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Autore: NowhereBoy    15/11/2023    2 recensioni
Ennis è un giovane ragazzo gay, appena trasferito a Napoli da Chicago, per scappare da un passato non troppo remoto. Ha comprato un appartamento ad un prezzo decisamente basso, e ben presto ne scoprirà la ragione.
La casa, infatti, è infestata da cinque spiriti eccentrici. Riuscirà Ennis a convivere con loro e con i ‘suoi’ fantasmi?
Genere: Comico, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
Capitoli:
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ANGOLO AUTORE:
Ciao a tutti! Benvenuti al nuovo capitolo. Prima di cominciare la lettura, solo due paroline. Dal momento che il mio protagonista è un traduttore, parla diverse lingue. Ma il traduttore è lui, non io. Se con l'inglese me la cavo abbastanza, con le altre lingue no. Per cui chiedo scusa a chi le conosce e, se avete correzioni, fatemele notare così che io possa provvedere. In questo capitolo si parlerà anche in francese.
Inoltre, per chi invece le lingue non le conoscesse affatto, tra parentesi sono segnate le traduzioni, quindi potete leggere direttamente quelle.
Grazie mille per essere passati nella mia storia, buona lettura

1.
L’agente immobiliare era un uomo dall’aspetto piuttosto curioso: bassino, panciuto, con un grosso paio di baffi folti a contornargli il labbro superiore. Seppur Ennis fosse arrivato all’appuntamento in ritardo di quasi un’ora, non sembrava nervoso. Anzi, lo accolse con un gran sorriso, che confuse abbastanza il ragazzo americano. 

«Buongiorno» disse Ennis, porgendogli la mano in segno di saluto. «Sorry for the late, but I couldn’t find the house (mi dispiace per il ritardo, ma non riuscivo a trovare la casa)» 

«Don’t worry (non preoccuparti).» rispose l’agente, afferrandogli la stretta con dita leggermente sudate. Parlava con un accento marcatamente partenopeo, a differenza della signora del bar, e con enorme difficoltà. Infatti aggiunse: «Sai parlare un po’ di italiano?»

«Poco poco. Capire si. Parlaro ancora non bene»

«Allora parlo piano, così mi segui, va bene?» fece l’agente, ed Ennis non poté fare altro che annuire. 

Della visita che seguì, il ragazzo capì poco e niente. L’agente si dilungò a parlare dell’impianto di riscaldamento che funzionava a scatti, unica motivazione per cui poteva sentire un po’ di freddo; avvertì che la casa fosse antica, ottocentesca a dirla tutta, ragion per cui poteva avvertire dei rumori. Ma mentre l’uomo raccontava e raccontava, Ennis riusciva solo a guardarsi intorno, sorridendo. 

La sua prima casa. La sua prima vera casa. 

Una cucina spaziosa con un piccolo tavolo da pranzo, un salottino senza televisione, ma con un piccolo camino in pietra, due camere da letto, di cui una con balconcino, e un bagno. Ogni stanza, inoltre, aveva una finestra. Niente di più. Anche troppo, per le sue esigenze. 

«Ma, signore, ecco il vero must di questa casa. Il gioiello per cui vale ogni singolo mattone» aggiunse l’agente, avvicinandosi alla finestra del salotto, aperta sullo stesso lato di quella di una delle camere da letto. Ed Ennis si affacciò.

Il golfo di Napoli era immenso e maestoso, davanti ai suoi occhi, seppur coperto da una coltre di nuvole grigie. In silenzio, riusciva quasi a sentire l’infrangersi irruento delle onde sul lungomare, nonostante si trovasse abbastanza inoltrato nel quartiere. Seguendo il dito dell’agente, Ennis voltò il capo e lì, come una donna dormiente appoggiata sul fianco, il Vesuvio riposava cullato dalla pioggia. 

L’agente immobiliare lasciò le chiavi dell’appartamento sul davanzale della finestra, gli diede una pacca sulla spalla e augurò «In bocca al lupo per futuro. Good soggiorno, boy.» e andò via, lasciando Ennis solo.

 

Passò un po’ ed Ennis, con gli occhi pieni di meraviglia, decise di fare l’inventario delle cose utili. L’annuncio diceva che la casa fosse pronta all’uso, ma era abbastanza evidente che dovesse mettere mano praticamente a qualsiasi cosa. La cucina, però sembrava abbastanza fornita di utensili, anche se vi trovò degli attrezzi decisamente strani e che non aveva mai visto. Il frigo era naturalmente vuoto, come tutti gli scaffali con i prodotti per l’igiene della casa e personale. 

E mentre scriveva una lista mentale con tutto il necessario, il telefono squillò dal tavolo della cucina l’arrivo di una chiamata. Ennis si riscosse, e corse a rispondere. Guardò il mittente e accennò un sorriso. 

  • Salut, Gervais. (Ciao, Gervais) -

  • Mais bonsoir, Ennis. Vous voyagez toujours ou vous avez oublié de nous le faire savoir ? (Ma buonasera, Ennis. Sei ancora in viaggio o ti sei dimenticato di avvisare?)

  • J'ai oublié, bien sûr. (Dimenticato, naturalmente)

  • Quel trou dans la tête. Es-tu déjà à la maison? (Hai la testa bucata. Sei già a casa?)

  • Oui. L'agent immobilier est parti maintenant. (Si. L’agente immobiliare è andato via ora)

  • Parfait. Je vais prendre quelque chose à manger et je te rejoins. Envoie-moi l’emplacement. (Perfetto. Prendo qualcosa da mangiare e ti raggiungo. Mandami la posizione)

  • Il n'y a pas besoin. J'étais sur le point d'aller faire du shopping! (Non c’è bisogno. Stavo per andare a fare la spesa)

  • Arrête ça. Il y a un vrai besoin, tu ne sais pas manger. Baiser (ma smettila. C’è bisogno, che tu non sai mangiare. Baci!)

Quindi riattaccò. Ennis restò a fissare perplesso il suo telefono. E mentre appoggiava il telefono nuovamente sul bancone della cucina, un rumore attirò la sua attenzione. Proveniva dal salotto e sembrava il suono di una risata mascherata in malo modo. 

Il cuore accelerò appena i battiti. Circospetto, accennò un passo verso la stanza. Ma poi si ricordò di essere solo, quindi mormorò un Fuck-off, old pipes (fanculo, vecchie tubature), e tornò a personalizzare, per quanto possibile, il suo appartamento, prima dell’arrivo del suo migliore amico. 

 

«Mais dans quelle belle masure vous vous trouvez! (ma che bella catapecchia che ti sei trovato!)» esclamò Gervais, abbracciando Ennis dopo avergli stampato un sonoro bacio sulla guancia. «Enfin de retour dans la même ville (finalmente ci ritroviamo nella stessa città)»

«Combien de temps se sera écoulé? Quatre années? (Quanto tempo sarà passato? Quattro anni?)» domandò l’americano, sfilando il cappello all’amico per scompigliargli i capelli. 

Gervais rise, lanciandogli in mano una busta che profumava di rosticceria, e correndo ad esplorare l’appartamento. 

Ennis e Gervais s’erano conosciuti da adolescenti, durante uno scambio culturale tra la sua scuola ed un liceo della Francia. Erano stati sei mesi nei quali s’erano odiati, per poi legare improvvisamente ad un paio di settimane dalla partenza, grazie ad una festa durante la quale Ennis gli aveva salvato la vita, prendendosi un paio di cazzotti al suo posto. Da quel giorno, erano rimasti in contatto via skype, sui social, vedendosi durante qualche vacanza. Dopo la laurea in architettura (conseguita in Francia), Gervais aveva vissuto negli Stati Uniti per un paio d’anni, per poi trasferirsi a Napoli. Ennis, invece, non si era mai mosso da Chicago. Mai, prima di quel momento. 

Ennis abbandonò sul tavolo della cucina la busta dall’odore sospetto, sbirciando all’interno cosa potesse nascondere di così tanto delizioso, mentre l’amico ispezionava con cura ogni anfratto di quell’appartamento. Solo dopo diverso tempo lo vide ricomparire all’uscio della cucina, per poi sospirare ed esclamare «dépression, commisération et désolation: la maison parfaite pour toi! (depressione, commiserazione e desolazione: la casa perfetta per te!)». 

 

«Quando arriverà il resto delle tue cose?» domandò il francese in italiano, che aveva imparato piuttosto bene durante la sua permanenza. Se ne stava seduto a gambe incrociate sulla sedia di vimini della cucina, a stuzzicare da un vassoio con rustici, sfizi fritti assortiti e altro ben di Dio. 

Ennis lo guardò interrogativo. «Che senso?»

Allora Gervais accennò un sorriso. «C'est la première fois que je peux parler mieux que toi. Je me sens si intelligent! (È la prima volta che so parlare meglio di te. Mi sento così intelligente!)» ridacchiò, mentre l’americano storceva il naso. «Quand arrivera le reste de vos affaires? (Quando arriverà il resto delle tue cose?)» 

«Quel reste? Tout est là (Quale resto? È tutto qui.)» rispose allora, mettendo in bocca un pezzo di crocchè, chiedendosi come fosse possibile che patate bollite, formaggio e mortadella potessero avere un sapore così buono. 

Gervais restò per un momento a fissarlo. «Est-ce que tu plaisantes? (Stai scherzando?)»

L’altro, dal canto suo, scosse la testa, perplesso. «Quand je suis parti, j’ai tout laissé à Martin. Je ne voulais rien de lui. (Quando sono partito, ho lasciato tutto a Martin. Non volevo niente di suo)»

«C’est bien, mais ce ne sont pas que ses affaires, après six ans de vie commune. (Va bene, ma non è solo roba sua, dopo sei anni di convivenza).»

Ennis sbuffò. «Mais que veux-tu de moi? Je vais bien comme ça. Toute ma vie tenait dans une valise et un demi-sac à dos. il ne me reste plus qu'à recommencer et ce travail s'est parfaitement déroulé. Maintenant, je ne veux plus en parler, s'il te plaît. 

(Ma che vuoi da me? Sto bene così. Tutta la mia vita è entrata in una valigia e mezzo zaino. Ora devo solo ricominciare e questo lavoro è capitato alla perfezione. Non voglio più parlarne, per favore)»

Gervais alzò le sopracciglia folte in un’espressione più che eloquente.

«Quel dramatique (che drammatico)»

«Quel connard (che stronzo)» rispose Ennis.

Poi si guardarono e scoppiarono a ridere. E mentre il francese si alzò da tavola per andare a trafficare con la bottiglia di vino che aveva portato, chiedendogli dove fossero i calici, Ennis sentì come il rumore di una sedia che strusciava sul pavimento, proveniente ancora una volta dal salotto. Restò immobile a fissare quel battente chiuso, mentre l’amico non sembrava minimamente turbato.

 

Le due chiacchiere e l’aperitivo di benvenuto si erano protratte fino a sera, il temporale era esploso e si era calmato nel giro di pochi minuti. Approfittando della calma, Gervais aveva deciso di tornare a casa sua, rifiutando l’invito di Ennis di restare a cena. 

«Ton ami baise ce soie, j’espère! (Il tuo amico stasera scopa, se tutto va bene)» gli annunciò il francese, arrotolandosi la sciarpa intorno al collo. 

L’americano storse un po’ il naso. «N’es-tu pas trop vieux plurale l’université? (Non sei un po’ troppo vecchio per le universitarie?» 

Gervais scosse il capo, sorridendo orgoglioso. «Mec, je n'ai que trente ans! Mais vous savez: pour moi les jeunes femmes, pour toi les hommes mûrs. Un juste compromis, non? (Amico, ho solo trent’anni. Ma lo sai: per me le giovani donne, per te gli uomini maturi. Un giusto compromesso, no?)»

I due amici uscirono insieme, salutandosi al portone: Gervais verso il suo appuntamento, Ennis verso il supermercato (l’unico che gli indicava il navigatore), dove fece buona scorta di cibo, prodotti di pulizia e quanto avesse bisogno. Si sorprese di quanto fossero piccole le confezioni italiane, restando invece incantato davanti all’espositore del pane. Ce n’erano di tutti i gusti! Pagnotte, panini all’olio, farina bianca, ai cereali, nera, di lenticchie… era difficile scegliere! Immaginò cosa si dovesse provare passando di lì di primo mattino, col profumo del pane appena sfornato ad invadere l’aria. Afferrò una treccia classica, promettendosi che, prima o poi, li avrebbe assaggiati tutti. 

Tornato nel suo appartamento, in un tempo decisamente spropositato, accese della musica e cominciò a prepararsi la cena. Aveva fame e voleva della pasta. Era in Italia, dopotutto. Fuori, aveva cominciato a piovere di nuovo. 

Se c’era una cosa per cui Martin l’aveva amato, in quegli anni, era la cucina. Ennis si destreggiava davvero bene tra i fornelli. Quindi prese la padella, che riempì d’acqua, combatté un po’ col fornello per accenderlo e la mise sul fuoco. Immediatamente, allora, mise il sale e calò una generosa dose di maccheroni, senza aspettare che l’acqua bollisse. 

In quel momento, la sedia della cucina cadde a terra, facendo trasalire il ragazzo. Il suo sguardo corse all’oggetto che dondolava sulla curva dello schienale. What the hell pensò, ma poi vide la finestra aperta e pensò ad una folata improvvisa. Si mise in bocca un pezzo di pane, mentre andava a chiuderla, per tornare a trafficare ai fornelli. 

Aveva comprato un barattolo con su scritto sugo alla bolognese. Aveva un aspetto davvero buono, quindi lo verso dentro un altro tegame, per farlo scaldare. Si versò un generoso bicchiere di vino, mentre canticchiava le parole della canzone. Si sentiva tranquillo. Era quasi sereno.

Mentre mescolava con un cucchiaio, però, gli venne in mente il disastro. Sicuro, andò verso il frigo e prese il barattolo di ketchup appena comprato. Si avvicinò al tegame e lo aprì. Ma mentre stava per versarlo nel sugo, l’oggetto divenne come di marmo, e gli cadde di mano, sul davanzale. 

Il cuore saltò un battito. Accigliato, lo sguardo correva dal barattolo di ketchup al suo polso. Provò ad afferrarlo di nuovo, ma l’oggetto era incredibilmente pesante. Troppo. Tentò anche con entrambe le mani, ma era impossibile. 

«All right, what kind of joke is this?! (Va bene, che razza di gioco è questo!)» gridò, guardandosi intorno. 

E lì la vide. 

In piedi, accanto a lui, una donna dai ricci capelli scuri, corti sotto le orecchie, alta fino alle sue spalle lo fissava con aria severa, lo sguardo truce in viso. Indossava una camicia scura lunga sino ai piedi, legata in vita con una cintura. Era una bella donna, forse qualche anno più grande di lui, incredibilmente pallida e con le occhiaie marcate.

Ennis trasalì, alzando la voce. «Who the fuck are you? It’s my home! (Chi cazzo sei? È casa mia!)» 

La donna, fieramente, si passò una mano tra i capelli, spostandosi la frangia che le ricadeva sugli occhi. In quel momento, Ennis notò un piccolo particolare: all’altezza del collo e al centro della fronte c’erano due cicatrici rosse fiammanti, circolari. Sembravano chiaramente fori di proiettile. 

No… it’s not possible… 

Ennis era terrorizzato. Cominciò a sudare. Non era possibile. Non poteva essere davvero un…

I pensieri smisero di circolare nella sua mente quando lei, lentamente, gli puntò l’indice contro, con aria assolutamente minacciosa. Prese un respiro e parlò. Nonostante fosse in italiano, Ennis riuscì a comprendere chiaramente quelle parole, gridate con voce come proveniente da un altro posto. 

«Non mettere quella porcheria nella mia cucina!»

Un fulmine fuori il balcone, la pioggia scrosciante che ricominciava a cadere forte ed Ennis che si accasciava a terra, battendo la testa, svenuto.

   
 
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