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Autore: JenevieveEFP    09/01/2024    2 recensioni
La guerra è appena finita, Voldemort è stato sconfitto, Tonks e Lupin sono ancora vivi. Snape è stato salvato in extremis ma versa in condizioni critiche per le ferite inferte da Nagini. La sua mente provata dalla febbre e dal veleno, lo tormenterà con dolorosi sogni e ricordi perduti del suo passato. Harry intanto è pronto a svelare ai pochi membri rimasti dell'Ordine della Fenice la verità dietro il doloroso ruolo dell'odiato preside di Hogwarts, e a confrontarsi con Draco con la calma che solo la fine di un conflitto sa donare. La fine della guerra diventerà un nuovo inizio per tanti, ma una condanna dolorosa per alcuni che non erano pronti a sopravviverle. Le occasioni di incontro e scontro non mancheranno, specialmente quando gli studenti saranno richiamati ad Hogward per ripetere l'anno scolastico brutalmente interrotto e cercare di ricominciare a vivere e ricostruire.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Draco Malfoy, Harry Potter, Remus Lupin, Severus Piton | Coppie: Draco/Harry
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
Capitoli:
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La sera del trenta novembre, subito dopo cena, Snape tornò in infermeria. A meno di ventiquattro ore dall’incidente, l’unico ospite di Madam Pomfrey era Lupin.
Sulla porta esitò qualche minuto prima di bussare. Non ottenne risposta, ma entrò comunque, la fronte aggrottata dal dubbio.
Remus era seduto a letto, sul comodino i resti di una cena solitaria e l’ampolla vuota di una pozione ricostituente. Aveva un’aria profondamente apatica e stanca, che mutò davvero di poco quando adocchiò il suo visitatore. Gli occhi color miele del licantropo si sgranarono brevemente e poi si abbassarono a fissare le coperte che gli tenevano in caldo le gambe. Aveva un bendaggio leggero al collo, un cerotto su una guancia, i capelli spettinati e un camice bianco candido.
Severus si chiuse la porta alle spalle e andò a sedersi alla solita sedia accanto al letto dell’altro. A differenza di Remus, lui aveva recuperato le sue condizioni fisiche antecedenti allo scontro. Si appoggiava ancora al bastone ma la sua zoppia era ormai quasi impercettibile. Studiò Lupin per qualche attimo, ma quello non disse niente limitandosi ad evitare di ricambiarne lo sguardo.
«Ti hanno aggiornato?» chiese piano, il pozionista.
«No.» ammise, con la voce rauca di chi non parla da troppe ore. «Avevo chiesto di non vedere nessuno.»
«Madam Pomfrey sta cenando, le ho chiesto qualche minuto per parlare con te.» spiegò Severus, che a fronte del silenzio teso dell’altro riprese subito a parlare.
«Le riparazioni al tuo ufficio sono quasi ultimate. Se ne stanno occupando gli Auror, a quanto pare ci sono alcune maledizioni da disarmare. Gli interrogatori a Zabini, Parkinson e White non hanno dato grandi sorprese neppure a fronte dell’uso del Veritaserum. Sapevano di Tonks, e non l’avevano ammesso perché terrorizzati da Nott. Avevano capito che c’era qualcosa che non andava, ma non pensavano davvero che Theodore fosse coinvolto fino a quel punto.» 
«A tutti gli studenti abbiamo spiegato dell’agguato di Greyback, di come ha controllato la mente di Kelly White, ma non abbiamo diffuso i dettagli inerenti a Nott.»
«Che ne sarà di lui?» chiese Remus, con un briciolo di interesse in mezzo all’apatia generale.
«Shacklebolt ha insistito per gestire la cosa personalmente e in fretta. Gli hanno concesso l’innocenza perché era sotto ricatto diretto. Non potrà più recarsi ad Hogsmeade per la sua sicurezza e abbiamo ricevuto ordine di tenerlo sott’occhio fino alla fine dell'anno.»
«E suo padre?»
«L’hanno trovato in fin di vita ad Azkaban. L’hanno curato e prima di riportarlo in una cella sicura hanno acconsentito ad una breve visita da parte del figlio. Greyback invece è stato rinchiuso in una cella speciale, isolata. Due dei quattro complici l’hanno già raggiunto, degli altri non ci sono tracce, per ora.»
Remus chiuse gli occhi, come avesse ricevuto uno schiaffo a sentire nominare Fenrir.
«Minerva ha offerto un accordo a Nott, Zabini, Parkinson e White.» proseguì il pozionista. «In cambio del loro silenzio sulla faccenda e su di me, non prenderemo provvedimenti disciplinari contro di loro. Alla fine se Potter è vivo lo dobbiamo a Zabini e Parkinson che hanno allertato Draco, per quanto all’ultimo secondo.»
Remus riaprì gli occhi e lo fissò per la prima volta dritto nei suoi. Aveva l’aria di un cane bastonato molto forte.
Severus resse l’occhiata, ricambiandola con una infastidita. Andò a frugarsi in tasca e ne tirò fuori una piccola confezione che gli allungò senza troppe cerimonie.
Remus guardò confuso la sua mano, poi sgranò gli occhi quando afferrò quella che si rivelò essere una barretta di cioccolato avvolta nel suo bell’incarto oro e argento. Se la portò al petto, manco si aspettasse di assimilarla solo accostandosela al cuore.
Non disse niente, limitandosi a fissare il pozionista con uno stupore dolente, dispiaciuto.
«Mangiala. Dicevi sempre che ti migliora l’umore, no?» comandò il moro.
«Grazie.» sussurrò l’altro, abbassando lo sguardo mentre prese a scartare la cioccolata con gesti lenti, inconcludenti.
«Non mi serve la legilimanzia per capire cosa ti tormenta. Avanti, dillo.» lo provocò.
«Se sai cosa mi tormenta, vuoi forse dirmi che non lo pensi anche tu?» mormorò funereo l’altro. 
«Voglio sentirtelo dire.» insistette Severus.
Lupin spezzò un frammento di cioccolato con un gesto nervoso, ma non lo portò alla bocca.
«Se me ne fossi andato mesi fa, quando l’avevi suggerito, non saremmo finiti così. Non avrei esposto tutti all’ennesimo rischio.»
Snape strinse la mascella e prese un respiro profondo.
«Non è un ragionamento sbagliato, ma neppure troppo corretto in realtà.» sentenziò aspro. «Greyback aveva parecchi obiettivi: Potter, Granger, Minerva, Draco o me, tanto per cominciare. Non eri l’unica ragione per cui era qui.»
«Sei stato morso perché eri a fare da guardia a me.» ringhiò Remus, che sembrava sempre meno lontano dal calmarsi. «Lo capisci quanto cambierà in peggio la tua vita d’ora in poi?»
Snape strinse convulsamente i pugni.
«No, non lo capisco ancora bene, probabilmente.» confessò cupo. «Ma se dobbiamo ragionare sui fatti beh, mi hai salvato la vita da un attacco che era inteso tanto verso te quanto me. Stare qui a rimuginare su come sarebbe potuta andare se tu non fossi stato ad Hogwarts è un esercizio inutile, vorrei te ne rendessi conto.»
Lupin reclinò il capo all’indietro, strizzando a fatica due lacrime amare che gli inumidirono comunque gli occhi. Il cioccolato lo lasciò andare sulle coperte, manco fosse diventato rovente.
«Non avrei mai augurato una maledizione simile a nessuno. Non riesco a pensare ad altro. Voglio solo andarmen-» 
Non finì il suo singhiozzo che Snape gli parlò sopra.
«Aveva ragione Potter, sai? E credo tu sappia quanto mi costa ammetterlo.»
Remus azzardò un’occhiata laterale, lo sbirciò confuso da dietro le ciglia umide.
«Cosa?» mormorò.
«Anche io ho pensato subito di andare via, ma Minerva è stata categorica: ci vuole qui. Raddoppieremo la produzione di Antilupo. Mi ha lasciato anche completa libertà sulla scelta di informare o meno gli studenti di ciò che sono ora.»
Remus non riuscì più a trattenere le lacrime, scosso da piccoli tremiti nervosi tornò a piegare il capo in avanti e chiudere un po’ le spalle.
«E in cosa aveva ragione Harry?» singhiozzò a denti stretti.
«In merito al fatto che andarcene significherebbe dare un'enorme vittoria alla causa di Greyback. Farci ridurre come lui: reietti incattiviti dalla solitudine e il disprezzo della società. Dobbiamo stare al nostro posto, Remus, avere una vita il più possibile normale e soddisfacente e per questo io credo che … » esitò.
Lupin sgranò gli occhi quando si sentì chiamare per nome.
«Credi che?» lo spronò a finire, tamponandosi la faccia con la manica del camice.
Snape abbassò lo sguardo alle proprie mani strette sulle cosce, tacque per lunghi attimi con la confusione di chi fatica a trovare le parole giuste.
«Io penso che noi due non ci amiamo.»
«C-come?» sussurrò Remus, spiazzato.
«Intendo, non amiamo noi stessi. Io mi odio, tu ti odi.» proseguì visibilmente in difficoltà il pozionista. «Però … » prese coraggio, puntando l’altro dritto negli occhi. « … potremmo volerci del bene a vicenda. Come a … sopperire alle rispettive mancanze.» mormorò.
Remus sgranò gli occhi, ancora lucidi, improvvisamente più attento e sveglio.
«Tu intendi … ?» chiese esitante.
Severus prese un respiro profondo, chiuse gli occhi e a voce molto bassa confessò:
«Io … mi sono innamorato di te quando avevamo tredici anni, o poco più.»
Nonostante il tono lieve, Remus rimase stordito come se l’altro gli avesse urlato in faccia. Trattenne il fiato, come ad evitare il rischio di interromperlo anche solo respirando.
«Ero proprio ossessionato da te. Per quello Black riuscì ad attirarmi facilmente in trappola al quinto anno. Dopo l’incidente alla Stamberga avevo praticamente costretto Dumbledore a sottopormi ad un Oblivion per dimenticarmi ciò che provavo per te, in cambio del silenzio su ciò che eri. Mi sono ricordato di tutto ciò mesi fa, mentre lottavo contro la febbre e il veleno di Nagini. Albus me l’aveva detto, che con un sentimento come l’amore l’Oblivion non sarebbe durato per sempre, ma io provavo troppa invidia e dolore per conviverci. Era un tormento che pensavo si sarebbe cancellato col tempo.»
«Chissà come sarebbero andate le cose se avessi scelto diversamente.» concluse, riaprendo gli occhi dietro cui si scorgeva ancora quello stesso tormento di quando era un ragazzino.
Remus lo fissava con uno stordimento trasognato. Inghiottì a vuoto e parlò piano.
«E ora, cosa provi?»
Severus rialzò lo sguardo nel suo e proseguì, ancora con una certa difficoltà.
«Lo stesso identico sentimento di più di vent’anni fa. Lo stesso identico dolore e desiderio.»
«Perché dolore?» mormorò Remus allungandogli timidamente una mano.
Severus gli accostò la propria, si sfiorarono le dita, cauti e impacciati.
«Credo tu lo sappia bene, Remus.» sussurrò mesto. «Sentivo e sento di non meritare né te né un po’ di gioia o normalità. Ho cercato di allontanarti in ogni modo, di farti del male, scacciarti, ma al contempo non riuscivo a fare a meno di starti vicino e pensare a te. Ieri, quando ho aperto gli occhi in infermeria, dopo che Poppy mi ha rimesso in sesto il braccio, a mente fredda riuscivo a pensare solo a te. Al fatto che volevo starti vicino, e che anche se probabilmente mi merito la solitudine io non la desidero davvero ma mi ci sono rifugiato dentro, proprio come Nott. Non mi importava di nient’altro ieri e non mi importa di nient’altro oggi: né della maledizione della licantropia, né del giudizio della gente, né del fatto che sei un uomo. Io voglio solo … te.» si bloccò, lo sguardo ancorato al suo.
Remus rimase fermo per qualche attimo col cuore in gola e poi la sua espressione mutò: ogni traccia di frustrazione, dolore, dubbio, venne lavata via da un sorriso tiepido. Rinsaldò la presa sulla mano del moro e senza preavviso lo tirò verso di sé con uno strattone.
Severus si ritrovò proiettato in avanti, gli occhi sgranati dalla sorpresa. Scivolò con un ginocchio sul letto per non rischiare di cadere addosso all’altro, che lo afferrò per il colletto della camicia e lo tirò ancora più giù. Sollevò il capo e avvicinò il volto al suo. I loro nasi si sfioravano, gli occhi finalmente persi uno in quelli dell’altro. Nonostante la foga impulsiva del gesto però, attese qualche attimo, finché non fu proprio Severus a chiudere la brevissima distanza e unire le loro labbra.
Dopo la tensione del primo contatto si rilassarono rapidamente, con la calma improvvisa delle profonde liberazioni. 
Severus scivolò a sedere sul bordo del letto e appese la mano libera a una spalla dell’altro, tirandoselo un po’ più vicino. Remus dettò il ritmo del bacio, guidandolo da un contatto fin troppo casto ad un massaggio più audace in pochi attimi. Gli piazzò una mano fra i capelli, accarezzandogli la nuca e le ciocche scure e corte.
Fu un bacio iniziato con desiderio e disperazione, dolce e doloroso, che non tardò a sporcarsi di ogni altro vivace sentimento che provavano da troppo tempo. 
L’impulso del primo contatto non si chetò subito. Anche quando si staccavano tornavano a cercarsi, bisognosi di un altro giro contro le rispettive labbra.
Quando si separarono per davvero erano entrambi storditi e confusi, col cuore lanciato in una corsa da velocista.
Remus tenne il capo dell’altro fra le dita e gli spiegò piano, con un sorriso commosso.
«Pensavo sarei diventato vecchio, prima che ti decidessi perlomeno ad essermi amico.»
Severus fece uno dei suoi sorrisi storti ma schietti. Gli carezzò il collo e poi lo abbracciò mollemente tirandoselo contro il petto.
«Mi dispiace, Remus. Di tutto quello che ti ho fatto negli ultimi anni e di averci messo così tanto ad accettare te e quello che sento per te.»
L’altro tirò su il capo, gli sfiorò la fronte con la propria in un colpetto di testa innocuo. Raccolse quel frammento di cioccolato che aveva spezzato ed era rimasto incastrato nella carta argentata.
«Passerà tutto. Il dolore, il rancore e il rimpianto.» mormorò. «E forse rimarrà un po’ di dolce.»
Mentre loro parlavano piano, uniti come due bestiole che si leccano a vicenda le ferite, una figuretta minuta si scostava molto lentamente dalla porta socchiusa.
Kelly White, col volto color pomodoro in barba al suo cognome, spiccò una silenziosa corsetta che le consentì di scappare il più lontano possibile dalla zona dell’infermeria.



Quando Kelly raggiunse i dormitori di Serpeverde, ancora visibilmente scossa, trovò ad accoglierla Blaise e Pansy seduti davanti al camino su uno dei divani verde smeraldo della sala comune. Seduto al tavolo poco più in là c’era Draco, intento a cercare di scrivere qualcosa su una pergamena non molto fitta di righe. Il grosso degli altri compagni era già andato a letto, e solo alcuni di loro erano sistemati fra tavolini e divani, chi intento a leggere un libro, chi a ripassare.
Appena la videro, Pansy e Blaise fecero cenno alla bambina di raggiungerli, mentre Draco studiava la situazione pochi metri più indietro con aria curiosa.
«Allora, l’hai trovato?» chiese in tono annoiato Blaise.
«No.» mormorò la bimba, che evitò di sedersi accanto a loro preferendo lanciarsi verso i dormitori.
«Allora perché hai quella faccia?» indagò divertita Pansy.
Draco ripiegò e intascò la lettera, fece sparire calamaio e penna e si alzò, avvicinandosi cauto agli altri.
«Chi cercavate?» chiese, incapace di celare una vaga preoccupazione.
«Snape.» rispose Pansy, abbassando la voce per non farsi sentire dai compagni poco lontano. «Voleva chiedergli scusa o qualcosa del genere.»
«Ah.» mugugnò Draco, squadrando la bambina con un’occhiata curiosa.
«S-sì.» mugugnò quella. «L’ho trovato ma … mi sento in imbarazzo ecco. Credo gli scriverò una lettera.» inventò di sana pianta.
«È il suo insegnante preferito e adora Pozioni.» spiegò Blaise, abbassando a sua volta la voce. «Teme che dopo il casino recente le metterà voti orribili per sempre.»
«Non è per quello.» squittì White, in difficoltà. «Mi dispiace davvero per lui.» mugugnò.
I tre la guardarono un po’ perplessi, quindi Draco mormorò:
«Tu non hai colpa, comunque. Nessuno di noi ne ha per quella faccenda, dunque non serve scusarsi. Essere attenta e impegnarti tanto durante le lezioni sarà il giusto modo di compiacerlo, credimi.»
«S-sì, hai ragione. Io ora … vado a dormire. Buona notte.» disse la piccola, fuggendo di fatto lungo le scale verso i dormitori delle ragazze.
Pansy si alzò con un sospiro stanco.
«Non è ancora molto brava a mentire.» sorrise agli altri due, quindi seguì Kelly dopo un rapido cenno di saluto.
Blaise incassò il congedo della ragazza con una smorfia insoddisfatta, quindi fece cenno a Draco di raggiungerlo sul divano.
Draco lo affiancò, sebbene un po' spiazzato dall’invito.
Dal tavolo in fondo si alzò un ragazzone del sesto anno, uno dei battitori che sfilò verso i dormitori maschili dopo avergli scoccato un’occhiata stizzita.
Entrambi lo ignorarono, e Draco si rivolse all’ex amico.
«Come va? In generale e con Pansy intendo.» sussurrò.
«Va bene. Per quanto possa andare bene un qualcosa che non va.» sottolineò sarcastico le ultime due parole.
«Sei sempre stato un tipo diretto, immagino ti sia già dichiarato.»
Blaise annuì.
«Cosa ti ha detto?»
«Che le serve tempo per pensarci. Che le piaccio ma forse è solo perché sono troppo bello e non capisce se quello che prova è un affetto platonico misto ad attrazione fisica e…  non lo so, non ci ho capito niente. Ha detto anche che vorrebbe conoscere qualcun altro prima di rischiare di impegnarsi a diciotto anni e cose simili.» ammise amaramente. «La capisco, in parte. Ormai noi Serpeverde siamo rimasti così pochi che non si può dire ci sia una grande scelta.»
«Perché credi sia andato a pescare fra i Grifondoro?» scherzò Draco.
Blaise si concesse una risatina divertita, annotando attento l’uscita di scena dell’ultimo compagno che era rimasto in sala. Quando furono completamente soli si avvicinò meglio a Draco.
«Inizio a pensare di aver fatto una scemenza a rifiutarti, anni fa.» ammise con un sorriso triste. Allungò una mano verso il viso dell’altro, la pelle scurissima in netto contrasto con quella esangue di Draco. Lo sfiorò a stento.
Il biondo incassò quella carezza con un piccolo brivido confuso, gli occhi persi per un istante di troppo in quelli scuri del compagno.
Zabini si piegò verso di lui e fu quando provò a baciarlo che l’altro si riscosse. Alzò una mano frapponendola fra i loro volti e indietreggiò di poco col busto.
«Wow. Allora è una cosa seria con Potter.» rise Blaise ironico, che tornò a sedersi dritto.
Draco sospirò con un sorriso mesto e gli sfiorò una spalla.
«Lo so quanto fa schifo essere soli, Blaise. Vorrei non essere stato un vigliacco mesi fa quando vi ho piantati in asso. Forse certe cose non sarebbero accadute. Forse Severus sarebbe-»
Blaise fece per interromperlo, ma venne a sua volta bloccato dall’aprirsi della porta d’accesso alla sala comune, qualche passo più a destra. Si voltarono entrambi e si bloccarono per il leggero stupore quando videro chi stava entrando.
Theodore Nott con l’aria più apatica e smorta del suo repertorio sfilò oltre l’uscio, annotò la loro presenza e filò dritto verso le scale.
Blaise e Draco si scambiarono un’occhiata tesa e il moro sussurrò:
«È appena tornato dalla visita al padre.»
«Andiamo.» propose Draco.
L’altro annuì. Si alzarono e seguirono il compagno verso la stanza che era ormai diventata d’uso singolo di Blaise e Theodore, visti i pochissimi studenti rimasti.
Nott, arrivato al suo letto, si era tolto giusto la mantella che aveva abbandonato sulle coperte, e poi si era messo a sedere. Fissava a terra, l’aria profondamente apatica e insensibile agli stimoli. Ignorò l’ingresso dei due compagni, che rimasero a fissarlo turbati per diversi attimi prima di richiamarlo.
«Theo. Ti hanno fatto incontrare tuo padre?» chiese Blaise, nel tono più delicato che poté, andando a sedersi sul letto accanto a quello del compagno, lì dove poteva fronteggiarlo.
Draco invece azzardò ad avvicinarsi un po’ di più a Nott, ma rimase in piedi e quando quello non rispose in alcun modo allungò una mano verso una sua spalla.
«Theodore.» lo richiamò piano.
Il ragazzo scansò la sua mano con un colpo della propria.
«Lasciatemi in pace.» mormorò rauco.
Draco non si lasciò scoraggiare, e non solo tornò a cercargli la spalla con una mano, ma vi aggiunse anche l’altra.
«No che non ti lascio in pace. L’ho già fatto una volta questo errore. Guardami e parlami, Theo.» ordinò deciso, stringendo la presa per resistere ai fiacchi tentativi dell’altro di divincolarsi.
Nott chiuse gli occhi, teso e infastidito e girò ostinatamente il capo da un lato, manco potesse cancellare Draco e la sua insistenza dal proprio mondo.
Blaise si alzò dal letto e andò a sedersi direttamente accanto a Theodore. Il ragazzo espirò rumorosamente, ulteriormente infastidito dall’avvertire quella vicinanza.
«A giudicare dalla tua reazione direi che alla fine l’hai visto, tuo padre.» spiegò basso Zabini. «Cos’è successo? Come sta?»
Theodore fece scena muta, anche dopo diverse altre domande e insistenze da parte di entrambi.
Quando fu palese che il ragazzo non voleva cedere, Draco lo lasciò andare con una smorfia profondamente addolorata. 
Si cambiarono in silenzio infilandosi nei relativi pigiami e poi sotto le coperte, spensero le luci.
Dopo pochi minuti, il silenzio venne interrotto dalla voce bassa e piatta di Nott.
«Ti hanno rimesso in questa stanza per farmi da guardia, Malfoy?»
Draco fece un piccolo sbuffo.
«Dimmi com’è andata con tuo padre e ti dirò perché sono nuovamente in questa stanza.» lo provocò ironico.
Dopo un minuto buono di silenzio, la voce bassa e infelice di Nott tornò a farsi sentire.
«Mi hanno fatto incontrare papà in una cella al Ministero. L’avevano curato ma era messo comunque male.» raccontò  piano, atono. «Avevamo quindici minuti di tempo ed è rimasto zitto a fissarmi per almeno dieci. Mi guardava come se stesse vedendo una delle cose più disgustose e deludenti della sua vita. Poi ha parlato ed è stato anche peggio.»
«Cosa ti ha detto?» lo spronò debolmente Draco.
«Che dovevo ringraziare quei cani sanguesporco del Ministero per averlo ammanettato, o mi avrebbe ammazzato di botte. Mi ha dato del vigliacco per non aver avuto il coraggio di uccidervi tutti personalmente e che avrebbe preferito morire piuttosto che vedermi ancora dopo una cosa simile.» concluse funereo.
«Tu hai provato a parlargli?» tentò Zabini poco convinto.
«No. Che cosa potevo dirgli che già non sapesse? Che non voglio davvero ammazzarvi perché non me ne frega niente dei suoi valori?» sbuffò il ragazzo, la voce cupa e piatta.
«Spiegargli le tue ragioni non sarebbe stato sbagliato. Dirgli che vorresti ancora provare a vivere una vita normale, senza andare a fondo con lui?» provò Draco.
Nott emise uno sbuffo frustrato.
«Mi ha disconosciuto.» aggiunse greve.
«Cosa?» esclamò Draco scattando sù. Riaccese una delle lampade ad olio sul comodino, in una luce fioca che invase l’ambiente con delicatezza.
Theodore era sdraiato su un fianco, dava le spalle a entrambi i letti dei compagni e quando vide quella luce si coprì con forza fino alla fronte.
Blaise e Draco si alzarono, inforcarono le pantofole e gli si avvicinarono, il secondo con una certa premura.
«Che vuol dire che ti ha disconosciuto? Non può farlo.» obiettò Zabini.
«Può.» mormorò cupo Draco. «E significa che … »
«Significa che non ho nulla. Non sono più nulla. Non posso nemmeno tornare a casa finché lui non morirà. Forse nemmeno dopo la sua morte. Significa che non lo rivedrò mai più.» mormorò il ragazzo, profondamente depresso.
Lo videro tremolare sotto le coperte.
Blaise restò in piedi, incapace di dire qualsiasi cosa, mentre Draco andò a posare una mano su una spalla dell’ex amico sotto le coperte.
«Lasciatemi in pace. Non me ne faccio un cazzo della vostra pietà.» sibilò basso quello, dando una scrollata brusca con la spalla per levarsi di dosso la mano del biondo.
«Theo.» lo richiamò Draco, tirando le coperte per forzare l’altro a scoprire almeno la testa. «Guardami, per favore.»
Theodore tirò su il capo e gli rivolse un’occhiata infelice, dolente, anche peggiore dell’apatia ostentata prima. Aveva gli occhi lucidi, occhiaie marcate ed una rassegnazione da condannato a morte.
Draco si accovacciò accanto al letto per essere alla sua stessa altezza, la mano ancora aggrappata alla coperta.
«Non pretendo di tornare ad essere il tuo migliore amico, né un amico e basta. Ma non rifarò la stessa stronzata due volte. Non sei solo, non ti lascerò indietro.» promise.
L’indolenza di Theodore si infranse come un vetro filato colpito nel punto giusto. Chiuse gli occhi, il viso aggrottato dal dolore di un pianto che non poté trattenere.
«E come intendi fare?» singhiozzò. «Nemmeno tu hai più il supporto di tuo padre. Siamo qualcosa che non riconoscono, che non amano più. Li abbiamo traditi e delusi. Non siamo più niente.»
Draco tornò a cercargli la spalla con la mano, lo strinse e gli parlò piano.
«Papà non è mai stato molto affettuoso, lo conosci. Però nel periodo in cui era tornato a casa dopo la permanenza ad Azkaban era ancora peggio. Come se quei mesi lì gli avessero rotto qualcosa dentro, e ancora oggi è rimasta traccia di questo danno. È più impulsivo, infelice e insofferente: ha quasi tolto la parola a mia madre per settimane dopo la guerra. Non credo che tuo padre non ti ami, credo sia solo distrutto dagli anni in quel posto di merda. Non credo sia più lui a parlare ma i sentimenti orribili che gli sono rimasti dentro senza nessuna gioia. Se avesse voluto che tu diventassi un assassino ti avrebbe costretto a ricevere il marchio nero, invece a suo tempo ti ha lasciato libero.»
Theodore pianse se possibile più forte di prima, tornando a nascondere il volto contro il cuscino.
«Sta zitto. Ti odio.» ringhiò, ma stavolta non si sottrasse al suo tocco, anzi si accostò quasi più vicino.
«Odiami quanto ti pare.» sospirò pazientemente Draco. «Se ti fa stare meglio lo accetterò. Ma non isolarti da noi, non fare follie. Troveremo una soluzione.»
Theodore si sforzò di fermare il pianto ma tutto ciò che uscì fu un rantolo rabbioso e un altro attacco di singhiozzi e respiri mozzi.
Draco si rimise in piedi, cercò Blaise con un’occhiata determinata.
«Stagli vicino per favore. Io devo finire una cosa.» mormorò, sfilandogli accanto.
Il moro annuì e gli diede il cambio, mentre il ragazzo si mise seduto a letto e recuperò la pergamena che aveva riposto prima. Armato di penna e calamaio, poggiato sul comodino, riprese a scrivere quelle righe che prima non sembravano proprio voler fluire.
   
 
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