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Autore: Glenda    04/12/2023    4 recensioni
In un mondo in cui la magia è rara e con un grande peso politico, ed i maghi figure temute e inquietanti, Heze, un giovane viaggiatore dal cuore limpido e il carattere solare, viene ingaggiato da uno di loro perché lo accompagni fino alla capitale a consegnare un messaggio segreto. Ma la persona con cui si trova ad affrontare questa avventura è completamente diversa dalle aspettative che si era costruito: svagato, onesto, gentile e smaccatamente vulnerabile, Yèlveran diventa per Heze un mistero da svelare, e finisce per legarsi a lui al punto di farsi trascinare in un complotto che potrebbe costare la vita a entrambi...
Storia di avventura con una componente politica, ma principalmente focalizzata sulla relazione tra i personaggi (a cui sono affezionatissima e dei quali ho volentieri indugiato nel descrivere i pensieri). Un bel po' di bromance e molto drama.
Genere: Drammatico, Fantasy, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Si erano da poco alzati e rimessi in cammino, dopo una notte con le schiene affondate in un mucchio di erba tagliata da cui Yèlveran stava ancora cercando invano di liberarsi, quando sentirono sopraggiungere un rumore di zoccoli e ruote: poco dopo sopravvennero anche le voci sguaiate di un consistente gruppo di persone. I due si portarono al margine della strada ed Heze aguzzò lo sguardo per farsi un’idea di chi si stesse avvicinando.

“Vi avevo detto che un passaggio ci avrebbe fatto recuperare il tempo perso, giusto? Magari siamo fortunati!”

In qualche minuto, preceduto da un gran polverone, venne verso di loro un carro coperto tirato da due cavalli: era piuttosto grande ed in evidente difficoltà nel procedere su quello sterrato pieno di buche; i fianchi erano dipinti con colori sgargianti e sugli opposti lati si aprivano due finestrine perfettamente intagliate, con tanto di scuri e cornice dipinti, che lo rendevano simile ad una buffa casa viaggiante. La parte superiore era protetta da uno spesso telo curvo, anch’esso smaccatamente colorato, con miriadi di frange che svolazzavano ad ogni sobbalzo del mezzo. Certo, non era un veicolo che passava inosservato; ma ancora meno lo facevano i due seduti a cassetta, né alla vista, né all’udito: uno, col viso coperto di cerone bianco e il cappello più buffo che Yèlveran avesse mai visto, stava intonando una canzone accompagnandosi col suono di due campanelle, l’altro, grosso come un orso e quasi altrettanto peloso, gli imprecava contro ed imprecava ancora di più quando le ruote rimbalzavano su una buca o un sasso.

“Siamo più che fortunati!” esclamò Heze, e si parò in mezzo alla strada agitando le braccia.

Yèlveran non ebbe il tempo di preoccuparsi per l’incolumità fisica della sua guida, che l’orso umano tirò le briglie fermando i cavalli con una prontezza inattesa e lasciò faticosamente il posto profondendosi in un inchino cerimonioso (l’altro intanto continuava a cantare e non pareva essersi nemmeno accorto che si erano fermati).

“Ancora sulla stessa via, struggente cantore della lontananza!” disse, con un vocione roco ma caldo.

Heze ripeté lo stesso gesto accompagnato da un ampio sorriso.

“Così pare, Grande Mago della Carovana dei Folli!”

Si andarono incontro e si abbracciarono.

Passò un attimo dal momento in cui, sorpresi dalla sosta inaspettata, altri personaggi, uno più bizzarro dell’altro, cominciarono ad affacciarsi, chi alle finestrine, chi oltre le spalle del tizio che cantava, finché una donna con una nuvola di ricci sulla testa non balzò giù dal carro fiondandosi addosso ad Heze.

“Luce dei miei occhi! Mi sei mancatoooo!” esclamò, e gli stampò un bacio sulla bocca che lui non parve disdegnare affatto. Dopo di lei, altri gli buttarono le braccia al collo, tra pacche sulle spalle, buffetti ed effusioni così caotiche che solo quando le manifestazioni d’affetto si furono definitivamente placate Heze si ricordò di Yèlveran, il quale, nel frattempo, si era ritirato in disparte e stava cercando di sottrarsi agli sguardi.

“Loro sono la Carovana dei Folli: la compagnia dell’arte della Valle del Lungo. I più bravi, i più famosi, i più spiritosi, i più simpatici…” si rivolse all’orso con un occhiolino “manca qualcosa? Ah sì: e i più generosi, ovvero quelli che ci offriranno un passaggio fino a Capovalle!”

“Urrà! Il mio messaggero preferito viaggia di nuovo con noi!” esultò la donna tutta capelli, baciandolo di nuovo e non meno appassionatamente.

“Innamorata, da quando qui comandi tu?” la riprese l’omone.

“E tu da quando non ti affretti ad accaparrarti i servigi di un maestro di canto armonico dell’altopiano?”

“Ah, beh, se stai chiedendo ad Heze di esibirsi con noi…”

“Chiediglielo tu, dato che sei il capo!”

“Io sono il capo… e tu quella che mi scavalca perché se lo porta a letto!”

E presero a becchettarsi tra loro, dimenticandosi di nuovo della presenza di Yèlveran, finché il tipo seduto a cassetta non interruppe la sua canzone stonata, si stropicciò il viso portandosi via metà del trucco dalla faccia, e puntò due occhi spaventosamente celesti nella sua direzione: “Wow! E questo tizio bellissimo da dove sbuca fuori?”

Saltò giù dal carro con un’acrobazia ed atterrò ai suoi piedi con una piroetta e un inchino.

“Sono Pagliaccio,” e sfoderò un sorriso provocante aggiustandosi il cappello “e tu chi sei?”

Una ragazza.

L’improbabile canterino era una ragazza.

“Io…”

Heze giunse prontamente in suo soccorso.

“Lui è il mio attuale cliente, gli faccio da guida. È una persona molto riservata che preferisce non presentarsi per nome. Ma almeno tra voi non sarà un problema!”

“Beh, un nome d’arte ce lo avrà!”

“Non credo che ce l’abbia.” fece un sorriso ammiccante e si rivolse a Yèlveran “Oppure sì?”

“Ma sì, certo che sì!” continuò come un fiume in piena la donna chiamata Pagliaccio, girandogli intorno senza smettere di fissarlo “Qualcosa tipo Splendore, Sogno ad occhi aperti, Raggio di sole…?”

“Io a volte lo chiamo Abbastanza.” scherzò Heze, e gli strizzò l’occhio.

Era chiaro che trovava la situazione divertente.

Per lui, invece, era tutto troppo: troppe persone, troppe parole, troppo movimento, troppa energia, troppa fisicità. Oddio.

 

Heze conosceva la Carovana dei Folli da molto tempo, ed aveva spesso viaggiato con loro, non solo perché il loro carro era confortevole e riparato dal freddo e dalla pioggia, ma soprattutto perché quella gente era proprio fatta per lui. Di tutti conosceva la storia, a volte più di una dato che ad ogni incontro amavano narrarla in modo diverso o stravolgerla del tutto: ciascuno di loro era un emarginato, un diverso, un fuggitivo, e per ciascuno di loro contava poco ciò che eri stato e ancor meno ciò che la gente credeva tu fossi. Grande Mago, Giudice, Capitan Spavento, gli Innamorati, Manolesta, Pagliaccio: sopra quel carro tutti erano solo maschere e il mondo un grande palcoscenico dove non importava quale fosse la tua provenienza e, ancora meno, il colore dei tuoi capelli. Sopra quel carro i capelli si tingevano e i volti si truccavano: tutto si mescolava e tutto andava bene.

In cambio di un passaggio, si era più volte esibito con loro: Grande Mago, il vero cuore del gruppo, aveva un debole per il Canto della Lontananza, e, più in generale, apprezzava la sua voce.

Adesso stavano andando a Capovalle per la Festa della Purificazione: sarebbero rimasti lì per l’intera durata delle celebrazioni, ma Heze aveva contrattato per partecipare alla loro prima serata e poi riprendere il viaggio che li avrebbe portati a oltrepassare il lato orientale dei Monti di Vetro e raggiungere finalmente la strada maestra per Feuzte.

La metà del loro cammino, con una settimana di ritardo già accumulato.

Quel passaggio gli avrebbe fatto riguadagnare almeno un giorno, forse di più, per questo il suo riservato compagno di viaggio se ne sarebbe fatta una ragione e avrebbe sopportato di buon grado la fatica che doveva costargli un contatto così stretto con una comunità così poco discreta.

O almeno lo sperava.

Da quando erano saliti a bordo, era stato subissato dalle attenzioni di Pagliaccio: un altro, al suo posto, ne sarebbe stato compiaciuto, ma lui sembrava proprio in difficoltà; doveva aver avuto così poche interazioni sociali nella sua vita! Però era un attento osservatore dell’umanità, lo aveva dimostrato a Marvino, leggendo sottintesi che a lui erano del tutto sfuggiti: chissà quali dettagli era già riuscito a cogliere dalle domande che i membri della compagnia continuavano a fargli sperando invece di strappare qualche storia curiosa a lui…

“Da quanto tempo conosci Heze?”

“Sedici giorni.”

“Quante volte si è già ubriacato?”

“Nessuna.”

“Non ci credo.”

“Se è successo non me ne sono accorto.”

“Ah, ecco…!”

“Ma io sono bravo ad accorgermi delle cose.”

“Splendido! Allora ti sei accorto che ti sto corteggiando?”

“Mm.”

Heze le tirò un nocchino sulla testa.

“Pagliaccio, falla finita!”

“Ohi, rossino, non fare la lagna! Se mi vuoi casta e pura, non presentarmi uomini belli!”

“La tua castità non riguarda me.”

“Eh, lo so… visto che preferisci spassartela con Innamorata!”

“Ehi, ma i fatti tuoi mai?”

“I fatti miei sono così noioooosi! Mi piacciono quelli degli altri!”

Buttò la testa all’indietro fino a appoggiarla sulla spalla del principale oggetto dei suoi interessi, che non osò scrollarsela di dosso, forse per buona creanza, forse perché la sfrontatezza di lei lo aveva paralizzato.

“Da dove vieni?”

“Oltrefrattura.”

“L’oltrefrattura è grande: da che zona?”

“Non vorrei rispondere.”

“Che risposta è?”

Lui si strinse nella spalle, facendo sbilanciare la testa dell’interlocutrice, che invece ne approfittò per appoggiarla più vicino al suo petto.

“E dove vai?”

“Feuzte.”

“A fare cosa?”

“Non vorrei rispondere.”

“Sei sposato?”

“No.”

“Hai figli?”

“No.”

“Che fai nella vita?”

“Studio.”

“Cosa studi?”

“Non vorrei rispondere.”

“Uffaaaaa! Sai recitare?”

“No.”

“Cantare?”

“No.”

“Danzare? Suonare? Fare acrobazie?”

“No.”

“Che sai fare di bello?”

“Mm.”

“Gioca a carte.” intervenne Heze, sperando di offrire un’alternativa a quell’interrogatorio “E a pedine, a dadi e a un sacco di altri giochi di abilità. Scommetto che straccia anche Giudice!”

Quella sfida indiretta scaldò subito l’atmosfera.

“Ohoh!” si entusiasmò Pagliaccio, battendo le mani come una bambina “Allora punto su di te, biondino! Adoro le scommesse al buio!”

Il suo compagno di viaggio gli rivolse uno sguardo incerto, come a chiedergli se dovesse assecondarlo o meno.

“Suvvia, scegliete il gioco!” lo incoraggiò Heze “Il viaggio è lungo e questa è la vostra unica opportunità di ridurre i logorroici al silenzio!”

La ragazza sfoggiò un plateale broncio, incrociando le braccia sul petto.

Fu Giudice, un anziano alto e allampanato che fino ad allora era rimasto in disparte, a muoversi barcollando dalla sua postazione e intimò a Pagliaccio di cedergli il posto.

“Gioco dei Lupi” propose, stendendo una scacchiera di stoffa tra i loro piedi “Sempre che le buche sulla strada non ci ostacolino troppo. Bianchi o neri?”

Lui esitò un attimo, poi abbozzò un timido sorriso.

“Bianchi.”

Giudice gli tese un sacchetto di velluto aperto.

“Sorteggia per la prima mossa, giovanotto.”

 

Yèlveran era grato a quell’uomo: la sua presenza statica e calma lo aveva aiutato a riportare la situazione sotto controllo. Anche il modo in cui muoveva i pezzi sulla scacchiera aveva un effetto stabilizzante: rifletteva, si dava tempo e poi li spostava con delicatezza, sollevandoli con due dita, cautamente. Yèlveran giocava nel modo in cui Luxei lo aveva istruito, ovvero tenendo sempre un occhio sulle espressioni facciali e la prossemica dello sfidante, lui, invece, guardava solo le pedine, come se non stesse competendo con un individuo ma solo con la mano che le faceva cambiare di posizione. Ogni tanto Pagliaccio faceva qualche commento a casaccio e altri le facevano eco, ma Giudice metteva tutti a tacere con un solo cenno della mano: contestualmente alzava gli occhi verso di lui e abbozzava un sorriso complice da sotto i baffi.

Yèlveran si stava divertendo: si era dimenticato di trovarsi in uno spazio stretto a contatto ravvicinato con degli sconosciuti e il suo interesse era tutto sulla partita.

Quando spinse fuori dalla scacchiera l’ultima pedina di Giudice, gli attori esplosero in un coro incredulo.

“Perdinci, tu sei bravo, figliolo!” esclamò il vecchio sbattendo un pugno entusiasta sul tabellone vuoto “Finalmente qualcuno che fa funzionare il cervello! Dammi la rivincita!”

Risistemarono la scacchiera e ricominciarono: passò almeno un’altra ora finché non fu Giudice, questa volta, a rimanere con l’ultimo pezzo in gioco.

“Magnifico, magnifico!” fece sfregandosi le mani “Che altro sai fare?”

“Mm. Me la cavo a Quattro Venti, Torre, Rosso e Nero…”

Giudice aveva già riposto le pedine ed estratto un mazzo di carte.

“Quello che ti pare. Stupiscimi.”

Giocare con quell’uomo era piacevole: gli ricordava moltissimo le sere pacifiche passate nell’enclave a sfidare Luxei.

Nei primi tempi della sua vita a Villanuova quell’attività non era stata solo un mezzo per allenare la mente a costruire “serrature” ma più banalmente il suo modo di entrare in relazione con quel maestro gentile e al tempo stesso enigmatico, che non aveva peli sulla lingua nel metterlo di fronte a verità terribili, ma lo guardava come qualcuno che possiede le risorse per affrontarle, che gli insegnava a tenere le distanze e non farsi coinvolgere dai sentimenti, ma poi gli chiedeva di fidarsi di lui. Ricordava bene i pomeriggi a studiare libri su libri, a comprendere tutto l’impianto filosofico che c’era alla base delle nove Persuasioni, a mandare a memoria le classificazioni, le sei Radici e i loro intrecci, e i rapporti tra una Persuasione e l’altra… A fine giornata Garlan lo interrogava, discuteva con lui di scienza e filosofia, cercava di metterlo in difficoltà con le sue domande scomode, e poi… E poi arrivava Luxei, che gli scompigliava i capelli e diceva «E ora basta riempire questa bella testa di informazioni. Giochiamo.» e se lo portava nella sala grande, vicino alla finestra sul chiostro, e lo batteva regolarmente qualunque gioco scegliessero.

«Yèlveran, Yèlveran,» cantilenava, e lui non aveva mai sentito pronunciare il suo nome con tanta affezione «stai riflettendo troppo: concentrarsi sulle proprie mosse è bene, ma se ci investi così tanto io leggerò la tua mente. Dividi i pesi: pensa alla tua strategia, ma guarda anche me, prova a intuire dal mio viso che carte ho in mano, e pensa un po’ anche ad altro. Dividi i pesi, alleggerisci i tuoi pensieri e confondi i miei… Cosa hai voglia di mangiare stasera, ad esempio?»

Ci aveva messo cinque anni per arrivare a batterlo..

Ultimamente, però, ci era riuscito spesso.

Giudice lo riportò al presente sfilando l’ultima carta dal suo mazzo.

Torre. Stavolta uno a zero per me.”

Yèlveran riavvolse i pensieri fino al passaggio che si era perso.

“Oh. Accidenti. Ho fatto un errore proprio stupido. Un’altra?”

“Come no! È da quando è morto il vecchio Manolesta che non trovo qualcuno che mi diverta! Questo qua…” e accennò all’uomo che si era presentato con lo stesso nome “Ha preso tutto da suo padre tranne l’intelligenza!”

“Giudice invece ha preso tutto dal suo personaggio, compresa la stronzaggine!” ribatté quello al volo, ridacchiando, subito imitato da Pagliaccio, che rideva anche quando sembrava non aver capito niente.

C’era qualcosa in quella ragazza che a Yèlveran sfuggiva: di certo non era del tutto lucida, non sapeva se per ubriachezza, per effetto dell’erba celeste o per una condizione naturale. Era priva del concetto di spazio personale, non coglieva le reazioni degli altri, era affamata di attenzioni, ma il modo in cui esponeva il proprio corpo alla ricerca di contatto non aveva in realtà molto a che vedere con la sensualità: sembrava piuttosto che non fosse in grado di comunicare altrimenti che così, e quella risata continua, vacua e a volte così fuori contesto, non aveva nulla di veramente allegro.

“Dove hai imparato a giocare così bene?” chiese Innamorata, mentre la sua mano non smetteva di gingillarsi coi capelli di Heze.

“Non ci distrarre:” protestò Giudice “Torre è il gioco dei sordi e dei muti.”

Yèlveran intanto sistemava l’ultima carta sul suo mazzo.

“Uhuh! Uno a uno, nuovo giro!” esclamò Manolesta.

Giudice annuì compiaciuto.

“È in gamba il tuo amico!” commentò all’indirizzo di Heze “Per una volta mi hai portato qualcosa di meglio che distrazioni e ubriachezza molesta!”

Intanto il carro lentamente si fermò.

“Qualcuno venga a darmi il cambio.” disse il cocchiere.

Manolesta e Capitan Spavento, rispettivamente un ometto minuto col viso da furetto e un bel ragazzo dalle spalle larghe e una barba che doveva essergli spuntata da poco, si sostituirono a Grande Mago e Innamorato a cassetta. Nello spostamento, un grosso fagotto che Yèlveran aveva etichettato come bagaglio sembrò muoversi: una coperta rotolò di lato e un ottavo passeggero sbucò fuori. Era una bambina di forse sei, sette anni, con un paio di trecce mezze disfatte, un viso piccolo e severo e due occhi indagatori.

“Non siamo ancora arrivati.” disse Pagliaccio, ma la piccola scivolò fuori dal suo giaciglio e si guardò in giro, scrutando i due sconosciuti con diffidenza.

“Lui è Heze.” fece la donna “Non ti ricordi di Heze? Quello che fa i suoni strani…” e si lanciò in un’imbarazzante imitazione.

“Così sembra che qualcuno ti stia strangolando!” scherzò lui.

La bambina si mise a ridere e puntò un dito verso il ragazzo come a sottolineare di averlo riconosciuto. Poi la sua attenzione si spostò sull’altro ospite.

Yèlveran ricambiò lo sguardo: lo trovava intelligente e pieno di parole; non stava solo guardando, stava comunicando.

“Non puoi parlare, vero?” le chiese, con naturalezza.

La piccola annuì.

“Ma vuoi sapere chi sono, perché non tutte le persone ti piacciono.”

Lei si fece seria seria, come a voler rafforzare quell’affermazione.

Yèlveran le fece cenno di venire più vicino e la bimba acconsentì, incurante dei movimenti del carro che frattanto era ripartito: scavalcò con agilità le gambe di Pagliaccio andando a posizionarsi a fianco di Giudice.

“Da dove vengo io” disse Yèlveran “mi è stato insegnato che non si deve mai dire il proprio nome, tranne a coloro di cui ci si fida moltissimo. Perciò non ti posso dire come mi chiamo. Ma questa è casa tua e se decidi che sono una persona che non ti piace o che ti fa paura, devi fare solo così…” alzò la mano facendo un segno con le dita “Va bene? È un comando per dirmi che devo sloggiare subito, ed io prometto che ubbidirò.”

Lei annuì ancora, poi sorrise e andò a sedersi accanto a lui, impossessandosi del sacchetto di velluto di Giudice: rovesciò tra le gambe tutte le pedine e prese in una mano tre bianche, nell’altra tre nere.

Nel mentre, senza che Yèlveran ne capisse la ragione, tutti gli attori si erano voltati a guardare lui.

“Porca puttana!” esclamò Pagliaccio, con un’espressione a metà tra il turbamento e la meraviglia “Ma tu chi cazzo sei?”

Che tipo di risposta si aspettava di ricevere? Yèlveran si stropicciò la testa.

“Mm. Un viaggiatore che viene dall’Oltrefrattura…? Scusa, non ho capito la domanda.”

“Eddai, cazzo, non prendermi per i fondelli!” Pagliaccio fece un largo sorriso, e, prima che lui potesse schermirsi, gli prese il viso tra le mani e gli stampò un bacio sulla fronte “Lei non fa mai così con chi non conosce! Detesta chi non conosce!”

La bambina, accoccolata al fianco di Yèlveran, intanto stava facendo saltare abilmente le pedine da una mano all’altra, come un’esperta giocoliera.

“Si chiama Fortuna.” la presentò la donna “È mia figlia.”

 

  
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