Anime & Manga > Boku no Hero Academia
Segui la storia  |       
Autore: _ A r i a    25/01/2024    0 recensioni
[ ghost!au ]
Enji attraversa nuovamente la porta dello studio di Ryou, tornando finalmente a poter osservare Keigo. Forse non si è neppure accorto che è di nuovo in corridoio con lui, perché al momento ha il capo voltato di lato e osserva un punto nel vuoto fuori dalla finestra. Ha un'aria corrucciata, ed Enji lo nota sistemarsi una ciocca di capelli dorati dietro l'orecchio – il gesto che fa sempre quando ha bisogno di riflettere.
«Certo che ne sai di cose su Ryou», valuta Enji, infilando nuovamente le mani nelle tasche. «Voi due siete diventati parecchio intimi...»
Keigo si gira nella sua direzione, rivolgendogli un sorriso scaltro. «Vuoi sapere se ci sono andato a letto?», gli chiede a bruciapelo, osservandolo con fare malizioso.
Per un momento, Keigo resta a osservare deliziato l'espressione di totale imbarazzo che si dipinge sul volto di Enji.
Poco dopo, però, torna a fissare il corridoio davanti a sé, l'espressione sul suo viso che si fa nuovamente seria. «Ad ogni modo, la risposta è sì», ammette, senza un'inflessione particolare nella voce. «Abbiamo una relazione, da un anno a questa parte.»
Enji sembra piuttosto infastidito dalla cosa. «Ah, beh. Sesso ed elettroshock. Avvincente», commenta, seccato.
Genere: Angst, Introspettivo, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Dabi, Endeavor, Hawks, Rei Todoroki, Shōta Aizawa
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A



Shouta chiude la porta della sala interrogatori alle proprie spalle con un sospiro esausto.
Stanno torchiando quella ragazza, Toga Himiko, da ore, ormai, senza tuttavia ottenere alcun risultato. Si è chiusa in un silenzio ostinato, e Aizawa sa perfettamente di non poterle estorcere alcuna informazione – se questo non bastasse, a tenerglielo a mente c’è il fastidioso avvocato che la accompagna.
Quello di cui ha bisogno al momento è un caffè forte. E un miracolo, probabilmente, ma per il momento decide di accontentarsi del primo. Così si avvia verso il distributore in corridoio, l’andatura un po’ ciondolante.
La verità è che è stanco. In quel momento preferirebbe volentieri starsene a casa sotto le coperte, piuttosto che a interrogare una ragazzina che non vuole saperne di dirgli la verità. Vorrebbe avere il conforto di sapere Eri addormentata nella stanza accanto alla sua, invece tutto ciò che lo circonda al momento sono le scrivanie dei suoi colleghi.
Di notte il commissariato sembra essere leggermente più tranquillo rispetto al resto del giorno, ma forse è solo perché c’è più silenzio: gli agenti in servizio sono in numero ridotto, e se ne stanno tutti seduti alle loro postazioni mentre battono a ritmo cadenzato le dita sulle tastiere dei loro pc. Anche quello, però, è un rumore sommesso, come se non volessero infrangere una regola non scritta per cui dal crepuscolo all’alba vige uno stato di quiete.
Shouta raggiunge il distributore di caffè e ci si appoggia pesantemente con una mano, mentre l’altra rovista nella tasca dei pantaloni fino a che non trova la chiavetta, in dotazione a tutti gli agenti. Shouta la infila, preme il tasto del caffè espresso, dopodiché la macchinetta inizia a emettere una vibrazione profonda, e quasi si sente in colpa di star violando il silenzio in cui sono immersi i suoi colleghi.
Shouta lancia uno sguardo di lato, lasciandosi sfuggire un sospiro, per poi spostarlo nuovamente sul distributore, il caffè che lentamente scivola nel bicchiere di plastica.
In quel momento, Emi compare in cima al corridoio. Non appena individua Aizawa, comincia a camminare più in fretta nella sua direzione, i capelli acquamarina che si agitano alle sue spalle come in tempesta.
«C’è una persona che chiede di te», gli comunica, passando alle sue spalle. «L’ho fatta accomodare nel tuo ufficio.»
Aizawa si volta a guardarla con un’espressione contrariata in volto. «Adesso?», domanda, incredulo. «Sono nel bel mezzo di un interrogatorio…»
«Ha detto che si trattava di una questione urgente!», replica Emi, mentre continua a camminare lungo il corridoio, le braccia che tengono stretti al petto i fogli di alcune pratiche.
Shouta scrolla le spalle, con fare arrendevole. Quella notte sembra non voler finire più. Il bip della macchinetta lo avverte che il suo caffè è pronto, così ne approfitta per recuperarlo. Mentre si avvia lungo il corridoio, Shouta miscela lo zucchero con la palettina, per poi prenderne un piccolo sorso.
Continuando ad avanzare verso il suo ufficio, Aizawa si ritrova a scuotere la testa. Gli riesce difficile immaginare cosa ci possa essere di più importante del suo interrogatorio, soprattutto adesso che sono a un passo dalla soluzione di un caso che era sembrato semplice solo al primo sguardo. Sotto braccio ha ancora la cartellina gialla al cui interno ha inserito i documenti del caso Ukai, ma considerando che l’alternativa sarebbe stata lasciarli in sala interrogatori – alla completa mercé di Toga Himiko e del suo avvocato – è ben lieto di averla portata con sé.
Nel momento in cui arriva davanti al suo ufficio, Shouta abbassa la maniglia e apre la porta di scatto, pronto già a chissà quale noiosissima perdita di tempo, invece per poco non gli viene un colpo.
Hizashi.
Il suo compagno ha voltato la testa in direzione della porta quando l'ha sentito aprirla, e adesso Shouta sente gli occhi dell’altro puntati su di sé. I capelli biondi gli sfiorano le spalle allo stesso modo dell’ultima volta in cui lo ha visto, e sul suo volto c’è un sorriso dall’aria leggermente colpevole.
«Ciao, Shouta», lo saluta, la voce calma – ma è la sua, quella di sempre.
Aizawa resta immobile sulla soglia per un momento. Alla fine, però, riesce a chiudere la porta alle proprie spalle, per poi scattare in avanti verso Hizashi. Si accomoda sulla sedia accanto alla sua, poggiando distrattamente il caffè – di colpo berlo è diventata l’ultima delle sue priorità – e la cartellina sulla scrivania.
«Che ci fai qui…?» Che fine hai fatto per tutto questo tempo? Dove sei stato fino a questo momento? In realtà c’è un’infinità di domande che Shouta vorrebbe fargli, e alla fine gli sembra di essere partito dalla più stupida di tutte. «Credevo che ti fosse successo qualcosa…»
Hizashi sposta lo sguardo di lato, il sorriso sulle sue labbra che si fa più amaro. «No, sto bene», ammette, in tono affranto.
Shouta sente che c’è qualcosa che non va, solo che non riesce a capire di cosa si tratti. Si china leggermente in avanti, prendendo le mani dell’altro nelle sue. «E allora cos’è successo?», gli chiede ancora, comprensivo.
Hizashi continua a non ricambiare il suo sguardo, e Shouta lo conosce troppo bene, sa che se si comporta così è perché c’è qualcosa che lo turba. Istintivamente accarezza con le dita il dorso delle mani dell’altro, come per incoraggiarlo.
Quando finalmente Hizashi solleva il capo, Shouta scorge nei suoi occhi qualcosa che raramente vi ha intravisto – incertezza.
«Ho avuto paura», confessa, la voce che s’incrina appena mentre si costringe a mantenere un  debole sorriso.
Sul volto di Shouta compare un’espressione confusa. «Paura di cosa…?», domanda, il pollice che traccia arabeschi sulla pelle dell’altro.
Hizashi si lascia sfuggire un sospiro tremante, le labbra ancora piegate in quel sorriso amaro mentre lo sguardo combatte per non sottrarsi a quello di Shouta. «All’inizio è stato Shirakumo», spiega, remissivo. «All’epoca eravamo ancora in accademia, volevamo entrare tutti e tre in polizia quando ci fu quell’incidente, ricordi?»
Shouta si limita ad annuire, così Hizashi prosegue. «In quel momento è stato uno sprone, ci siamo gettati sulle nostre carriere con ancor più convinzione. Andando avanti, però, quella scia di morte non ha mai smesso di accompagnarci – Toshinori, Enji, pensa a quanti colleghi abbiamo già perso…»
Shouta lo osserva perplesso, la fronte corrucciata. «Non capisco», ammette, interdetto. «Dove vuoi arrivare…?»
Hizashi si appoggia stancamente allo schienale alle proprie spalle, continuando a sorridere tristemente. «Finché eravamo solo noi due andava tutto bene. Poi, però, le cose sono cambiate», continua, la testa che si piega appena di lato. «Eri e Hitoshi sono entrati a far parte della nostra vita, ed è stata la cosa più bella che ci sia mai capitata. Solo che, in quel momento, io ho avuto paura, Shouta, paura di lasciarli di nuovo da soli. Perché il nostro è un mestiere difficile, la mattina ci alziamo per andare al lavoro ma non abbiamo alcuna garanzia che a fine giornata torneremo a casa sani e salvi. Ed ero terrorizzato al pensiero di parlartene, perché tu ami i ragazzi più di ogni altra cosa e, semplicemente, non mi sentivo pronto ad affrontare questo discorso con te. È per questo che sono sparito…»
Shouta sobbalza, osservandolo sorpreso. «Avevi paura di deludermi…?», domanda, incredulo.
Hizashi si limita ad annuire brevemente, per poi spostare lo sguardo in direzione della finestra dell’ufficio di Aizawa. «Hitoshi sapeva dove mi trovavo. Ogni tanto veniva a trovarmi, ma sono stato io a chiedergli di non dirti niente su dove fossi. Avevo bisogno di stare da solo per un po’, capire cosa pensassi davvero. Mi spiace di averlo messo in difficoltà con te», confessa, lasciandosi sfuggire stavolta un sorriso beffardo.
Sul volto di Shouta, invece, compare un’espressione sollevata. Per settimane non ha avuto idea di che fine avesse fatto Hizashi, e ora che ce l’ha davanti e gli ha confessato tutta la verità si sente uno stupido per non esserci arrivato prima e aver immaginato invecce tutti gli scenari peggiori possibili. Shouta scuote appena la testa, sporgendosi ancora un po’ verso Hizashi e circondandogli una guancia con la mano.
Hizashi solleva lo sguardo per la sorpresa, ma ad attenderlo non trova altro che le iridi nere e pacate di Aizawa.
«Perché non me ne hai parlato prima?», chiede, ma nella sua voce non c’è alcun tono inquisitorio. «Avremmo affrontato questa cosa insieme, come tutto, come sempre...»
L’espressione sul volto di Hizashi si fa finalmente rilassata. Shouta si china in avanti, e mentre bacia le sue labbra si sente come un marinaio che vede di nuovo terra, dopo aver passato un lungo periodo in alto mare.
«C’è una sospettata che mi attende, di là», gli confessa Shouta, quando si separa appena da lui. «Mi concedi l’onore di condurre quest’interrogatorio assieme a te?»

La porta della sala interrogatori si spalanca di nuovo, e stavolta alle spalle di Shouta entra anche Hizashi.
L’avvocato di Toga Himiko sobbalza sul posto, quasi strabuzzando i suoi piccoli occhi neri dietro le lenti spesse degli occhiali. «C-credevo che avrebbe condotto questo interrogatorio da solo…», fa per protestare, interdetto.
Aizawa si accomoda sulla sedia che ha occupato fino a poco prima, sporgendosi appena verso l’altro lato del tavolo. «L’ispettore Yamada è un mio collega e ha tutto il diritto di trovarsi qui in questo momento», replica, mentre rivolge un’occhiata torva all’avvocato.
Il difensore di Himiko sembra rabbrividire, a disagio, tuttavia nessuno ci fa caso.
Hizashi si siede accanto a Shouta, aprendo il fascicolo che gli ha lasciato. «Allora, Himiko… diciamo che la tua situazione non è così buona», commenta, osservando alcuni fogli. «Hanno trovato un bel po’ di pasticche di crimson a casa tua, quindi direi che per l’incriminazione per detenzione di stupefacenti non si possa fare molto.»
«Le cose però potrebbero andare in maniera diversa se tu ci aiutassi fornendoci alcune informazioni», prosegue Shouta, incrociando le braccia al petto. «Potresti ottenere uno sconto di pena, magari.»
«Himiko, non sei costretta a dire loro niente…», le fa notare l’avvocato, con voce tremolante.
«Avvocato, basta!» Himiko si volta in direzione dell’uomo, con aria esasperata. «I miei genitori l’hanno mandata qui non per difendere me, ma per tutelare il buon nome di famiglia. Sa qual è il problema? Che io la voglio dire, la verità.»
Gli occhi di Himiko tornano a fissarsi in quelli di Aizawa. «È vero. La crimson che avete trovato in camera mia mi appartiene. L’ho prodotta io, per l’esattezza», ammette, giungendo le mani sopra il tavolo. «La formula precedente comprendeva un’imprecisione. Io l’ho sistemata, migliorando il prodotto finale.»
Shouta sostiene con fermezza lo sguardo della ragazza. In quel momento ci sono solo lui e la sospettata, nient’altro conta all’interno della stanza. «Chi ti ha chiesto di migliorare la formula, Himiko?», domanda, in tono solenne.
L’avvocato sembra accaldato e sul punto di svenire, ma a Himiko non importa.
In quel momento, sul suo volto c’è un’aria tranquilla e determinata.

Rei è seduta a una delle scrivanie del commissariato.
Al momento, l’agente che di solito la occupa non è in servizio, così si è limitata a sistemarsi lì mentre aspetta.
Aizawa sta interrogando la ragazza che hanno fermato e, in attesa di qualche nuovo elemento, a lei non resta altro da fare che starsene lì da sola.
Lo sguardo di Rei vaga tra le postazioni che, a quell’ora, sono quasi tutte deserte. Enji l’ha seguita fin lì dal porto, e ora la osserva mentre sul volto le compare un’aria assorta.
In quel momento, Fukukado Emi le si avvicina, con aria corrucciata.
«Ah, dottoressa», la chiama, allungando distrattamente una busta da lettera nella sua direzione. «Stamattina è arrivata questa per lei.»
Rei inarca le sopracciglia, scettica. «Alla buon’ora», commenta, in tono caustico. «E dire che avevo anche specificato che si trattava di una cosa urgente…»
Emi si sporge oltre la spalla di Rei per spiare mentre la donna legge. «Che cosa sono?», domanda, curiosa.
«I risultati degli esami tossicologici di Ukai Tomie», spiega, stringendo i fogli tra le dita e esaminandoli attentamente. «Li avevo richiesti una settimana fa, subito dopo l’incidente, eppure a quanto pare sono arrivati solo adesso…»
Rei è costretta a fermarsi di colpo mentre parla. C’è un valore, infatti, che non può in alcun modo passare inosservato sotto il suo sguardo.
E in quel momento Rei capisce che quello è il tassello mancante che stavano cercando.
«Non è possibile…», mormora, incredula.
Enji scorre velocemente a sua volta i fogli, ritrovandosi a sbarrare gli occhi non appena comprende cos’ha scoperto sua moglie.
Rei si alza in maniera repentina dalla scrivania, avviandosi lungo il corridoio. «Avverti Aizawa», prega, rivolta a Emi. «Ci serve una volante, subito.»
Enji, nel frattempo, lascia il commissariato, svanendo nel nulla.


Keigo.
Il nome del ragazzo è tutto ciò a cui Enji riesce a pensare mentre il mondo riprende forma attorno a lui.
Man mano che i contorni tornano a essere definiti, si rende conto di trovarsi in un luogo che non ha mai visto prima d’ora.
Sembra essere una baita di montagna, almeno dalla struttura in legno, tuttavia l’arredamento è più moderno di quel che ci si aspetterebbe. C’è una cucina di colore bianco ghiaccio – freddo, asettico – all’apparenza moderna e dotata di ogni genere di fornitura, ma quel che ruba l’attenzione è senza dubbio il camino di pietra che impreziosisce il soggiorno.
Alle spalle di Enji c’è un’enorme vetrata spalancata, dalla quale scivola all’interno dell’abitazione una brezza leggera. Se si volta a osservare il panorama, lo attende una vista mozzafiato su un bosco che lentamente dirada verso un lago che, dalla posizione in cui si trova, sembra risplendere d’argento alle prime luci dell’alba che s’affacciano dietro le montagne.
«Dove siamo?», si ritrova a domandare Enji, prima ancora di rendersi conto che le parole gli sono sfuggite dalle labbra.
«Casa di Ryou.» Keigo si trova accanto a un divano, e a Enji sembra di riuscire a inquadrarlo solo nel momento in cui finalmente lo sente parlare. Dal punto in cui si trova al momento, fermo sulla soglia della vetrata, riesce a vedere il ragazzo soltanto di spalle: segue i suoi movimenti mentre afferra con le dita un fazzoletto di seta, rimasto abbandonato sopra un cuscino, ripiegandolo ordinatamente.
Nelle ultime ore, mentre era in commissariato, Enji ha perso di vista il ragazzo. Probabilmente è saltato sul primo autobus diretto verso la zona, ecco perché adesso è già lì.
«Himiko ha confessato», spiega, lanciando un’occhiata nervosa attorno a sé. «La notizia del suo arresto dev’essere arrivata all’orecchio di Ryou, così avrà mangiato la foglia per poi decidere di scappare in fretta e furia. Di sicuro starà cercando di cancellare le sue tracce.»
Lo sguardo rammaricato di Keigo si posa sul divano. «A giudicare dal disordine che ha lasciato dietro di sé, sembra essere parecchio di corsa. In ogni caso, non penso che sia andato via da molto tempo», commenta, pensieroso. «Il posto più vicino da qui è l’istituto. Forse la crimson è sempre stata lì.»
L’espressione di Enji sembra rilassarsi un poco. «Perfetto», valuta, risoluto. «Allora non ci resta altro da fare che raggiungerlo e fermarlo prima che salga su un volo diretto dall’altra parte del mondo.»
Keigo si decide a ricambiare lo sguardo di Enji, le labbra che si piegano in un accenno di sorriso. «Tu vai, intanto», lo esorta, la voce che scivola fuori in un sussurro. «Smaterializzandoti direttamente lì arriverai prima, così non rischieremo che Ryou ci sfugga nel frattempo. Io vedo di raggiungerti più in fretta che posso, promesso.»
Enji esita, incerto. «Sei sicuro…?», domanda, osservando attentamente il ragazzo.
Keigo annuisce piano, il sorriso sulle sue labbra che si fa più deciso. «Certo», lo rassicura, cordiale.
Alla fine, Enji decide di fidarsi del ragazzo.
Ancora non lo sa, ma quello sarà il suo più grande rimpianto.
Poco dopo Enji svanisce nel nulla, mentre lo sguardo di Keigo si posa sul caminetto.

L’istituto ha un aspetto spettrale.
Enji è già stato lì, eppure adesso, negli ultimi istanti di tenebra – quelli più bui – prima dell’alba e senza un anima viva in giro, è ancora più inquietante.
Trova perfino la porta d’ingresso spalancata, altro dettaglio piuttosto angoscioso.
Le luci dell’atrio sono accese, ma non sembra esserci movimento nei paraggi. Enji si guarda un po’ intorno, finché non nota una porta socchiusa che dà su un sottoscala.
Enji ci si avvicina in fretta, sbirciando mentre rimane sulla soglia. Non si vede un granché, l’ambiente è piuttosto buio ed è rischiarato a malapena da alcune lampade dall’aspetto rudimentale appese alla parete, tuttavia da quello che riesce a scorgere gli sembra che ci siano delle scale che scendono verso il basso.
A Enji non resta che dirigersi al piano inferiore. Quella situazione non gli piace per nulla, tuttavia al momento non ha altra scelta.
Alla fine delle scale trova ad attenderlo un altro ambiente tremendamente macabro. Le pareti hanno una tonalità di turchese piuttosto scura, ma ciò che non si può fare a meno di notare entrando là dentro è il tavolaccio di metallo al centro della stanza. Ci sono delle cinghie di cuoio all’altezza in cui, se una persona si trovasse sdraiata là sopra, si troverebbero i suoi polsi e le caviglie.
In quel momento, Enji capisce di aver già visto quel posto. È lo stesso in cui erano state scattate le fotografie che ha visto a casa di Tomie.
Il tavolo dell’elettroshock. Lo stesso su cui è stato disteso anche Keigo. Enji avverte un moto minaccioso di rabbia accrescere sempre di più dentro di sé.
La sua attenzione, tuttavia, viene distolta da quel tavolo non appena un rumore imprevisto gli giunge alle orecchie. Enji sposta lo sguardo di lato, verso un angolino in cui una luce sfarfallante – ed è sicuro di non essere lui a farla tremolare, stavolta – rischiara a malapena un armadietto.
Ryou si volta appena, lanciandogli un’occhiata in tralice da sopra una spalla. «Todoroki Enji», soffia, in un sibilo malevolo. «Vorrei dirti che è un piacere rivederti, ma mentirei.»
Enji lo osserva con sguardo severo, per niente intimorito. «È finita, Ryou», commenta, un’espressione dura sul volto. «La polizia è arrivata a te. Sanno che ci sei tu dietro a tutta questa storia. Stanno venendo a prenderti.»
Ryou torna a puntare lo sguardo dritto davanti a sé, ignorando le parole dell’altro. «Oh, ma davvero?», chiosa, sarcastico. «Beh, è un peccato allora che io me ne stia andando.»
Solo in quel momento Enji riesce finalmente a vedere cosa diavolo stia combinando Ryou. L’uomo stringe tra le mani un barattolo di vetro, e ne sta riversando il contenuto in una busta trasparente. Senza troppe sorprese, là dentro c’è una miriade di pasticche di crimson – su uno degli scaffali dell’armadio ci sono già altri tre barattoli vuoti, e questo dà a Enji un’idea piuttosto chiara di come quel bastardo avesse ben architettato il traffico.
Ryou, però, non ha tempo da perdere con le occhiate giudicanti di Enji, così, dopo aver svuotato anche l’ultimo barattolo, ha già recuperato il sacchetto con tutta la crimson, per poi voltare le spalle al fantasma e avviarsi di nuovo su per le scale.
Enji, ovviamente, lo segue. Osserva Ryou attraversare l’atrio dell’istituto, scendere giù per la scalinata d’ingresso e incamminarsi lungo il vialetto esterno, i sassolini che scricchiolano appena sotto i passi affrettati delle sue scarpe eleganti.
Enji lo vede fermarsi solo quando raggiunge una vettura sportiva dall’aspetto costosissimo, la vernice nera lucida che risplende sotto i lampioni che corrono lungo tutto il perimetro esterno dell’istituto. Ryou sale in macchina, gira le chiavi nel quadro ma il motore non parte. Ci riprova due, tre, quattro volte, però l’esito non cambia.
Ryou solleva lo sguardo, osservando Enji con astio. Il fantasma è lì davanti alla macchina, lo vede perfettamente attraverso il parabrezza, e sa che è lui a controllare l’energia elettrica della batteria, impedendo al motore di avviarsi.
«Arrenditi. Non andrai da nessuna parte», insiste Enji, non senza una certa soddisfazione, mentre infila le mani nelle tasche della giacca.
Ryou trattiene un ringhio tra i denti, ma non si dà per vinto. Non riuscirà a scappare via in auto come avrebbe voluto, però può ancora mettere un po’ di distanza tra sé e l’istituto. Così scende dalla vettura, abbandonando sul sedile del passeggero la busta con la crimsonal diavolo, l’importante è fuggire da lì –, per poi proseguire a piedi.
Enji continua a seguirlo. Ryou s’infila in un bosco, ed è sorprendente come riesca a muoversi con agilità anche mentre i rami tentano in tutti i modi di ghermirlo. L’oscurità, poi, non aiuta certo ad avanzare lungo il percorso, né il terreno irregolare – Enji lo avverte di colpo farsi in discesa.
Uscendo dal fitto del bosco dopo diversi minuti d’affanno, i due si ritrovano su una strada, la lunga lingua scura d’asfalto che corre tra abeti centenari e vertiginosi tornanti di montagna. Ryou prova a percorrerla a piedi, attraversando un ponte che passa sopra un torrente dalle acque agitate.
È allora che uno sparo squarcia l’aria.
Enji si ritrova senza accorgersene a trattenere il fiato, mentre Ryou, colpito di striscio a una gamba, si accascia al suolo, dolorante.
Alle sue spalle, Enji avverte alcuni rumori che riesce a distinguere nitidamente, anche grazie ad anni di esperienza in polizia – un gridolino di sorpresa e forse un poco di paura, un’arma che con il contraccolpo vola via dalla mano e rotola lungo l’asfalto.
Enji si volta lentamente, ed è costretto a sbarrare gli occhi per il terrore.
«Pezzo di merda!»
Keigo trema, e quello che sta provando in questo momento dev’essere un insieme di rabbia, tristezza e spavento. Enji non ha la più pallida idea di dove si sia procurato quella pistola, probabilmente a casa di Ryou – e si maledice, dannazione, non avrebbe mai dovuto lasciarlo da solo.
«Keigo…» Enji cerca di richiamarlo piano, ma sa che al momento l’attenzione del ragazzo non è rivolta a lui.
«Come hai potuto?!», grida ancora Keigo, trattenendo a stento le lacrime. «Io mi fidavo di te! Credevo che mi amassi!»
Ryou si volta verso il ragazzo, sfoderando il suo sorriso più ammaliante nonostante le fitte al polpaccio si facciano sempre più insopportabili – anche se è tutto inutile, ormai, quel trucchetto ha smesso di avere effetto su di lui da tempo. «Keigo, tesoro… cerca di ragionare…», mormora, suadente. «Minacciava di denunciare tutto alla polizia. Sarebbe stata una tragedia, lo capisci?»
Keigo sente le lacrime rigargli le guance. «Era mia madre, dannazione!», urla, singhiozzando.
«Non importa!» Il tono di Ryou adesso si fa più concitato. «Non potevo permettere che i ragazzi finissero in mezzo alla strada.»
Enji è piuttosto certo che, nel momento in cui Ryou ha deciso di far fuori Tomie, la sua prima preoccupazione non sia stato esattamente il corpo studentesco dell’istituto, tuttavia decide che quello non è il momento migliore per farlo notare.
«Cosa le hai fatto, mostro?», domanda invece, osservando Ryou con rabbia.
L’uomo si ritrova a deglutire a vuoto. «Le ho dato della crimson», ammette, tremante – ed Enji riflette che quella è la prima volta in cui gli sembra di vederlo avere paura. «È venuta a cercarmi durante il rinfresco, il giorno delle lauree. Mi ha fermato una prima volta, facendomi vedere le foto e minacciando di fare un casino. Io ho minimizzato, dicendole che nessuno avrebbe dato retta a una pazza come lei, dopodiché sono tornato dagli altri alla cerimonia. Pensavo che se ne fosse andata, invece ha cominciato a gironzolare per l’edificio. Non so come sia arrivata alla sala dell’elettroshock, fatto sta che lì ha trovato la crimson. Dopo è tornata di sopra, l’ho vista e l’ho portata di nuovo in una stanzetta in disparte. Ha detto che aveva visto la droga, mi ha sbattuto in faccia un paio di pasticche che aveva preso come prova e ha detto che non l’avrei fatta franca. Io ero nel panico… avevo una dose di crimson con me, così l’ho polverizzata e gliel’ho offerta in un drink con la scusa di invitarla a festeggiare perché finalmente si sarebbe sbarazzata di me. Lei ha bevuto, soddisfatta, e poco dopo ha lasciato l’istituto. Non è servito nient’altro, è bastato l’effetto degli stupefacenti a mandarla fuori strada.»
Mentre il racconto di Ryou va avanti, il pianto sulle guance di Keigo non fa che aumentare. «C-come hai potuto…», mormora ancora, la schiena scossa dai singhiozzi. «Era mia madre…»
Enji si avvicina al ragazzo, portandosi istintivamente alle sue spalle. «Shh. Va tutto bene, Keigo», mormora, le labbra così vicine al suo collo. «Stai tranquillo, è tutto finito…»
Le sue parole sembrano ottenere il risultato desiderato. Sente il ragazzo tirare un piccolo sospiro, mentre i suoi muscoli si rilassano lentamente.
Poco dopo, però, tutti i suoi sforzi vengono resi vani.
«Sì, Keigo, dagli ascolto…», mormora Ryou, ancora a terra.
In quel momento, Enji vorrebbe solo potergli urlare contro Idiota, che diavolo ti viene in mente? Non vedi che stavo riuscendo a calmarlo?! Così non farai altro che…
Enji non riesce nemmeno a portare a termine il pensiero. Lo sguardo di Keigo torna a puntarsi su Ryou, con decisione.
Tutto quello che succede nei secondi successivi Enji lo vive al rallentatore. Keigo fa per avvicinarsi di nuovo alla pistola e, d’impulso, Enji stende la mano in avanti cercando di spostarla. Muovere gli oggetti è un’azione facile per i fantasmi, ormai ha perso il conto di quante volte lo abbia già fatto.
Stavolta, però, qualcosa non va per il verso giusto.
Anziché la pistola, a cambiare improvvisamente traiettoria è il corpo di Keigo, che vola giù, oltre la struttura del ponte, con un urlo agghiacciante.
È solo in quel momento che, troppo tardi, Enji capisce.
La visione.
Quel luogo, il ponte… è lo stesso che ha visto la notte dell’incidente di Tomie. Quelli alle spalle di Keigo, fin dal principio, non sono stati nient’altro che gli stralli della struttura.
Ha fatto di tutto per sfuggirle ma, alla fine, è stato proprio lui a farla realizzare.
Sotto lo sguardo terrorizzato di Enji, il corpo di Keigo viene inghiottito dal vuoto.
«Keigo!», lo chiama, disperato.
Ryou, a terra e ferito, sembra quasi divertito da tutta quella situazione, tanto che una risata strozzata gli sale alle labbra.
Enji si lancia attraverso la carreggiata, affacciandosi oltre il parapetto. In quel momento avverte le sirene di una volante della polizia arrivare sul luogo, ma non riesce a curarsene.
Fortunatamente, il ragazzo non è precipitato in acqua. Dopo la caduta, Enji ha avvertito un tonfo sordo, e adesso vede che Keigo è atterrato su quella che pare essere la struttura di un ponteggio per dei lavori di messa in sicurezza del viadotto. Sembra, però, privo di conoscenza – ed Enji sente di nuovo un tumulto attanagliargli il petto.
«Fermo!» Aizawa scende dall’auto in maniera repentina, la pistola puntata verso Ryou per intimargli di non contraddirlo.
No, adesso non è lui che conta! Il mio ragazzo…
Enji vorrebbe gridare, ma sa già che non lo sentirebbero.
Lo sportello del passeggero anteriore si apre più lentamente, lasciando scendere Hizashi. I suoi occhi vagano osservando la scena che si è ritrovato davanti, Ryou a terra, la pistola, il ponte. Lo sguardo di Hizashi si posa infine sul parapetto, a cui si avvicina intuendo almeno in parte la dinamica dell’accaduto.
L’ispettore si affaccia, mentre accanto a lui Enji continua ad avere gli occhi sbarrati per la paura. Hizashi guarda giù, verso il basso, e si ritrova a trasecolare vedendo il corpo immobile di Keigo.
«Shouta! Chiama un’ambulanza!» Hizashi si volta verso il collega. «C’è Keigo!»
«Keigo?», domanda Shouta, incerto, tuttavia ha già estratto il cellulare dalla tasca dei pantaloni e composto il numero di emergenza. «Pronto, serve un’ambulanza sulla statale due, al chilometro…»
Le parole di Aizawa arrivano ovattate alle orecchie di Enji. Hizashi scavalca il parapetto del ponte, cominciando a scendere giù per quella struttura temporanea fino a raggiungere Keigo. Enji lo segue, in preda a un’apprensione cieca.
«Keigo…» Hizashi lo chiama piano, ha quasi paura di scuoterlo con troppa violenza.
«Ti prego, Keigo, svegliati…», mormora Enji, inginocchiandosi accanto a lui.
Poco dopo, il ragazzo riapre gli occhi di scatto, ansimando.
Enji si lascia sfuggire un sospiro di sollievo, stremato.


«Quindi, ricapitoliamo.»
Mentre parla, Aizawa continua a camminare lungo il corridoio.
«Il colpo di pistola è partito per errore a Ryou, che ha finito per ferirsi a una gamba, mentre tu sei caduto dal ponte sporgendoti troppo oltre il parapetto. È corretto?»
Keigo lancia un’occhiata verso il pavimento, ritrovandosi a osservare piccole piastrelle verde giada. «Sì, è andata così», conferma, le dita che si stringono attorno alla tracolla della sua borsa.
È un miracolo che, nonostante quel volo assurdo, non abbia riportato che pochi graffi qua e là. Adesso sono in ospedale, dove lo hanno portato per accertamenti, eppure l’unica medicazione che gli hanno applicato è una fasciatura attorno alla mano.
«Bene.» Aizawa si ferma a metà del corridoio, portandosi le braccia dietro la schiena. «Se le cose stanno così, non ho altre domande da farti.»
Sul volto di Keigo compare un sorriso esitante. Sa che Aizawa sta fingendo di credere alla sua versione dei fatti, sebbena abbia capito perfettamente quale sia la verità. Lo fa perché non vuole metterlo nei guai, e Keigo gliene è grato.
Aizawa si congeda da lui augurandogli una pronta guarigione, per poi imboccare a ritroso il tratto di corridoio che hanno percorso assieme.
Keigo, invece, dopo aver osservato il commissario allontanarsi, torna a puntare lo sguardo davanti a sé, attirato dallo sfarfallio del neon di una lampada – e sa perfettamente che non si tratta di un calo di tensione elettrica.
Enji è lì, seduto su una panca di metallo, con le braccia conserte strette al petto e l’espressione più immusonita che Keigo abbia mai visto sul suo volto.
Il ragazzo si affretta a raggiungerlo, sedendosi accanto a lui. Sente il sorriso sul suo volto farsi più disteso, come se la tensione delle ultime ore stesse cominciando finalmente a sciogliersi.
«È tutta colpa mia», esordisce Enji, cupo. «Ho fatto di tutto per tenerti lontano dal pericolo. Pensavo che così ti avrei salvato, invece ti ho quasi ucciso.»
«Io non la vedo così.» Keigo solleva i suoi enormi occhi dorati su di lui, ed Enji vi trova una spensieratezza che mancava da tempo. «Hai allontanato quella pistola da me per impedirmi di sparare. L’hai fatto perché non volevi che diventassi un assassino. Hai cercato di proteggermi, a modo tuo.»
Gli occhi turchesi di Enji si ritrovano a fissare il ragazzo colmi di stupore. Il sorriso sul volto di Keigo, per tutta risposta, si fa ancora più ampio mentre abbassa le palpebre in un’espressione divertita.
Il ragazzo avvicina la fronte alla sua, e ancora una volta Enji ha l’impressione che possano toccarsi, la luce sopra di loro che continua a tremolare.


Sono passati alcuni giorni dall’arresto di Ryou, e a Tokyo sembra essere tornato a splendere il sole.
Quella è, a tutti gli effetti, ancora una fredda mattina d’inverno, eppure Keigo pare troppo distratto per avvertire il gelo.
«Sei preoccupato?»
Keigo solleva di scatto lo sguardo da terra, un’espressione confusa che gli compare in volto. Per tutta risposta, Rei gli rivolge un sorriso dolce, dal sapore materno.
È stata la dottoressa Himura a proporgli di accompagnarlo in procura, quel giorno. Rei, dopotutto, parteciperà all’interrogatorio di Ryou, visto che si è occupata in prima persona del caso di Tomie.
Enji sta seguendo i due a qualche passo di distanza, le mani infilate nelle tasche della giacca. Continua a provare una strana sensazione ogni volta che vede Rei e Keigo insieme, ma è qualcosa di piacevole, come un calore che lo avvolge dall’interno.
Keigo serra nervosamente le dita attorno alla tracolla della borsa, un sorriso che fa capolino sul suo volto sebbene l’espressione continui a rimanere tesa. «Un po’», ammette, trattenendo a stento un risolino. «Continuo a pensare a tutte le cose che possono andare per il verso storto…»
I due salgono su per i gradini d’ingresso, per poi infilarsi all’interno della procura e imboccare la scala che porta al primo piano.
«Vedrai che andrà tutto bene», cerca di rassicurarlo Rei, posandogli una mano sulla spalla con fare cordiale. «Alla fine si tratta solo di un’interrogatorio di convalida. Aspettami con Aizawa e gli altri nel mio ufficio, sarò da voi prima di quanto immagini.»
Rei rivolge un ultimo sorriso incoraggiante in direzione del ragazzo, per poi avviarsi lungo il corridoio.
Enji lancia uno sguardo intenso verso Keigo. Ha l’impressione che riescano a capirsi senza parlare, come sempre. Poco dopo si affretta a raggiungere sua moglie, con la certezza di sapere che il ragazzo è in buone mani.
Rei apre una porta di legno dall’aspetto monumentale, e si ritrova in una stanza dalle pareti verde pino e il soffitto altissimo. C’è un tavolo imponente, sul quale sono state depositate pile di documenti e scartoffie, che si estende quasi per l’intera lunghezza della stanza. Dal lato opposto all’ingresso, il giudice ha già fatto accomodare Ryou e il suo avvocato.
«Buongiorno», esordisce Rei, poggiando il trench in panno bianco sull’appendiabiti per poi prendere posto a sua volta.
«Direi che possiamo cominciare», decreta il giudice, con un sorriso bonario.
Rei gli rivolge un lieve cenno del capo, per poi spostare lo sguardo su Ryou. «Signor Shigaraki, lei è accusato di produzione, detenzione e spaccio di sostanze stupefacenti, oltre che dell’omicidio di Ukai Tomie», riepiloga, mentre apre la cartellina con il fascicolo dell’indagine che ha portato con sé. «Cos’ha da dire in merito?»
Sul volto di Ryou compare un sorriso beffardo che Enji sarebbe ben lieto di cancellargli a suon di pugni. Nel frattempo, l’avvocato dell’uomo si schiarisce la voce.
«A questo proposito, signor giudice», interviene quest’ultimo, evitando accuratamente di incrociare lo sguardo con quello di Rei. «Il mio assistito vorrebbe dichiararsi colpevole del primo reato, ma innocente per quanto riguarda il secondo.»
Enji non è sorpreso. Immaginava che, ovviamente, avrebbero cercato di evitare la pena più consistente. Tutto ciò, però, non fa che accrescere il suo disgusto nei confronti di Ryou.
Rei sposta lo sguardo sull’avvocato, con un’espressione confusa. «Nell’auto dell’imputato è stata rinvenuta una quantità notevole di pasticche di crimson», fa notare, interdetta. «La stessa droga che, secondo il referto autoptico, Ukai Tomie ha assunto poco prima del decesso.»
«Dettaglio ininfluente, signor giudice», insiste l’avvocato, senza scomporsi. «Non ci sono prove che attestino che, a far assumere alla signora Ukai questa droga, sia stato il mio assistito, a meno che non ci vogliamo basare su una confessione che non ha alcun valore giuridico.»
L’uomo parla col tono calmo di chi sa di non poter essere contraddetto, e sul volto di Ryou c’è ancora il sorriso sfrontato di poco prima. Ed Enji sa che no, non può riuscire a sopportarlo ancora a lungo.
All’improvviso, sotto ai paralumi verdi delle lampade da scrivania disposte su tutto il tavolo, le luci cominciano a sfarfallare. Rei, il giudice e l’avvocato si ritrovano a osservare il fenomeno con aria perplessa.
Ryou, invece, ha un’espressione terrorizzata.
Non si è accorto della presenza di Enji, non l’ha minimamente visto entrare. Il fantasma lo osserva con le mani infilate in tasca, un sogghigno sul volto.
«Chi non muore si rivede, bastardo», commenta, malevolo.
Ryou si ritrova ad ansimare, la luce che prende a lampeggiare sempre più velocemente. Alla fine chiude gli occhi, portandosi le mani alle tempie.
«Basta! Basta, confesso!», esclama, rassegnato. «Sono stato io! Ho dato io alla Ukai quella droga.»
La luce delle lampade torna a essere fissa, mentre i presenti osservano Ryou con espressioni diverse – il giudice sembra confuso, l’avvocato disperato e Rei soddisfatta.
Enji, invece, si sente di colpo più leggero.

Un’esclamazione di esultanza accompagna lo schioppo del tappo che vola via dalla bottiglia.
Lo studio di Rei è proprio come Enji se lo ricordava, non sembra cambiato di una virgola nel corso degli anni – le pareti blu di Prussia, la scrivania con tutte le pratiche ordinatamente sistemate, i divanetti all’ingresso. Quel giorno si è riunito lì un folto gruppetto di persone – ci sono Shouta e Hizashi con Eri e Hitoshi, Emi e, naturalmente, Keigo. I presenti si passano tra loro calici di spumante, e l’atmosfera generale è di grande allegria.
Dopotutto, c’è più di una cosa da festeggiare.
Se, infatti, l’occasione è principalmente quella di celebrare la fine dell’indagine, tutti sanno bene cosa questo stia implicitamente a significare.
«Congratulazioni, Rei.» Aizawa è il primo a parlare, lo sguardo che si posa con ammirazione sulla donna. «Adesso potrai partire per Kyoto a cuor leggero.»
Rei abbassa per un momento lo sguardo sulla scrivania, le labbra piegate in un sorriso. «Oh, sapete che niente di tutto questo sarebbe stato possibile senza l’impegno di tutti voi», commenta, modesta, tornando a osservare i presenti. «Però sì, è vero. Dopo aver risolto questo caso, sento di aver finalmente chiuso un capitolo importante della mia vita. Chissà, forse questo è stato il mio modo per offrire l’ultimo saluto a Enji.»
Shouta rotea gli occhi, ma non lo fa con malizia – forse la sua è solo esasperazione. «Enji», bofonchia, rassegnato. «La sua presenza è sempre stata così ingombrante che a volte sembra che non se ne sia mai andato davvero dal commissariato.»
Enji non ha bisogno di voltarsi verso Keigo per sapere che sulle labbra del ragazzo è comparso un sorriso imbarazzato.
«Beh, però in fin dei conti è vero», si ritrova a convenire Hizashi. «Se non fosse per la sua indagine sulla crimson, probabilmente oggi non saremmo arrivati a questo risultato.»
Shouta incassa la testa nelle spalle, con fare arrendevole. «E va bene», cede allora, sollevando il calice in aria. «Allora facciamo che il prossimo brindisi lo dedichiamo a lui.»
La proposta raccoglie consensi entusiasti tra i presenti, che si ritrovano ad annuire con decisione. Poco dopo si limitano a imitare Aizawa, alzando anche i loro bicchieri.
«A Enji», pronuncia, con fare solenne. «Senza il quale non saremmo riusciti a risolvere questo caso e che continua a tormentare la nostra esistenza.»
«A Enji», ripetono tutti, in un coro commosso.
«Testa di cazzo», commenta Enji, alle spalle di Shouta.
Seduto vicino a Keigo su uno dei due divanetti c’è Hitoshi, impegnato a tenere Eri sulle gambe. Lei, divertita e confusa, continua a fargli domande su quello che sta succedendo a cui lui cerca di rispondere, un po’ impacciato. Lo zainetto a forma di ranocchia è a terra, lì vicino a loro.
Alle parole di Enji, Keigo non riesce a trattenere un sorriso. Mentre gli altri bevono, gli sguardi dei due sono l’uno solo per l’altro.


Eri corre allegra davanti a sé, mentre Hitoshi fa fatica a starle dietro.
La risata della bambina riempie l’aria, e Shouta si chiede quando sia stata l’ultima volta che l’ha vista così spensierata.
È sera e lui, Hizashi e i ragazzi stanno facendo una passeggiata in città. Intorno a loro ci sono i locali che iniziano a riempirsi di clienti per la cena, le luci dei lampioni che cominciano ad accendersi lungo la strada e si riflettono nel fiume.
«È tutto perfetto», valuta Hizashi, con quell’aria da eterno bambino meravigliato che ha fatto innamorare Shouta di lui.
Shouta si ferma, e Hizashi si sente tirare indietro, la mano di Aizawa ancora stretta attorno al suo polso. Sta per dirgli qualcosa, ma prima che possa riuscirci le labbra di Shouta sono sulle sue, intrappolandole in un bacio intenso.
«Adesso lo è», precisa Aizawa, sentendosi sereno come non gli capitava da tanto tempo.
Sul volto di Hizashi compare un sorriso delicato. Ti amo, vorrebbe dirgli. Ti amo anch’io, finirebbe di sicuro per rispondergli Shouta.
I due riprendono a camminare, affrettandosi a raggiungere Hitoshi ed Eri.

«Questo era l’ultimo.»
Lo sguardo di Rei si ritrova a vagare in quello che per lunghi anni fino a poche ore fa è stato il soggiorno di casa sua. Ha appena portato in macchina l’ultimo pacco con le cose che ancora non aveva spedito a Kyoto, quello stretto necessario che ha tenuto con sé in quei pochi giorni d’indagini a Tokyo.
Keigo è davanti a lei, e la osserva sorridente. Ha proposto con piacere a Rei di aiutarla con gli scatoloni, così adesso si ritrova in quella casa che la donna per anni ha condiviso col marito.
Gli occhi di Rei si posano con dolcezza e riconoscenza sul ragazzo. «Ora che farai?», domanda, premurosa.
Keigo porta le braccia dietro alla schiena, dondolando un po’ sui talloni. «L’istituto è stato chiuso», ammette, chinando appena la testa di lato. «Era inevitabile, dopo tutti gli scandali che sono usciti fuori trovare dei finanziatori disposti a supportare il progetto era un po’ un suicidio. Nei giorni scorsi sono stato a prendere la mia roba e per il momento mi sto appoggiando da Kaina. Adesso… probabilmente cercherò di riaprire l’Owl. Sento che, in un certo senso, lo devo a mia madre.»
Rei annuisce, colpita. «È una splendida idea», si ritrova a valutare, con stupore.
Keigo accenna un altro sorriso nella sua direzione, e Rei si sporge in avanti, abbracciando il ragazzo.
È una stretta così tenera e materna che, per un momento, Keigo è colto di sorpresa, imbarazzato. Le braccia di Rei, però, sono troppo gentili, così poco dopo si è già sciolto e cerca un po’ impacciato di restituirle l’abbraccio come può.
«Lo sai che per qualsiasi cosa io ci sono sempre, sì?», gli domanda la donna, passando una mano tra i suoi capelli dorati.
«Certo…», le assicura lui, posando una guancia sulla sua spalla.
Rei scioglie lentamente l’abbraccio. Quando si separa dal ragazzo, fruga per un momento nella tasca della giacca, per poi recuperare qualcosa e porgergliela.
«Queste sono per te», spiega, lasciando cadere il mazzo di chiavi nelle mani di Keigo. «Sono di questa casa. Ci ho pensato a lungo, e mi sono detta che piuttosto che lasciarla a qualche sconosciuto, è giusto che sia tu ad averla. Hai fatto così tanto per me ed Enji, e sono certa che anche lui sarebbe d’accordo.»
Keigo le rivolge uno sguardo pieno d’imbarazzo, mentre dopo un primo istante in cui non è riuscito a far altro che restare immobile cerca di restituirle le chiavi. «No, Rei, non posso accettare», balbetta, incredulo. «È d-davvero troppo…»
Rei posa gentilmente le dita su quelle del ragazzo, facendogliele richiudere attorno alle chiavi. «No, non lo è», lo rassicura lei, col suo tono pacato.
Keigo rivolge uno sguardo intenerito alla donna, che gli lascia una carezza leggera sulla guancia. Rei gli dedica ancora un sorriso sereno, per poi infine aprire per l’ultima volta il portone di casa, richiudendolo mentre abbandona alle proprie spalle quegli anni di vita a Tokyo.
Il portone si chiude, e da dietro di esso Keigo vede comparire Enji.
Ha assistito a tutto il saluto tra i due, e si trova a valutare che, come al solito, anche stavolta Rei ha preso la decisione giusta: non esiste al mondo persona più meritevole di Keigo di abitare in quell’appartamento.
«Ha ragione lei», commenta infatti, chinando appena il capo verso il portone.
Lo sguardo di Keigo si sposta di lato, coperto da un velo di malinconia. «Dunque ci siamo…», valuta, esitante.
Enji sa cosa sia a turbare il ragazzo – ne sono consapevoli entrambi, in realtà. Ormai il suo tempo nel mondo dei vivi sta per scadere, e sono giunti ai saluti finali.
«Beh, sapevamo che questo momento sarebbe arrivato», gli fa notare Enji, stringendosi nelle spalle mentre gli rivolge un sorriso incoraggiante.
Keigo si avvicina a lui, socchiudendo le palpebre. «Cerchiamo almeno di salutarci come si deve, allora», propone, con voce suadente.
Prima che Enji possa chiedergli cosa intende, sente il proprio corpo guadagnare nuovamente densità. Osserva il ragazzo con un’espressione sorpresa, credeva che non sarebbe più ricorso a quell’espediente, ma Keigo non gli lascia il tempo di rivolgergli una parola, perché l’istante successivo gli ha già gettato le braccia al collo, posando le labbra sulle sue.
Enji si ritrova a chiudere gli occhi, pieno di meraviglia. Affonda le dita tra i capelli del ragazzo, stringendolo a sé mentre approfondisce il bacio, spingendo Keigo con la schiena contro la parete.
«Non mi lasciare», sente mugugnare il ragazzo, tra un bacio e l’altro. «Ti prego, non mi lasciare…»
Enji sente che c’è qualcosa di diverso, questa volta. Nelle parole di Keigo, nel modo in cui le sue dita s’aggrappano ai vestiti, avverte una cieca disperazione.
«Devo andare, lo sai…», sussurra, prendendogli il viso tra le mani.
«I-io non ce la faccio senza di te…», replica ancora Keigo, con la voce rotta.
A Enji sembra di non aver mai visto il ragazzo così vicino al pianto come in quel momento. «Sì che ce la fai», lo rassicura, scostandosi appena da lui ma continuando a tenerlo vicino a sé. «Sei riuscito a sopravvivere in questi tre anni senza di me o sbaglio?»
«Sì, ma guarda dov’ero finito!», insiste il ragazzo, sconfortato, lasciandosi sfuggire una risata triste. «In una sorta di comune per gente con i superpoteri…»
«Ehi, Keigo.» Enji gli prende il volto tra le mani, cancellando i segni di lacrime dalle guance e afferrandogli il mento tra pollice e indice per fargli sollevare il capo. «Guardami. Sei una delle persone più intelligenti e coraggiose che conosca. Puoi riuscire a fare tutto ciò che desideri. Io ho piena fiducia in te.»
Il ragazzo ricambia il suo sguardo, gli occhi dorati che tremolanti si aggrappano ai suoi come alla ricerca di un’ancora.
«Enji…», mormora piano, un sospiro che gli sfugge dalle labbra mentre le palpebre tornano ad abbassarsi sui suoi occhi.
Enji gli passa per un’ultima volta il pollice sulle labbra, facendo appena in tempo prima di tornare di nuovo inconsistente.
Keigo gli volta piano le spalle, lasciandosi sfuggire un singhiozzo mentre stringe le braccia attorno al corpo. «Vai, adesso», lo esorta, debolmente. «Vai, perché altrimenti non ce la faccio a lasciarti andare.»
Enji allunga istintivamente una mano verso il ragazzo, cercando di sfiorarlo, ma tutto ciò che le sue dita si ritrovano a stringere è solo aria. Va bene così, in fondo, si dice tra sé. Dopotutto, non potrebbe essere altrimenti.
Enji chiude gli occhi, svanendo e lasciando per l’ultima volta quella casa.
Quando Keigo torna a voltarsi, è rimasto da solo nell’appartamento.
Fuori, un tuono squarcia l’aria mentre comincia a piovere. Come la prima volta, si ritrova a valutare Keigo.
Le lacrime continuano a scendergli dagli occhi, mentre le sue labbra si piegano in un sorriso.


Enji si ritrova sul tetto dove ha perso la vita, tre anni prima.
Non fa in tempo ad arrivare lì che un temporale si abbatte sulla città. Come quella notte, come la prima notte.
La luce è lì, dove l’ha vista per la prima volta, dopo la sua morte. È calda e accogliente come sempre, ed Enji sa che non vuole più scappare via da lei.
Non si è mai chiesto che cosa ci sia ad aspettarlo oltre di essa. Se potesse scegliere, probabilmente sarebbe bloccato all’infinito in un istante, mentre lui e Keigo sono distesi su un letto e tiene il ragazzo tra le braccia.
Keigo. Enji non sa come, ma non ha dubbi che lui e il ragazzo sapranno ritrovarsi di nuovo, in qualche modo. Sono destinati a incontrarsi in ogni universo, ormai ne è certo.
Finalmente, Enji attraversa quella luce, pronto ad andare.

Nella vita, la fine non esiste.
Nelle storie, invece, sì.

✽✽✽

È una giornata tiepida di primavera. Dalla vetrina del bar, la luce del sole entra all’interno del locale e s’infrange sulle sue ciglia dorate.
Keigo si passa una mano sulla fronte. Alla fine ce l’ha fatta, è riuscito a riaprire l’Owl e adesso se ne occupa dedicandosi anima e cuore all’attività.
Tutto sommato, gli affari stanno anche andando bene. C’è sempre un viavai di clienti, e sente che non ha niente di cui lamentarsi, davvero.
Pulisce con un panno il bancone del bar, sereno. È metà mattinata, a quest’ora sono quasi tutti a scuola o al lavoro, così lui può tirare un sospiro di sollievo e godersi un momento di calma prima della prossima ora di punta.
Di colpo, la sua attenzione viente attirata dallo sfarfallio di una luce, in una delle lampade sospese sopra al bancone. Resta per un attimo interdetto, come accarezzando un dolce ricordo.
Probabilmente dovrebbe cambiare quella lampadina, già.
Poco dopo, la campanella sopra la porta trilla, annunciando l’arrivo di un gruppo di nuovi clienti.
Keigo scuote la testa scacciando un pensiero, per poi affrettarsi a raggiungere i clienti mentre rivolge loro un sorriso.



fantasmajpg



note
Fine.
ah, mi sembra incredibile essere riuscita finalmente ad arrivare alla conclusione di questa storia. è stato un viaggio lunghissimo, la storia è stata in stesura per dieci mesi, se poi ci aggiungiamo i tre di pubblicazione arriviamo a circa un anno. in effetti, era più o meno questo periodo quando, l'anno scorso, finivo di scrivere il primo capitolo. un percorso impegnativo, non c'è che dire.
non so se la risoluzione della parte investigativa sia stata troppo affrettata, ma la verità è che sono una frana con queste cose.
per quanto riguarda enji e keigo, invece, lo confesso: avrei preferito molto di più lasciarli per sempre insieme, ma mi rendo conto che questa fosse l'unica soluzione sensata possibile.
un po' mi spiace che la storia sia "floppata", dall'altra parte però vbb dai, non fa niente, ormai è andata.
adesso sinceramente penso che mi prenderò una pausa dal sito. un po' perché i mesi passati dietro a questa long hanno prosciugato le mie energie, un po' perché al momento sto lavorando a qualcosa che non ho intenzione di postare.
grazie a chiunque abbia letto e seguito questa long, spero che vi sia piaciuta! ♡

aria
   
 
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Boku no Hero Academia / Vai alla pagina dell'autore: _ A r i a