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Autore: Violet Sparks    22/01/2024    6 recensioni
Ushijima Wakatoshi pensa di sapere tutto.
Pensa che la sua vita sia una strada dritta, precisa, incontrovertibile. Un percorso duro, forse, ma perfettamente definito, un segmento geometrico con un punto di partenza e un'unica meta, da tenere sempre a mente.
Ma Ushijima Wakatoshi ha dimenticato che, sopra alla strada, esiste il cielo, con un sole bollente che brucia e illumina e non vuole essere ignorato.
La domanda è: lui sarà pronto ad alzare lo sguardo?
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Una notte come tante, dopo la sorprendente sconfitta della Shiratorizawa, Wakatoshi incontra Hinata Shoyo in circostante bizzarre ed è costretto a trascorrere con lui la notte più assurda della sua vita.
Wakatoshi prova una ostilità viscerale nei confronti del piccolo corvo e non vede l'ora di dividere nuovamente le loro strade.
Peccato però, che il mocciosetto non sia del suo stesso avviso.
E stia per stravolgere completamente la sua vita.
[USHIHINA - Ushijima Wakatoshi x Hinata Shoyo]
Genere: Erotico, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Shouyou Hinata, Tendo Satori, Wakatoshi Ushijima
Note: Lemon, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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CAPITOLO XXVI
Al  sicuro, nel buio
 

Il cervello contiene 14 miliardi di neuroni
che viaggiano a una velocità di 450 miglia all'ora.
Gran parte di questi sfugge al nostro controllo,
per cui quando abbiamo freddo, ecco la pelle d'oca;
quando siamo eccitati, ecco l'adrenalina.
Il nostro corpo segue naturalmente i suoi impulsi,
e penso che in parte sia per questo
che ci risulta così difficile
controllarlo.
- Grey’s Anatomy
 
 
“Era il mio primo bacio.”
Hinata la sussurrò alla notte quella confessione, sentendosi come un palloncino bucato non appena le parole fuoriuscirono dalle sue labbra.
Erano ore che cercava il coraggio di pronunciarle, combattendo contro l’imbarazzo di vedersi piccolo, immaturo - sempre così irrimediabilmente inadeguato.
C’era qualcosa di sbagliato in lui?
Se l’era chiesto spesso, preferendo non rispondere alla domanda.
A scuola, molti dei suoi compagni di classe avevano già avuto i loro primi approcci con il sesso, calandosi in situazioni ben più compromettenti di un semplice bacio.
In realtà, era tutto il tema a suscitare una curiosità quasi morbosa tra i suoi coetanei, come se ad un certo punto della loro esistenza, per le persone il sesso diventasse il dannato fulcro dell’intero universo. Siti porno, masturbazione, baci con la lingua… a volte Hinata si ritrovava ad origliare quei discorsi durante l’intervallo, col viso arrossato e le orecchie bollenti, in tasca la solita bugia da spendere davanti all’ennesima domanda: “Certo che ho già baciato qualcuno, mica sono uno sfigato! No, il resto no! Ma solo perché non ho ancora trovato la persona giusta, sono un tipo romantico.”
Non era bello mentire ai propri amici, questo lo sapeva, solo che, avendo la facoltà di scegliere, preferiva risparmiarsi occhiatine pietose e giudizi superficiali, interi minuti sprecati a spiegare concetti che – per chi non c’era dentro fino al collo come lui – sarebbero rimasti incomprensibili: per Shoyo era sempre esistita soltanto la pallavolo; l’unico desiderio che avesse mai provato era quello di volare e segnare l’ultimo punto, l’unico impulso, quello di schiacciare, colpendo il cuoio compatto e fresco di una palla Mikasa.
O almeno, era stato così fino a quando Ushijima Wakatoshi non era entrato nella sua vita.
Lo osservò con la coda dell’occhio, scoprendo il suo cuore sussultare ancora all’idea di averlo accanto a sé così, disteso nello stesso letto, come fosse la cosa più naturale del mondo.
Non si erano dovuti dire niente, semplicemente, quando il sole ormai era calato, entrambi avevano capito di non avere appetito, e che separarsi per la notte, non sarebbe mai stata un’opzione valida. A quel punto, Wakatoshi si era limitato a seguire Shoyo nella camera degli ospiti e lì erano crollati, attoniti e ancora storditi dal luna park di emozioni affrontato quel giorno, finché il più piccolo non aveva dato voce ai propri pensieri.
All’improvviso, il ragazzo dei miracoli ruotò il capo nella sua direzione, mettendogli addosso quel suo sguardo intenso e severo, sempre un po' crucciato nonostante il morbido verde che lo distingueva, allora, per un istante, a Shoyo parve di sentire il proprio cuore liquefarsi, prendendo a colare lentamente lungo le pareti del suo povero stomaco.
Ushijima Wakatoshi lo aveva baciato.
Aveva baciato lui, sì, proprio lui, tra i sei miliardi di esseri umani che popolavano il pianeta Terra.
E se la prima volta aveva temuto di esserselo immaginato, in mezzo ai fumi del dormiveglia, quello che era accaduto poche ore prima non poteva essere stato soltanto un bel sogno; non poteva esserlo, perché nemmeno nelle sue fantasie più deliranti, Hinata avrebbe mai saputo concepire la stretta ferrea di Wakatoshi tra i suoi capelli, il punto esatto del suo collo in cui il profumo si faceva più persistente, il modo autoritario e fermo con cui le sue mani gli avevano percorso le gambe, attirandolo contro di sé.
Aveva ancora la pelle d’oca.
“Lo so.” rispose il giovane capitano, riportandolo alla realtà; la sua voce, già di per sé baritonale, era arrochita dalla stanchezza “Perché lo stai dicendo come se fosse una cosa brutta?”
“Beh, è solo che… molti miei amici hanno dato il loro primo bacio tanto tempo fa, per cui…”
Wakatoshi soppesò le sue parole con la medesima serietà con cui avrebbe riflettuto su un compito di matematica e “Esiste un tempo limite per fare questo genere di cose?” domandò, realmente curioso.
“Certo che no, ma-”
“Allora non c’è motivo per essere a disagio.”
Razionale e lapidario come al solito, Ushiwaka non si smentiva mai.
Hinata accennò un sorriso timidissimo, ancora immerso nella foresta che si stagliava nei suoi occhi verdi, poi il dorso della sua mano sfiorò casualmente quella del capitano abbandonata sul materasso, e trasalì, neanche se nella stanza ci fosse stato uno sparo.
Tornò col volto al soffitto di scatto, raccogliendo le mani in grembo, un singhiozzo incastrato a metà della gola.
Stava facendo la figura dell’idiota, era evidente, ma non sapeva cosa fare.
La verità era che, quando Wakatoshi lo aveva baciato, non si era fatto troppe domande: aveva seguito l’istinto, spogliando il proprio cuore di ogni difesa, senza pensare affatto alle conseguenze. Il suo era stato un salto nel vuoto, coraggioso tanto quanto avventato, il problema era che, a quanto pareva, era ruzzolato in un bel ginepraio di domande: come ci si comportava in una situazione del genere? Cosa facevano le persone normali, dopo essersi baciate? Potava toccare Japan come e quando voleva? Lui poteva fare lo stesso?
Oddio, la sola idea rischiava di farlo implodere!
Certo era che, continuare a fissare il soffitto come un pesce lesso, non lo avrebbe portato molto lontano, per cui “T-tu avevi già baciato q-qualcuno prima?” chiese a brucia pelo, pregando di non apparire impiccione, inopportuno, indelicato o tutte e tre le cose insieme: semplicemente era stata la prima cosa che gli era balenata per la testa – il fatto che morisse dalla curiosità di conferire una risposta a quella domanda, praticamente da quando aveva messo piede in casa di Ushijima, forse non aveva aiutato la causa...
“Me lo chiedi perché vuoi mettere di nuovo a confronto la tua esperienza con quella degli altri?”
“No! Cioè, okay, forse un pochino… ma non è il motivo principale!” si difese il piccolo corvo, cominciando a torturarsi le dita “È che sono davvero curioso, in realtà! Non mi sei mai sembrato un tipo molto interessato a questa… roba! Eppure, so che girano un sacco di voci su di te… che sei stato con tante ragazze e ragazzi… cose così! Non capisco quale sia la verità…”
Wakatoshi rimase in silenzio per un lungo secondo, secondo durante il quale Hinata maledì se stesso una mezza dozzina di volte per quella cacciata così stupida. “Scusa, sono uno scemo totale!” si affrettò quindi a dire, rammaricato “Non deve essere bello essere oggetto di gossip. Si tratta pur sempre della tua vita privata, hai tutto il diritto di non parlarne, fai finta che non ti abb-“
“Quando siamo andati a Shirahama con Tendou e gli altri, anche tu hai pensato che io avessi avuto un rapporto sessuale con Layla, vero?”
Hinata incassò il colpo, sperando di venire ingurgitato dal materasso per non riemergerne mai più: ricordava benissimo cos’era successo a Shirahama Beach, in particolare la sparata che aveva fatto a Wakatoshi in mezzo al mare, nel suo delirio di gelosia, prima di rischiare di morire affogato insieme a lui.
Quell’episodio rientrava di diritto nella top five delle figuracce che avrebbe voluto cancellare dalla memoria collettiva umana.
“Io… beh, l’ho pensato, sì… ma non ne vado fiero! Mi dispiace tantissimo.”
“Eri parecchio arrabbiato con me.”
“Chi? Io? N-non mi ricordo, sai…”
“Era perché ti piacevo già, quindi. Eri… com’è quella parola? Ah, geloso, sì.”
Ecco, doveva essere quella la sensazione di venire tagliati in due da una spada.
Maledetto Japan e il suo essere così dannatamente diretto!
Aveva ragione Oikawa, a volte era snervante avere a che fare con lui, soprattutto perché non c’era alcuna malizia nella sua tendenza a mettere con le spalla al muro gli altri; semplicemente, pensava una certa cosa, la riteneva giusta e perciò decideva di esprimerla, senza tenere in alcun conto l’effetto che poteva suscitare nel proprio interlocutore… tipo fargli venire un infarto!
“Io… s-sì, forse… forse ero u-un pelino geloso…” ammise Shoyo tra mille balbettii, ben consapevole che tentare di trovare una spiegazione alternativa lo avrebbe messo ancor più nei casini.
Tanto non sapeva mentire, era risaputo in tutto il Giappone.
Wakatoshi, dal suo canto, decise di infierire su di lui con maggior ferocia: si girò completamente nella sua direzione, indurendo poi la mascella con espressione assorta.
Come facesse ad essere così bello persino con quell’aria assorta e uno zigomo pesto, era un enigma.
Non si sarebbe mai abituato alla bellezza dorata di Ushijima Wakatoshi.
Mai, in nessuna vita.
“So quali sono le voci che girano sul mio conto. Quando posso cerco di metterle a tacere, ma sono talmente tante che spesso sfuggono al mio controllo.” affermò l’asso, parlando piano, come se stesse dando voce a un pensiero squisitamente intimo.
“Non ti fanno arrabbiare?”
“Non ci avevo mai dato peso, sinceramente, quello che gli altri pensano sul mio conto, non è affar mio. Almeno fino a Shirahama…”
“Fino a Shirahama?”
“È stato…” strinse le labbra, aggrottò le sopracciglia “sgradevole sapere che tutti voi pensavate che io avessi avuto un rapporto intimo con quella sconosciuta. In particolare, che lo pensassi tu.”
Il respiro di Hinata si bloccò.
“C-che importa quello che penso io?”
“Importa a me, a quanto pare.”
A quelle parole, impulsi contrastanti si avvicendarono nel sangue improvvisamente caldo del giovane corvo: quello di sorridere fino a stirarsi le guance, quello di nascondere la testa sotto al cuscino per la vergogna e quello di buttarsi tra le braccia di Ushijima, ficcando il viso nell’incavo del suo collo – un posto che, aveva scoperto, lo faceva sentire al sicuro come a casa.
Ciò che realmente fece, alla fine, fu chiudere le palpebre per un istante, imponendo al proprio cuore agitato quanto le ali di un colibrì di darsi una calmata; poi, chiamando a raccolta una buona dose di coraggio, si girò a sua volta verso il capitano della Shiratorizawa.
“Q-quindi, anche per te è stato il primo bacio?” chiese di nuovo, mentre si mordicchiava le labbra.
Il giovane asso parve trattenere il fiato un istante, “No, in verità. Avevo già baciato qualcuno prima.” confessò atonale “Ma non è come gli altri pensano, non sono uscito con tutte quelle persone. Con nessuna di loro, in verità. Ho avuto soltanto due esperienze, prima di questa.”
Avrebbe mentito, Shoyo, se avesse affermato che quelle parole non gli provocarono una fitta di dolore.
Sì, doveva ammetterlo: per un secondo si era illuso che Ushijima Wakatoshi non avesse un passato, che anche per lui la pallavolo fosse sempre stato l’unico chiodo fisso, l’unico baricentro. Perché Shoyo conosceva bene l’aura che Ushijima emanava, così come aveva visto bene la maniera in cui la gente di tutte le età, sesso e ceti sociali soleva guardarlo quando lui camminava per la strada – l’ammirazione, la lascivia, il desiderio- e il solo pensiero di dover reggere il confronto con esseri ultraterreni come una Layla o qualche altro modello dalla personalità conturbante come poteva essere un Oikawa, lo aveva affogato nello sconforto più assoluto.
Shoyo non si considerava brutto, ma era evidente che lui, con il mondo scintillante e patinato che attorniava il campione Ushijima Wakatoshi, non avesse nulla a che fare.
Quello era l’Olimpo, mentre lui – aspetto mediocre, modi semplici, vita banale – non era altro che un semplice mortale.
“Oh, okay, certo. C’era da aspettarsi che avessi avuto almeno qualche esperienza…” disse quindi, esibendosi in una risatina forzata.
“Perché dici questo?”
“Beh, tu…tu piaci molto alle persone, attiri l’attenzione di tutti ovunque vai!”
“Anche tu. E molto più di me, in realtà.”
“Io?”
“Sì, ogni volta che entriamo in un posto, dopo qualche minuto l’energia delle persone si catalizza completamente su di te, come… gli insetti con una lampadina. Hai la capacità di suscitare nella gente qualcosa di indefinibile. Non ci riesce nessun’altro. Solo e soltanto tu.”
Hinata avvertì la propria pelle farsi molto calda e un crepitio, alla bocca dello stomaco, che lo spinse ad affondare maggiormente la faccia nel cuscino, in cerca di riparo.
Lo destabilizzava scoprire che durante quel tempo, nel suo piccolo, anche Ushijima doveva averlo osservato, arrivando a notare qualcosa di così profondo di lui.
Lo faceva sentire speciale, vivido.
“Comunque, non capisco perché le persone diano tanta importanza al sesso.” riprese l’asso, storcendo la bocca “È soltanto un bisogno corporale, non diverso dal mangiare, bere o dormire.”
“Beh, perché è una cosa… bella, immagino! L’intimità, il p-piacere…”
“Non lo so. Anche Tendou sostiene che sia qualcosa di molto speciale.”
“Per te non è stato così?”
Di fronte a quella domanda, Wakatoshi retrocesse. All’improvviso, il suo sguardo cupo si diluì sotto un velo di malcelata ritrosia, per cui a Shoyo divenne evidente che, qualsiasi natura avesse la risposta che gli stava rimbombando nella testa, decidere se darle voce, gli stesse costando una strenua lotta interiore.
Fu dopo un lento e profondo sospiro, in effetti, che il ragazzo dei miracoli cominciò il proprio racconto.
“No, onestamente le mie esperienze sono state ben lontane dal definirsi speciali, in entrambi i casi.” disse, stringendosi nelle spalle “Ho dato il mio primo bacio a dodici anni. Ero al secondo anno delle medie. In realtà non è corretto dire che ho dato il mio primo bacio, è lei che si è avvicinata. Ayako era una mia compagna di classe. Era molto gentile e assennata, mi aiutava a tenere il passo con le lezioni, dato che facevo spesso assenza a causa delle partite, per questo quando quel pomeriggio mi aveva invitato a casa sua per fare i compiti, non ci avevo visto nulla di strano. Mentre aspettavamo la merenda, si è avvicinata e mi ha baciato. Non è stato un brutto bacio… credo. Ma lei non mi piaceva. Quindi l’ho scostata e le ho fatto presente che non ricambiavo i suoi sentimenti. Sembrava avesse capito, che fosse tutto okay e potessimo tornare ad avere un rapporto normale… invece il giorno dopo ha detto a tutta la scuola che ero stato io a baciarla e che lei mi aveva rifiutato in malo modo. Le persone non hanno fatto altro che guardarmi male e bisbigliare alle mie spalle per mesi. È stato parecchio fastidioso.”
“Che stronza!”
“Hinata!”
“Scusa, ma è vero!”
Non gli importava un fico secco di aver usato un’espressione colorita: se avesse avuto quella Ayako davanti, Shoyo avrebbe ripetuto quell’insulto a gran voce, dritto sulla sua brutta faccia, prima di… di rovesciarle un bicchiere di succo sulla testa, ecco!
In un flash, ricordò la conversazione che aveva avuto con Satori Tendou sulla spiaggia di Shirahama: “Wakatoshi è una sottospecie di rockstar, Hinata!” aveva detto il guess blocker, amareggiato “Ed esattamente come una rockstar, la gente vuole sempre qualcosa da lui. Il problema è che, quando non riesce ad ottenerla, sceglie la via più semplice e più vigliacca di tutte: inventa.”
Hinata venne attraversato da un profondo senso di rabbia.
Prima di conoscere Wakatoshi, pensava che dovesse essere esaltante essere famosi come lui, vedere il proprio volto stampato sulle copertine dei giornali, sentire il proprio nome nella bocca di chiunque, colmo di rispetto e adorazione. Dall’esterno, la vita di Ushijima appariva un fulgido bagno di sole, un castello dorato infrangibile, dove ogni cosa era perfetta, invece esisteva un lato decisamente oscuro della medaglia: tutti bramavano uno spicchio di quello splendore, a costo di calpestare la fonte da cui proveniva.
“E la seconda esperienza, invece?” domandò quindi il giovane corvo con un velo di preoccupazione, non sapendo bene che cosa aspettarsi.
“La seconda è più complicata…”
Come la sera in cui gli aveva rivelato la storia dei suoi genitori, il corpo di Wakatoshi si irrigidì visibilmente, quasi che la sua stessa pelle imbastisse una corazza contro le lame troppo affilate dei ricordi.
Per Hinata fu un istinto naturale posare una mano sulla sua. Notò che sembrava minuscola rispetto a quella dell’asso, a stento riusciva a ricoprirne il dorso, ma decise che non importava: ciò che Shoyo voleva era ricordargli che lui era lì, che adesso aveva qualcuno con cui condividere quel peso, che non sarebbe andato via.
“Due anni fa, ho avuto un infortunio alla spalla sinistra. Niente di serio, ma per aggirare un muro avversario, durante i nazionali di Tokyo, ho eseguito una diagonale molto stretta, muovendo male il braccio. Per fortuna, era l’ultima partita dell’anno, quindi non ho dovuto sforzare oltre l’arto, ma ho passato l’estate a fare fisioterapia per riacquistare la piena mobilità.
È lì che ho conosciuto Dae-Jung.
Dae-Jung era il praticante del fisioterapista incaricato dal mio staff. Aveva ottenuto la laura magistrale da qualche mese, doveva soltanto terminare i tirocini in ospedale, nel frattempo però aveva chiesto a un amico di famiglia – il mio fisioterapista, appunto - di poter cominciare a lavorare su qualche atleta: il suo sogno, era specializzarsi nel campo sportivo. Era stato un nuotatore professionista per anni, durante l’adolescenza, ma un infortunio aveva spezzato le sue ambizioni. Quella era l’unica maniera per continuare a vivere nel mondo delle gare.
All’inizio mi era totalmente indifferente. Era bravo, ma né più né meno di altri fisioterapisti con cui avevo avuto a che fare, eppure col tempo cominciammo a legare, sempre di più.
Dae-Jung era… particolare. Era molto sicuro di sé ma non spavaldo, sembrava essere a suo agio in ogni situazione, sapeva sempre cosa dire e quando dirlo, era pacato, educato ed era pronto a farsi in quattro per chi gli stava vicino. Ma soprattutto, lui… capiva. Capiva cosa significasse concorrere a livello agonistico negli anni del liceo, tutte le pressioni, i sacrifici, le difficoltà di questo mondo. Parlare con lui era facile come schioccare le dita, non mi era mai successo con nessuno prima di allora.
Alla fine, quando ricominciò la scuola, e con essa gli allenamenti della squadra, divenne il mio fisioterapista di riferimento, il che comportava anche seguirmi durante le trasferte.
Fu durante una trasferta, effettivamente, che accadde.
Eravamo a Osaka. Dae-Jung aveva insistito con lo staff per darmi una stanza singola. Lì per lì, non ci diedi troppo peso: era la prima partita ufficiale dopo l’infortunio, sosteneva che avevo bisogno di riposo, concentrazione e qualche sessione di massaggio in più. Aveva senso, perciò non me ne preoccupai. I dubbi cominciarono a venirmi, quando bussò alla mia porta in piena notte, mentre tutti gli altri erano andati a dormire. Disse che era necessario fare un controllo prima della partita, l’indomani non ci sarebbe stato tempo. Mi sembrò bizzarro, ma mi fidavo di lui, quindi lo lasciai entrare nonostante fossi piuttosto stranito dalla situazione.
Mi baciò non appena mi misi sul lettino.
Provai a scostarlo, ma lui cominciò a dire un sacco di cose: “Pensavo ci fosse un legame speciale tra di noi.”, “Sei solo spaventato, fidati di me, sono più grande, so quello che faccio.”, “Voglio solo farti sentire bene, sei così stressato, così teso…”, “Lo so che ti piaccio, lo so che lo vuoi, non dire bugie.”
All’inizio lo lasciai fare. Per certi versi, non mi ero mai avvicinato tanto a qualcuno; pensai che forse aveva ragione, senza rendermene conto potevo aver sviluppato una qualche sorta di legame con lui. Ma poi cominciò a toccarmi e a volere che io lo toccassi a mia volta, e non ce la feci più. Non volevo fare quel genere di cose, non mi sentivo a mio agio. Provai a dirglielo, ma non accennava a fermarsi, continuava a toccarmi… cercava di spogliarmi…
Alla fine, me lo tolsi di dosso bruscamente e lo cacciai fuori.
Il giorno dopo aveva fatto le valigie e se ne era andato.
Non l’ho mai più rivisto.”
Shoyo tirò Wakatoshi contro il suo petto con la vista appannata di lacrime.
Stava tremando, stava stringendo la maglietta dell’altro talmente forte da sentir tirare la stoffa, stava impiastricciando la federa, le proprie mani, i capelli del ragazzo: un disastro.
“Hinata? Perché stai piangendo adesso?”
“Tu hai affrontato una cosa simile da solo? Non ne hai mai parlato con nessuno?”
“No, sei la prima persona a cui lo racconto.”
“Wakatoshi…”
Non aveva parole per esprimere ciò che stava provando. Dentro di lui si avvicendavano angoscia, rabbia, ma soprattutto una profonda tristezza. Tristezza nel pensare a quante brutte situazioni come quella, Wakatoshi aveva dovuto interfacciarsi da solo nel corso della sua vita, buttato fin da piccolo in quel mondo di adulti spesso così meschini e disonesti, pronti a mangiarselo vivo, pensando di giocare sull’inesperienza della sua giovane età. Ushijima possedeva una forza d’animo fuori dal comune, era vero, ma quanti colpi doveva aver incassato prima di indurire le ossa? Quando lo aveva conosciuto, Shoyo si era stupito della sua freddezza, della sua maturità, di quell’attitudine a isolarsi e a guardare con sospetto ogni barlume di gentilezza, ma adesso gli era chiaro che quei tratti, purtroppo, non erano altro che riflessi di un meccanismo di difesa che Wakatoshi aveva imbastito in anni e anni di guerra.
“È per questo che ti sei scusato per avermi baciato senza permesso?” rifletté all’improvviso il ragazzino, asciugandosi malamente il volto.
Wakatoshi lo scostò quel tanto che bastava per guardarlo, quindi poggiò la fronte contro la sua e gli sfiorò il mento con la punta delle dita. “Non voglio fare niente che tu non voglia. Mai. Me la ricordo la sensazione che provai con Dae-Jung: era sgradevole, sentivo che era tutto sbagliato.”
Hinata sorrise triste, “Non è stato nulla del genere per me! Io volevo tanto che tu mi baciassi!” confessò, mordendosi le labbra “Intendo… davvero, davvero tanto…”
La risposta di Wakatoshi fu una risata simile ad uno sbuffo, che gli fece vibrare il petto.
“Però voglio che anche tu sia sempre a tuo agio con me!” riprese Hinata, con fervore.
“Io?”
“Non darò mai più per scontato che a te stiano bene certi tipi di contatto, m-mi dispiace! Se c’è qualcosa che non ti piace o non ti va, io lo voglio sapere! Io… voglio prendermi cura di te!
L’asso sgranò gli occhi, di fronte a quella frase, prendendo a sfarfallare le palpebre convulsamente, con aria smarrita. Hinata intuì subito che il motivo di tanta sorpresa era infelice – chissà se gliela aveva mai detta nessuno una frase del genere – e che forse non doveva suonare molto credibile, visto era un nanerottolo alto poco più di un metro e sessanta, comunque non ebbe il tempo di rammaricarsene oltre: con quella espressione confusa, Japan somigliava a uno di quegli aquilotti un po' buffi che di tanto in tanto giravano sui social, per cui, suo malgrado, Shoyo esplose in una risata argentina.
“Mi piace quando ridi così.”
Il ragazzino si bloccò di colpo.
Il suo cuore ruzzolò, perse un battito.
“S-sul serio?”
“Non dico niente che non sia sul serio.”
A quel punto, il giovane capitano posò lentamente una mano sul suo collo, neanche avesse paura di scalfirlo in qualche modo, poi lasciò ondeggiare il pollice davanti alle sue labbra, ancora e ancora, senza mai toccarle.
Nel silenzio della notte, il respiro di Shoyo accelerò, riecheggiando in tutta la grande casa di Ushijima, in attesa. Era come se qualcuno avesse premuto un interruttore invisibile, che aveva cambiato completamente l’atmosfera nella stanza: un attimo prima, l’aria era fresca e Hinata respirava a pieni polmoni; l’attimo dopo, tutto l’ossigeno pareva essere stato risucchiato dalla congiunzione dei loro corpi, pesando su quel letto, gravando sulle loro costole.
Fermando il resto del mondo.  
Wakatoshi non gli chiese il permesso a parole, questa volta, semplicemente sollevò gli occhi su di lui con un’intensità tale che il piccolo corvo sentì il suo desiderio scivolargli sottopelle, mescolarsi con il rosso del proprio sangue.
Bastò solo un cenno di assenso.
Le loro labbra si calamitarono le une vero le altre, combaciando come due metà di un intero.
Baciare Ushijima era una miccia sulla benzina, una scintilla in grado di originare un incendio. Hinata si arcuò contro di lui e si aggrappò alla sua maglietta ormai martoriata dalle energiche strette che aveva collezionato quella sera; pregò di non doversi staccare mai, di non dovere mai recuperare il fiato. La mano di Wakatoshi, ferma sulla sua giugulare, sembrava pompargli dentro una vitalità inedita: Shoyo sentiva di poter scalare le montagne, tirare giù la luna che faceva capolino dalla finestra socchiusa, saltare più in alto delle stelle.
Si tirò indietro, solo quando avvertì la lingua dell’altro lambirgli gentilmente il labbro inferiore. “Scusa…” sussurrò infatti, rosso in viso sia per la vergogna che per la foga “Non so baciare come gli attori nei film…”
“Possiamo non farlo, se non te la senti.”
“No, voglio imparare! Solo che… credo… credo di essere una frana…”
Wakatoshi rimase in silenzio per un istante, osservandolo come rapito.
Il sospiro che emise – rotto, frenato, a tratti sofferente- regalò al ragazzino un brivido dietro la schiena.
“Apri la bocca.” disse poi con la sua voce roca, prendendogli il mento tra le dita.
Hinata ubbidì senza neanche pensarci. La lingua del capitano indugiò un poco sulle sue labbra, quasi volesse tracciarne il contorno, dopodiché vi scivolò in mezzo, iniziando ad accarezzare la sua con movimenti languidi.
A Hinata sembrò di uscire fuori da se stesso, cambiare scheletro, rivestirsi di pelle nuova.
Non era neanche lontanamente paragonabile ai baci precedenti: era passione allo stato più grezzo, un terremoto di sensazioni diverse che si sovrastavano, sovraccaricando Hinata di pura elettricità. Capire il meccanismo non fu facile – più di una volta temette di graffiare l’altro coi denti o di usare un po' troppo entusiasmo – ma Wakatoshi era sorprendentemente paziente, si premurava di recuperarlo ogni volta che perdeva il ritmo; presto, comunque, tutto divenne naturale, istintivo, mentre il suo cervello si svuotava delle ultime briciole di razionalità.
All’improvviso però, Wakatoshi lo allontanò da sé in maniera brusca.
“Hinata…” chiuse gli occhi un istante, morse l’interno della guancia “È meglio che andiamo a dormire.”
Shoyo lo osservò intontito, un po' indignato, “T-tu vuoi andare a dormire?”
La mano di Wakatoshi scese giù in picchiata; come in precedenza, rimase sospesa a un millimetro dalla sua pelle, mettendogli i brividi, e così risalì piano lungo la sua coscia, la stoffa dei suoi pantaloncini, l’elastico dei boxer, arrestandosi solo per agganciare la punta delle dita all’orlo della sua maglietta.
“Temo che le cose che voglio io, non siano consone, al momento.” disse, fissandogli le labbra. 
Hinata deglutì.
Poi prese la mano di Wakatoshi e se la portò sotto la maglietta.
“Ma se sono le stesse che voglio io?”
Le unghie del capitano aderirono sulla pelle nuda del suo stomaco come se vi si stessero aggrappando, spiraglio di un desiderio talmente disperato da togliere il fiato anche a lui.
“Promettimi che non ti farai annebbiare dagli impulsi.” gli intimò quindi, la sua mano che scivolava calda e lenta sulla curva del suo fianco e la stringeva “Promettimi che se non ti senti a tuo agio, se non vuoi fare qualcosa, non ti lancerai a capofitto come al solito. Ti fermerai. Mi fermerai.”
“Lo prometto!”
“Hinata…”
“Lo prometto, Wakatoshi, davvero! Adesso però baciami.”
Non finì nemmeno la frase. Il capitano dello Shiratorizawa lo inchiodò con la schiena al letto, si sollevò sopra di lui e riprese a baciarlo.
Shoyo gli circondò il collo con le braccia, sorrise stupidamente e lo accolse – impaziente, grato – schiudendo le gambe per fargli spazio, come se quel posto fosse sempre stato suo di diritto.
Quante volte aveva immaginato uno scenario del genere? Decine, migliaia, e adesso, non sapeva neanche spiegare quanto fosse liberatorio poter toccare Wakatoshi in quel modo, sentire il suo fiato caldo che si infrangeva a ondate irregolari sulle sue labbra, il peso del suo corpo che premeva gentilmente sulle proprie ossa. Lo teneva incollato addosso, eppure non gli bastava, avrebbe voluto cancellare i loro contorni, mescolarli insieme fino a non riconoscere più cosa era suo e cosa dell’altro. In un guizzo di sconsideratezza, affondò le mani sotto la sua T-shirt e la stropicciò, la tirò, al punto che, d’un tratto, Wakatoshi dovette decidere di adeguarsi a quella frenesia, così lasciò che l’indumento gli scivolasse da sopra la testa.
Hinata tremò.
La distesa di muscoli levigata e solida che gli si dipanò innanzi agli occhi, gli fermò il cuore. “Sei perfetto.” sussurrò, e non provò nemmeno un briciolo di vergogna stavolta: quello non era un complimento né era una mera considerazione personale, era la pura e semplice verità.
L’asso lo osservò per un lungo istante, in quella maniera aperta e penetrante che faceva sentire il ragazzino privo di qualsiasi difesa, dopodiché prese l’orlo della sua maglietta, la sollevò un poco e, quando Shoyo glielo permise, aiutandolo nei movimenti, gliela sfilò a sua volta.
Una ventata di freddo gelido gli increspò la pelle, ma Hinata non avrebbe saputo dire se la causa fosse stata la notte oppure l’imbarazzo di trovarsi mezzo nudo, per la prima volta, di fronte ad un’altra persona.
Incrociò le braccia al petto, cercò di farsi piccolissimo.
“Sei a disagio?” gli chiese Wakatoshi.
“Sì… cioè no! È-è solo che…” sbuffò, incassò il capo tra le spalle e ritentò “Io… io non sono come te… il mio fisico… insomma, non c’è molto da vedere…”
Il punto era che, grazie alla loro convivenza, Hinata aveva già visto Wakatoshi a petto nudo e - sebbene non credesse che l’asso potesse avergli riservato chissà quale attenzione - anche lui aveva avuto l’opportunità di vederlo in costume da bagno sulla spiaggia di Shirahama.
Ma adesso… adesso era una situazione del tutto differente, come se in realtà non si fossero mai guardati davvero prima.
Alla luce soffusa della sera, Wakatoshi appariva dorato e splendente più di quanto non fosse mai stato in quelle settimane… ma lui? Lui come doveva apparirgli? Lui che di miracoloso non aveva niente, che era smilzo, smorto, acerbo in ogni singolo aspetto.
Eppure, Ushijima se ne stava ancora lì a fissarlo, senza dire una parola, con un’intensità tale da mettergli a soqquadro ogni organo.
Fu uno shock quando le sue labbra fredde si posarono gentilmente sulla curva del suo collo per poi trascinarsi, esitanti, lungo la linea della sua clavicola.
“Lo so che non sei come me.” disse roco, la bocca premuta al centro del suo petto; raccolse i suoi polsi intrecciati e li ripose tra le pieghe delle lenzuola “E non voglio niente di diverso.”
Shoyo ingoiò un ansito, mentre un bacio si posava all’altezza esatta del suo cuore.
Lentamente, l’asso prese a sondarlo come un paesaggio da scoprire, a volte sfiorandolo appena con la punta delle dita, altre volte stringendo, piegando, affondando i denti dove la carne era più tenera.
Nel modo in cui lo stava toccando, il ragazzino scorgeva lo specchio dell’indole binaria di Wakatoshi: da un lato, la razionalità, il metodo; dall’altra quella tendenza innata al predominio, l’avidità di prendere e conquistare ogni cosa.
Gli ci volle un po' prima di tornare in sé, ma quando finalmente il suo cervello si riaccese, anche Shoyo cominciò ad acquistare confidenza con il corpo dell’altro, lasciando le proprie mani vagare senza meta tra quei muscoli cesellati e duri, lisci come il marmo lavorato.
Era così che ci si sentiva un drogato dipendente dalla cocaina? Più ne assumeva, più ne voleva.
Si baciarono di nuovo, uniti in un groviglio confuso di arti, pelle contro pelle, i loro respiri ormai diventati uno soltanto. Non seppe mai chi dei due sfregò per primo il proprio bacino contro quello dell’altro, ma all’improvviso accadde, e una scarica elettrica gli attraversò la schiena, folgorandolo; a quel punto, una ondata di vergogna, terrore ed eccitazione lo sovrastò.
“Hinata…” lo chiamò Wakatoshi con la sua voce simile al rombo di una tempesta, regalandogli un altro brivido. Aveva le palpebre chiuse, la mascella serrata, il corpo ghiacciato dallo sforzo di non muoversi.
Hinata gli posò una mano sulla guancia e lo convinse a guardarlo negli occhi.
“Va tutto bene.” soffiò pianissimo, mentre timidamente si inarcava sul letto alla ricerca di quel contatto così intimo, così nuovo.
Un sussultò palleggiò da lui a Ushijima.
Non si fermò.
“Va tutto bene…” e ripeté il gesto, tremante ma deciso, bevendo la sorpresa negli occhi della giovane aquila insieme a quel guizzo di piacere che lasciò attoniti tutti e due.
“Sei sicuro?” gli chiese allora Wakatoshi, ma già le sue labbra erano incollate a quelle aperte di Shoyo, la sua durezza premuta contro il suo interno coscia.
“Sì.”
“Sai cosa stiamo per fare? Sai che possiamo fermarci in qualsiasi momento?”
“Sì…” e mosse ancora il bacino, “Sì…” e allacciò una gamba intorno a quella dell’altro, “Sì…” e immerse le dita tra i suoi capelli corti, “Sì…” e chiuse gli occhi, “Tu lo vuoi, Wakatoshi?”
La risposta del ragazzo dei miracoli fu un bacio che gli tolse ogni facoltà di parola.
 
Quella notte, Shoyo scoprì con quanta intensità potesse amarsi un corpo, quanto bellezza ci fosse nel perdersi in un’altra persona. Lui e Ushijima si incastrarono come mai avevano fatto prima; cercarsi divenne un impulso incontrollabile, mescolarsi un bisogno atavico, sincero, e persino quando le loro mani si fecero più audaci e l’ultimo strato di tessuto li abbandonò al cospetto della luna, nessuno dei due riuscì più a provare un briciolo di paura. Coperto solo di brividi, il piccolo corvo raggiunse l’orgasmo gemendo al sicuro, stretto al petto del campione, mentre quello si riversò tra le loro pance, sospirando nel suo orecchio come un segreto.
L’alba li trovò ancora svegli, un po' intontiti, sicuramente stanchi.
Sempre intrecciati.
 
Era perfetto.
 
 



NOTE AUTORE
Stavo perdendo le speranze, lo ammetto.
Negli ultimi mesi la mia real life mi ha prosciugata, risucchiando ogni granello della mia energia, e il risultato è stato un blocco totale non soltanto a livello creativo, ma anche di lettura e di recensioni. Un disastro! Guardavo quella pagina bianca e non ne cavavo un ragno dal buco, non so quante volte io abbia letto una singola riga, togliendo e mettendo una virgola senza riuscire ad andare avanti.
Non sono del tutto contenta di alcuni passaggi… ma pubblicare questo capitolo, amici, è una liberazione!
 
I nostri piccolini ormai hanno rotto il ghiaccio e si stanno vivendo questa passione anche da un punto di vista fisico, oltre che emotivo. Il capitolo è incentrato sulla scoperta delle proprie pulsioni, dei timori tipici dell’adolescenza, delle insicurezze sul proprio aspetto che, prima o poi, proviamo tutti.
 
Sono davvero curiosa di sapere cosa ne pensate del capitolo, ma soprattutto del racconto di Wakatoshi circa la sua esperienza del passato con il fisioterapista… vi dico la verità, ho avuto seri dubbi sull’inserire questo pezzo oppure no, ma avendone fatto riferimento spesso in precedenza, alla fine ho deciso di seguire il piano. Volevo sviluppare un tema abbastanza importante, che è quello degli abusi fisici di cui spesso sono vittime i giovani atleti, lanciati troppo presto in questo mondo di adulti, lontano da casa.
La mia speranza è di non aver trattato il tema in modo indelicato.
 
Il prossimo capitolo è uno dei miei preferiti in assoluto e non vedo l’ora di farvelo leggere
Che dire?
 
Alla prossima,
Violet Sparks

 
 
   
 
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