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Autore: TheSlavicShadow    14/11/2023    1 recensioni
[Multifandom: Sicuramente Marvel e Hetalia]
Raccolta di fanfic che partecipano alla challenge Writeptember 2023 del gruppo Hurt/Comfort Italia https://www.facebook.com/groups/337102974212033/
https://www.facebook.com/groups/337102974212033/?hoisted_section_header_type=recently_seen&multi_permalinks=981830993072558
Genere: Angst, Hurt/Comfort, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi, Slash | Personaggi: Prussia/Gilbert Beilschmidt, Russia/Ivan Braginski
Note: Raccolta | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
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Prompt: Lieto fine, "Non c'è niente qui"
Fandom: Hetalia
Personaggi: Prussia, Russia
Pairing: Ru/femPru
TW: pregnancy
Note: questo è un fix up che ho dovuto dare a me stessa dopo aver scritto il giorno 7 e dopo aver visto ieri sera il nuovo programma di Real Time sui bambini prematuri. Avevo bisogno di un happy end alla fine.


 

Mosca, 4 luglio 1946

 

Era stata una notte lunghissima. Una di quelle che desideri finiscano il prima possibile, ma che sai resterà nella tua memoria per sempre, fino al giorno in cui smetterai di respirare. Era una di quelle notti lunghissime, fatte di lunghi sospiri, di imprecazioni, di dolori costanti. Era una di quelle notti che ti chiedi chi te lo abbia fatto fare e se davvero ne valeva la pena di soffrire le pene dell’inferno. Era una di quelle notti che non sai se camminare, stare sdraiata o squarciare il tuo ventre con le tue stesse mani per porre fine a quel supplizio vecchio come il tempo.

Non ricordava che le contrazioni facessero così male. Forse in passato non le aveva avute. In passato era stato tutto più veloce, tutto più doloroso ma per altri motivi. 

“Ho bisogno di ubriacarmi. Portami la vodka peggiore che hai e fammi svenire.” Aveva mugugnato piegata sul davanzale della finestra mentre una contrazione le induriva il ventre enorme. Era a termine. Era arrivata a termine con un ventre enorme e aveva paura del mostro che ne sarebbe uscito. 

“Il massimo che posso fare e accompagnarti a fare una doccia calda.” Aveva voltato lo sguardo verso l’uomo che se ne stava pacificamente seduto su una poltrona a leggere un libro. Era così facile per loro. Non toccava mai a loro quel peso. 

“L’ho già fatta e non ha funzionato. Sto per partorire. Cosa vuoi che funzioni ora? E tu vattene a casa. Non c’è niente qui che puoi fare per me tranne farmi saltare i nervi.” Aveva già rotto le acque stando in quella stessa posizione, ma quel bambino non voleva saperne di uscire. In passato aveva avuto fin troppa fretta, questa volta sembrava non voler più nascere. E si detestava per tutti i pensieri che stava avendo in quel momento. Doveva pensare a cose belle. Doveva pensare di essere arrivata fino a quel momento, di essere alla fine. Ma il suo cervello continuava a boicottare ogni pensiero felice ed era solo pervasa dalla paura. Aveva il terrore che andasse di nuovo tutto storto. 

“Gil, vuoi che chiami una infermiera? Ti farebbe stare più tranquilla?”

“No. Starei tranquilla solo a casa e non in questa situazione. Perché mi ci sono cacciata di nuovo?” Si era piegata di più verso la finestra controllando il respiro, mentre l’ennesima contrazione bloccava il suo corpo. “Non posso farcela, Ivan. Non posso passarci di nuovo.”

Non si era nemmeno accorta che l’uomo si era alzato dalla poltrona. Si era solo accorta di una mano calda sulla sua schiena.

“Da quando tu non puoi farcela? Ti vuoi arrendere proprio adesso per la prima volta in tutta la tua esistenza? Tu? Proprio tu che sei stata così stupida da credere di potermi battere in tutti questi anni attaccandomi in pieno inverno?”

“Se questo vuole essere un incoraggiamento, fa schifo. Lasciatelo dire.” Lo aveva guardato male, ma l’uomo le aveva sorriso. Lo odiava. Doveva odiarlo perché come sempre non era il momento ideale per nulla. Solo un anno prima era uscita dalla guerra sconfitta su tutta la linea. Ed era finita prigioniera di quell’uomo. Ed ora si trovava in ospedale per partorire suo figlio.

“Ho paura anch’io, cosa credi? Non voglio avere figli, non l’ho mai voluto.”

“Mi sembra un po’ tardi dirlo adesso, coglione.” Lo aveva guardato anche peggio, ma in realtà non poteva dargli torto. I figli non erano mai stati nei piani di uno o dell’altro. Perché tra Stati era impossibile. Perché erano entrambi due guerrafondai. Lei aveva fatto la sua parte nel crescere Ludwig, e non era affatto sicura di aver fatto un buon lavoro. 

Ma insieme ne avevano già avuto uno. Ed era morto troppo presto tra le sue braccia. Aveva sempre fatto finta di nulla, ma l’aveva lacerata per molto tempo quella perdita. Perché a voce poteva dirlo per l'eternità che odiasse Ivan con tutto il proprio essere, ma la verità era molto diversa. E aver dato alla luce un suo figlio sarebbe dovuto essere un momento di gioia, nonostante a parole avrebbe sicuramente sempre detto il contrario. Solo che era terrorizzata fin nelle viscere. Era stata piena di paura ogni giorno dal momento in cui si era resa conto di essere incinta. Perché erano secoli che non nascevano figli da parte di qualche nazione. Erano secoli che l’Europa cambiava, ma senza nuove reali nascite. 

Aveva il terrore che se avesse osato essere felice tutto sarebbe precipitato e si sarebbe ritrovata nuovamente a piangere un corpo minuscolo stretto tra le proprie braccia. Anche perché non si meritava un lieto fine. Non dopo tutte le atrocità di cui si era macchiata nell’ultimo decennio. Non meritava in alcun modo di essere felice, e forse quella era una punizione. Forse darle un briciolo di speranza che tutto potesse andare bene era una illusione per poi farla precipitare nel baratro ancora una volta. 

Non avrebbe potuto sopportarlo. Non questa volta. Era già provata da tutte le colpe che si portava addosso e dalla prigionia sovietica che a volte era tutto fuorché una bella esperienza.

“Gil, andrà tutto bene. Puoi farcela.” Ivan si era chinato in modo da guardarla negli occhi mentre le parlava. “E anche se non mi vuoi, sono qui per darti il mio supporto. Non ci sono stato in passato, ma questa volta ci sono.”

Lo aveva guardato e non sapeva se voleva colpirlo con un pugno in pieno viso o abbracciarlo e lasciarsi avvolgere dal suo calore. Ivan sapeva essere di una crudeltà unica. Lo era stato anche in quel primo anno di prigionia. Lo era stato anche in passato. Si erano fatti male in modi che decisamente nessuno definiva sani in una relazione, ma erano ancora lì. Dopo secoli di battaglie. Dopo secoli di paci provvisorie. Dopo tanto dolore e poche gioie, erano ancora lì a gravitare uno attorno all’altro. Bastava vedere come Ivan non avesse avuto alcuna pretesa sulla parte occidentale della Germania, ma aveva preteso lei subito. 

“E se dovesse andare male anche stavolta?” Aveva parlato a voce bassa e piena di paura. Detestava davvero quella debolezza. Le donne partorivano dall’alba dei tempi. Anche se lacerate nell’anima sopravvivevano ai figli persi troppo presto. E lei non doveva essere da meno. Era la gloriosa e magnifica Prussia, dov’era finita la sua forza in quel momento?

“Te l’ho detto, questa volta sono qui in tempo per qualsiasi cosa. Per questo non me ne vado a casa anche se non mi vuoi qui. Puoi anche detestarmi per tutto quello che sta succedendo e non ti biasimo affatto, non sopporterei nemmeno io di essere conquistato da altri. Ma sono qui per te come Ivan, non come Russia.”

Lo odiava e lo amava nello stesso momento. Era sempre stato così e così sarebbe sempre stato fino alla fine delle loro esistenze. Sarebbero per sempre rimasti legati uno all’altra, nella buona e nella cattiva sorte. 

“Quando fai così mi fai sempre sentire come una stupida donnicciola innamorata.”

“Allora sei innamorata di me.” Ivan le aveva sorriso e voleva davvero dargli un pugno. E anche a sé stessa per quella ammissione. “Ho vinto una scommessa con Alfred.”

“Voglio colpirti con qualcosa di pesante. Credimi. E mi rimangio quello che ho appena detto.” L’ultima contrazione l’aveva lasciata più dolorante delle precedenti. Mancava poco, se lo sentiva. “E ora avrei bisogno davvero di tanta vodka e di una infermiera. Subito.”

“Quella la berrò io per festeggiare, tu assolutamente no.” Le aveva accarezzato la schiena e si era chinato sporto per darle un bacio sulla guancia prima di allontanarsi e chiamare qualcuno. Lo aveva osservato e si sentiva in qualche modo più fiduciosa. Faceva tutto schifo. La situazione in cui si trovava era la peggiore di sempre.

Ma Ivan era stato accanto a lei tutto il tempo. Non l’aveva mai lasciata da sola. Anche quando era lei a respingerlo, l’uomo era rimasto al suo fianco. 

Quella era una seconda possibilità per entrambi. Quella poteva davvero essere la nascita di qualcosa di nuovo, di qualcosa di bello. Potevano avere la possibilità di avere anche un solo briciolo di felicità dopo tutti gli orrori commessi. Voleva sperarci. Voleva crederci. Voleva solo essere stupidamente speranzosa per una volta che tutto potesse andare bene.

 
   
 
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