27.
Hurt
Would you help me understand?
Are you lookin' down upon me?
Are you proud of who I am?
[Christina Aguilera - Hurt]
AVVERTIMENTO:
TW, descrizione
in dettaglio di scene cruenti
Nel corso
degli anni, soprattutto in quelli che avevano preceduto la nascita di
Shiryu,
aveva cercato di trasmettere le sue passioni anche a lei, ma dal canto
suo, nonostante
gli sforzi paterni, di quel Paese aveva imparato ad amare solo il
sushi, il judō
e l'aikidō.
Una
cosa però le era rimasta impressa: il rigido codice morale
dei samurai tanto
ammirati da suo padre, il bushidō.
"Non posso pretendere che tu lo
segua, Mei-Yin, del resto sei ancora una bambina e non sei in grado di
capire appieno
il significato profondo di queste parole, però mi aspetto
che un domani, quando
sarai una donna adulta e avrai a che fare con le difficoltà
della vita, tu
possa ricordarle e, finalmente, comprenderle."
Onestà, coraggio, compassione, sincerità, onore e
lealtà. Una morale
dietro l'altra, fino ad arrivare a quella che
Wei-He considerava la più importante, alla stregua del non uccidere biblico. Le aveva mostrato
l'ideogramma 礼, Rei, cortesia,
e si era raccomandato di ascoltarlo bene, di imprimere nella
sua mente le
sue parole, e in effetti
così aveva sempre vissuto: sapeva di non avere mai deluso le
aspettative
paterne, neanche e soprattutto quando, quella volta al Santuario, Saga
le aveva
velatamente chiesto di fare la spia per conto suo. Aveva preferito
incorrere in
rischi inimmaginabili pur di non tradire né lui
né Dohko.
"Non hai motivo per comportarti in maniera crudele, non hai bisogno di
mostrare la tua forza. Sii gentile anche con i nemici. Senza tale
dimostrazione
di rispetto esteriore un uomo è poco più di un
animale."
Certo, belle
parole, le sue. Peccato che suo padre non le avesse lasciato scritto
nulla su
come comportarsi in caso di un torto subito. Cos'avrebbe dovuto fare? Porgere l'altra guancia e ignorare
quanto successo per lasciare Hyoga libero di agire indisturbato,
padrone di
vivere una vita che aveva, al contrario, sottratto a Camus?
Prese il tantō che le aveva donato anni prima e seguì con le
dita i complicati
intarsi del fodero, traendo un gran respiro.
"Ho compreso le tue parole, papà,
ma
io non sono un Samurai. Voglio vendicarmi di un torto subito, non
dilungarmi in
stupide dimostrazioni di forza. Non mi aspetto che tu capisca,
né tantomeno attendo il
tuo perdono. Non ho intenzione di lasciar correre, non stavolta."
Il corridoio
era immerso nell'oscurità, una condizione perfetta per
quanto stava per fare:
nessuno l'avrebbe vista e nessuno avrebbe potuto fermarla.
Sguainò il tantō e si diresse alla stanza in fondo al
corridoio, scoprendo che
la porta non era chiusa a chiave, poteva entrare senza alcun problema.
Hyoga dormiva
supino, un braccio alzato a coprirsi gli occhi, l'altra sullo stomaco:
sembrava
il ritratto dell'innocenza, abbandonato com'era al sonno. Si mosse
quasi in
trance, il pugnale saldo nella sua mano dominante, il braccio pronto a
scattare.
Il primo
fendente lo colse di sorpresa destandolo immediatamente dal sonno:
impiegò qualche
istante a mettere a fuoco Mei, lo sguardo maligno negli occhi e la
scintilla
sinistra della luce sulla lama, già sporca del suo sangue.
"Come dici? Non ti
sento." gli
sorrise Mei, quanto tentò di biascicare qualcosa
nonostante il dolore
lancinante all'addome e alle braccia, con le quali cercava inutilmente
di
parare i colpi.
Il secondo lo colpì alla coscia, il terzo –l'ultimo–
alla gola, con precisione chirurgica: una volta aveva letto, da qualche
parte,
che la carotide recisa portava alla morte in pochi secondi. Dodici, all'incirca.
Li contò uno
per uno, guardando Hyoga annaspare, osservando il suo sangue inzuppare
con ampi
spruzzi le lenzuola e gocciolare a terra, sporgendosi fino a guardare
da vicino
i suoi occhi spegnersi e il corpo rilassarsi senza vita.
"Va meglio?"
Quella voce la scosse nel profondo. Sobbalzò, guardando
Camus accanto al corpo
di Hyoga, una mano protesa a chiudergli gli occhi in un gesto pietoso.
"Mei, perchè?"
Lasciò la presa sul pugnale, che cadde a terra con un rumore
sordo attutito dal
tappeto, mentre Camus avvicinatosi a lei, le accarezzava la testa.
"Ti ha ucciso." mormorò.
"E ti senti meglio, adesso?"
Difficile a
dirsi. Avrebbe dovuto provare sollievo, essere soddisfatta dalla
vendetta
portata a termine, eppure... l'odore ferroso del sangue la
colpì come un pugno
allo stomaco, insieme allo sguardo severo di Camus che la trafiggeva.
"Dovevo fare
qualcosa. Lui ti ha
ucciso." continuò
Mei, allungando la mano fino a sfiorargli la guancia gelida. "L'ho fatto per noi."
"Allora, Mei, perché non sei felice?"
Le mani divennero improvvisamente fredde, e un'orrenda sensazione di
appiccicaticcio la indusse a guardare giù, sul sangue che le
stava inzuppando i
piedi e che, si accorse con orrore, non apparteneva al cadavere: sul
corpo di
Camus erano comparse le stesse identiche ferite che aveva inferto a
Hyoga.
"Oddio no, no!" iniziò a
gridare, cercando di tamponargli
il collo.
"Ti rendi conto di
cos'hai
fatto?"
"BASTA!" gridò contro Kardia, pregando che Mei si
riprendesse
prima dell'irreparabile.
"Kardia, direi che è sufficiente." intervenne
anche Degél.
Kardia guardò prima l'amico, quindi interruppe
quanto stava facendo e lanciò
un'occhiata penetrante a Camus.
"Hai insistito tu per avere il mio
aiuto ed eri stato avvertito riguardo i miei metodi." gli
fece notare.
"Sì, e maledico il momento in cui l'ho fatto."
replicò Camus,
furibondo. "Ho chiesto il vostro
intervento nella speranza che l'avreste aiutata, non che l'avreste
torturata
così!"
"Torturata? Mio caro
ragazzo, io e
te abbiamo idee molto divergenti a riguardo. Ho solo solleticato la sua
psiche,
facendo leva sui punti giusti, nulla di più."
Kardia non
aveva impiegato molto tempo a trovare, nella mente di Mei, il dettaglio
da
usare: aveva tralasciato subito i ricordi d'infanzia e dei genitori,
decidendo
di focalizzarsi proprio su Camus che, era evidente, era il suo punto
più debole.
Lui e Manigoldo avevano col tempo affinato le loro abilità
usando DeathMask
come cavia, e non era stato difficile manipolare i suoi sogni
affinchè
veicolassero un messaggio preciso. Il pugnale che la ragazza conservava
sotto
il cuscino non l'aveva proprio previsto, quello doveva ammetterlo,
così come la
reazione che aveva avuto e che aveva quasi portato alla morte prematura
del
giovane cigno.
"Ma vi rendete conto
di cosa dite? Avrebbe
potuto farsi del male, l'ha quasi ucciso! "
"Avresti preferito
l'alternativa?
Avresti preferito vederla davvero uccidere il tuo allievo? Non sono io
a
doverti ricordare che ha le capacità e la rabbia per poterlo
fare."
"Alternativa che grazie a voi stava per diventare realtà,
c'è mancato
pochissimo!" gridò
Camus.
Kardia non fu
sorpreso dallo scoppio d'ira di Camus, che trovò
comprensibile dato quanto era
appena successo, tuttavia lo guardò con un ghigno.
"Ammiro il tuo ardore, davvero, ma
ti consiglio in futuro di non rivolgerti più a me in questo
modo se non vuoi
affrontare conseguenze spiacevoli."
"Io credo che abbiate già superato
il limite."
interloquì Degél.
"Smettetela,
tutti e due."
Pochi minuti prima…
L'insonnia
che lo accompagnava fin dai tempi dell'orfanotrofio si era
ripresentata,
puntuale, anche durante quelle notti trascorse in Cina. Vuoi per il
sonno
leggero, vuoi per la costante sensazione di pericolo che avvertiva in
quel
luogo, oppure per il dolce russare
di
Seiya nella brandina accanto, non riusciva a dormire come avrebbe
desiderato.
"Tappati
quella bocca!" borbottò Ikki, rifilando un improvviso quanto
efficace
calcio alle gambe di Seiya, che, miracolo!
smise di russare. Troppo rumore per i suoi gusti, per certi
versi gli
mancavano le notti all'isba, dove il silenzio era stato talmente
profondo da
essere quasi surreale.
Si alzò, badando bene a non finire nel raggio d'azione di
Ikki, e scese in
cucina; in frigo, alcune bottigliette piene di liquido bianco
–latte materno,
ipotizzò– dalle quali
rimase ben lontano, una brocca con del tè, confezioni con
scritte in greco provenienti
da Atene o dal Santuario, gli avanzi della cena e frutta a lui
sconosciuta.
Presa una mela trovata per caso, iniziò a sbucciarla,
restando in allerta e
pronto a svignarsela al primo accenno di pericolo: Shiryu minimizzava,
ma era
così che si sentiva in quella casa.
Bevve due
lunghi sorsi d'acqua, ripose il bicchiere sul gocciolatoio, e si
avviò silenzioso
in corridoio, fermandosi di colpo quando le urla ebbero inizio, grida
che
provenivano dalla stanza di Mei e nella quale fece irruzione senza
tante
cerimonie.
Fortunatamente nessun nemico all'orizzonte: era scivolata dal letto nel
sonno e
le lenzuola le si erano aggrovigliate intorno alle sue gambe
impedendole i
movimenti: doveva esser questo il motivo di tanta angoscia. Si
avvicinò per
aiutarla, chiamandola più volte, finché non si
trovò a schivare per un soffio
un fendente.
"No, non toccarmi!" gridò
Mei.
Alzò le mani
in segno di resa, rendendole ben visibili affinché si
calmasse e deponesse
quella lama.
"Va
tutto bene." disse Hyoga, con una calma che era ben lungi dal provare.
"Oddèi. Cosa
ci fai qui?" ansimò Mei, ancora sotto choc. Si
guardò intorno, temendo
ancora di vedere quell'orribile scena sotto gli occhi. Per fortuna, non
era
successo niente d'irreparabile: lui era vivo e lei non aveva ucciso
nessuno. "Stai bene?"
Hyoga corrugò la fronte: il graffio sul collo bruciava un
po', ma non era nulla
di grave.
"Se sto...?" ripetè, confuso. "Tu, stai
bene?"
Mei finalmente depose l'arma, realizzando quanto fosse stata vicina a
compiere
un gesto atroce. Ma quell'incubo era stato così vivido da
sembrare vero...
sollevò le mani, cercando il sangue che le aveva macchiate
quando aveva cercato
di tamponare le ferite sul collo di Camus, ma, ringraziando il cielo,
erano
pulite. Agguantò in fretta il cestino sotto la scrivania e
diede violentemente
di stomaco.
"Cosa sta succedendo qui?!" esclamò Shiryu, sulla porta
della stanza
di Mei.
"Credo che tua sorella non stia bene." spiegò Hyoga. Avrebbe
voluto
aiutarla, ma l'istinto gli diceva di non abbassare la guardia, di
starle
lontano così come lei gli aveva intimato.
"Questo
lo vedo, ma cos'è successo?"
"Rimanderei
le spiegazioni a un'altra volta, se non vi spiace.
"interloquì Shunrei.
"Shiryu, occupati di Hyoga mentre io mi occupo di Mei."
Shiryu fece
quanto richiestogli da Shunrei e accompagnò l'amico in
bagno, armeggiando poi
con l'armadietto delle medicine.
"Guarda
che faccia." commentò. Hyoga aveva assunto un colorito
cinereo e sembrava
lottare a viva forza per non crollare a terra da un momento all'altro.
"Oddio, siediti."
"Credo che vomiterò anche io." disse, alzando la tavoletta
del wc.
La mattina arrivò presto, ancora carica della tensione della
notte appena
finita.
"Sapevo
di trovarti qui." sospirò Shiryu, chiudendosi alle spalle la
porta della
stanza degli avi.
"Come sta Hyoga?" domandò subito Mei, senza
lasciargli il tempo di dire altro. Shiryu si accomodò sul
cuscino accanto alla
sorella, notando i suoi occhi rossi e gonfi e il malefico pugnale al
sicuro nel
suo fodero.
"Fisicamente bene, ha solo un graffio. É però
spaventato, anche se non lo
da' a vedere."
Inspirò l'odore del franchincenso che bruciava
nell'incensiere, quindi riaprì
gli occhi e guardò il fratello.
"Comprensibile, l'ho quasi spedito all'altro mondo." annuì
Mei.
"Hai finalmente deciso di lasciarlo qui?" le chiese quindi,
indicandole il pugnale con lo sguardo.
"Sì, preferisco tenerlo al sicuro per evitare altri
potenziali guai come
quello di stanotte." rispose.
"Ah,
tenere lui al sicuro." la
riprese. "Non che serva poi a molto, sai, tu sei pericolosa anche a
mani
nude, e allora chi terrà al sicuro noi?" aggiunse
sorridendo, ricevendo in
risposta un'occhiata stanca. "…scusami, pensavo di
sdrammatizzare un po'.
Hai voglia di dirmi che cos'è successo?"
Fu lei a sospirare: non che ci fosse poi così tanto da
capire, sicuramente poi
Hyoga aveva già raccontato tutto nei dettagli.
"Ti prego, non è proprio il momento."
Shiryu lasciò cadere l'argomento, almeno per un po',
appuntandosi mentalmente
di riprenderlo appena possibile. Guardò la sorella pregare,
sorrise nel vedere
le foto dei loro genitori sul piccolo altare, quindi diede due buffetti
affettuosi sulla spalla di Mei a mo' di saluto, decidendo di lasciarla
sola.
Nei giorni seguenti, nessuno fece parola dell'accaduto ed entrambi
cercarono di
evitarsi il più possibile; a tavola Hyoga si chiudeva nei
suoi soliti silenzi,
parlando il meno possibile e, lei semplicemente fingeva che non fosse
successo
nulla, anche se spesso, troppo spesso, aveva flash di quell'incubo.
Separò
i vestiti puliti e asciutti in due ceste e, una volta riposta nella sua
stanza la
cesta con le sue cose, si diresse alla camera dove dormivano i ragazzi,
prima
di prepararsi per l'appuntamento: Shiryu era uscito con Shunrei e gli
amici già
da un po', e solitamente approfittava di momenti come quelli per
svolgere le
mansioni di casa senza avere gente intorno.
Aperta la porta, si accorse tardi che non tutti gli amici del fratello
erano
usciti: aveva dato per scontato, dalle parole di Shiryu di quella
mattina, che
sarebbero usciti tutti loro, invece Hyoga era rimasto.
Imbarazzato a livelli impossibili da esprimere a parole, si
coprì con la prima
cosa che riuscì a trovare, sentendosi a disagio nell'esser
stato beccato, nudo
come un verme, proprio da Mei. Le diede le spalle per infilarsi un paio
di
jeans –di Ikki, tra l'altro– pescati dalla pila
sulla sedia, cercando di darsi
un contegno.
"...niente che non abbia già visto." commentò
Mei, distogliendo lo sguardo
per dargli il tempo di coprirsi. "Esco subito, qui ci sono i vestiti
puliti, li lascio qui… non so a chi appartenga cosa, quindi
ve li dividerete
più tardi."
"Non
si usa più bussare?" borbottò, schiarendosi la
voce.
Mei si fermò sull'uscio, voltandosi di nuovo verso di lui.
"Ma senti chi parla." rispose, memore di quanto accaduto mesi prima,
a Kobotec. "Pensavo fossi uscito con mio fratello e i vostri amici.
Comunque, hai bisogno di qualcosa?"
"Sì, di stare in pace." le rispose, iniziando poi ad
armeggiare con
flaconi e garze. Mei notò solo in quel momento che l'occhio
ferito di Hyoga era
sbendato ed esposto.
"Quello
è acido borico."
Hyoga
corrugò la fronte,
sollevando il flacone in questione.
"Non
saprei." rispose, atono. "Pensavo fosse collirio."
Doveva aver
frugato nell'armadietto delle medicine in bagno e pescato flaconi a
caso, senza
capire che cosa stesse prendendo date le etichette in cinese;
andò in bagno a
recuperare il flacone giusto e la scatola con bende e cerotti.
"Per una ferita come la tua non va bene, l'organismo potrebbe assorbire
troppo
acido borico e finiresti col soffrire di effetti
collaterali… ecco, tieni,
questi cerottoni li usava Shiryu quando ha avuto quei problemi agli
occhi. E
quelle ferite che ho intravisto sulla schiena s'infetteranno, se non le
curi,
possibile che il medico della fondazione Kido non ti abbia dato niente,
un
unguento, un disinfettante..? Dovrei avere qualcosa, ma non so se va
bene…"
Serrò la zip della felpa fin sotto il mento, confuso dal
comportamento di Mei.
"No, no, ferma, faccio da solo." la fermò, prendendole di
mano il
batuffolo di ovatta imbibito di un liquido rossastro a lui sconosciuto
e
appoggiandolo con delicatezza sulla palpebra chiusa. "Cos'è?
Ti preoccupi
per me, adesso?"
Nel silenzio
che seguì, la sentì respirare con rabbia.
"Arrangiati." gli rispose,
dirigendosi
ad ampie falcate verso la porta.
Hyoga borbottò
qualcosa nella sua lingua natia, sbuffando frustrato.
"Mi
dispiace." aggiunse, inducendola a fermarsi. "Non volevo essere
scortese, ma non so come comportarmi con te, sei inquietante! Che
diamine, un
attimo prima sei una persona normale, quello dopo un demone assetato di
sangue!
Per poco non mi ammazzi e adesso mi aiuti con la medicazione, oscilli
tra
gentilezza e istinti omicidi, spiegami tu come faccio a stare
tranquillo in tua
presenza."
*
"E io
che speravo fossi io, a mancarti…" scherzò Milo.
"Anche
tu, ovviamente." sorrise Mei. "Ti
ringrazio come sempre per avermi accompagnata a fare spesa: non faccio
in tempo
a fare provviste che le dispense si svuotano…"
"E io come sempre ti dico che non c'è problema, lo faccio
volentieri."
replicò Milo. "Come stai? Come vanno le cose?"
"Benino
a entrambe le domande." rispose Mei, dispiegando la borsa di stoffa e
sistemandovi la verdura che aveva appena comprato. Preferì
non raccontargli del
malessere che l'aveva colta subito dopo l'incubo e che la perseguitava
da
giorni, o avrebbe dovuto raccontargli tutto dal principio.
"So che
c'è stato un mezzo incidente l'altra notte."
esordì poi Milo di punto in
bianco, dopo che si furono allontanati dal banco della verdura.
Mei si preparò mentalmente a una lunghissima filippica, ma
non c'era traccia di
rimprovero nello sguardo dell'amico.
"Te l'ha detto Hyoga." sospirò. Che sciocca, certo che
gliel'aveva
detto. Ancora più sciocco era stato credere di poter evitare
un confronto in
merito.
"Sì, ma lui per primo ha specificato che non è
stato intenzionale
perchè non eri cosciente e che per poco non ti ha preso un
colpo quando ti sei
accorta di quel che stava per succedere. Ha aggiunto che l'hai aiutato
a
medicare l'occhio e che sei più gentile con lui." le
circondò
affettuosamente le spalle con un braccio prima di proseguire. "Per quel
che può servire, sono fiero
di
te."
"… e
quest'ultima cosa te l'ha detta prima o dopo averti raccontato che mi
ha
definito demone assetato di sangue?
Perché ti ha raccontato tutto, vero, non solo la parte che
gli faceva comodo."
"Non ha omesso niente."
"Beh, almeno è stato onesto."
"Non dovrebbe essere una sorpresa, ricordati di chi è stato
allievo."
"Eh…
a proposito di onestà, posso contare su una tua sincera e
onesta risposta alla
domanda che sto per farti?"
"Rispondo sempre sinceramente, ma devo avvertirti che non tutti
apprezzano
questa mia caratteristica." annuì Milo.
"Sono diventata una persona orribile, dopo quel che è
successo
all'undicesima casa?" Mei abbassò la voce.
Milo corrugò la fronte.
"Beh, oddio… orribile no, non esageriamo. Hai scelto Hyoga
come tuo
personale capro espiatorio per una cosa che lui non ha di certo voluto,
sei… onestamente e sinceramente parlando, un tantino
rompiscatole." rispose Milo,
schietto. "Ma ehi, niente che non si possa correggere lavorandoci un
po'
su."
"Senti, non vorrai farmi credere che tu non hai provato nemmeno un po'
di
rabbia, perché non me la bevo."
L'aiutò a riporre il sacchetto della frutta in una seconda
borsa di tela,
quindi si decise a risponderle.
"A dire il vero, per un attimo ho desiderato ardentemente poter radere
al
suolo la terza casa e dar fuoco al cadavere di Saga, ma è
una cosa durata
davvero un attimo. Tu, bella mia,
covi rancore da allora e di fegato ne hai uno solo, non dimenticarlo."
"Sono
orribile."
"No, non ho detto questo, e già il fatto che hai capito da
te che c'è
qualcosa che non va nei tuoi modi di fare dimostra che non lo sei. Sei
intelligente, brillante, una persona forte e indomita. Sei passionale,
del
resto sei una scorpione, è nella nostra natura.
Però bella mia, sei cocciuta,
orgogliosa e troppo impulsiva." proseguì Milo. "Non che
Camus non ne avesse,
anzi. Aveva un cuore d'oro, ma era testardo e rompiscatole, un po' come
te."
Mei
annuì, sorridendo amaramente.
"Già, Camus. Sappiamo bene quanti difetti avesse. Sono certa
che l'incubo
sia opera sua."
"Ma
figurati! Ti ama, non farebbe mai..."
"Senti, è vero che io lo conosco da molto meno tempo di te,
che forse lo
conosciamo su due piani diversi e che certamente tu sai più
cose di me. Ma non
ci vuole chissà quale grado di conoscenza per capire che
Camus, per quel
ragazzo, avrebbe fatto e farebbe di tutto." sospirò Mei.
"Anche
interferire con il mio sonno o chiedere a qualcun altro di farlo. Tante
cose mi
hanno portata a pensarlo: il fine di quell'incubo era chiaro, credimi,
era un
vero e proprio ammonimento: se uccidi
lui, uccidi anche me."
Milo
corrugò
la fronte.
"Sì,
questo in effetti sarebbe da lui." convenne. "Ascolta, so che non ti
piace l'idea di rivedere il Santuario, ma puoi fermarti ancora un po' o
devi tornare
subito a casa? Non ti tratterrò a lungo, promesso."
Giunti
davanti alla casa dell'Ariete, Mei volse lo sguardo verso l'undicesima,
distogliendolo quasi subito.
"Ti va
di andare su un attimo?" le propose, cogliendo la sua occhiata. "Io
vado ogni mattina, a controllare che tutto sia a posto."
"Anche
tu non riesci a toglierlo dalla mente." disse Mei, dopo qualche istante
di
silenzio.
"Chi, Camus? Scherzi? Penso a lui ogni santo giorno. Sento la sua
mancanza
quanto te. Come hai detto, i rapporti che Camus aveva con noi erano
diversi, ma
alla base c'è lo stesso affetto: è quello che mi
manca. Sento la mancanza
perfino dei suoi silenzi, figurati."
L'undicesima casa era rimasta tal quale l'ultima volta, forse solo la
temperatura interna era cambiata: senza il cosmo di Camus, si era
adattata alla
media stagionale di quella regione.
"Ti aspetto all'ottava casa, quando avrai finito. Resta tutto il tempo
che
vuoi, ti lascio tranquilla."
"Posso davvero restare un po' sola qui? Tu non resti?"
"L'altra
volta sono rimasto perché avevo timore che tu potessi
commettere qualche
sciocchezza." ammise Milo, riferendosi alla veglia. La vide sgranare
gli
occhi. "Beh, mi hai chiesto tu di essere sincero con te. Io ti aspetto
all'ottava."
Lo sentì uscire dall'undicesima casa e si diresse alla
camera di Camus,
sedendosi poi sul bordo del letto e guardandosi intorno.
Adocchiò la sua
macchina fotografica, una Canon Eos, e premette il pulsante di avvio,
constatando che nonostante il periodo di inutilizzo, aveva ancora una
discreta
percentuale di batteria.
La sua parte razionale le diceva di non scorrere le fotografie, di
lasciar
stare per non incorrere in ricordi dolorosi, ma prima che potesse
ascoltarla,
l'emotività ebbe il sopravvento.
L'ultima foto che Camus aveva scattato ritraeva un tramonto rosso fuoco
sull'Egeo: riconobbe le luci del Pireo e le silhouette delle barche
attraccate
ai pontili. Scorse le precedenti, tralasciando al momento foto di
viaggi e
dettagli che per Camus erano stati tanto importanti da essere
fotografati, quindi
arrivò alle foto che avevano scattato durante le sue tre
settimane al
Santuario. Una di queste doveva averla scattata Milo e li ritraeva sul
divano
dell'undicesima casa durante una di quelle sere piovose nelle quali
avevano
preferito stare a casa anziché uscire. Ricordava ancora
perfettamente
quell'attimo.
Si asciugò gli occhi e si permise di prendere le cose che
aveva volutamente,
mesi prima, lasciato nella stanza di Camus e non riuscì a
resistere all'impulso
di aprire i cassetti e prendere qualcosa da portare via come ricordo.
Si portò
al volto una camicia, constatando con dispiacere che dell'odore di
Camus non
era rimasta alcuna traccia.
Milo la sentì entrare in casa propria dopo una buona
mezz'ora.
"Aspetta, ti do' un sacchetto." le disse Milo, guardando le cose che
reggeva tra le braccia: la reflex e il cellulare di Camus, una
boccetta, degli
indumenti accuratamente piegati. Dispiegò un sacchetto di
carta che Mei
riconobbe come quelli che al mercato si usavano per la frutta, e glielo
porse
prima di tornare a controllare i fornelli.
"Credi che possa prendere queste cose?"
Milo le sorrise, tirando giù la zip della felpa e
mostrandole una maglietta
legata al mondo di Star Wars.
"Beh, questa era sua." le rispose. "Prendi ciò che vuoi,
sicuramente lui non si offenderà."
"La fotocamera la prendo solo in prestito, vorrei fare una copia delle
foto e poi la restituisco, giuro."
"Puoi tenerla. Meglio con te che a farle prendere polvere in un
armadio."
Le offrì il pranzo
che aveva acquistato poco prima al mercato, protestando dinanzi alla
riluttanza
di Mei e promettendole di riportarla a casa appena finito.
"...vino?"
le domandò, con la bottiglia a mezz'aria poco sopra il suo
bicchiere.
"Lo prenderei volentieri, ma sto allattando." diniegò Mei,
guardando gli
orecchini che aveva acquistato a una bancarella: piuttosto semplici
rispetto ad
altri molto più elaborati e ricchi di particolari, ma
qualcosa di quei monili
l'aveva attirata da subito. Si tolse i cerchietti che aveva indossato
quella
mattina e provò gli orecchini nuovi.
"Come mi stanno?" domandò, spostando indietro i capelli.
"Direi bene. Sai, quello è il nodo di Eracle, simbolo che
è usato fin
dall'antichità come protezione e come simbolo di impegno e
amore immortale."
"Non lo
sapevo."
Milo parve
ricordare di colpo qualcosa, lo vide andare a spulciare nelle tasche
del
giaccone e prendere un sacchettino di carta colorata.
"Prima
che mi dimentichi, tieni: il ciondolo è per te, il bracciale
per per Lixue."
All'interno, un
ciondolo grande quanto una moneta da due euro, appeso a una catenina
argentea,
insieme a un braccialetto elastico con le perline dello stesso colore
del
ciondolo.
"Lo vedo spesso sulle bancarelle, ma non so che cos'è."
ammise Mei.
"Un amuleto antimalocchio, lo chiamiamo mati.
Protegge dal male." le spiegò Milo. "Se un giorno
dovesse mai rompersi, significa che ha assolto al suo compito e ti ha
protetta
assorbendo ciò che stava per colpirti. Qui prendiamo il
malocchio molto, molto
sul serio, quindi non prendermi in giro."
Mei aprì il gancetto della catenina e indossò
l'amuleto, sorridendogli.
"Sono la prima che si arrabbia se qualcuno prende in giro le mie
credenze,
perché mai dovrei prendere in giro le vostre? É
molto bello, grazie." lo
ringraziò, sistemando il ciondolo sotto il maglione. "Posso
chiederti come
vanno le cose con Shaina?"
Milo posò nel piatto il resto dell'involtino di melanzane
che aveva appena
addentato vorace e le rispose dopo aver deglutito.
"Bene, anche se non come vorrei. Siamo saint entrambi e
finchè il
Santuario sarà in allerta, di notte io non potrei lasciare
l'ottava casa e lei
non potrebbe lasciare il gineceo, ma… ci vediamo lo stesso,
anche se clandestinamente
e di rado e per quanto siano intensi i momenti che trascorriamo
insieme, non è
proprio la migliore delle situazioni."
"Mi dispiace." replicò Mei, sincera.
"É una
situazione temporanea, o almeno spero. Una volta che lo stato di
allerta
smetterà di essere necessario, niente e nessuno
riuscirà a tenermi lontano da
lei. Ma tu mangia, la saganaki non è buona se si fredda."
disse quindi
Milo, cercando di sviare il discorso.
Comprese subito la sua ritrosia nel parlare di quell'argomento, quindi
decise di
mangiare e lasciar perdere.
"Hai parlato
di uno stato di allerta poco fa, è successo qualcosa?"
"Ancora
no, ma temo stia per succedere. Non avrei nemmeno dovuto portarti qui,
se devo
essere sincero, questo posto non è il più sicuro
del mondo, e se dovesse
accaderti qualcosa, Camus non me lo perdonerebbe mai." Milo
abbassò la
voce. "Il Santuario è in fermento. Come sai, Mu è
il nuovo Grande
Sacerdote ad interim e come Shaka dice di aver avvertito strani
movimenti a
Oriente."
Mei corrugò la fronte.
"In effetti... qualche giorno fa li ho visti giungere al
Goro–Ho, ma non
conosco l'argomento della loro conversazione e il Maestro non ne ha
fatto
parola." ricordò. "É strano già da
giorni, mangia poco, dorme ancora
meno, e non si muove dal suo picco, non importa se piove o
c'è il sole, lui
rimane lì, irremovibile. Ho stupidamente pensato che fosse a
causa del
trambusto che governa casa da quando sono arrivati Shiryu e i suoi
amici, ma ho
paura che ci sia ben altro sotto."
Terminarono
di mangiare quindi, come le aveva promesso, la riaccompagnò
a casa.
"Mi
prometti che proverai ad essere più indulgente con Hyoga?
Non pretendo che
diventiate migliori amici, ma almeno che siate civili tra di voi: avete
entrambi qualcosa in comune, potete provare a partire da
lì." si
raccomandò Milo, posando le borse sul tavolo.
"Non perori la tua causa mettendo Camus di mezzo."
Milo le
rivolse un'occhiata delle sue, e Mei sospirò.
"Va bene, ho capito. Ci proverò." si arrese. "Promesso."
"Brava
ragazza." sorrise Milo, stringendola in un abbraccio. "Ora vado, ci
sentiamo presto."
Restò a fissare a lungo il punto in cui Milo
sparì tornando in Grecia, avvertendo
uno strano groppo in gola.
***
Lady
Aquaria's corner:
Magari l'avvertimento t.w. è un poco esagerato, ma ho
preferito inserirlo. Non mi faccio
viva sui lidi di Efp da tantissimo tempo, complici anche svariati gravi
problemi
di natura personale. Proseguire le due fic principali ha richiesto
più tempo
del dovuto più che altro perché,
ahimè, avevo perso il filo del discorso e
stavo per scrivere una cosa per un'altra.
Sto già
abbozzando il prossimo capitolo e il finale della long principale
è già bello
che imbastito, mancano solo i punti definitivi.
Grazie comme toujour a chi ancora
segue e mi lascia scritte due parole. Vi rispondo in ritardo, ma vi
leggo.
Lady Aquaria