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Autore: Lady Aquaria    07/02/2024    1 recensioni
"La verità è che io faccio fatica a non pensarci, alla fine mi sono arreso. Ho smesso di provare a liberarmi un po' la testa ma non riesco perché lei c'è. C'è sempre. Con il suo sorriso e i suoi occhi, perfino col suo caratteraccio. E quando non c'è la cerco. La cerco in casa, a Rodorio, la cerco nelle canzoni dei Kiss che ho imparato ad apprezzare e dentro le frasi dei pochi libri che ha letto qui. E sai cosa? C'è ancora. E' ancora dappertutto. L'ho cacciata, ma non riesco a levarmela dalla testa."
E tutto questo, a partire da quel giorno al Goro-Ho.
Genere: Fluff, Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Aquarius Camus, Nuovo Personaggio, Un po' tutti
Note: Missing Moments, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Le vie del Destino'
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28. prequel

27.
Hurt

Would you tell me I was wrong?
Would you help me understand?
Are you lookin' down upon me?
Are you proud of who I am?
[Christina Aguilera - Hurt]

 

AVVERTIMENTO: TW, descrizione in dettaglio di scene cruenti

Wei-He, suo padre, era stato un grande studioso di tutto ciò che riguardava la cultura giapponese: aveva studiato e si era specializzato in arti marziali prettamente nipponiche, praticandole insieme a quelle della sua terra natia, ne aveva assimilato usi e costumi accorpandoli ai propri e aveva sviluppato una certa passione nei riguardi dei samurai nonostante il parere fortemente contrario di certi membri della sua famiglia, che verso il Giappone coltivavano un odio profondo, figlio del massacro di Nanjing.
Nel corso degli anni, soprattutto in quelli che avevano preceduto la nascita di Shiryu, aveva cercato di trasmettere le sue passioni anche a lei, ma dal canto suo, nonostante gli sforzi paterni, di quel Paese aveva imparato ad amare solo il sushi, il judō e l'aikidō.
Una cosa però le era rimasta impressa: il rigido codice morale dei samurai tanto ammirati da suo padre, il bushidō.
"Non posso pretendere che tu lo segua, Mei-Yin, del resto sei ancora una bambina e non sei in grado di capire appieno il significato profondo di queste parole, però mi aspetto che un domani, quando sarai una donna adulta e avrai a che fare con le difficoltà della vita, tu possa ricordarle e, finalmente, comprenderle."
Onestà, coraggio, compassione, sincerità, onore
e lealtà. Una morale dietro l'altra, fino ad arrivare a quella che Wei-He considerava la più importante, alla stregua del non uccidere biblico. Le aveva mostrato l'ideogramma
, Rei, cortesia, e si era raccomandato di ascoltarlo bene, di imprimere nella sua mente le sue parole, e in effetti così aveva sempre vissuto: sapeva di non avere mai deluso le aspettative paterne, neanche e soprattutto quando, quella volta al Santuario, Saga le aveva velatamente chiesto di fare la spia per conto suo. Aveva preferito incorrere in rischi inimmaginabili pur di non tradire né lui né Dohko.
"Non hai motivo per comportarti in maniera crudele, non hai bisogno di mostrare la tua forza. Sii gentile anche con i nemici. Senza tale dimostrazione di rispetto esteriore un uomo è poco più di un animale."

Certo, belle parole, le sue. Peccato che suo padre non le avesse lasciato scritto nulla su come comportarsi in caso di un torto subito. Cos'avrebbe dovuto fare? Porgere l'altra guancia e ignorare quanto successo per lasciare Hyoga libero di agire indisturbato, padrone di vivere una vita che aveva, al contrario, sottratto a Camus?
Prese il tantō che le aveva donato anni prima e seguì con le dita i complicati intarsi del fodero, traendo un gran respiro. 
"Ho compreso le tue parole, papà, ma io non sono un Samurai. Voglio vendicarmi di un torto subito, non dilungarmi in stupide dimostrazioni di forza. Non mi aspetto che tu capisca, né tantomeno attendo il tuo perdono. Non ho intenzione di lasciar correre, non stavolta."  
Il corridoio era immerso nell'oscurità, una condizione perfetta per quanto stava per fare: nessuno l'avrebbe vista e nessuno avrebbe potuto fermarla.
Sguainò il tantō e si diresse alla stanza in fondo al corridoio, scoprendo che la porta non era chiusa a chiave, poteva entrare senza alcun problema.
Hyoga dormiva supino, un braccio alzato a coprirsi gli occhi, l'altra sullo stomaco: sembrava il ritratto dell'innocenza, abbandonato com'era al sonno. Si mosse quasi in trance, il pugnale saldo nella sua mano dominante, il braccio pronto a scattare.
Il primo fendente lo colse di sorpresa destandolo immediatamente dal sonno: impiegò qualche istante a mettere a fuoco Mei, lo sguardo maligno negli occhi e la scintilla sinistra della luce sulla lama, già sporca del suo sangue.

"Come dici? Non ti sento." gli sorrise Mei, quanto tentò di biascicare qualcosa nonostante il dolore lancinante all'addome e alle braccia, con le quali cercava inutilmente di parare i colpi.
Il secondo lo colpì alla coscia, il terzo –l'ultimo– alla gola, con precisione chirurgica: una volta aveva letto, da qualche parte, che la carotide recisa portava alla morte in pochi secondi. Dodici, all'incirca.
Li contò uno per uno, guardando Hyoga annaspare, osservando il suo sangue inzuppare con ampi spruzzi le lenzuola e gocciolare a terra, sporgendosi fino a guardare da vicino i suoi occhi spegnersi e il corpo rilassarsi senza vita.

"Va meglio?"
Quella voce la scosse nel profondo. Sobbalzò, guardando Camus accanto al corpo di Hyoga, una mano protesa a chiudergli gli occhi in un gesto pietoso.
"Mei, perchè?"
Lasciò la presa sul pugnale, che cadde a terra con un rumore sordo attutito dal tappeto, mentre Camus avvicinatosi a lei, le accarezzava la testa.
"Ti ha ucciso." mormorò.
"E ti senti meglio, adesso?"
Difficile a dirsi. Avrebbe dovuto provare sollievo, essere soddisfatta dalla vendetta portata a termine, eppure... l'odore ferroso del sangue la colpì come un pugno allo stomaco, insieme allo sguardo severo di Camus che la trafiggeva.

"Dovevo fare qualcosa. Lui ti ha ucciso." continuò Mei, allungando la mano fino a sfiorargli la guancia gelida. "L'ho fatto per noi."
"Allora, Mei, perché non sei felice?"

Le mani divennero improvvisamente fredde, e un'orrenda sensazione di appiccicaticcio la indusse a guardare giù, sul sangue che le stava inzuppando i piedi e che, si accorse con orrore, non apparteneva al cadavere: sul corpo di Camus erano comparse le stesse identiche ferite che aveva inferto a Hyoga.

"Oddio no, no!" iniziò a gridare, cercando di tamponargli il collo.
"Ti rendi conto di cos'hai fatto?"

Camus guardò con orrore Hyoga entrare nella stanza di Mei e quest'ultima afferrare il pugnale prima di tirare fendenti alla cieca.
"BASTA!"
gridò contro Kardia, pregando che Mei si riprendesse prima dell'irreparabile.
"Kardia, direi che è sufficiente."
intervenne anche Degél.  
Kardia guardò prima l'amico, quindi interruppe quanto stava facendo e lanciò un'occhiata penetrante a Camus.
"Hai insistito tu per avere il mio aiuto ed eri stato avvertito riguardo i miei metodi." gli fece notare.
"Sì, e maledico il momento in cui l'ho fatto.
" replicò Camus, furibondo. "Ho chiesto il vostro intervento nella speranza che l'avreste aiutata, non che l'avreste torturata così!"

"Torturata? Mio caro ragazzo, io e te abbiamo idee molto divergenti a riguardo. Ho solo solleticato la sua psiche, facendo leva sui punti giusti, nulla di più."
Kardia non aveva impiegato molto tempo a trovare, nella mente di Mei, il dettaglio da usare: aveva tralasciato subito i ricordi d'infanzia e dei genitori, decidendo di focalizzarsi proprio su Camus che, era evidente, era il suo punto più debole. Lui e Manigoldo avevano col tempo affinato le loro abilità usando DeathMask come cavia, e non era stato difficile manipolare i suoi sogni affinchè veicolassero un messaggio preciso. Il pugnale che la ragazza conservava sotto il cuscino non l'aveva proprio previsto, quello doveva ammetterlo, così come la reazione che aveva avuto e che aveva quasi portato alla morte prematura del giovane cigno.
"Ma vi rendete conto di cosa dite? Avrebbe potuto farsi del male, l'ha quasi ucciso! "
"Avresti preferito l'alternativa? Avresti preferito vederla davvero uccidere il tuo allievo? Non sono io a doverti ricordare che ha le capacità e la rabbia per poterlo fare."
"Alternativa che grazie a voi stava per diventare realtà, c'è mancato pochissimo!"
gridò Camus.
Kardia non fu sorpreso dallo scoppio d'ira di Camus, che trovò comprensibile dato quanto era appena successo, tuttavia lo guardò con un ghigno.
"Ammiro il tuo ardore, davvero, ma ti consiglio in futuro di non rivolgerti più a me in questo modo se non vuoi affrontare conseguenze spiacevoli."
"Io credo che abbiate già superato il limite." interloquì Degél. "Smettetela, tutti e due."

Pochi minuti prima…
L'insonnia che lo accompagnava fin dai tempi dell'orfanotrofio si era ripresentata, puntuale, anche durante quelle notti trascorse in Cina. Vuoi per il sonno leggero, vuoi per la costante sensazione di pericolo che avvertiva in quel luogo, oppure per il dolce russare di Seiya nella brandina accanto, non riusciva a dormire come avrebbe desiderato.
"Tappati quella bocca!" borbottò Ikki, rifilando un improvviso quanto efficace calcio alle gambe di Seiya, che, miracolo! smise di russare. Troppo rumore per i suoi gusti, per certi versi gli mancavano le notti all'isba, dove il silenzio era stato talmente profondo da essere quasi surreale.
Si alzò, badando bene a non finire nel raggio d'azione di Ikki, e scese in cucina; in frigo, alcune bottigliette piene di liquido bianco –latte materno, ipotizzò– dalle quali rimase ben lontano, una brocca con del tè, confezioni con scritte in greco provenienti da Atene o dal Santuario, gli avanzi della cena e frutta a lui sconosciuta. Presa una mela trovata per caso, iniziò a sbucciarla, restando in allerta e pronto a svignarsela al primo accenno di pericolo: Shiryu minimizzava, ma era così che si sentiva in quella casa.
Bevve due lunghi sorsi d'acqua, ripose il bicchiere sul gocciolatoio, e si avviò silenzioso in corridoio, fermandosi di colpo quando le urla ebbero inizio, grida che provenivano dalla stanza di Mei e nella quale fece irruzione senza tante cerimonie.
Fortunatamente nessun nemico all'orizzonte: era scivolata dal letto nel sonno e le lenzuola le si erano aggrovigliate intorno alle sue gambe impedendole i movimenti: doveva esser questo il motivo di tanta angoscia. Si avvicinò per aiutarla, chiamandola più volte, finché non si trovò a schivare per un soffio un fendente.
"No, non toccarmi!" gridò Mei.
Alzò le mani in segno di resa, rendendole ben visibili affinché si calmasse e deponesse quella lama.
"Va tutto bene." disse Hyoga, con una calma che era ben lungi dal provare.
"Oddèi. Cosa ci fai qui?" ansimò Mei, ancora sotto choc. Si guardò intorno, temendo ancora di vedere quell'orribile scena sotto gli occhi. Per fortuna, non era successo niente d'irreparabile: lui era vivo e lei non aveva ucciso nessuno. "Stai bene?"
Hyoga corrugò la fronte: il graffio sul collo bruciava un po', ma non era nulla di grave.
"Se sto...?" ripetè, confuso. "Tu, stai bene?"
Mei finalmente depose l'arma, realizzando quanto fosse stata vicina a compiere un gesto atroce. Ma quell'incubo era stato così vivido da sembrare vero... sollevò le mani, cercando il sangue che le aveva macchiate quando aveva cercato di tamponare le ferite sul collo di Camus, ma, ringraziando il cielo, erano pulite. Agguantò in fretta il cestino sotto la scrivania e diede violentemente di stomaco.
"Cosa sta succedendo qui?!" esclamò Shiryu, sulla porta della stanza di Mei.
"Credo che tua sorella non stia bene." spiegò Hyoga. Avrebbe voluto aiutarla, ma l'istinto gli diceva di non abbassare la guardia, di starle lontano così come lei gli aveva intimato.
"Questo lo vedo, ma cos'è successo?"
"Rimanderei le spiegazioni a un'altra volta, se non vi spiace. "interloquì Shunrei. "Shiryu, occupati di Hyoga mentre io mi occupo di Mei."
Shiryu fece quanto richiestogli da Shunrei e accompagnò l'amico in bagno, armeggiando poi con l'armadietto delle medicine.
"Guarda che faccia." commentò. Hyoga aveva assunto un colorito cinereo e sembrava lottare a viva forza per non crollare a terra da un momento all'altro. "Oddio, siediti."
"Credo che vomiterò anche io." disse, alzando la tavoletta del wc.
La mattina arrivò presto, ancora carica della tensione della notte appena finita.

"Sapevo di trovarti qui." sospirò Shiryu, chiudendosi alle spalle la porta della stanza degli avi. 
"Come sta Hyoga?" domandò subito Mei, senza lasciargli il tempo di dire altro. Shiryu si accomodò sul cuscino accanto alla sorella, notando i suoi occhi rossi e gonfi e il malefico pugnale al sicuro nel suo fodero.
"Fisicamente bene, ha solo un graffio. É però spaventato, anche se non lo da' a vedere."
Inspirò l'odore del franchincenso che bruciava nell'incensiere, quindi riaprì gli occhi e guardò il fratello.
"Comprensibile, l'ho quasi spedito all'altro mondo." annuì Mei.
"Hai finalmente deciso di lasciarlo qui?" le chiese quindi, indicandole il pugnale con lo sguardo.
"Sì, preferisco tenerlo al sicuro per evitare altri potenziali guai come quello di stanotte." rispose.  
"Ah, tenere lui al sicuro." la riprese. "Non che serva poi a molto, sai, tu sei pericolosa anche a mani nude, e allora chi terrà al sicuro noi?" aggiunse sorridendo, ricevendo in risposta un'occhiata stanca. "…scusami, pensavo di sdrammatizzare un po'. Hai voglia di dirmi che cos'è successo?"
Fu lei a sospirare: non che ci fosse poi così tanto da capire, sicuramente poi Hyoga aveva già raccontato tutto nei dettagli.
"Ti prego, non è proprio il momento."
Shiryu lasciò cadere l'argomento, almeno per un po', appuntandosi mentalmente di riprenderlo appena possibile. Guardò la sorella pregare, sorrise nel vedere le foto dei loro genitori sul piccolo altare, quindi diede due buffetti affettuosi sulla spalla di Mei a mo' di saluto, decidendo di lasciarla sola.
Nei giorni seguenti, nessuno fece parola dell'accaduto ed entrambi cercarono di evitarsi il più possibile; a tavola Hyoga si chiudeva nei suoi soliti silenzi, parlando il meno possibile e, lei semplicemente fingeva che non fosse successo nulla, anche se spesso, troppo spesso, aveva flash di quell'incubo.
Separò i vestiti puliti e asciutti in due ceste e, una volta riposta nella sua stanza la cesta con le sue cose, si diresse alla camera dove dormivano i ragazzi, prima di prepararsi per l'appuntamento: Shiryu era uscito con Shunrei e gli amici già da un po', e solitamente approfittava di momenti come quelli per svolgere le mansioni di casa senza avere gente intorno.
Aperta la porta, si accorse tardi che non tutti gli amici del fratello erano usciti: aveva dato per scontato, dalle parole di Shiryu di quella mattina, che sarebbero usciti tutti loro, invece Hyoga era rimasto.
Imbarazzato a livelli impossibili da esprimere a parole, si coprì con la prima cosa che riuscì a trovare, sentendosi a disagio nell'esser stato beccato, nudo come un verme, proprio da Mei. Le diede le spalle per infilarsi un paio di jeans –di Ikki, tra l'altro– pescati dalla pila sulla sedia, cercando di darsi un contegno.
"...niente che non abbia già visto." commentò Mei, distogliendo lo sguardo per dargli il tempo di coprirsi. "Esco subito, qui ci sono i vestiti puliti, li lascio qui… non so a chi appartenga cosa, quindi ve li dividerete più tardi."
"Non si usa più bussare?" borbottò, schiarendosi la voce.
Mei si fermò sull'uscio, voltandosi di nuovo verso di lui.
"Ma senti chi parla." rispose, memore di quanto accaduto mesi prima, a Kobotec. "Pensavo fossi uscito con mio fratello e i vostri amici. Comunque, hai bisogno di qualcosa?"
"Sì, di stare in pace." le rispose, iniziando poi ad armeggiare con flaconi e garze. Mei notò solo in quel momento che l'occhio ferito di Hyoga era sbendato ed esposto.
"Quello è acido borico."
Hyoga corrugò la fronte, sollevando il flacone in questione.
"Non saprei." rispose, atono. "Pensavo fosse collirio."
Doveva aver frugato nell'armadietto delle medicine in bagno e pescato flaconi a caso, senza capire che cosa stesse prendendo date le etichette in cinese; andò in bagno a recuperare il flacone giusto e la scatola con bende e cerotti.
"Per una ferita come la tua non va bene, l'organismo potrebbe assorbire troppo acido borico e finiresti col soffrire di effetti collaterali… ecco, tieni, questi cerottoni li usava Shiryu quando ha avuto quei problemi agli occhi. E quelle ferite che ho intravisto sulla schiena s'infetteranno, se non le curi, possibile che il medico della fondazione Kido non ti abbia dato niente, un unguento, un disinfettante..? Dovrei avere qualcosa, ma non so se va bene…"
Serrò la zip della felpa fin sotto il mento, confuso dal comportamento di Mei.
"No, no, ferma, faccio da solo." la fermò, prendendole di mano il batuffolo di ovatta imbibito di un liquido rossastro a lui sconosciuto e appoggiandolo con delicatezza sulla palpebra chiusa. "Cos'è? Ti preoccupi per me, adesso?"
Nel silenzio che seguì, la sentì respirare con rabbia.
"Arrangiati." gli rispose, dirigendosi ad ampie falcate verso la porta.
Hyoga borbottò qualcosa nella sua lingua natia, sbuffando frustrato.
"Mi dispiace." aggiunse, inducendola a fermarsi. "Non volevo essere scortese, ma non so come comportarmi con te, sei inquietante! Che diamine, un attimo prima sei una persona normale, quello dopo un demone assetato di sangue! Per poco non mi ammazzi e adesso mi aiuti con la medicazione, oscilli tra gentilezza e istinti omicidi, spiegami tu come faccio a stare tranquillo in tua presenza."

*

"Ciò che più mi piace di queste nostre uscite è il poter vedere scorci sempre nuovi di Atene. Sento sempre nostalgia per la Grecia, quando sono a casa." ammise Mei, passeggiando accanto a Milo in uno dei tanti mercati di Atene. "La cucina, l'odore del mare, il sole…"
"E io che speravo fossi io, a mancarti…" scherzò Milo.
"Anche tu, ovviamente." sorrise Mei. "Ti ringrazio come sempre per avermi accompagnata a fare spesa: non faccio in tempo a fare provviste che le dispense si svuotano…"
"E io come sempre ti dico che non c'è problema, lo faccio volentieri." replicò Milo. "Come stai? Come vanno le cose?"
"Benino a entrambe le domande." rispose Mei, dispiegando la borsa di stoffa e sistemandovi la verdura che aveva appena comprato. Preferì non raccontargli del malessere che l'aveva colta subito dopo l'incubo e che la perseguitava da giorni, o avrebbe dovuto raccontargli tutto dal principio.
"So che c'è stato un mezzo incidente l'altra notte." esordì poi Milo di punto in bianco, dopo che si furono allontanati dal banco della verdura.
Mei si preparò mentalmente a una lunghissima filippica, ma non c'era traccia di rimprovero nello sguardo dell'amico.
"Te l'ha detto Hyoga." sospirò. Che sciocca, certo che gliel'aveva detto. Ancora più sciocco era stato credere di poter evitare un confronto in merito.
"Sì, ma lui per primo ha specificato che non è stato intenzionale perchè non eri cosciente e che per poco non ti ha preso un colpo quando ti sei accorta di quel che stava per succedere. Ha aggiunto che l'hai aiutato a medicare l'occhio e che sei più gentile con lui." le circondò affettuosamente le spalle con un braccio prima di proseguire. "Per quel che può servire, sono fiero di te."
"… e quest'ultima cosa te l'ha detta prima o dopo averti raccontato che mi ha definito demone assetato di sangue? Perché ti ha raccontato tutto, vero, non solo la parte che gli faceva comodo."
"Non ha omesso niente."
"Beh, almeno è stato onesto."
"Non dovrebbe essere una sorpresa, ricordati di chi è stato allievo."

"Eh… a proposito di onestà, posso contare su una tua sincera e onesta risposta alla domanda che sto per farti?"
"Rispondo sempre sinceramente, ma devo avvertirti che non tutti apprezzano questa mia caratteristica." annuì Milo.
"Sono diventata una persona orribile, dopo quel che è successo all'undicesima casa?" Mei abbassò la voce.
Milo corrugò la fronte.
"Beh, oddio… orribile no, non esageriamo. Hai scelto Hyoga come tuo personale capro espiatorio per una cosa che lui non ha di certo voluto, sei… onestamente e sinceramente parlando, un tantino rompiscatole." rispose Milo, schietto. "Ma ehi, niente che non si possa correggere lavorandoci un po' su."
"Senti, non vorrai farmi credere che tu non hai provato nemmeno un po' di rabbia, perché non me la bevo."
L'aiutò a riporre il sacchetto della frutta in una seconda borsa di tela, quindi si decise a risponderle.
"A dire il vero, per un attimo ho desiderato ardentemente poter radere al suolo la terza casa e dar fuoco al cadavere di Saga, ma è una cosa durata davvero un attimo. Tu, bella mia, covi rancore da allora e di fegato ne hai uno solo, non dimenticarlo."
"Sono orribile."
"No, non ho detto questo, e già il fatto che hai capito da te che c'è qualcosa che non va nei tuoi modi di fare dimostra che non lo sei. Sei intelligente, brillante, una persona forte e indomita. Sei passionale, del resto sei una scorpione, è nella nostra natura. Però bella mia, sei cocciuta, orgogliosa e troppo impulsiva." proseguì Milo. "Non che Camus non ne avesse, anzi. Aveva un cuore d'oro, ma era testardo e rompiscatole, un po' come te."
Mei annuì, sorridendo amaramente.
"Già, Camus. Sappiamo bene quanti difetti avesse. Sono certa che l'incubo sia opera sua."
"Ma figurati! Ti ama, non farebbe mai..."
"Senti, è vero che io lo conosco da molto meno tempo di te, che forse lo conosciamo su due piani diversi e che certamente tu sai più cose di me. Ma non ci vuole chissà quale grado di conoscenza per capire che Camus, per quel ragazzo, avrebbe fatto e farebbe di tutto." sospirò Mei. "Anche interferire con il mio sonno o chiedere a qualcun altro di farlo. Tante cose mi hanno portata a pensarlo: il fine di quell'incubo era chiaro, credimi, era un vero e proprio ammonimento: se uccidi lui, uccidi anche me."

Milo corrugò la fronte.
"Sì, questo in effetti sarebbe da lui." convenne. "Ascolta, so che non ti piace l'idea di rivedere il Santuario, ma puoi fermarti ancora un po' o devi tornare subito a casa? Non ti tratterrò a lungo, promesso."
Giunti davanti alla casa dell'Ariete, Mei volse lo sguardo verso l'undicesima, distogliendolo quasi subito.
"Ti va di andare su un attimo?" le propose, cogliendo la sua occhiata. "Io vado ogni mattina, a controllare che tutto sia a posto."
"Anche tu non riesci a toglierlo dalla mente." disse Mei, dopo qualche istante di silenzio.
"Chi, Camus? Scherzi? Penso a lui ogni santo giorno. Sento la sua mancanza quanto te. Come hai detto, i rapporti che Camus aveva con noi erano diversi, ma alla base c'è lo stesso affetto: è quello che mi manca. Sento la mancanza perfino dei suoi silenzi, figurati."
L'undicesima casa era rimasta tal quale l'ultima volta, forse solo la temperatura interna era cambiata: senza il cosmo di Camus, si era adattata alla media stagionale di quella regione.
"Ti aspetto all'ottava casa, quando avrai finito. Resta tutto il tempo che vuoi, ti lascio tranquilla."
"Posso davvero restare un po' sola qui? Tu non resti?"
"L'altra volta sono rimasto perché avevo timore che tu potessi commettere qualche sciocchezza." ammise Milo, riferendosi alla veglia. La vide sgranare gli occhi. "Beh, mi hai chiesto tu di essere sincero con te. Io ti aspetto all'ottava."
Lo sentì uscire dall'undicesima casa e si diresse alla camera di Camus, sedendosi poi sul bordo del letto e guardandosi intorno. Adocchiò la sua macchina fotografica, una Canon Eos, e premette il pulsante di avvio, constatando che nonostante il periodo di inutilizzo, aveva ancora una discreta percentuale di batteria.
La sua parte razionale le diceva di non scorrere le fotografie, di lasciar stare per non incorrere in ricordi dolorosi, ma prima che potesse ascoltarla, l'emotività ebbe il sopravvento.
L'ultima foto che Camus aveva scattato ritraeva un tramonto rosso fuoco sull'Egeo: riconobbe le luci del Pireo e le silhouette delle barche attraccate ai pontili. Scorse le precedenti, tralasciando al momento foto di viaggi e dettagli che per Camus erano stati tanto importanti da essere fotografati, quindi arrivò alle foto che avevano scattato durante le sue tre settimane al Santuario. Una di queste doveva averla scattata Milo e li ritraeva sul divano dell'undicesima casa durante una di quelle sere piovose nelle quali avevano preferito stare a casa anziché uscire. Ricordava ancora perfettamente quell'attimo.
Si asciugò gli occhi e si permise di prendere le cose che aveva volutamente, mesi prima, lasciato nella stanza di Camus e non riuscì a resistere all'impulso di aprire i cassetti e prendere qualcosa da portare via come ricordo. Si portò al volto una camicia, constatando con dispiacere che dell'odore di Camus non era rimasta alcuna traccia.
Milo la sentì entrare in casa propria dopo una buona mezz'ora.
"Aspetta, ti do' un sacchetto." le disse Milo, guardando le cose che reggeva tra le braccia: la reflex e il cellulare di Camus, una boccetta, degli indumenti accuratamente piegati. Dispiegò un sacchetto di carta che Mei riconobbe come quelli che al mercato si usavano per la frutta, e glielo porse prima di tornare a controllare i fornelli.
"Credi che possa prendere queste cose?"
Milo le sorrise, tirando giù la zip della felpa e mostrandole una maglietta legata al mondo di Star Wars.
"Beh, questa era sua." le rispose. "Prendi ciò che vuoi, sicuramente lui non si offenderà."
"La fotocamera la prendo solo in prestito, vorrei fare una copia delle foto e poi la restituisco, giuro."
"Puoi tenerla. Meglio con te che a farle prendere polvere in un armadio."
Le offrì il pranzo che aveva acquistato poco prima al mercato, protestando dinanzi alla riluttanza di Mei e promettendole di riportarla a casa appena finito.
"...vino?" le domandò, con la bottiglia a mezz'aria poco sopra il suo bicchiere.
"Lo prenderei volentieri, ma sto allattando." diniegò Mei, guardando gli orecchini che aveva acquistato a una bancarella: piuttosto semplici rispetto ad altri molto più elaborati e ricchi di particolari, ma qualcosa di quei monili l'aveva attirata da subito. Si tolse i cerchietti che aveva indossato quella mattina e provò gli orecchini nuovi.
"Come mi stanno?" domandò, spostando indietro i capelli.
"Direi bene. Sai, quello è il nodo di Eracle, simbolo che è usato fin dall'antichità come protezione e come simbolo di impegno e amore immortale."
"Non lo sapevo."
Milo parve ricordare di colpo qualcosa, lo vide andare a spulciare nelle tasche del giaccone e prendere un sacchettino di carta colorata.
"Prima che mi dimentichi, tieni: il ciondolo è per te, il bracciale per per Lixue."
All'interno, un ciondolo grande quanto una moneta da due euro, appeso a una catenina argentea, insieme a un braccialetto elastico con le perline dello stesso colore del ciondolo.
"Lo vedo spesso sulle bancarelle, ma non so che cos'è." ammise Mei.
"Un amuleto antimalocchio, lo chiamiamo mati. Protegge dal male." le spiegò Milo. "Se un giorno dovesse mai rompersi, significa che ha assolto al suo compito e ti ha protetta assorbendo ciò che stava per colpirti. Qui prendiamo il malocchio molto, molto sul serio, quindi non prendermi in giro."
Mei aprì il gancetto della catenina e indossò l'amuleto, sorridendogli.
"Sono la prima che si arrabbia se qualcuno prende in giro le mie credenze, perché mai dovrei prendere in giro le vostre? É molto bello, grazie." lo ringraziò, sistemando il ciondolo sotto il maglione. "Posso chiederti come vanno le cose con Shaina?"
Milo posò nel piatto il resto dell'involtino di melanzane che aveva appena addentato vorace e le rispose dopo aver deglutito.
"Bene, anche se non come vorrei. Siamo saint entrambi e finchè il Santuario sarà in allerta, di notte io non potrei lasciare l'ottava casa e lei non potrebbe lasciare il gineceo, ma… ci vediamo lo stesso, anche se clandestinamente e di rado e per quanto siano intensi i momenti che trascorriamo insieme, non è proprio la migliore delle situazioni."
"Mi dispiace." replicò Mei, sincera.
"É una situazione temporanea, o almeno spero. Una volta che lo stato di allerta smetterà di essere necessario, niente e nessuno riuscirà a tenermi lontano da lei. Ma tu mangia, la saganaki non è buona se si fredda." disse quindi Milo, cercando di sviare il discorso.
Comprese subito la sua ritrosia nel parlare di quell'argomento, quindi decise di mangiare e lasciar perdere.
"Hai parlato di uno stato di allerta poco fa, è successo qualcosa?"
"Ancora no, ma temo stia per succedere. Non avrei nemmeno dovuto portarti qui, se devo essere sincero, questo posto non è il più sicuro del mondo, e se dovesse accaderti qualcosa, Camus non me lo perdonerebbe mai." Milo abbassò la voce. "Il Santuario è in fermento. Come sai, Mu è il nuovo Grande Sacerdote ad interim e come Shaka dice di aver avvertito strani movimenti a Oriente."
Mei corrugò la fronte.
"In effetti... qualche giorno fa li ho visti giungere al Goro–Ho, ma non conosco l'argomento della loro conversazione e il Maestro non ne ha fatto parola." ricordò. "É strano già da giorni, mangia poco, dorme ancora meno, e non si muove dal suo picco, non importa se piove o c'è il sole, lui rimane lì, irremovibile. Ho stupidamente pensato che fosse a causa del trambusto che governa casa da quando sono arrivati Shiryu e i suoi amici, ma ho paura che ci sia ben altro sotto."
Terminarono di mangiare quindi, come le aveva promesso, la riaccompagnò a casa.
"Mi prometti che proverai ad essere più indulgente con Hyoga? Non pretendo che diventiate migliori amici, ma almeno che siate civili tra di voi: avete entrambi qualcosa in comune, potete provare a partire da lì." si raccomandò Milo, posando le borse sul tavolo.
"Non perori la tua causa mettendo Camus di mezzo."
Milo le rivolse un'occhiata delle sue, e Mei sospirò.
"Va bene, ho capito. Ci proverò." si arrese. "Promesso."
"Brava ragazza." sorrise Milo, stringendola in un abbraccio. "Ora vado, ci sentiamo presto."
Restò a fissare a lungo il punto in cui Milo sparì tornando in Grecia, avvertendo uno strano groppo in gola.
 

***

Lady Aquaria's corner:
Magari l'avvertimento t.w. è un poco esagerato, ma ho preferito inserirlo. Non mi faccio viva sui lidi di Efp da tantissimo tempo, complici anche svariati gravi problemi di natura personale. Proseguire le due fic principali ha richiesto più tempo del dovuto più che altro perché, ahimè, avevo perso il filo del discorso e stavo per scrivere una cosa per un'altra.
Sto già abbozzando il prossimo capitolo e il finale della long principale è già bello che imbastito, mancano solo i punti definitivi.
Grazie comme toujour a chi ancora segue e mi lascia scritte due parole. Vi rispondo in ritardo, ma vi leggo.

Lady Aquaria

   
 
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