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Autore: crazyfred    16/02/2024    1 recensioni
Qualche mese dopo la fine dei fatti di Contro Ogni Ragionevole Previsione, ritroviamo i personaggi del clan "Albelli" (Alberici e Bonelli) nel vivo delle festività natalizie. Piccoli drammi familiari, battibecchi e tanto tanto amore per Alex e Maya alle prese con il loro primo Natale insieme.
Genere: Commedia, Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Sotto il cielo di Roma'
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A Merry Albelli Christmas - Capitolo 4


 
 
“Ti posso dare una mano?” domandò Alessandro, mentre era ancora in bagno a darsi una rinfrescata appena rientrato dal lavoro “ho bisogno di distrarmi”
“Innanzitutto togli le nostre giacche dall’attaccapanni” lo riprese Maya, urlando dalla cucina a causa della radio accesa mentre liberava la lavastoviglie in modo che né sua madre né sua suocera si accorgessero che per lei, per pigrizia, 
era diventata una credenza alternativa “e poi non essere così melodrammatico. È Capodanno, non puoi pretendere che tuo figlio a 16 anni lo passi ancora con te”
“Sta sempre col telefono, a tavola, in bagno, nel letto in piena notte…e quando mi serve non risponde?” sbottò l’uomo.
“Ti serve?” domandò, facendo una smorfia sarcastica di fronte a Giulia che guardava la tv seduta ad uno degli sgabelli dell'isola in cucina e si coprì la bocca per non ridere di suo padre. “Dico solo che vorrei sapere se è tutto ok, se è arrivato a destinazione. Le conosce le regole…ma poi abitiamo in una città così grande, c’era proprio bisogno di andarsene fuori Roma?”
Tutto quel dramma era dovuto a Edoardo, che se n’era andato con la ragazza e altri compagni di scuola a passare la notte di San Silvestro fuori porta e sarebbe tornato a casa solo il giorno dopo; gli aveva assicurato che c’erano anche i genitori della fidanzatina ma si sa come sono i ragazzini, specialmente quelli viziatelli e un po’ snob come quelli che erano nella scuola che frequentava: la bugia era sempre dietro l’angolo.
“Saresti stato più tranquillo se ti avesse detto che se ne va a ballare in un locale del centro?” tagliò corto Maya, sbucando dal telaio della porta del bagno; Alex scosse la testa, sorridendo sommessamente: come sempre, Maya aveva centrato il bersaglio in pieno. “Deve fare le sue esperienze, come le abbiamo fatte anche noi alla sua età” continuò … anche mettersi nei guai, ma questo non lo avrebbe detto ad alta voce “sta a te dargli gli strumenti per fare le scelte migliori”
“Come farei senza di te?” le domandò, avvolgendole le spalle e stampandole un lungo bacio sulla guancia, tenendola stretta stretta a sé.
“Te la caveresti benissimo, perché sei una persona intelligente”
“Ma? Non mi dire che non c’è un ma…”
“Ma siccome sei un uomo ci arriveresti molto più lentamente”
“Eccallà…” si lagnò lui mentre quella fossetta sul labbro superiore che lo faceva andare fuori di testa si arricciava sul viso della sua compagna che a differenza sua invece sogghignava soddisfatta.
“Comunque per l’aiuto, bisogna preparare gli antipasti”
Indipendentemente dalla decisione sulla convivenza, lei e Alex avevano scelto quella serata per fare le presentazioni ufficiali tra i suoi suoceri, sua madre e Ruggero ed era l’occasione perfetta per fare anche l’annuncio: tutti, manco a dirlo, avevano accettato con piacere, ma con la premessa fondamentale che avrebbero preparato una portata ciascuno; la versione ufficiale era che non volevano sovraccaricare Maya e Alex che non erano in ferie dal giornale, tuttavia Maya non poté fare a meno di sospettare che, se si fidavano delle sue doti di pasticcera, altrettanto non poteva dirsi per il resto della sua cucina. Le faceva però comodo quel piccolo favore e non disse nulla.
“Molto bene, ma prima approfitterei di quest’ultimo momento da soli prima che arrivi la ciurma per un piccolo festeggiamento … privato”
“Che hai in mente? Gradirei che la biancheria intima rossa arrivasse integra a mezzanotte” sussurrò Maya mentre l’abbraccio si faceva più stretto.
“Ma che hai capito? Sempre a quello pensi … ti ricordo che c’è Giulia di là” con quella lingua lunga che si ritrovava sua figlia, Alex convenne che non fosse il caso di portarla dai nonni prima dell’ufficializzazione della convivenza e così in quei giorni di vacanza da scuola l’aveva portata con loro in redazione, dove la bambina era una vera e propria reginetta…per non dire despota.
“Dovrebbe farti piacere…” ironizzò la donna.
“Cosa è successo un anno fa, più o meno a quest’ora?” domandò lui, sorvolando: gli faceva piacere ovviamente, ma rischiavano di non uscirne più da quella conversazione se avesse risposto.
“Ehm…mmm…oddio!” negli occhi di Maya lo stupore di chi ha ricordato di punto in bianco.
“Lo avevi dimenticato?!”
“Solo per un attimo, con tutto il daffare di questi giorni…” Alex non c’era rimasto male, era sempre comprensivo con lei perché lui per primo cadeva in fallo, ma la giovane si sentiva in dovere di recuperare comunque “non potrei dimenticare il giorno che ci siamo messi in questo casino … in questo bellissimo casino” aggiunse, notando che Alex aveva aggrottato per un attimo le sopracciglia.
Non era stato facile arrivare dov’erano ora, da quel bacio rubato e in parte respinto sotto casa, con i figli di Alex che li avevano accettati completamente, le famiglie in procinto di conoscersi e una normalissima vita di coppia sul punto di fare un piccolo ma significativo passo in avanti. Quel passo avanti era stato preceduto da diversi passi indietro, piccole incertezze, cadute, salite, momenti in cui erano entrambi quasi sul punto di rinunciare, ma ce l’avevano fatta e ora si sentivano forti e sicuri più di ogni ostacolo.
“Puoi dirlo forte…un casino bellissimo, non tornerei mai indietro” Come poteva? Avrebbe barattato la sua vita di adesso con un sepolcro imbiancato.
“Lo spero bene” ironizzò Maya interrompendo la sua risata sarcastica solo quando le labbra di Alessandro si posarono sulle sue, avvolgendola col profumo fresco e forte dell’eucalipto del sapone per il viso che aveva appena usato. Allora sì che le cose si facevano tremendamente serie.
“Ma state sempre a baciarvi voi due?!” la vocina di Giulia arrivò dal corridoio, in piedi con le mani sui fianchi di fronte alla porta del bagno “suona il campanello e io non posso rispondere”
Non era infastidita o arrabbiata, lei fin da subito aveva accettato la situazione nuova, la sua innocenza le aveva permesso di cogliere quello che agli adulti, con le convenzioni e i pregiudizi, spesso sfugge, cioè che la felicità rende tutto più sano, anche se significa che certe cose possono cambiare.
“Ops! Scusa hai ragione”
“Non lo avevamo sentito Puffetta, perdonaci, c’era la radio accesa … andiamo subito” la rassicurò il padre, prendendo in braccio la bimba che alzò gli occhi al cielo a quella scusa.
“Momento privato finito” decretò Maya in fondo al corridoio, aprendo il portone e mettendo a posto la cornetta del citofono “sono mia madre e Ruggero”
 
 
“Se me lo avessi detto prima, si faceva una telefonata alla figlia di Maria Pia e il 2 gennaio lei sarebbe stata qui a prendere le misure”
“Mamma ho già dato uno sguardo al sito dell’IKEA, ci sono tante idee carine che possiamo adattare per il momento, non preoccuparti. Devo arredare una cameretta, non rifare la casa da cima fondo” spiegò Maya a Matilde, che se ne stava sul divano a sfogliare delle riviste mentre gli altri si davano da fare ai fornelli. Lei in cucina non ci sapeva mettere mano, era risaputo e tutti si erano arresi a fare a meno di lei.
Dire a sua madre della convivenza era stata la cosa più facile del mondo, anche perché non l’aveva fatto lei: non appena lei e Ruggero avevano varcato la soglia di casa, Giulia aveva dato la notizia, senza mezzi termini, a dispetto delle raccomandazioni di non dire niente, che doveva essere una sorpresa; tutta orgogliosa, la bambina aveva persino domandato se era piaciuta la sorpresa. Più difficile era stato invece far accettare a Matilde che, vista la fretta di non restare nel residence oltre il mese di gennaio, avrebbero trovato una soluzione temporanea per i ragazzi e poi, con calma, avrebbero capito come dare loro lo spazio che meritavano, approfittando anche del soggiorno all’estero di Edoardo con la scuola. Ma la principessa Torlonia non si era trasformata in Mrs Bennet per caso: e così insisteva, punzecchiava, tartassava fino allo sfinimento, come la goccia cinese. A seconda dell’occasione, c’era sempre qualche professionista di sua conoscenza da poter chiamare, rigorosamente figlio di una delle cariatidi, che Maya era arrivata a domandarsi se non li inventasse di proposito, perché era un numero spropositato di figli per quelle 3 o 4 donne che bazzicavano regolarmente la villa.
“È così brava…vedessi che lavoro che ha fatto per la casa del Professor Montini! Altro che Ikea! Alex dille qualcosa!”
Tipico di Matilde: se Maya non stava ad ascoltarla, ricorreva ad Alex, nella speranza che il genero intercedesse per lei.
“Tranquilla Matilde, non andiamo all’IKEA…lo sai che Maya si diverte a prenderti in giro. Ma prima di fare progetti sulla casa dobbiamo viverci tutti insieme per un po’ per capire che migliorie apportare”
“Non è che ci vuole Leonardo Da Vinci per capire di cosa hanno bisogno due ragazzini con 10 anni di differenza…” commentò, sbuffando e alzandosi dalla poltrona per andare verso il giradischi; quando faceva così, era chiaro che aveva chiuso l’argomento ma senza dare agli altri la soddisfazione di avere l’ultima parola e bisognava starci. “Non mi dire …!” esclamò, tirando fuori dal mobile un vinile “hai addirittura un 33 giri della Deutsche Grammophone…Neuejahrskonzer in Wien 1991 – Wiener Philarmoniker und Claudio Abbado
Leggeva quel titolo solennemente come se fosse stata un’assidua frequentatrice del Festival di Salisburgo e fosse fluente nella lingua di Mozart, ma in realtà aveva solo brutti ricordi d’infanzia per l’estate passata in Svizzera a riprendersi da una brutta polmonite, sola e con una brutta governante dall’italiano sgangherato che la rimproverava perché non le piaceva bere il latte. In quanto alla musica classica le piaceva, ma non aveva mai approfondito gli studi oltre qualche lezione di piano dalle suore ricevuta da ragazzina. Ruggero invece era un cultore d’opera ed era l’unica ragione per cui di tanto in tanto lasciavano i Castelli per tornare a Roma.
“Appassionato anche tu?”
“Veramente no” ammise candidamente Alessandro, che non perdeva una prima all’Opera di Roma ma solo perché era uno di quegli eventi dove si va per incontrare gente e stringere mani “ma a Porta Portese ho quasi portato via un’intera bancarella che il proprietario mi ha fatto questo omaggio”
La donna mise la puntina sull’inizio del disco e lasciò partire valzer e altri balli da sala a cui invitò Giulia la quale, divertita, non si tirò di certo indietro: oltre alla scuola elementare aveva iniziato anche ad andare a scuola di danza e passava ore davanti allo specchio a ripetere le posizioni che le insegnavano alla sbarra o altre piccole coreografie, e quel diversivo era perfetto per tenerla lontana dalla tv, cosa a cui teneva tanto sua madre.
“Ruggero ma non potevi semplicemente portare un cotechino con contorno di lenticchie come fanno tutti gli esseri umani al Cenone di Capodanno?” domandò Maya mentre l’uomo era indaffarato a stendere funghi e speck su un rotolo di pasta sfoglia.
“Lo sai Maya, io o cucino a modo mio o non cucino proprio…”
Non le dispiaceva, quel cotechino travestito da filetto alla Wellington sarebbe stato certamente una prelibatezza, ma le era quasi venuto da ridere quando era arrivato a casa sua con tutti i ferri del mestiere che sembrava più un chirurgo del Gemelli che un uomo che cucina.
“La prossima volta che voglio fare una cena di lavoro ricordami di chiamarti…con un home chef in famiglia, chi me lo fa fare di andare al ristorante?!” L’uomo fu lusingato dalla battuta di Alessandro, ma mise subito un freno alle sue velleità, ricordandogli che per lui cucinare era un piacere e non un lavoro, lo faceva solo per la famiglia.
 
Una volta che la sala da ballo fu chiusa – a stare appresso a Giulia, dopo la prima polka Matilde era già col fiatone – era arrivata finalmente ora di dare una sistemata al tavolo. Maya avrebbe voluto farlo da sola, con calma, senza la Santa Inquisizione a controllare ogni sua mossa … come se non avesse imparato da lei, ma non c’era stato tempo materiale.
“Metti un runner?” domandò sua madre, nascondendo malamente lo sdegno “con tutte le belle tovaglie che ho nei cassetti”
“Nei cassetti di casa tua, che stanno bene con casa tua, non qui”
Quella era la sua casa: la casa di una giovane donna che si era trovata a ricostruire da zero la sua vita con poco e che stava iniziando a creare qualcosa con il suo compagno. Non era una casa da servizi di porcellana, tovaglie antiche e argenteria, sebbene avessero qualche mobile di modernariato e ogni tanto andavano a fare acquisti nei mercatini delle pulci. Ecco perché quella sera i suoi ospiti si sarebbero dovuti accontentare di piatti spaiati e tovagliette in rafia.
“Il mix and match è la novità di quest’anno, Matilde, parola di Roma Glam” dichiarò Alex, mentre spalmava del formaggio sui crostini “e se c’è qualcuno con cui essere tranquilli che non verrà fuori un’accozzaglia, quella persona è tua figlia”
Quando si era 
fatta avanti per organizzare il cenone di Capodanno a casa sua aveva dovuto fare per i conti con la prima esigenza di una vita non più solo di coppia, ma di famiglia; aveva bisogno di apparecchiare una tavola che non fosse per gli amici che si accontentano dei piatti usa e getta. A differenza di sua madre e sua suocera lei non aveva bisogno – né aveva spazio – per servizi che sarebbero rimasti chiusi in credenza ad eccezione di un paio di giorni l’anno, per questo si era messa alla ricerca di qualcosa che fosse adatto per il quotidiano, quando erano solo in due, ma che facesse la sua bella figura anche nelle occasioni speciali. Alla fine, quando aveva trovato quello che cercava e lei e Alex erano tornati a casa con le scatole del set aveva avuto una strana ma piacevole sensazione: era il primo passo concreto per quella convivenza che di lì a poco avrebbero sperimentato.
Lei che aveva sguazzato nelle formalità per anni, ora disponeva con soddisfazione sulla tavola i suoi piatti spaiati, e poco le importavano le occhiatacce della madre: a lei, che amava giocare con i colori, i tre colori che aveva scelto - bianco, sabbia e turchese - erano sembrati perfetti per creare contrasti e combinazioni. Lo stesso aveva fatto con i bicchieri, trovati a prezzo stracciato in un negozio che stava chiudendo i battenti; avrebbe taciuto sulle posate, che le aveva prestato la signora Rossi prima di partire per passare il Natale da sua sorella, visto che quelle che aveva adocchiato su internet non sarebbero arrivate in tempo. Più la tavola prendeva forma e più pensava che fosse una felice metafora di come era riuscita a mettere insieme tanti pezzi diversi nella sua vita, tante realtà differenti e a farle funzionare.
“Allora? Che ne dici? Mi promuovi comunque?” domandò a sua madre, una volta finito. “Mh, direi di sì, una volta accese le candele sarà più facile creare atmosfera”
Non era snob sua madre, né cattiva, ma ancora qualche volta le veniva spontaneo dare la priorità alle cose sbagliate. E sperava dunque che per quella serata avesse finito, e confidava nel suo buonsenso per non mettere a disagio Maria e Cesare, le persone più semplici e alla mano che conosceva.
“E i tuoi Alex?” domandò Ruggero.
“Stanno per arrivare” rispose l’uomo, sbirciando l’orologio al polso “conoscendo mia madre avrà cucinato più del dovuto per cena e ora mio padre starà borbottando per sistemare tutto in auto”
“Allora ho come l’impressione che tua madre e Ruggero andranno tremendamente d’accordo” ammiccò Matilde che per la prima volta si era avvicinata all’isola della cucina, ma solo per piluccare dal tagliere una fetta di salame; di contrabbando, passò una mozzarellina anche a Giulia che da dolce furbetta qual era la ringraziò con un bacio sulla guancia. E Matilde, che da quando nella sua vita erano entrati i nipoti di Ruggero non aspettava altro che diventare nonna, si sciolse in un brodo di giuggiole.
 
Alessandro in effetti era stato profetico, o semplicemente li conosceva fin troppo bene. Così come li aveva descritti, infatti, erano entrati in casa, con Cesare che borbottava per le mani quasi ustionate e altre storie sui vassoi e su quanto cibo avesse cucinato sua moglie: in sostanza, un copione d’ordinanza per i coniugi Bonelli. Maya si fece dare i cappotti e Maria, prima di entrare in soggiorno, raccomandò al marito di chiudere la bocca e calmarsi. “Non farmi fare le solite brutte figure!” lo fulminò.
“Io? E quando mai?” rispondeva puntualmente l’uomo con sua moglie che alzava gli occhi al cielo e lui, sornione, strizzava l’occhio alla sua nuora preferita che doveva impiegare tutte le sue forze per non far uscire nemmeno un risolino. Lei, del resto, voleva bene ad entrambi e voleva restare totalmente neutrale.
Maria entrò risoluta nella zona giorno, complice anche la nipotina che era accorsa sul pianerottolo appena aveva sentito il campanello suonare. Alessandro si era fatto avanti a dare una mano: non solo perché sembrava che a cena ci fosse un reggimento da quanta roba aveva portato con sé, ma soprattutto per allontanare Giulia dai nonni prima che facesse con loro lo stesso danno fatto con Matilde e Ruggero.
Il problema, però, nemmeno si poneva: Maria era talmente concentrata a spiegare a suo figlio e a sua nuora cosa aveva preparato per la cena, cosa doveva andare in forno a riscaldare e quant’altro che le presentazioni filarono via lisce in poche semplici parole, senza troppi convenevoli. Dritta al punto e senza fronzoli, come piaceva a Ruggero.
“Allora, qui c’è il primo” spiegò, scartando brevemente un angolino della teglia di alluminio usa e getta che rilasciò un’alta nuvola di vapore e un odore incredibilmente invitante.
“Ma’, ma hai fatto la lasagna? Ti avevo detto una cosa semplice…conoscendoti hai fatto pure la sfoglia in casa”
“Oh, stai tranquillo, è con le verdure, capirai che c’è voluto!” minimizzò la donna “una lasagnetta leggera leggera ci sta sempre bene a cena. E non c’è problema se avanza, tanto si riscalda! Non è vero signor Ruggero?”
“Ben detto!” E quella piccola frase per Ruggero bastava e avanzava per avere un ottimo biglietto da visita della signora che aveva di fronte.
“E poi col condimento avanzato ho fatto due polpette per l’amore bello mio che io lo so che non va tanto appresso alla carne” continuò, facendo un occhiolino alla nipotina che rispose con il dito sulla guancia; Giulia già pregustava, infatti, i manicaretti che la nonna le aveva appositamente preparato. Che poi, secondo Maya, di certo non era vero che le era avanzato il condimento, come spesso accadeva cucinava in abbondanza apposta per fare le polpette per la bimba, ma era un pensiero così dolce e così tipicamente da nonna che nessuno l’avrebbe rimproverata per quello. Nemmeno Ruggero, che si era tanto impegnato perché la cena fosse di gradimento per tutti: anche lui per i suoi nipoti faceva lo stesso, anche avvicinare i suoi piatti gourmet al fast food a stelle e strisce. E poi aveva tirato fuori anche un vassoio di crispelle, dolci e salate, una specialità del suo paese di origine che a detta sua nun me pare capodanno si nun le faccio, niente niente porta zella...
Dall’altro lato della barricata, nel salottino, la mamma di Maya stava servendo un cocktail analcolico, l’unica cosa Ruggero le lasciava fare quando si metteva lui ai fornelli. “Ora che la conosco signora Matilde capisco un sacco di cose su sua figlia” esordì Cesare, serio, con quel suo accento romano a marcare fortemente un italiano forzato “con una mamma così, Maya non poteva essere non essere altrettanto bella”
“Adulatore!” rise la donna, arrossendo garbatamente nascondendo la bocca dietro la mano, con raffinatezza “E io invece capisco da dove viene la galanteria di Alessandro”
“Signora non ci faccia caso e soprattutto non si abitui, tutte queste smancerie sono l’eccezione, non la regola” commentò Maria, fulminando il marito con un’occhiataccia eloquente. Dopo cinquant’anni insieme, era ancora gelosa marcia, ancora territoriale nei suoi confronti ma al punto giusto, senza esagerare. Un amore così Maya un po’ lo invidiava e un po’ cercava di carpirne i segreti. “Chissà perché a casa non le fai mai” continuò l’anziana, polemica “eh Cesare?”
“Che c’entra casa? Là ci sono i nipoti…ah signora Matilde, un capello bianco per ogni guaio che mi fanno passare da quando sono nati…se vuole un consiglio spassionato: i nipoti sono bellissimi, ma a sera mi creda dovrebbero tornarsene a casa loro. Alla nostra età…mia e della mia signora perché lei è giovanissima …uno c’ha bisogno un po’ di pace, mi creda”
 
“Papà?”
“Dimmi amore” Alessandro aveva trascurato un po’ la bambina con i preparativi ma tra i due forse era lui quello che se ne stava rammaricando di più: Giulia del resto, essendo la piccolina di casa, riceveva sempre tutte le attenzioni e non si sentiva mai messa da parte.
“Adesso a nonno e nonna posso dirgliela quella cosa?” Ma lo disse a voce così alta che nessuno poté far finta di ignorarla. A Cesare si rizzarono le orecchie, a maggior ragione quando uno sguardo complice passò tra sua moglie e Maya e Matilde, pur composta, ammiccava altrettanto complice.
“Che cosa me dovete dì?” scoppiò allora Cesare, ancora in piedi, poggiando il suo bicchiere sul tavolino di fronte al divano e portando le mani ai fianchi, come faceva sempre quando la sua sopportazione era al limite “Che tanto lo so che qua tutti sapete già tutto…poi avete pure il coraggio di dire che sono un impiccione. Se sono sempre l’ultimo a sapere le cose, si nun me dite mai niente, in qualche modo dovrò sapere quello che succede sotto al mio naso”
Alessandro scambiò uno sguardo di intesa con Maya: era un piccolo cenno, che ai più sarebbe passato inosservato, ma a loro bastava per dirsi che tergiversare non serviva più a niente, men che meno con Cesare che sembrava pieno di quell’attesa. Sapeva? No, ma era altamente probabile che qualcosa, a quel punto, l’avesse intuita.
“Lo sai che io vengo a vivere qui?!” dichiarò la bambina, orgogliosa.
“Che vor’ dì?” domandò il nonno, preso in contropiede.
“Giulia non è proprio così” la riprese il padre “spiegalo meglio”
Aveva detto la stessa cosa a Matilde e Ruggero, provocando la stessa, comprensibile, reazione; anche se la notizia non era propriamente corretta, l’unica cosa che alla bambina interessava di tutta quella storia era la conseguenza che avrebbe avuto su di lei. Le piaceva andare dove aveva vissuto il suo papà fino a quel momento, con le colazioni al bar e quell’aria da vacanza in città, ma le piaceva di più quella nuova idea che Maya e il suo papà avevano avuto: odiava dover andare via quando andavano a trovarla.
“Sì cocchetta, spiegalo meglio a nonno tuo…” la incalzò Cesare.
“Papà ha detto che viene ad abitare qui da Maya e quindi ci vengo pure io”
“Quando…” il padre la incoraggiò ad essere più precisa.
“Quando devo stare con papà…sì vabbeh” commentò Giulia, con il suo solito temperamento, come se quella precisazione che il padre le stava chiedendo di fare fosse ovvia e inutile e non interessasse a nessuno, in particolare a lei. Mancavano solo gli occhi al cielo per la seccatura.
“Ce l’ha fatta!” sentenziò l’uomo spalancando le braccia, aggirando completamente il figlio e rivolgendosi direttamente a Maya che gongolava, annuendo “mi chiedevo quanto ancora avrebbe aspettato…tra quella lì e i giudici arrivano prima i 18 anni di Giulia che il divorzio me sa…”
“Io sarei qui, papà, eh…buonasera”
“Almeno gliel’hai regalato un anellino a sta poverina?”
“Poverina? Maya, per piacere, almeno tu difendi quel po’ di reputazione che mi è rimasta…”
Ma prima della sua compagna ci pensò sua madre “Anellino? Ah Cè…” ma poi continuò bisbigliando all’orecchio del marito, facendogli notare l’anulare, dove la fedina di brillanti faceva bella mostra.
“Tu lo sapevi?” domandò indignato a sua moglie.
“Una madre sa anche quando non sa” chiosò, diplomatica “vero signora Matilde?”
“Ben detto!” confermò la madre di Maya, alzando il suo bicchiere con l’aperitivo.
Si unirono tutti al suo brindisi ma senza discorsi o manifestazioni plateali che non erano da loro e poi, without further ado, si spostarono a tavola per iniziare la cena, perché la convivialità, che entrambi avevano messo da parte a lungo, era diventata ora la parte più importante della loro vita, anche di quella di coppia. Loro, che per troppo tempo avevano avuto agende piene ma vite vuote, ora erano avidi di compagnia, di quella buona con cui puoi stare anche in silenzio e sentire di aver passato una serata indimenticabile, non di quelle messe su per forza, che si affannano a fare perché non condividono nulla in realtà.
 
“Allora, sei contento che divento tuo inquilino?”
“Mio che?” non è che Cesare non avesse capito cosa il figlio intendesse, è che sulla terrazza, con i fuochi d’artificio che dirompevano in cielo in mille colori e tuoni, si faceva davvero fatica a sentirsi pur a pochi centimetri di distanza. Alessandro ripeté la domanda, avvicinandosi all’orecchio del padre e alzando il volume della voce più che poteva…quasi non sentiva sé stesso. Il padre sorrise, sornione, senza guardare suo figlio ma rivolgendo il suo sguardo davanti a sé, in fondo al terrazzo, dove Maya e Giulia stavano con Matilde a guardare i botti, appoggiate al parapetto della terrazza, puntando ad ogni nuovo sparo in una direzione diversa.
Era soddisfatto, Cesare, che suo figlio fosse tornato in sé; forse tornato era la parola sbagliata, perché a lui per primo non interessava una marcia indietro. Sta di fatto che nell’uomo fatto e finito che stava di fianco a lui, alto e fiero, professionista di successo, padre attento, premuroso e rigoroso al punto giusto, Cesare rivedeva dopo tanti anni suo figlio, la versione cresciuta del ragazzetto di borgata che sfrecciava col suo motorino sotto casa: ora non faceva più le impennate col suo Piaggio senza casco, aveva due figli, un’azienda da mandare avanti, ma negli occhi quella stessa luce di allora e Cesare non lo aveva visto così per troppo tempo.
“Sei mio figlio, sei mio ospite, non inquilino…già mal digerivo che Maya pagasse l’affitto”
“Non se ne parla pà, i patti sono patti e lo sappiamo tutti e due a cosa ti servono questi soldi” Valerio non aveva voluto continuare gli studi, ma Daniele era ben determinato ad andare all’università e Anna, da sola, non poteva farcela.
“Siete uguali per me e mamma”
“La vostra parte con me l’avete fatta quando studiavo, non c’è bisogno che facciate ancora sacrifici inutili” Anche perché in un certo senso glieli aveva già imposti quando avevano cambiato casa, quando li aveva supplicati di non vendere quell’appartamento di Testaccio e per dare la caparra sulla casa alla Garbatella avevano dato fondo ai loro risparmi. “Altrimenti me la compro e tagliamo la testa al toro” Era un’idea che ronzava per la testa di Alessandro da un po’, che avrebbe risollevato i suoi e sua sorella, ma era ancora presto per fare progetti concreti, prima doveva sistemare tutti gli aspetti materiali del divorzio.
“Ecco, in questo non sei cambiato per niente” commentò suo padre.
“In cosa?”
“Niente … lascia stare, fisime mie”
Non era cambiato in questo, ma del resto come avrebbe potuto? Non gliele faceva una colpa, ma lui che era stato solo un operaio era costantemente stupito da quanto facilmente suo figlio potesse parlare di soldi con tanta leggerezza di comprare e vendere, spendere e spandere senza che fosse mai un problema. Ma in fondo, da padre, aveva sempre voluto il meglio per suo figlio e ora poteva toccare davvero con mano, con immenso orgoglio, tutto il meglio che suo figlio aveva ottenuto – sudando e faticando – dalla vita.
 
Erano le 2, forse anche più tardi. Gli ospiti erano andati via quasi controvoglia, trattenuti dalla piacevole compagnia. Ruggero, Maya lo sapeva bene, era un abile anfitrione e sapeva mettere a suo agio chiunque, persino Maria e Cesare che erano sempre molto diffidenti e riflessivi quando si trattava di conoscere qualcuno per la prima volta. Rimasti soli, lei ed Alessandro misero in ordine la zona giorno ma senza affannarsi troppo, ci avrebbero pensato meglio con la luce del sole e riposati al mattino o, perché no, anche al pomeriggio … il primo dell'anno potevano permettersi di non pensare alla sveglia.
“Giulia” sussurrò Alex, accucciandosi davanti al divano dove sua figlia, stremata dalle ore piccole, era crollata dal sonno “è ora di andare a casa Puffetta, è tardi”
“Voglio dormire” lagnò la piccola, stropicciando gli occhi e stiracchiandosi.
“Lo so, per questo andiamo a casa...dai papino!”
L'uomo si rialzò, lasciando alla bambina il tempo necessario di riconnettersi con il mondo circostante. Andò verso Maya, che appoggiata allo stipite dell'ingresso del soggiorno, lo guardava trasognata tenendo in mano le loro giacche.
“Non vedo l’ora che arrivi il giorno in cui non dovrò più darti la buonanotte al telefono” ammise l'uomo, prendendo il giaccone della compagna ed indossandolo “e invece lo farò guardandoti negli occhi e baciandoti”
Liberò il collo della donna dai capelli che ormai scendevano liberi ben oltre le spalle e con la sua mano fece gradita incursione fino alla nuca, accarezzando con il pollice la guancia. Senza nemmeno doversi chinare troppo, Alex eliminò la distanza tra sé e Maya poggiando le labbra sulle sue.
“Ma lo fai già...e molto spesso” fece notare la giovane, sorniona. La casa era in penombra, ma non serviva la luce per capire che ancora, dopo un anno, quei gesti la mandavano su di giri. Con la mano sul suo collo, Alex sentiva la giugulare pulsare veloce.
“Sai cosa voglio dire…”
“Sì, lo so” confermò Maya, abbassando lo sguardo; no, non era timidezza: era sottile seduzione. “E anche io non vedo l’ora” riprese “a tal proposito…perché non restate qui?”
“Restare qui?”
“Ma sì, il letto è grande e poi quanto spazio può occupare questo scricciolo?”
“Non lo so...certo l'offerta è allettante, ma non voglio farla dormire vestita e non abbiamo nemmeno un cambio per domani”
“Mmm...forse hai ragio- no aspetta un attimo, c'è quella tuta che ha sporcato qualche settimana fa e non ti avevo ridato”
Era una tuta felpata di Peppa Pig, gliel'avevano regalata i nonni materni ma lei la odiava perché diceva – giustamente – che era troppo grande per Peppa Pig e poi sembrava davvero un pigiama. Finiva per metterla solo quando era in casa per tutto il giorno e faceva sempre di tutto per sporcarla così da disfarsene il più velocemente possibile. Poi domani tornate a casa e le fai una bella doccia...non le vengono i pidocchi per una notte”
Alex rise al pensiero di Claudia che non avrebbe mai approvato, precisina com'era, un tale fuori programma: ma Claudia non c'era.
“Andiamo papà?!” Giulia si avvicinò al padre, appoggiandosi a lui di peso come fosse una colonna: in piedi sì, ma ancora assonnatissima: Alex la prese in braccio e la piccola – che non era poi più così piccola, subito sì accucciò sulla spalla del padre e meccanicamente chiuse gli occhi.
“Che dici Puffetta” domandò il padre, bisbigliandole all'orecchio “restiamo qui questa notte a dormire?”
“Con Maya?”
“Sì”
“Nel lettone?” Alex annuì, mentre attento scrutava il viso della bambina: era fondamentale per lui capire – anche se non era difficile da prevedere – la reazione della piccola di casa.
“Ok” rispose telegrafica, con somma sorpresa di tutti: il sonno evidentemente era più forte del suo affetto per la sua amica grande; “però” aggiunse, dopo un lungo sbadiglio “dormi te al centro”
“Io al centro? Va benissimo, ci dormo molto volentieri in mezzo alle mie donne”
   
 
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