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Autore: Enchalott    12/02/2024    5 recensioni
Questa storia è depositata presso lo Studio Legale che mi tutela. Non consento "libere ispirazioni" e citazioni senza il mio permesso. Buona lettura a tutti! :)
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Dopo una guerra ventennale, i Salki vengono sottomessi dalla stirpe demoniaca dei Khai. Negli accordi di pace figura una clausola non trattabile: la primogenita del re sconfitto dovrà sposare uno dei principi vincitori. La prescelta è tanto terrorizzata da implorare la morte, ma la sorella minore non ne accetta l'ingiusto destino. Pertanto propone un patto insolito a Rhenn, erede al trono del regno nemico, lanciandosi in un azzardo del quale si pentirà troppo tardi.
"Nessuno stava pensando alle persone. Yozora non sapeva nulla di diplomazia o di trattative militari, le immaginava alla stregua di righe colorate e numeri su una pergamena. Era invece sicura che nessuna firma avrebbe arginato i sentimenti e le speranze di chi veniva coinvolto. Ignorarli o frustrarli non avrebbe garantito alcun equilibrio. Yozora voleva bene a sua sorella e non avrebbe consentito a nessuno di farla soffrire."
Genere: Avventura, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Illusioni
 
Rhenn si levò a sedere con un sussulto. Portò la mano al petto ma il cuore seguitò a palpitare indomo. Inalò l’aria, stordito dal ribollire del sangue.
La camera era buia, il letto vuoto: da giorni disertava il talamo coniugale, ignorando i sussurri della corte, e si rintanava nell’ala nord lontano da tutti.
Non poter condividere le emozioni lo sfinì. Rimase immobile, la testa tra la mani, uno sprazzo di luna a imbiondire la seta delle coltri. Un frammento dell’anima indugiava ancora là, tra le visioni inaccessibili dell’inconscio.
 
La principessa salki appariva spaesata nello spazio privo di contorni.
«Rhenn? Dove siamo?»
A sua volta si era guardato intorno.
«In un sogno.»
«Come fate a dirlo? Forse il creato è caduto e questo è l’aldilà.»
«Tsk, poco frequentato. O pensate che la mia compagnia equivalga alla morte?»
«Certo che no! Non capisco… ah!»
Le era sfuggita un’esclamazione all’improvvisa scomparsa degli abiti.
«Bene, abbiamo appurato che il sogno è mio» aveva sogghignato il principe.
«Siete stato voi!?»
«Vi ho immaginata nuda e… non copritevi o vi faccio sparire le braccia.»
«Siete prepotente persino qui! E non mi avete mai vista al naturale!»
«Rilevate errori?»
Yozora aveva gettato un’occhiata alle proprie forme, avvampando.
«Ricordo ogni particolare, la sfumatura della pelle, il tepore del vostro seno. Con la mente vi ho stretta centinaia di volte, è la prima in cui mi soffermo a parlare. Non me lo spiego.»
«Se vi siete stancato in sogno, forse mi lascerete in pace nella realtà!»
«Mmh, piuttosto penso abbiate qualcosa d’importante da dire o sareste già in estasi tra le mie braccia.»
«Non osate fantasticare su di me!» era trasecolata lei, le guance di porpora «Avete un chiodo fisso o una tara! Vagheggiate oscenità ma usate l’onorifico!»
«Dettagli. Però non avete… non hai torto, essere informali favorisce l’intimità.»
«Smettila, Rhenn!»
«Ti lamenti mentre adegui il livello di confidenza?»
Yozora aveva tratto un sospiro.
«Se siamo nel regno della tua inventiva, sono costretta. Perché è buio?»
Le candele avevano illanguidito l’ambiente, tappeti e drappi lo avevano arricchito, libri e fogli sparsi gli avevano dato concretezza.
«Meglio?» aveva sorriso lui «Non vedo che te, la cornice non conta.»
Un battito di ciglia e Yozora era tra le sue ginocchia, le gambe allacciate a lui.
«C-che significa?»
«Che ora farò sul serio.»
«Quello che hai detto prima!»
«Che questo mondo è lo specchio della realtà. Voglio che almeno qui tu sia mia, che questa sia la notte sponsale. Non essere l’erede al trono, così a nessuno importerà se mi unisco a te perché mi sei preziosa e non per obbligo. Voglio che tu mi desideri… sì, con quella luce nello sguardo e che non aspetti me per…»
Lei lo aveva baciato, troncandogli la parola. Si era unito al duo trasporto, finché le labbra si erano schiuse e le lingue si erano cercate, accarezzate con voluttà.
«Più avida… sono tuo, pretendi il monopolio.»
«E tu?» aveva ansato Yozora, le mani affondate tra i suoi capelli.
«Voglio comprendere cos’è ahaki, averlo, averti, darlo a te, darmi a te, per sempre. Sei il mio primo bacio, quello incancellabile.»
La commozione era brillata negli occhi di lei.
«Stavolta non provare a dimenticarlo.»
«Lo ricordo alla perfezione, è accaduto a Shamdar.»
«C-che? Non è vero, hai detto…»
«Ho mentito. In oltre due secoli è stato l’unico a contare.»
«Un Khai non pronuncia il falso» aveva citato lei, asciugandosi una lacrima.
«Io devo. Devo alterare la verità, ma non qui. Perciò stringimi fino al risveglio, in questo spazio illusorio non lasciarmi.»
Si erano guardati negli occhi, i respiri fusi, le membra allacciate nella stretta rovente. All’improvviso anche i suoi vestiti si erano volatilizzati.
«Un momento, questo non l’ho pensato!»
Il buio era calato impietoso, strappandolo all’abbraccio. Il rosso era deflagrato, il cristallo lo aveva sovrastato, le urla agghiaccianti gli avevano martoriato i timpani. L’eclissi sopra di lui, terribile, inesorabile.
 
Si era destato quando le voci avevano invocato il Signore dei Khai. Solo, frastornato, aggrappato alla pericolosa dimensione interiore che lo ingannava e lo torturava. Era non possedere nulla, nemmeno la possibilità di conquistare ciò che bramava, eppure in qualche modo sarebbe dovuto sopravvivere.
Gettò all’aria le coltri e si alzò.
 

 
Iaradh accolse l’ospite con la curiosità della volta precedente. Il mantello scuro e la pletora di contraffazioni erano tuttavia troppo elaborate, perciò non ne venne a capo. Lo accompagnò di persona, certo che avrebbe gradito la ragazza selezionata.
«Denlya mi ha riferito che non vi siete spogliato e che l’avete bendata. Sono prostrato per non aver colto appieno le vostre esigenze» mormorò spalancando l’alcova, dove una giovane salki attendeva inginocchiata «Helyora è cieca dalla nascita, non sarete costretto a privarvi di alcun tipo di piacere.»
L’uomo la squadrò in silenzio, forse accertando la veridicità dell’informazione.
«La tua fama è meritata» si complimentò.
«Per servirvi, reikan. Come richiesto, ha sperimentato l’amplesso e appreso come compiacere i Khai. Ha ricevuto particolari elogi, non solo per la bellezza.»
«Bene» lo congedò l’individuo «Sarò munifico se i fatti collimeranno.»
All’uscita del mashti, la schiava chinò il capo in segno di sottomissione.
«Quanti ti hanno avuta?» domandò l’uomo avvicinandosi in un fruscio.
«Quattro, mio signore.»
Lui le sfilò il fermaglio, sciogliendole la chioma.
«Ti hanno dato piacere?»
Helyora sapeva che alcuni erano stimolati da quel genere di racconto, ma ciò non le impedì di avvertire un forte disagio.
«Non tutti. La prima esperienza è stata dolorosa.»
«Chi mira a far male a una donna non frequenta questo serraglio.»
Era tanto vicino che il suo calore naturale la lambiva come un’aura. Dal particolare dedusse che si era denudato.
«Era impaziente e… molto virile» sollevò la mano a sfiorarlo «Non quanto voi.»
«Non toccarmi. Continua a parlare.»
Lei si ritrasse intimorita e obbedì.
«Non aveva mai posseduto una Salki, era infervorato, ha voluto entrare subito.»
«Non ha usato accorgimenti?»
«Mio signore, non possedere la vista ha acuito la mia sensibilità. Forse un’altra donna avrebbe sofferto meno.»
«Qualcuno ha usato il veleno?»
«Solo l’ultimo.»
Le dita dell’ospite si insinuarono sotto le sue vesti e le percorsero la pelle. Aveva gli artigli imprigionati nella resina d’anbar, un’accortezza che i Khai usavano per non graffiare a vuoto gli shitai stranieri. L’impedimento non ridusse la sensualità del tocco.
«Chi degli altri due ti ha trascinata al culmine della carnalità?»
«Entrambi, mio signore.»
L’uomo le squarciò gli abiti e la rovesciò sul letto.
«Il più abile?»
«I-il secondo… due volte.»
«In che modo?»
Helyora fornì i dettagli, arrossendo per le lascive descrizioni di sé. Seguendo il resoconto, lo sconosciuto la esplorò facendola gemere, prolungando il piacere con spietata perizia e valicando quello che i clienti precedenti le avevano trasmesso. Le domande erano precise, pretendeva risposte immediate e la stimolava scovando nuove sensibilità. Si contorse tra le lenzuola, anelando che la penetrasse e, quando avvenne, deflagrò in un orgasmo sfrenato.
«Hai detto due?» la voce dell’uomo suonò ironica.
Continuò a insistere, adagio, come se il vero appagamento fosse vederla in preda alla lussuria. La voce per replicare si spezzò in un’ondata di eros, mescolandolo alla paura: era una shitai del serraglio, soddisfare gli ospiti era suo compito. Se il mashti avesse ricevuto lamentele o scoperto che non vi si era dedicata con fervore, l’avrebbe punita.
«Lasciate che esaudisca le vostre brame» pregò accarezzandogli il petto.
«Non toccarmi!»
La immobilizzò con una mano, strappandole un lamento, e con l’altra continuò a tormentarla di delizia, finché non rinunciò a svolgere la mansione per cui era stata istruita.
 
Iaradh riverì il misterioso individuo con un profondo inchino, eclissando il cospicuo gruzzolo di manth tra le pieghe della tunica. A differenza dell’occasione antecedente, si era intrattenuto sino all’alba e non aveva richiesto ulteriori concubine.
Raggiunse l’alcova dove Helyora riposava sfinita: la pelle candida era colorita dal prolungato accoppiamento ma non recava tracce d’eccessi fisici. Le domandò conto della nottata con un interesse diverso da quello per gli affari.
«È stato strano, mashti, più di quanto tu mi avessi anticipato.»
«Vale a dire?»
«Pareva non gli importasse di sentire piacere, bensì di provocare il mio.»
Iaradh inarcò un sopracciglio e sedette, esaminando le lenzuola sgualcite.
«E tuttavia ti ha gradita. Suppongo si sia svagato più volte.»
«Una sola.»
«Come? Non l’avrai lasciato dormire anziché divertirlo?»
La ragazza riportò l’accaduto, impaurita dall’espressione interdetta del padrone.
«Quanto hai dato!?» sbottò questi esterrefatto.
«Tre… no, quattro… credo.»
«Non sai contare?! O ti ha stordita?»
«Nessun veleno, ma mi girava la testa, non ho più capito niente tranne la sua bocca e le sue mani su di me. Perdonami, mashti, mi ha… travolta.»
Iaradh impiegò qualche secondo a connettere e scosse la testa.
«Bah, se gli piace così» borbottò «Hai scoperto cos’ha sul polso?»
«Ci ho provato, ma mi ha fermata. Forse una mezzaluna o un semicerchio.»
«Altro?»
«Era rovente.»
«Lo siamo tutti» concluse lui con un sospiro.
 

 
A Mirai sembrò che la freccia fosse partita dal suo arco. L’incontrollabile reazione emotiva non tardò, scaricandosi sul latore della notizia.
«Se fossi stata al suo fianco, non sarebbe accaduto! Se non mi avessi costretta qui… non sai quanto ti detesto, Elefter!»
Lui si lasciò percuotere, un colpo in pieno petto che lo sbilanciò senza abbatterlo.
«Etarmah. Persino i prìncipi non l’hanno percepita, non sarebbe cambiato nulla.»
«Avrebbe trafitto me! Gli dèi ti dannino in eterno!»
Lui le bloccò i polsi con una forza tale da farla sussultare. Lo sguardo era un oceano in burrasca, non lo aveva mai scorto in quelle condizioni.
«Ti avrebbero ammessa al recinto sacro, vero?» asserì retorico.
«L’intruso non sarebbe penetrato! L’avrei scoperto, come con te!»
«Rhenn brancola nel buio, pur detenendo sistemi più sofisticati del tuo intuito. Anche i miei non ne sono venuti a capo, non è un sicario qualunque.»
Lei si divincolò con scarsi risultati e la rabbia esplose impotente.
«Hai detto che l’avresti tutelata! Sporco bugiardo! Ora biasimi la mia indignazione!?»
«Stai perdendo l’atarassia demoniaca, nisenshi
«Vai all’inferno! Non te ne importa nulla, parolaio traditore! Lasciami!»
Per tutta risposta l’hanran la rivoltò di spalle, cingendola contro di sé in una morsa.
«Cosa ti tormenta, Mirai? Aver scartato l’occasione di intervenire alle nozze, così imputi me che te l’ho offerta? O cerchi di portarmi a rinfacciartelo per trovare un’altra ragione per odiarmi? Sta bene, ma non osare ascrivermi disinteresse. Sto frenando la voglia di sventrare il santuario, lo giuro sulla Montagna! Invece devo ragionare con calma e non vorrei farlo da solo. Ho bisogno di te.»
La guardia reale smise di dibattersi. Le braccia di Elefter erano salde, protettive, non una costrizione bensì un sostegno. Aveva pizzicato un nervo scoperto: l’orgoglio che l’aveva indotta a restare nel deserto non era addossabile a lui. Non le andò giù che la comprendesse a fondo.
«Sbagli, se credi che deporrò l’ostilità perché teniamo alla stessa persona.»
«L’inimicizia non è un ostacolo per me. Siamo complementari, una risorsa reciproca. Possiamo convivere e sostenerci a vicenda.»
«Ogni volta che apri bocca mi prende la voglia di spezzarti il collo! Non sopporto i tuoi metodi, la tua faccia tosta, la tua boriosa aria di superiorità morale! L’idea di collaborare con te mi disgusta!»
«Perfetto. C’è altro?»
«Sì! Tua sorella è una testimone, che diavolo ci fai qui!?»
«Ah, ora ti riconosco» sorrise lui «Non posso entrare e uscire da Mardan come mi pare, non è prudente ora come ora. L’Ojikumaar è a caccia dell’arciere, ma se trovasse un colpevole provvisorio placherebbe le acque senza sforzi inutili. Farei al caso suo, la mia cattura allontanerebbe il clan reale dall’accusa di incompetenza o addirittura connivenza. È noto che Yozora simpatizza con i dissidenti, sciacquerebbe la reputazione del fratello e la propria, inoltre il vero mandante abbasserebbe la guardia e risulterebbe vulnerabile.»
«Un giro di parole per dire che non ti fidi di Ishwin.»
«Esatto» mormorò Elefter con amarezza.
«Perché? Teme che si scopra che non hai assassinato tu la sua ancella?»
L’hanran spalancò gli occhi in un intenso scintillio cobalto.
«Mi sorprendo che tu creda alla mia innocenza. Kan’sha
«Credo alle prove, non divagare» ringhiò Mirai «Che c’è sotto?»
«Che mia sorella abbia sgozzato un’innocente per sviare le connessioni con il sottoscritto è un’idea devastante. La ragione politica sarebbe meno greve da accettare.»
«Esiste qualcosa di peggiore di una pithya che tenta di occultare la doppiezza con l’omicidio?»
«Ishwin mi disprezza, se crepassi le farei un favore. Applicando i tuoi criteri, non è hanran né si è macchiata d’infamia. Quanto al tradimento, non guardare me.»
Mirai ripensò alla rivelazione sul rapporto con l’erede al trono e si sentì rivoltare.
«Però con un omicidio si è messa a repentaglio quando avrebbe potuto scaricare le responsabilità su di te.»
«Già, ma se rivelassi davanti a tutti che è l’amante di Rhenn, la sua testa cadrebbe prima della mia.»
«Dunque eri al santuario per eliminarla?»
«Non leverei un dito contro di lei.»
«Non ti capisco. È pericolosa per voi, ricopre un ruolo privilegiato ed è rispettata. Qualunque cosa tu affermassi, crederebbero a lei.»
«Ishwin è ambiziosa, egoista e mendace, mi sono a lungo crogiolato nell’illusione del suo affetto fraterno e riscontrare il mio errore è deprimente. Ciononostante la amo.»
Mirai lo fissò esterrefatta, non solo per l’uso del verbo proibito.
«Ahaki ti condurrà all’esecuzione con disonore! È assurdo!»
«Per Ahaki antepongo il prossimo a me stesso, anche se mi è nemico. Non uccido per salvarmi e biasimo chi agisce per egoismo» l’espressione grave di Elefter sfumò nel sorriso scaltro che ne incrementava il fascino «Ti preoccupi per me?»
«Sarò in prima fila quando il Šarkumaar ti decapiterà! Come intendi agire?»
«Porterò l’immagine del tuo rammarico alla dimore del Custode» rise lui «Non sono un guaritore, ma uno dei miei uomini era tra quelli che hanno soccorso sua altezza. Chiunque abbia perizia con l’alzhar è già all’opera. L’inattività mi irrita, tuttavia al momento la situazione esula dalle mie competenze.»
Quando aprì le braccia, Mirai si voltò a guardarlo.
«Hai degli uomini a Seera?»
«No, però Mahati è con lei. Kaniša l’ha richiamato e non si è mosso.»
«Non è un medico! Non sopporto di restare qui mentre la mia principessa si spegne! Farei qualunque cosa per aiutarla!»
«Speravo lo dicessi. Pazientare è impossibile quando il cuore scalpita, per te come per me. Parliamo di quanto sei disposta a sacrificare.»
La nisenshi avvertì una bizzarra e pericolosa affinità, che le mandò il cuore in gola. Lo afferrò per la casacca e lo scrollò con furiosa veemenza.
«Dunque c’è un piano!? La mia vita è sprecata se Yozora muore! Sono pronta a tutto, fingere di parteggiare con Ŷalda per incastrarlo! Accusare tua sorella e incorrere nel biasimo collettivo, addirittura simulare di essere una di voi!»
Il comandante hanran la misurò grave, come se nutrisse delle riserve. Mirai avvertì un artiglio gelido all’idea di restare indietro: l’urgenza di persuaderlo superò il ritegno.
Dannazione!
Lo tirò verso il basso e posò la bocca sulla sua.
Colto alla sprovvista, Kamatar si irrigidì. Poi ricambiò con passione aggiuntiva, acquisendo il controllo della situazione. Lei lo respinse con un moto di sdegno.
«Non era un invito! Se ho lo stomaco per baciare te, il resto è una bazzecola!»
Il giovane scosse il capo, tergendosi il sangue dal labbro inferiore.
«Non sei pronta.»
«Sì, invece! Se non avessi alternative, non mi tirerei indietro!»
«Lo do per certo, non era quanto intendevo.»
«Non ho tempo da perdere con i tuoi enigmi!»
L’ex reikan incrociò le braccia sul petto, fissandola con estrema durezza.
 
Rosshan gli aveva tolto la medicazione e si era illuminato.
«Sei guarito, Elefter, puoi ricominciare a usare la spada.»
Senza indugio lui aveva impugnato l’arma, gettando a terra il fodero che l’aveva custodita per mesi. La lama era scintillata come appena uscita dalla forgia.
Il vecchio aveva annuito ma non aveva snudato la sua.
«Lascia che prima ti ponga una domanda» aveva proposto con snervante serenità.
«Non me ne pentirò né domani né fra secoli» aveva anticipato lui, la voce raschiante per il forzato silenzio «Šokai lo richiede, fremo per avere la tua vita.»
«Attendere qualche secondo non diminuirà la tua soddisfazione.»
«Lo considero il tuo ultimo atto.»
«Osserva e dimmi» l’hanran aveva additato le onde impetuose che mugghiavano metri al di sotto della grotta «Sei su una barca sfasciata, in balìa dei flutti, e per raggiungere la riva devi alleggerire il carico. Hai gettato il superfluo ma non è bastato, ti trovi a dover scegliere tra tua madre e la tua sposa, in due ce la fareste.»
«Credi di mandarmi in crisi con questi giochetti? Mia moglie perpetrerebbe il sangue di mia madre attraverso mio figlio, quest’ultima invece sarebbe vissuta per la gloria dei Khai ed io ne conserverei il nome e l’insegnamento. Una risposta semplice.»
Il ribelle aveva sorriso con un cenno d’approvazione.
«Non ti resta che spiegare perché non ti sei buttato.»
«Cosa!?»
«Non eri escluso, Elefter. Hai considerato solo il tuo punto di vista e ti sei autoeletto arbitro delle altrui sorti. La tua mente è allenata e tuttavia non sei pronto.»
Lui aveva stretto le dita intorno all’elsa, acciecato dalla rabbia.
«Farmi pronunciare una sentenza di morte e scaricarmene addosso la responsabilità per sminuire il credo è lo sporco inganno di un traditore! Dimostrerò la prontezza impedendoti di inventare ulteriori sciocchezze!»
«Certo ti hanno addestrato bene e i mesi d’inattività non hanno cancellato il reikan del primo stormo: un’arma fredda, obbediente, cieca. Non sei pronto a darti per il bene altrui, qualsiasi sia il tuo concetto di generosità.»
«Sta’ zitto! Non costringermi a usare il veleno! Qual è la via d’uscita!?»
Rosshan aveva indicato lo strapiombo schiaffeggiato dai marosi.
«Nella finzione o nella contingenza c’è un tuffo. Uscire dal ventre delle miniere di Jandali comporta una trasformazione.»
«Stai mentendo! Nessuno scamperebbe al salto!»
Il ribelle aveva sollevato una mano in un muto invito e si era diretto alla sporgenza rocciosa che si affacciava sull’abisso.
«Nessun trucco» aveva affermato pacato «Non ho un vradak giù ad aspettarmi e non ti ho aiutato per vederti crepare.»
«Salta, mi godrò la tua stupidità! Troverò la strada da solo, non angustiarti!»
Il vecchio aveva sorriso enigmatico, si era genuflesso e aveva elevato un’orazione a Valarde. Poi si era incamminato lungo lo sperone di roccia, il vento teso gli aveva scompigliato la chioma color miele, il sole straniero gli aveva illuminato la pelle fregiata dai tatuaggi. Un passo dopo l’altro, senza remore e senza girarsi.
Aveva spiccato il balzo con l’energia di un uccello che brama il cielo. L’azzurro, il blu, il bianco si erano mischiati in un turbine di salino ed acqua.
Kamatar si era ritrovato a reggerlo per un polso, sbilanciato dal pericoloso dondolio e debilitato dalla lunga convalescenza. Il braccio aveva urlato pietà ma non aveva mollato la presa: era strisciato all’indietro, scorticandosi sulle sporgenze taglienti, il respiro affannato, la vista velata dallo sforzo di issare il peso inerte.
Quando Rosshan era comparso oltre l’orlo del baratro, aveva dato un ultimo strattone e aveva gridato di sollievo e rabbia.
«Dannato bastardo! Tu sei folle e mi hai reso folle! Ti ammazzo io!»
Si era ribellato al tocco dell’uomo, che gli aveva accarezzato i capelli e lo aveva stretto come qualcosa di prezioso.
«Adesso sei pronto» aveva mormorato «Ammettere di amare è più difficile dell’amore stesso. Ora non ti resta che rinascere.»
Con estremo raccapriccio, Elefter era scoppiato in un pianto disperato.
 
«Un Khai non ama!» sbottò Mirai.
«Sì che lo fa» ribatté il ribelle «Non pretendo il tuo accordo, tuttavia per assumere l’onere di una o cento vite devi metterti all’ultimo posto con consapevolezza, non sacrificarti invano. Sentire che quella è la tua strada, che il tuo cuore è laggiù. Non userò il metodi drastici del mio maestro, dunque non recare violenza a te stessa. Non baciarmi per dimostrare che puoi, fallo se è ciò che vuoi.»
«I-io volevo farlo! Un modo per avvalorare la mia disposizione d’animo!»
Elefter la osservò in silenzio, l’espressione venata di sconforto.
«Parto domani» mormorò «Se sei con me, fatti trovare pronta al primo tramonto.»
   
 
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