?»
«Non è necessario, signor Carpenter. Mi fa piacere rimanere qui ad aiutarla.»
«Il fatto è che io non ho bisogno d’aiuto. Non ho più nulla da fare.»
«Allora perché rimane qui?»
«Semplice precauzione.»
Veronica aggrottò le sopracciglia.
«Che cosa intende dire? Ha paura che possa succedere qualcosa?»
Lui rise.
«Non vedo che cosa potrebbe succedere. Vada a casa, Veronica, e si dedichi un po’ a se stessa. Posso cavarmela anche senza di lei, di tanto in tanto.»

Samuel lasciò la macchina nel parcheggio di Radio Scarlet, prima di avviarsi verso l’ingresso secondario, quello che soltanto gli addetti ai lavori conoscevano: a quell’ora non c’era più nessuno alla reception e il portone principale era chiuso.
Si introdusse nel ramo più silenzioso dell’edificio. Non doveva esserci anima viva, da quelle parti... o almeno era quello che sperava, vista l’intenzione che aveva.
Sapeva dove aveva visto Avah.
L’aveva incontrata insieme al direttore.
Chiunque fosse quella donna, Carpenter la conosceva.
Samuel non sapeva ancora quale significato dare a quel ricordo, ma era certo che, in un modo o nell’altro, avrebbe potuto essere fondamentale.
Chissà, forse Carpenter aveva un suo recapito, tra gli effetti personali, qualcosa che potesse aiutarlo a scoprire dove vivesse, o anche solo quale fosse il suo cognome.
L’idea di andare a rovistare nell’ufficio del direttore non lo allettava, ma sapeva di non avere alternative.
Quello che era successo era quantomeno insolito e, se una donna tentava di farlo ubriacare e di sedurlo, forse al solo scopo di estorcergli informazioni, si sentiva in diritto di decidere di vederci chiaro.
Si avviò lungo il corridoio in penombra, con l’intento di salire al quarto piano.

Sheila ne era sicura: in quel momento Nicholas si stava chiedendo che fine avesse fatto.
Gli aveva detto che sarebbe uscita dal pub per qualche istante, perché doveva controllare qualcosa, ma la sua assenza si stava prolungando più del dovuto.
“Se solo avessi preso le chiavi della macchina.”
Certo, vedendo sparire anche l’automobile, Nicholas si sarebbe preoccupato molto di più.
Cercò di lasciare da parte quei pensieri.
Aveva qualcosa di più importante di cui occuparsi.
Sapeva dove si stesse dirigendo l’uomo che l’aveva involontariamente attirata fuori dal locale e aveva intenzione di scoprire che cosa si fosse messo in testa.
Chissà, forse quella serata si sarebbe rivelata più interessante di quanto avesse ipotizzato nel momento in cui Nicholas le aveva proposto di uscire invece di guardare l’ennesimo thriller di serie B alla televisione.

Samuel si girò di scatto.
Era soltanto paranoia o gli era sembrato di vedere qualcuno alle sue spalle?
Non c’era nessuno, realizzò.
Non c’era nessuno, oppure qualcuno che era riuscito a nascondersi più in fretta di quanto Samuel potesse ipotizzare.
Per sicurezza, anziché proseguire verso il terzo piano, si fermò al secondo, anch’esso nella penombra delle poche luci fioche che restavano accese per tutta la notte.
Percorsi alcuni metri, si fermò per qualche istante a riflettere.
Era sicuro che non ci fosse nessuno?
Avrebbe dovuto controllare, prima di entrare, che non ci fossero finestre illuminate, ma aveva commesso l’errore di non farlo. Avrebbe potuto controllare, tra le macchine nel parcheggio, che non ce ne fosse nessuna appartenente a qualcuno che lavorasse proprio in quell’ala dell’edificio. Era un ulteriore errore e sperava vivamente di non doversi pentire di nessuno di quei due sbagli potenzialmente devastanti.
Non doveva dimenticare che Radio Scarlet non era più un luogo sicuro fin dal giorno in cui Theresa aveva messo delle pastiglie effervescenti di sonnifero nel bicchiere di Kay.
Doveva andare avanti, oppure tornare indietro?
Doveva depistare qualcuno, oppure l’ombra che aveva intravisto era soltanto un frutto della sua fantasia?
Kay, al posto suo, avrebbe saputo perfettamente cosa fare.
Era sempre stata la più cauta di tutti; forse era quella la ragione per cui aveva sempre cercato di mantenere per sé qualsiasi informazione a proposito della propria vera identità.
“No, non è andata così.”
Per quanto gli costasse ammetterlo, Samuel sapeva che Kay aveva avuto lo scopo ultimo di incastrare l’assassino di sua madre, chiunque esso fosse. Doveva essere stata perfettamente al corrente della sua identità, ma consapevole di non poterlo dimostrare.
Samuel rabbrividì, nel momento in cui si domandò se l’assassino di Marissa l’avesse sempre vista come un pericolo.
Come si sarebbe comportato, in tal caso? Avrebbe deciso fin da subito di sbarazzarsi di lei o, in qualche modo, avrebbe cercato di comprare il suo silenzio?
La morte di Kay sembrava avere avuto origine dai segreti di cui la sua amica era stata a conoscenza, forse per tanti anni. Forse non era stata l’unica a credere che fosse sufficiente tacere.
In tal caso, l’assassino di Marissa Flint avrebbe potuto, in qualche modo, tentare di corromperla.
Samuel raggelò.
Non poteva negare che c’era qualcuno che, per certi versi, aveva davvero tentato di farlo.
“No, non può essere.”
Samuel cercò di non domandarsi quanto fosse sottile il confine tra il bene e il male. Ne era certo, la risposta non gli sarebbe piaciuta.
Forse doveva andarsene.
Doveva andare a casa e chiamare Anthony, oppure Rebecca.
“Sì, Rebecca.”
Anche lei doveva avere capito tutto, era l’unico modo in cui certe sue allusioni potevano assumere un significato.
Samuel fece per girarsi, ma non ne ebbe il tempo.
Dietro di lui, qualcuno lo colpì alla nuca, facendogli perdere l’equilibrio. La vista gli si annebbiò, mentre cadeva a terra, chiedendosi se ci fosse ancora qualcosa da fare.
«Sei finito» lo avvertì una voce.
Non era uno sconosciuto.
Non era qualcuno che Samuel si aspettasse di trovare a Radio Scarlet in quel momento.
«Raymond?» mormorò.
«Complimenti» ribatté l’altro. «Vedo che mi hai riconosciuto. Peccato che ormai non ti serva più.»
Samuel sentì una lama gelida sfiorargli il collo.
Raymond?!
Quella consapevolezza lo lasciava spiazzato, ma allo stesso tempo gli suggeriva di reagire. Non poteva permettere all’ex ragazzo di Rebecca di ucciderlo senza avere prima scoperto come andasse a inserirsi nel puzzle che stava cercando di risolvere.
«Perché?» domandò, con il filo di voce che gli era rimasta. «Cosa c’entri tu?»
«Mi pagano» rispose Raymond, con un tono piuttosto soddisfatto. «Mi pagano e, per quanto mi riguarda, la tua vita vale meno di zero. Non credi che sia un incentivo sufficiente?»
Per lui doveva esserlo.
«Chi?» volle sapere Samuel.
Non udì alcuna risposta, da parte di Raymond.
Sentì invece i passi di qualcuno, in lontananza, e si chiese se fosse un bene o un male.

Avah uscì dal pub, ignorando l’occhiata di un tizio insignificante che sembrava particolarmente attratto dalla sua scollatura.
Non aveva tempo per pensare alla bassezza del mondo che per la circondava.
Non aveva tempo per nulla che non fosse il suo sogno che, pezzo dopo pezzo, iniziava a infrangersi senza che lei potesse davvero fare qualcosa per impedirlo.
Com’era possibile fare affidamento su Raymond?
Com’era possibile che Raymond fosse ancora vivo?
Aveva chiesto ad Albert di sbarazzarsi di lui e lui le aveva mentito di proposito. Doveva averlo convinto a farsi da parte, in cambio di qualcosa di più.
Raymond era facilmente malleabile di fronte a una bella donna, ma diventava ancora più malleabile quando si trattava di soldi.
Aveva accettato.
Aveva accettato ed era ancora vivo, pronto a distruggere di nuovo la sua esistenza.
Per la prima volta dopo tanti anni - anni in cui non si era tirata indietro, quando si trattava di fare il lavoro sporco - Avah si sentiva tradita.
Con la certezza che il suo sogno si stesse trasformando in un incubo, si avviò verso Radio Scarlet.

Samuel Jeffrey non era morto, ma non importava.
Oltre all’altro giornalista, poteva esserci chiunque altro.
Forse era una trappola.
Sì, certo, doveva essere una trappola; ed era tutta colpa di quella puttana di Avah.
Ray era certo di non essere stato inseguito, nel momento in cui spalancò la porta dell’uscita di emergenza.
L’allarme era inserito, ma non importava. Se c’era qualcuno, non era da quelle parti, a meno che l’edificio non fosse circondato, cosa di cui dubitava fortemente.
Scese di corsa la scala antincendio, per due piani, pronto a raggiungere il cortile, dal quale avrebbe potuto dirigersi verso il parcheggio.
Mancava poco.
Mancava davvero poco.
Gradino dopo gradino, maturò la convinzione che lasciare Scarlet Bay per sempre fosse la soluzione migliore.
Attraversò il cortile più in fretta che poté.
Intravedeva già la sagoma dell’automobile, la sua via di fuga.
Notò solo all’ultimo momento la ragazza appoggiata contro la portiera. Per un attimo gli parve una sconosciuta, poi si accorse che aveva i capelli tinti di viola.

   
 
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