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“Passiamo accanto a storie e persone che avrebbero potuto cambiarci la vita senza vederle a causa di un malinteso, di una copertina, di un riassunto sbagliato, di un atteggiamento prevenuto. Per fortuna certe volte la vita insiste.”
Valèrie Perrin


 

C’è un sole pallido, un vento pungente e insolito per un mattino estivo. I ciottoli di Diagon Alley riflettono luce sbiaditi, svogliati. La guerra ha lasciato le serrande abbassate e le strade sporche, un mondo che non ha ancora ben compreso di poter rialzare la testa. I visi, invece, sono distesi – il sollievo rimpolpa le rughe che aveva scavato lo spavento, addolcisce le linee del lutto, le sue pieghe e, per lui, tutti hanno occhi nuovi. Non era abituato a veder scintillare iridi della sfumatura della gratitudine, dell’ammirazione. Neville controlla il suo riflesso nelle vetrine, piega la testa a destra e sinistra quando un sorriso è indirizzato a lui, si sorprende, in un modo bambinesco ed ingenuo che ammorbidisce i suoi tratti di giovane uomo, di antico eroe.
Ovunque siede, ovunque sguscia, c’è un sorriso, una pacca sulla spalla, una parola di conforto. Una nuova appartenenza. Un po’ se ne bea, un po’ quei riconoscimenti gli strizzano lo stomaco: pensa a sua madre, il suo sacrificio sepolto da pareti bianche e carte di caramella. Non sente il rancore bollire, però, né una sete di rivalsa: ha i nervi distesi e il cuore scarico, l’adrenalina degli ultimi anni che scema piano dal suo corpo, gli evapora dai nervi e lo lascia blando, stordito, anestetizzato.

Scivola da un negozio all’altro, da una porta all’altra, come se solo camminare fosse lo scopo. Il suo nuovo settimo anno – le urla, il sangue, le punizioni dei Carrow che ancora gli sfrigolano in gola, la faccia stravolta di Ginny, le sue lacrime secche ancor prima di scendere giù. Pensa ad Ariana, ai suoi occhi dolci, alla sua pelle di tela. Pensa alla ruvidezza di Aberforth, il suo modo così diverso di essere un Silente. Pensa all’ES, a Luna, al freddo dell’elsa della Spada di Grinfodoro, ai suoi rubini screziati dalla luce di una luna di maggio. Pensa a quanto sembrasse salda la sua presa quella notte, alle sue mani di acciaio; pensa a quelle sue stesse mani, tanto tremanti poco tempo prima.
Più di tutti, pensa a sua nonna, al suo viso stanco, alle mani aggrappate alle sue spalle, all’abbraccio in cui l’ha avvolto – il primo, dopo tantissimo tempo, il primo che Neville ricorda nitido –, le sue parole, tanto sottili da sembrare un ricordo («Sono così fiera di te, Frank»).

Sorride.
Sorride e scivola dentro Il Paiolo Magico. È entrato di rado in quel pub, mai da solo. La calca sempre presente, l'odore di alcol, le facce straniere e rubiconde lo avevano sempre terrorizzato. Anche adesso si stranisce del vociare diffuso, di un ometto che lo guarda con uno sguardo stupito; lo fissa – il cappello a cilindro fra le mani, un piccolo inchino. Ha un sorriso buono, l'espressione stramba e ammirata, acquosa.

«Lei dev'essere Neville Paciock! È un piacere conoscerla, ho sentito molto parlare di lei!»

La sua voce è uno squillo di tromba nel silenzio che rimbomba nelle orecchie di Neville da tutta la vita. Ricambia il sorriso, allunga la mano.
È un piacere conoscersi.

 

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Note: il bello di questa Challenge ormai è che scrivo così, come va, senza troppi pensieri o sovrastrutture. Decidere del risultato è demendato come sempre ai posteri ma a me fa mettere due parole in fila e quindi va bene così. Grazie a chiunque abbia letto, un abbraccio!