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Autore: Felixia    18/02/2024    0 recensioni
Il cielo limpido e blu di Novyi Zem, il sole caldo che illuminava i campi di jurda e un ragazzo Zemeni dal sorriso spavaldo che si divertiva a scolorirne i petali con il solo tocco delle sue dita. Se si concentrava abbastanza poteva ancora riportare alla mente l'esatta gradazione di grigio dei suoi occhi. Wylan non potè fare a meno di sorridere a sua volta ricordando quel ghigno soddisfatto che gli vedeva stampato in faccia ogni volta che lo stupiva con i suoi poteri. Aveva pensato spesso a lui, a come quel ragazzo, sempre in movimento, sempre sorridente, fosse un po’ come la jurda con cui giocava: dall’aspetto splendido, come il suo fiore arancione, e dall’incontenibile energia, come la sostanza eccitante che nei fatti la jurda era.
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Jan Van Eck, quando si rende conto che suo figlio non sa leggere, lo allontana da Ketterdam per non far scoprire a nessuno la sua incapacità. Wylan cresce quindi a Novyi Zem dove diventa amico di Jesper, almeno finché i due non vengono separati dal destino per poi ritrovarsi, 10 anni dopo, di nuovo insieme, tra i Corvi.
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Avvertimento: storia Wesper centrica.
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Inej Ghafa, Jesper Fahey, Kaz Brekker, Wylan Van Eck
Note: AU, What if? | Avvertimenti: Spoiler!, Tematiche delicate
Capitoli:
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Il cervello di Jesper non trovava un attimo di pace. Sentiva il petto pesante e gli rimbombavano in testa parole su parole che si accavallavano le une sulle altre. Non era più sicuro di riuscire a distinguere tra i suoi pensieri e tutto ciò che aveva ascoltato nell’ultima ora. Riascoltava a ripetizione la voce sprezzante di Kaz che gli stava facendo patire così tanto il suo errore, come se non fosse già doloroso per lui pensare di essere la causa della ferita che aveva quasi fatto fuori la sua migliore amica. Si aggirava per la suite dell’hotel e percepiva ancora sulle nocche il bruciore dei cazzotti che si erano schiantati tra le costole di Manisporche poco prima. E anche se, a dirla tutta, se le era meritate tutte quelle botte, Jesper continuava a vedersi davanti agli occhi lo spavento di Wylan, la delusione di suo padre e il compatimento di Inej. Si vergognava così tanto di aver permesso che il peggio di lui uscisse davanti alle persone migliori che conosceva.
Perché suo padre aveva già sofferto la perdita e non era giusto che avesse un figlio che lo avrebbe presto fatto finire in mezzo a un strada. Perché sua madre aveva dato la vita per il bene degli altri e adesso il suo coniglietto disonorava così il suo ricordo, rischiando di abbandonare la sua tomba per debiti di gioco. Perché Inej ne aveva già passate tante e aveva lottato così duramente per rimanere a galla in quel mare di guai che era Ketterdam, non meritava affatto un amico con un'ossessione per il gioco d’azzardo che la metteva in pericolo. Perché Kaz era un bastardo, ma in tutti quegli anni non gli aveva mai voltato le spalle, nonostante tutti i suoi difetti. Perché Nina aveva messo sempre prima il bene degli altri e aveva avuto il coraggio di somministrarsi un veleno come la parem quando lui non ci sarebbe mai riuscito. Perché Matthias era così onorevole e sincero da riuscire a cambiare idea e trasformare l’odio in amore, mentre lui era così spaventato dall’affezionarsi a qualcuno che aveva vissuto una vita di superficialità per paura di essere ancora una volta abbandonato. Perché Wylan poteva scappare quel giorno al porto, prendere quella nave e lasciarsi indietro la vita orribile che suo padre gli aveva dato, ma era tornato indietro e gli era rimasto vicino quando ne aveva più bisogno.
Forse Inej aveva ragione e Jesper aveva davvero qualcosa di rotto dentro. C’era in lui qualcosa da riparare e la stava ignorando da troppo tempo. Ora era arrivato a un punto tale che gli ingranaggi non ruotavano più su loro stessi, il meccanismo aveva iniziato a fare fumo e scintille e presto sarebbe scoppiato se Jesper non avesse fatto niente.
Eppure in quel momento ogni molecola del suo corpo lo stava pregando di fuggire, uscire in cerca del primo club e sedersi a un tavolo a perdere quel poco che gli rimaneva di denaro e dignità.

Ai suoi passi cadenzati e ai pensieri affollati nella sua testa iniziarono ad alternarsi delle note. Voltò la testa in direzione del suono. Doveva essere il pianoforte che aveva visto nel salottino in fondo al corridoio. Le sue gambe cambiarono direzione prima che la sua mente potesse allinearsi con i suoi movimenti, quando si trovò sulla porta lo vide seduto, con espressione annoiata, intento a sbattere svogliatamente l’indice contro lo stesso tasto.
«Mi piace. Ha un buon ritmo… ci puoi ballare sopra.» scherzò Jesper, Wylan si voltò e lo accolse con un sorrisetto. Jesper camminava per la stanza facendo scorrere gli occhi su tutto quello che lo circondava, dalla carta da parati viola, alle navi in vetro soffiato che lo osservavano dall’armadietto. «Mi fai sentire la mia canzone?» gli chiese avvicinandosi a lui.
Wylan rimase in silenzio e abbassò lo sguardo sulla tastiera, come se si stesse chiedendo cosa fare.
«Che c’è? Ti vergogni?» gli diede una gomitata scherzosa e si sedette al suo fianco sullo sgabello. «Giuro sul mio cappello preferito che non ti prenderò in giro.» Jesper si fece una croce sul petto e una sul cappello, in attesa di sentire la risata limpida di Wylan.
Ma Wylan continuava a non dire nulla e per quanto Jesper cercasse il suo sguardo per capire cosa gli stesse frullando per la testa, i suoi occhi ambrati rimanevano bassi. Solo quando guardò la tastiera e le mani che ci stavano appoggiate sopra capì.
«Kuwei!» Jesper si alzò di scatto imbarazzato per il suo errore. Le dita di Wylan erano più lunghe, sul dorso delle mani aveva qualche lentiggine sparsa e adesso che lo guardava da vicino si era accorto della mancanza del neo sulla nuca che lo aveva sempre aiutato a distinguerli. «Scusa, io…» Non sapeva bene cosa dire, si rese conto solo in quel momento che desiderava così tanto stare con Wylan da seguire il suono del pianoforte fino a lì e dare per scontato di trovarlo lì.
Kuwei per un attimo sembrò ferito poi immediatamente infastidito. Si mise in piedi di fronte a lui e iniziò a dire con veemenza: «Cosa ha lui che io non ho? Abbiamo la stessa faccia, perché tu guardi sempre lui?» Jesper rimase immobile, spiazzato dalla sua reazione così accesa, mentre il ragazzino Shu gli picchiettava l’indice sul petto e lo rimproverava con tono scocciato. «Tu sei Grisha, io sono Grisha. Questo non è posto tuo, lui non è persona per te. Ma tu continui sempre e solo a guardare lui e io sono stufo. Io merito qualcuno che guarda me e tu sei troppo stupido per-»
Kuwei si era talmente scaldato che le sue dita si erano surriscaldate, ma nessuno dei due se ne accorse finché il gilet color senape di Jesper non prese fuoco. «Per tutti i Santi!» esclamò Jesper e saltò dallo spavento, mentre Kuwei fece istintivamente un passo indietro, finendo così per inciampare nella panca del pianoforte e scontrarsi sulla tastiera. Nel giro di un istante però Kuwei si riprese dalla sorpresa, afferrò Jesper per il colletto per tirarlo a sé e con un tocco rapido della mano spense la fiamma.
In quell’esatto istante sulla soglia della porta comparve il vero Wylan che li guardò con un’espressione di dolore e rabbia. Jesper abbassò lo sguardo su Kuwei ancora aggrappato al suo petto e fu evidente anche per lui come doveva apparire quella scena ad un osservatore esterno.
«Oh, per tutti i Santi…» sospirò esausto e cercò di risistemarsi i vestiti sgualciti.
«Scusate se vi ho interrotto» commentò con tono acido.
«Wy…» tentò di spiegare Jesper.
«Kaz ci vuole in salotto» lo interruppe e subito si dileguò, senza dargli altra occasione di parlare.
Jesper teneva gli occhi fissi sul punto in cui Wylan era appena sparito, quando la voce di Kuwei, ancora sotto di lui, disse: «Meglio così. Tu sei Grisha lui non va bene per te.»
«Ah, sì? E chi va bene per me? Chi lo decide?» Jesper gli si rivolse con un tono talmente ostile che per un attimo non si riconobbe, ma aveva perso anche l’ultima briciola di pazienza che gli era rimasta. «Sono stanco di sentirmi dire cosa fare o non fare solo perché sono nato così, non l’ho chiesto io di essere un Grisha e non mi farò più dire da nessuno come essere me stesso.»
Con movimenti nervosi e scattanti lasciò la stanza e Kuwei alle sue spalle, l’odore di stoffa bruciata nelle narici non faceva che aumentare tutta la rabbia che gli diceva di andare avanti. Mentre camminava verso il salotto dove il resto del gruppo si era già riunito, si fermò un istante davanti a un divanetto dai motivi floreali. Strinse forte le dita sul bracciolo e i filamenti del tessuto obbedirono alla sua volontà sfilandosi docilmente dal resto della tappezzeria. Poi prese tra le dita la porzione di gilet distrutta e, concentrando tutta la mente sui filamenti bruciati dei suoi vestiti e quelli integri del divano, creò un piccola toppa con quello che era riuscito a ricostruire e ne adattò il colore come meglio poteva per farlo coincidere con l’originale. Lì vicino c’era uno specchio, si osservò soddisfatto del suo lavoro e cercò di ignorare la profonda stanchezza che si intravedeva sotto i suoi occhi grigi.
«Se domani devo morire, che almeno sia vestito bene.» mormorò tra sé e sé prima di raggiungere gli altri.

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Jesper non sapeva bene dove guardare, i suoi occhi scattavano convulsamente da Kaz, che spiegava il piano dell’asta, a Wylan, che ce la stava mettendo tutta per ignorarlo, e poi a suo padre, che sembrava così sbagliato in mezzo a quella banda di avanzi del Barile e scappati di casa.
Cercò di prestare tutta la sua attenzione ai passaggi, se qualcosa fosse andato storto, questa volta non ci sarebbero state seconde occasioni. Rimasero intere ore nel salottino, Kaz con l’aria distrutta dalla stanchezza se ne stava seduto in poltrona, con la gamba malconcia stesa sul tavolinetto, continuava a dare risposte per i loro dubbi più disparati. Ma per quanto Manisporche trovasse sempre una soluzione a qualsiasi probabile problema gli mettessero davanti, Jesper non si sentiva affatto rassicurato. Parte del piano era usare suo padre come esca, affidargli un ruolo da interpretare e pregare che nessuno si rendesse conto che quello era solo Colm Fahey, non Johannus Rietveld, il proprietario terriero arrivato a Ketterdam per affari. Ognuno aveva la sua parte di responsabilità per fare in modo che tutto filasse liscio: Matthias e Kaz avrebbero accompagnato Kuwei, quel piccoletto sarebbe stato il premio messo in bella vista per tutti gli schifosi che sbavavano all’idea di comprare un ragazzino da sfruttare come uno schiavo; Nina si sarebbe occupata di mettere in salvo i Grisha e di creargli una via di fuga con una bella dose di panico per una nuova pandemia; Inej avrebbe tenuto a bada la sua rivale sanguinaria; Jesper avrebbe dovuto fare ciò che sapeva fare meglio, cioè sparare e Wylan aveva assolutamente bisogno della sua vecchia faccia o niente avrebbe avuto senso.
«Kaz, un’ultima cosa.» Era calato il silenzio da qualche istante, finalmente le domande sembravano finite, ma il mercantuccio doveva essersi rigirato in testa per talmente tanto tempo quello che voleva dire che neanche l’occhiataccia sfinita di Kaz lo trattenne dal parlare.
«Che c’è ancora?» sospirò rassegnato mentre si stropicciava gli occhi.
«La professoressa Levi.» Wylan deglutì a disagio. «Lei non sa dei Kherguud.»
«La avvertiranno gli altri Grisha, in città ci conosciamo tutti tra di noi.» intervenne Nina per rassicurarlo.
«No, non capisci. Nessuno sa che è una Grisha, non credo che sia in contatto con nessuno. Si nasconde bene, ma non può farlo per sempre, gli Shu la troveranno.» Jesper sentì come se quelle parole fossero per lui. La loro situazione non era poi tanto diversa, per quanto ancora avrebbe potuto vivere in quel mondo che lo voleva così tanto morto? Ricordò gli occhi del soldato, il peso del suo corpo addosso, il panico di essere sicuro di non farcela quella volta.
«Se è così brava, troverà un modo.» Kaz non aveva alcuna intenzione di aggiungere un ulteriore rischio al piano già così complicato, era evidente.
«Lei è sola contro chissà quanti di quei soldati invincibili, Kaz.» Lo rimbeccò Nina con aria minacciosa.
«Se l’è cavata finora, non ha bisogno di qualche ratto del Barile per salvarla. Non è una damigella in difficoltà, è una Grisha potente.»
«Non ci posso credere, tu sei sempre-» Nina si era alzata dal divanetto con espressione indignata. Matthias la trattenne per una manica, ma lei non prestò attenzione al suo tocco.
«Nina, smettila.» Il tono perentorio di Wylan li sorprese abbastanza da creare una bolla di silenzio nella stanza. «Non è così che devi parlare a Kaz. Lui non ci arriva, non può capire.»
Gli occhi di Manisporche si fecero una fessura minacciosa e le sue mani si strinsero pericolosamente intorno alla testa di corvo argentea del suo bastone. «Mercantuccio, so che a breve ti farai sistemare la faccia. Ma credi che sia il caso di fartela riempire di botte proprio adesso?»
«Kaz…» lo richiamò Inej. Non era intervenuta fino a quel momento, i suoi occhi scattarono su Jesper preoccupati e lui si sentì ancora una volta colpevole. Le avevano già fatto sopportare una rissa inutile, quei litigi non facevano altro che rovinare il poco equilibrio che avevano ristabilito.
Wylan strinse i pugni tenendo lo sguardo alto. «Kaz non può capire perché questa non è la sua lingua. Lui comprende solo una cosa: il profitto. E io ho uno scambio conveniente da offrirgli.»
Le sopracciglia aggrottate del bastardo del Barile si alzarono appena tradendo il suo interesse. Studiò il mercantuccio con i suoi occhi gelidi prima di alzarsi e dirgli: «Seguimi finché ho ancora pazienza di ascoltare.»
Senza aggiungere una parola uscirono dalla stanza, Kaz a lunghi passi cadenzati dal tocco del bastone e Wylan affrettandosi il più possibile con aria nervosa.

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Kaz era appena tornato dal suo incontro con gli Scarti e, per quanto le cose dovevano essere andate bene, i segni sulla sua faccia dicevano che non era stata una negoziazione semplice. Non avevano però tempo da perdere, la delegazione Ravkiana aspettava alla terme dell’hotel e Kaz non aveva alcuna intenzione di fermarsi a riposare, era pronto alla sua nuova trattativa. Jesper si guardò attorno alla ricerca di Wylan e non appena lo vide lo seguì lungo il corridoio, in direzione del montacarichi che li avrebbe portati all’incontro.
«Ehi.» cercò di chiamarlo, ma Wylan accelerò il passo ignorandolo. Non che per Jesper facesse differenza, nel giro di qualche falcata lo aveva superato quanto bastava per bloccargli la strada e impedirgli di evitarlo ancora. «Ascolta, quello che hai visto… Non è successo niente con Kuwei.»
«Non mi devi nessuna spiegazione. Puoi fare quello che vuoi con chi vuoi.» gli rispose ostile, con gli occhi ambrati guardava oltre le sue spalle una via di fuga.
«Aspetta, Wy. Non ho fatto niente con nessuno. C’è stato un fraintendimento.» A quelle parole, Wylan finalmente incrociò il suo sguardo, in attesa che continuasse. «Kuwei era seduto al pianoforte, pensavo fossi tu-»
«Davvero non riesci a distinguerci?» Lo interruppe indignato. «Noi due siamo cresciuti insieme e poi Kuwei ed io non ci assomigliamo per niente! Lui non è neanche così bravo con le formule! Metà dei suoi taccuini sono pieni di scarabocchi. Per lo più di te. E anche quelli non sono un granché!»
«Davvero? Scarabocchi di me?» chiese Jesper preso alla sprovvista, ma quando Wylan roteò gli occhi scocciato si rese conto che lo stava perdendo. «No, scusa. Non è importante. Quello che volevo dire è che so cosa poteva sembrare, ma ti giuro che non c’è stato niente. Non appena mi sono accorto che non eri tu, io… Insomma, io non so esattamente cosa volessi fare, ti stavo cercando e quando ho visto Kuwei al pianoforte…» Solo in quel momento Jesper si era soffermato a pensare a cosa avrebbe fatto se seduto su quello sgabello ci avesse trovato Wylan. Le parole non gli uscivano, gli occhi gli si piantarono sulla bocca di Wylan che lo osservava perplesso e a quel punto capì quello che davvero voleva e da quanto tempo lo aveva desiderato. Era improvvisamente tornato il ragazzino che segretamente sognava di baciare il suo migliore amico. O forse non aveva mai smesso di esserlo, semplicemente aveva zittito quel fremito che sentiva dentro ogni volta che pensava a lui.
«Jes, lasciamo perdere.» Jesper era rimasto talmente frastornato, da non riuscire a colmare il silenzio e Wylan aveva interrotto i suoi pensieri. «Quello che fai non mi riguarda. Era solo questo che volevi dirmi?»
«No, volevo darti questo.» Frugò nella giacca alla ricerca della piccola tela dipinta. «L’ho presa quando eravamo a Saint Hilde. Ho pensato che sarebbe tornata utile da Genya per farti tornare a essere il vecchio mercantuccio.»
«L’ha dipinto mia madre?» Gli occhi di Wylan brillarono, prese il dipinto con una delicatezza così misurata e rispettosa di quel piccolo oggetto.
«Era in quella stanza piena di quadri suoi.»
«È come mi ricorda. Non ha potuto vedermi crescere.» Lo studiò da più vicino e anche Jesper allungò il collo per osservare le minuscole tracce di pittura che componevano quel piccolo viso. «È così vecchio. Non so se sarà utile.»
«Sei ancora tu» Jesper accarezzò con l’indice l’immagine. «Gli stessi riccioli. La stessa piccola fossetta preoccupata tra le sopracciglia.»
«E tu l’hai preso perché hai pensato che potesse tornare utile?» Wylan finalmente alzò lo sguardo per rivolgergli un’occhiata confusa.
«Te l’ho detto, mi piace la tua stupida faccia.» Jespere sorrise nel vedere le guance di Wylan arrossire come al solito. «E poi qui sei esattamente come ti ricordavo. Un piccoletto tutto lentiggini e buone maniere. Ti facevano sempre indossare quei completini che sembravi un gran mercante in scala ridotta.» La soddisfazione fu ancora più grande quando lo sentì ridere.
«Grazie, Jes.» Il tono di Wylan, il modo dolce in cui lo guardava confermarono ancora di più quello che Jesper non poteva più fare a meno di pensare: “Voglio baciarlo.”
«Non c’è di che.» Jesper esitò. «Se sei diretto alle terme, potrei venire con te. Se vuoi.» Wylan annuì ansiosamente. «Mi piacerebbe.»

Fu sicuramente rassicurante che l’incontro con i Grisha di Ravka non si fosse rivelato una trappola, ma modificare la faccia del mercantuccio prese diverse ore. Dopo un iniziale interesse per le grandi abilità di Genya, il temperamento tempestoso di Zoya e il carisma strepitoso di Sturmhound, Jesper aveva iniziato ad annoiarsi.
Il tempo passò tra le modifiche e i suggerimenti, ogni tanto Jesper era intervenuto consigliando di allungare le ciglia o di restringere la fronte, facendo arrossire Wylan con tutte quelle attenzioni. Ovviamente quella testolina curiosa che si ritrovava il mercantuccio non poteva farsi sfuggire l’occasione di fare domande sui Grisha. Jesper non si sentiva a suo agio e iniziò a vagare per la stanza fingendo di ignorare i racconti di Genya sulla vita a Ravka, su come i Grisha venivano istruiti a controllare i loro poteri e come questi fossero un dono e non una maledizione. Detestava ammetterlo anche solo a se stesso, ma non poté fare a meno di immaginare quel tipo di vita che se solo non fosse stato così codardo avrebbe potuto avere. Ma poi Wylan ammise di non saper leggere e Jesper si bloccò. Non riusciva a capacitarsi di come si fosse fidato così tanto da mostrare la sua più grande debolezza a una completa sconosciuta che avrebbe potuto usare la sua fragilità contro di lui. Amava il modo in cui Wylan vedeva il mondo, sempre con una lente di gentilezza. Ma certi segreti potevano uccidere e la vita glielo aveva dimostrato talmente tante volte solo nelle ultime settimane.
L’odore dell’argilla era forte e Jesper decise di prendersi una pausa da quella agonia, con la scusa di preparare del tè per tutti si allontanò dalle terme e quando tornò per un soffio non fece cadere le tazzine quando vide Wylan seduto nell’ultima ora del pomeriggio con l’aspetto del suo Wy. Gli tornò in mente la fiaba del principe solitario e sperduto, quella che associava a Wylan fin da quando erano bambini. Dopo quel tuffo nel passato gli ci volle qualche istante per tornare al presente.
Per tutto il tragitto sul montacarichi che li riportò alla suite, Jesper continuò a gettare sguardi furtivi a Wylan. Era stanco e affamato, ma sentiva una strana energia in corpo. Erano settimane ormai dal loro primo incontro nel laboratorio, eppure adesso il solo averlo vicino aumentava il ritmo dei suoi battiti, si sentiva tornato un adolescente insicuro e confuso.
Lo scoppio di un fuoco d’artificio in lontananza catturò la loro attenzione, Jesper si avvicinò alla finestra e subito Wylan lo raggiunse. Le scie colorate brillavano nel cielo ormai scuro degli Stave, era facile per lui immaginare il fermento che c’era al Barile in quel momento, in fondo ne era stato parte lui stesso innumerevoli volte. Un nuovo botto esplose, la luce del fuoco d’artificio si riflesse sugli occhi chiari di Wylan. Gli era davvero mancata quella sfumatura limpida, un cielo estivo a Novyi Zem rinchiuso in uno sguardo.
«Ti sei fatto fare più carino?» La domanda scappò dai suoi pensieri più privati senza nessun controllo.
«Forse ti eri scordato quanto sono bello.» Wylan arrossì, era chiaramente imbarazzato ma lo guardava comunque con un piccolo sorriso stampato in volto. «Non sarebbe la prima volta, dimentichi abbastanza facilmente le facce.»
Jesper rise alla sua frecciatina. «Quante volte ti devo dire che ho altri pregi?»
Wylan era tornato a godersi lo spettacolo dei fuochi che continuavano a dipingere il cielo notturno, ma Jesper aveva già perso interesse. L’unica cosa che riusciva a guardare era il riflesso di Wy nel vetro della finestra, se si fosse concentrato abbastanza forse avrebbe potuto distinguere le lentiggini che finalmente erano tornate a colorargli il naso e gli zigomi.
«Lo so che stavi facendo prima.» Jesper parlò mentre gli spari continuavano alle sue spalle. «Non c’era bisogno di confidarle che non sai leggere, è una cosa tua e non devi dirla a gente a caso solo per convincermi che non c’è niente di male a mostrare le proprie debolezze.»
Wylan lo guardò severo. «Debolezze? Pensi che essere un Durast sia una debolezza?» chiese con le sopracciglia castane corrucciate. «Jes, io proprio non ci arrivo. Ho trascorso tutta la mia vita a tenere nascoste le cose che non so fare. Perché scappare dalle cose straordinarie che tu sai fare?»
«Io so chi sono, in che cosa sono bravo, cosa so fare e cosa non so fare. Sono solo… sono quel che sono. Un eccellente tiratore, un pessimo giocatore. Perché non può bastare?»
«Bastare per chi?»
«Non metterti a filosofeggiare con me, mercantuccio.»
«Jes, ci ho pensato…»
«Hai pensato a me? A notte fonda? Che cosa avevo indosso?» Era più forte di lui, quella discussione si stava facendo troppo profonda e l’ironia era il suo modo di scappare dalla serietà dei fatti.
«Ho pensato ai tuoi poteri» disse Wylan, con le guance rosse. «Non ti è mai passato per la mente che le tua abilità Grisha potrebbero spiegare in parte perché sei così bravo a sparare? È tua madre che ti ha insegnato a usare le pistole, è probabile che tu abbia imparato a direzionare il metallo proprio perché lei-»
«Perché devi dire cose come questa? Perché non puoi lasciare che le cose restino semplici?» Il bisogno di muoversi si fece più intenso, i pensieri correvano veloci in testa e anche le gambe volevano seguire quell’esempio. Lui era un bravo pistolero, perché ci doveva essere qualcosa in più di questo? Bastava quel fatto, non c’era bisogno di cercare motivazioni aggiuntive.
«Perché non sono semplici.»
«Wylan, non sono un macchinario da smontare per capire come funziona, non puoi togliermi tutti i pezzi e studiarmi. Io non mi vergogno di quello che sono, ma sono solo me stesso, niente di più.»
«Jesper, io non ho parlato con Genya perché dovevo dimostrarti qualcosa, ma perché ho capito che mostrarmi completamente per quello che sono mi fa stare bene.» Wylan lo fissava con quegli occhi penetranti e Jesper non seppe che dire. «Sai che la prima persona a cui l’ho detto è stato Kaz?»
«Tra tutti, proprio lui.» Jesper sbuffò. Era amico di Kaz da anni, ma non era mai riuscito a sentirsi al sicuro con lui.
«L’unica persona che lo sapeva era mio padre e mi ha sempre fatto sentire così sbagliato. Mi ha costretto a lasciare Novyi Zem solo per il sospetto che tu lo sapessi. Ero convinto che Kaz mi avrebbe deriso, ero terrorizzato perché l’unica reazione che avevo sperimentato a questo mio “difetto” era la rabbia di mio padre. Ma invece Kaz non ha fatto niente del genere e la sua accettazione mi ha fatto sentire così… Leggero, autentico.»
«Quando gliel’hai detto?»
«Quella notte sulla Ferolind.» Wylan distolse lo sguardo, mortificato. Jesper ripensava spesso a quel momento e a come Wylan fosse talmente spaventato da pensare che l’unica via di fuga fosse piantarsi un proiettile nel cranio. «Ho dovuto spiegare a Kaz perché ero così sicuro che mio padre mi volesse morto, così gli ho raccontato del tentato omicidio.»
Jesper sussultò. «Di che parli?»
Wylan frugò nella tasca della giacca e ne estrasse la spilla di sua madre. «Ti ricordi che l’avevo dovuta vendere? L’ho usata per corrompere i due energumeni che mio padre aveva assoldato per farmi fuori. Pensavo di essermela cavata, ma devono averla venduta a qualche banco dei pegni che ha informato mio padre e così lui ha scoperto che non ero davvero morto. Era solo una questione di tempo, sapevo che ci avrebbe riprovato e-»
Jesper lo afferrò per le spalle e lo strinse al petto. Lo prese così alla sprovvista che Wylan non riuscì a finire la frase, ma si limitò ad avvolgergli le braccia intorno al busto e strinse con la stessa intensità di Jesper.
«Jes.» La voce di Wylan arrivò ovattata, la sua testa era ancora nascosta sul petto di Jesper. Allentò la presa per guardarlo in faccia. «Tu continui a fare finta che vada tutto bene. Passi oltre, al combattimento successivo o alla festa successiva. Che cosa temi che accadrà se ti fermi?»
Jesper si staccò completamente dall’abbraccio, le dita corsero istintivamente sui bottoni della camicia, poi immediatamente sulle rivoltelle. Ancora una volta quel bisogno frenetico di fuga.
«Fermati.» Wylan gli posò una mano sulla spalla per attirare la sua attenzione e solo in quel momento si rese conto che aveva il fiato corto. «Fermati e basta. Respira.»
E Jesper obbedì. Gli occhi azzurri di Wylan lo tenevano incollato al pavimento, il suo petto si gonfiava e sgonfiava dapprima ritmicamente, poi sempre più lentamente. La mente si stava schiarendo, si iniziò a sentire di nuovo presente, la presa di Wylan sulle sue spalle e il suo sguardo cristallino puntato sulla sua bocca. Come uno dei fuochi d’artificio che esplodevano in lontananza, nella sua mente scoppiò di nuovo il pensiero di un bacio. Non fece in tempo a esprimere quel desiderio che Wylan lo esaudì. Si sporse in avanti e lo baciò.
Adesso i fuochi d’artificio li sentiva ovunque, il brivido delle loro bocche che finalmente si incontravano era tutto quello che aveva sempre immaginato. Lo afferrò per i fianchi e lo avvicinò sempre di più, fino a chiudere qualsiasi distanza fosse rimasta. Il bacio divenne sempre più profondo e intenso. Le braccia di Wylan si incrociarono dietro il suo collo, anche lui non aveva alcuna intenzione di spezzare quell’incantesimo, ma inevitabilmente, lentamente, si staccarono per riprendere fiato.
«Wy, spero proprio che non moriremo.» Le parole uscirono come un sussurro, come se gli stesse rivelando un segreto inconfessabile.
«Anch’io, Jes.» Rispose piano Wylan, le sue labbra erano ancora così vicine da poter sentirne il calore. E Jesper era pronto a ricominciare a baciarlo, ma Wylan si sottrasse. Spostò il viso nell’incavo del suo collo e Jesper per un millesimo di secondo si sentì deluso, finché la bocca umida di Wylan non iniziò a lasciare piccoli baci sulla sua pelle. «Ma se morissimo,» disse alternando il tocco delle sue labbra con parole che soffiava leggere sul collo di Jesper provocandogli brividi continui, «non pensi che dovremmo impiegare il poco tempo che abbiamo a non avere… nessun rimpianto?»
«Stai suggerendo quello che penso che tu stia suggerendo?» Chiese Jesper cercando con tutto se stesso di concentrarsi, Wylan mugolò quello che sembrava un assenso mentre continuava a sposarsi sul suo collo. Jesper si godeva ogni secondo di quella sensazione, gli occhi chiusi ad aspettare le labbra di Wylan finché all’improvviso non sentì un morso leggero vicino alla clavicola. Quello era decisamente troppo, prese Wylan dalle spalle per staccarselo dal collo e gli vide in volto la delusione di essere stato interrotto. «Hai delle ottime argomentazioni, mi hai convinto.» Gli disse sorridendo spavaldo prima di prenderlo di peso, metterselo su una spalla e trascinarlo nella prima camera vuota che avrebbe trovato. Wylan rideva e si dimenava. «Mettimi giù, Jes!»
«Te la sei cercata, mercantuccio.»

 

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«Sei sicura di voler venire?» Jesper se ne stava spaparanzato su un divano e osservava Inej controllare con cura l’affilatura dei suoi coltelli, uno dopo l’altro. Le sue ferite non erano ancora perfettamente rimarginate e il giorno dell’asta avrebbe dovuto affrontare ancora una volta Dunyasha.
«Non ho bisogno di una babysitter, Jes. So quello che faccio» rispose lei senza alzare lo sguardo dalle lame splendenti.
«Neanche io ho bisogno della scorta, ma Kaz vuole-»
«L’ultimo incontro con questa fantomatica professoressa ha dimostrato che ne hai bisogno.» Inej lo guardò con un sorrisetto sprezzante.
«Questo è un colpo basso.»
«Anche i suoi sono colpi bassi, per questo vengo con voi.» Le mani della Suli erano velocissime mentre riponeva i coltelli in tutte le fondine che erano sparse sui suoi vestiti. «Dov’è Wylan?» chiese Inej una volta completati i suoi armamenti.
«E lo chiedi a me?» Jesper fece spallucce. Il sole era tramontato da poco tempo, ma stava diventando buio in fretta e non avevano tempo da perdere.
«Lo chiedo al tizio col il collo ricoperto di succhiotti che portano la firma di Van Eck Junior.» Inej fece cenno alla scia che colorava la pelle scura di Jesper.
Lui non provò nemmeno a nascondere l’espressione soddisfatta che si sentiva crescere in volto ripensando alla notte precedente. «Mi prendi in giro solo perché non hai visto come è conciato lui.»
In quel momento il mercantuccio si affacciò nella stanza con fare urgente. «Siete pronti? Possiamo andare?»
«Siamo pronti» confermò Inej facendosi strada verso l’uscita, Jesper si alzò in fretta e li seguì nel corridoio.
Wylan era scattato avanti e li guidava verso il tetto dell’edificio. Da lì Inej li avrebbe aiutati a raggiungere il palazzo di fronte all’hotel, così avrebbero avuto una via d’uscita più discreta per il canale che li avrebbe portati al quartiere universitario.
Jesper notò che Inej fissava insistentemente Wylan, come se cercasse qualcosa. Poi lei con un sussurro lo rimproverò: «Sei il solito spaccone, non ha nessun segno sul collo.»
Jesper fece un gran fatica a trattenere una risata. «Tesoro, ha troppi vestiti addosso perché tu possa vedere la mia grande opera.»
Inej gli ficcò una gomitata nelle costole e lui fece un suono soffocato di dolore che fece voltare Wylan. «Che state facendo voi due?» chiese perplesso nel vedere Jesper piegato in due che si stringeva il fianco e Inej fare spallucce con aria ingenua.
«Discutiamo di arte» rispose Jesper dissimulando innocenza e Inej si nascose la bocca con una mano per trattenere lo sbuffo di una risata.
Wylan piegò la testa dubbioso, ma subito tornò ad arrampicarsi lungo la scaletta che portava al tetto. «Non so che mi state nascondendo e credo di non volerlo sapere.» disse sparendo verso l’alto.

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Jesper non era mai stato in quella zona del quartiere universitario. Non che lo avesse frequentato poi molto, aveva lasciato la scuola dopo pochi mesi dall’arrivo a Ketterdam, perciò non aveva esplorato oltre i palazzi della facoltà e le biblioteche. La via su cui si erano intrufolati era silenziosa e ordinata, non solo non c’erano studenti in giro, mancava qualsiasi presenza di un essere umano. Non sembrava nemmeno Ketterdam , era quasi surreale. Le case erano piccole ma signorili, alte due piani e con le pareti di mattoni, tutte uguali e in schiera.
«Il personale docente ha delle abitazioni messe a disposizione dall’università, anche se molti preferiscono avere delle case di proprietà» gli aveva spiegato Wylan qualche ora prima di partire dall’hotel.
«E come facciamo a sapere in che appartamento vive? Il cocco del prof sa anche l’indirizzo di casa?»
Wylan gli aveva fatto una linguaccia, ma era stata Inej a rispondere alla sua domanda. «L’ho pedinata ieri sera. Il posto sembra molto tranquillo, ma ci divideremo. Voi due andate insieme mentre io sto sul tetto di fronte pronta a intervenire se servisse.»
«Okay, mi sembra un buon piano. Ma come abbia intenzione di entrare? Bussare alla porta e sperare che non sia troppo tardi per l’ora del tè?»
Wylan si mordicchiava il pollice pensieroso. «Troveremo il modo quando saremo lì. Finché non vediamo il posto non possiamo sapere come entrarci dentro.»
Anche adesso che si trovavano di fronte all’elegante edificio di mattoni Jesper era dubbioso, le mani erano già pronte sui calci delle rivoltelle nel caso in cui si fosse rivelata un’idea pessima. Inej si era già volatilizzata nell’ombra, restavano solo loro due a fronteggiare un’anziana signora. Cosa sarebbe mai potuto andare storto?
«Jes» Wylan lo chiamò con un sussurro. «Riesci a capire come funziona la serratura?» Fece cenno al grande portone di legno. Jesper si avvicinò piano e con le punta delle dita percorse la superficie della porta.
«Santi» sibillò sbalordito dalla quantità di metallo Grisha che percepiva. «Non ho idea di cosa sia, penso che ci sia una combinazione esatta con cui far scattare i pistoni. Poi, vorrei sbagliarmi, ma sento un odore come di… polvere da sparo?»
«Lo immaginavo. C’è una trappola esplosiva. E probabilmente anche tutte le altre entrate hanno sistemi simili. Direi che lo scasso è fuori questione se non vogliamo saltare in aria.»
«Non potevo aspettarmi altro dalla tua insegnante.»
«Ho imparato dalla migliore.» Wylan sorrise, sembrava orgoglioso di essere stato un suo studente, era evidente quanto la ammirasse. Poi fece un passo indietro per allontanarsi dall’ingresso e rivolse gli occhi in alto, verso il secondo piano. Le finestre erano chiuse e non si vedeva nemmeno una luce accesa. «Se ha preparato un’accoglienza simile, starà aspettando degli ospiti. Penso sia il caso di annunciarci.»
«Vuoi davvero bussare alla porta? Io scherzavo-»
«Tieni, prendi questo» Wylan gli mise in mano un piccolo oggetto metallico.
Jesper si rigirò tra le mani quello che aveva l’aspetto di un rametto che si biforcava in due estremità e immediatamente si rese conto di un particolare. «È una lega miscelata con metallo Grisha. Wy, te ne vai in giro con un coso fatto di metallo Grisha.» Jesper si sforzò di tenere la voce più bassa possibile.
«Non è un “coso”, è il diapason di mia madre. Serve per accordare gli strumenti musicali.»
«E che ci devo fare?» Jesper adorava la sensazione di quel materiale sulla pelle, ma non aveva idea di che cosa stesse frullando nella testa del mercantuccio.
«Voglio che tu lo faccia vibrare.» Wylan tentò di spiegare, ma vedendo la confusione di Jesper provò ancora. «È come per i proiettili, Jes. Questo strumento è fatto per propagare una frequenza di circa 421 hertz quando viene fatto oscillare. Vedi, così.» Wylan si riappropriò del diapason e sbatté delicatamente la punta biforcuta sul terreno. La vibrazione era davvero intensa, si diffuse presto nell’aria tutto intorno a loro dando a Jesper uno strano senso di nausea.
«Va bene, fallo smettere ora.» Jesper glielo strappò di mano e non appena chiuse le dita intorno alle due punte, il metallo smise di oscillare dando pace alle sue orecchie.
«Voglio che tu faccia viaggiare la vibrazione dal diapason alla casa. Il metallo e il legno sono ottimi conduttori del suono, per questo vengono usati per costruirci gli strumenti musicali.»
«A quale scopo tutto ciò, mercantuccio?» Jesper alzò un sopracciglio in attesa della parte in cui avrebbe avuto senso tutto quello che stavano facendo.
«Per farle capire che non siamo ostili, stiamo bussando educatamente alla sua porta.»
«Cosa ti fa pensare che non ci attaccherà comunque? Lei ha già provato a-»
Wylan diventava estremamente difensivo quando si trattava di quella donna. «La professoressa Levi non ha mai avuto intenzione di farci del male, lei non-»
«Wy, ci ha incatenati con un solo gesto, come fosse una cosa da niente.» Jesper continuava a sussurrare, ma la voce gli si faceva sempre più concitata. «Non è una dolce vecchina, quella lì può ammazzarci e usare i nostri corpi per la sua prossima lezione di anatomia.»
«Non essere ridicolo, lei insegna chimica.» Wylan accennò un sorriso incerto. «Jes, ti prego. Fidati di me. E anche se andasse tutto male, tu hai le tue pistole, io ho le mie bombe e c’è Inej proprio qui di fronte.»
«E se-» Jesper iniziò a protestare, ma il mercantuccio ebbe la prontezza di guardarlo con uno sguardo supplichevole, così l’unica cosa che riuscì a fare fu arrendersi. «E va bene, proverò con il tuo piano.»
«Grazie, Jes.» Wylan gli diede un bacio veloce sulle labbra e Jesper non poté che pensare che quel ragazzo sarebbe stato la sua morte.
Fece un lungo sospiro prima di impugnare saldamente il diapason e di sbatterlo sul battiporta in ottone. La presa salda sul metallo Grisha che oscillava lo mise in contatto con ogni minuscolo frammento del portone. Percepiva il vibrare delle molecole che si diffondeva e si faceva strada sempre più lontano, addentrandosi oltre la porta e correndo sul pavimento in parquet, il corrimano in ferro battuto, le gambe di una poltroncina, un tavolino di legno di rosa, l’abat jour che ci stava poggiata sopra. Ogni sensazione materiale gli rimbombava dentro alla stessa velocità dell’onda che si propagava. Jesper si sentì quasi terrorizzato da quanto fosse appagante sentire il suo potere prendere il sopravvento sul mondo circostante, toccarlo ed esplorarlo come se fosse a sua disposizione.
Era durato qualche decina di secondi, ma a Jesper sembrarono ore. L’oscillazione gradualmente cessò lasciandogli un senso di vuoto. Wylan gli afferrò un braccio e lo allontanò dalla porta. Jesper deglutì, con le mani pronte vicino alle fondine in attesa. Ma niente sembrava essere cambiato.
«Wy, sei sicuro che-» Jesper aveva appena iniziato a parlare che un’improvvisa sensazione pungente gli bruciò il braccio, quando abbassò gli occhi vide una siringa con una punta così lunga e affilata da aver perforato la manica del cappotto fino a raggiungere la pelle.
«Jes!» Wylan provò ad avvicinarsi e subito una seconda siringa arrivò a bucare il braccio che aveva teso in sua direzione. Era passato appena qualche istante dacché erano stati colpiti, forse c’era ancora tempo per Jesper per ripulire il loro sangue da qualsiasi cosa gli avesse iniettato. Ma non aveva idea di come fare, non era mai stato un granché come Alchemi, tanto meno aveva provato a liberarsi di un veleno. Non ci sarebbe mai riuscito, non dopo quello che era successo a sua madre.
«Tiopental sodico.» La donna aveva approfittato della loro distrazione per apparire sulla soglia della porta, li osservava impassibile nella sua lunga veste nera merlettata.«In casi non l’abbia già riconosciuto, Hendriks.»
«Siero della verità…» disse Wylan con un soffio della voce. «Non è letale. Non in queste dosi.» Forse pensava di rassicurarlo, ma Jesper non si sentiva affatto meglio. Si staccò con rabbia la siringa dal braccio.
«Le vostre armi.» La professoressa diede un colpetto con il piede ad una cassetta di legno di fronte a lei. Dopo qualche istante del suo sguardo glaciale, gli voltò le spalle e sparì dentro la casa lasciando il portone spalancato.
Wylan non esitò un attimo di più, rovesciò la borsa lì dove gli era stato indicato, riempiendola di bombe luce, esplosivi vari e altre piccole ampolle con dentro liquidi e polveri di colori diversi.
«Wy, che stai facendo?» Jesper si avvicinò guardingo, con gli occhi che schizzavano dall’interno della casa al mercantuccio ancora intento a svuotarsi le tasche.
«Casa sua, regole sue» rispose rivolgendogli uno sguardo deciso. «Ci sta lasciando entrare pacificamente, vuole solo assicurarsi che non siamo un pericolo.»
«E lo chiami pacificamente infilzarci con dei dardi velenosi?» In quel momento il verso di un gufo richiamò la loro attenzione. Wylan si voltò verso il tetto da cui era arrivato il suono e rispose a Inej e imitò il suo stesso verso, per rassicurarla che fosse tutto okay.
«Noi abbiamo le nostre precauzioni,» Wylan fece un cenno a ovunque si stesse nascondendo lo Spettro, «Lei ha le sue.» Poi spostò la cassetta di legno di fronte a Jesper aspettando che anche lui si liberasse di tutte le sue armi.
«Sarà meglio che me le restituisca o giuro che mando quella professoressa in pensione anticipata.» Con aria seccata ripose le rivoltelle nella cassetta.

 

La casa era molto buia, una sola luce li guidava verso un salottino arredato in modo elegante, ma non troppo sfarzoso come Jesper aveva visto in alcune ville di mercanti in cui si era intrufolato.
«Prego, sedete pure.» La professoressa Levi si era accomodata su una poltrona in velluto, di fronte a lei un tavolino di legno accoglieva un servizio da tè. Wylan si sedette rigido sul divanetto di fronte alla donna, Jesper subito dopo di lui. «Mi sono presa la libertà di prepararvi un infuso. Non ho spesso ospiti, spero che sia di vostro gusto.» Iniziò a versare il liquido fumante in tre tazzine di porcellana, lasciandone una quarta vuota. «Se la vostra amica ci volesse raggiungere più tardi.» Spiegò quando incrociò lo sguardo perplesso di Jesper.
«Come?» chiese Jesper secco, non sapendo se si sentiva arrabbiato o spaventato. Inej si muoveva talmente leggera, era un’ombra nella notte. «Come l’ha capito?»
La professoressa accennò un sorriso, poi porse ad entrambi una tazza. «Ho i miei metodi, esistono tante trappole diverse che non lasciano nessuna traccia a chi non sa dove guardare.» Sorseggiò dalla sua tazzina e li osservò attendendo che la imitassero.
«Pensa che facendoci vedere che beve, convincerà anche noi a farlo? Non siamo scemi, lei è una maestra Alchemi. Se c’è qualche veleno qua dentro saprà sicuramente come sopravvivere.» Jesper si stupì del tono di Wylan, aveva perso la esemplare sua etichetta.
«Vedo che il siero sta facendo effetto.» Ridacchiò divertita della sfacciataggine del mercantuccio, solitamente sempre così composto. «Conosceva il suo effetto inibitorio, Hendriks?»
«Sì» ammise Wylan. «E so anche che la quantità che ci ha somministrato sarà presto assimilata dal nostro corpo. Le rimangono circa trenta minuti prima che l’effetto sparisca.»
«Allora direi che è il caso di iniziare. Sono molto curiosa di sapere cosa la porta qui, Hendriks.»
«Perché continua a chiamarmi così? Lei sa il mio vero nome.»
«Certo che lo conosco. E non è stato difficile da ricordare vista la quantità di manifesti affissi in città che offrono una ricompensa per restituirla alla sua amorevole famiglia. Confesso che non sono stati granché lusinghieri nel ritrarla. Lo stesso però non posso dire del Plasmaforme che le ha restituito il suo aspetto, che capolavoro di tecnica.»
«È stata Genya Safin.»
«Il triumvirato è qui in città?» La professoressa tradì il suo interesse, le sopracciglia le si alzarono dalla sorpresa.
«Non tutti, David Kostyk non c’è.»
«Peccato, mi sarebbe piaciuto rivederlo.» Tornò a sorseggiare il suo infuso.
Jesper non si fermò a pensare, le parole uscirono senza controllo. «Ottimo, allora vada a Ravka.»
Le labbra sottili della donna si strinsero in una smorfia infastidita. «Prego? Devo interpretare questo invito come una minaccia?»
«No, professoressa!» Wylan quasi saltò sul divanetto. «In realtà noi siamo qui proprio per questo motivo. Abbiamo delle informazioni e per la sua sicurezza è meglio che lasci la città.»
«Si spieghi.» Posò la tazzina sul tavolo, dando tutte le sue attenzioni a Wylan.
Jesper rimase in silenzio a rigirarsi gli anelli tra le dita e combattere l’istinto di muoversi, mentre ascoltava Wylan raccontare della parem, di Kuwei, dell’asta, della delegazione Shu, dei Kherghuud e del loro piano per mettere in salvo tutti i Grisha in città. «Ma lei può fuggire!» Wylan aveva un tono concitato, le parole correvano una dietro l’altra tradendo tutta la sua ansia. «Basta che segua le indicazioni che le daremo e potrà partire per Ravka, così sarà al sicuro e-»
«Wylan.» La professoressa aveva seguito il suo lungo discorso senza dire nulla, ma improvvisamente lo interruppe. «Tu sai da quanto tempo vivo qui?»
Il mercantuccio non seppe come prendere quell’improvviso passaggio al “tu”. «No, non lo so.»
«Ho giurato tempo fa che la guerra non avrebbe più condizionato la mia vita. Questa è casa mia e non esiste soldato al mondo che me la porterà via.»
«Professoressa, la prego, ci ripensi. I Grisha-»
«E tu cosa farai? Scapperai anche tu, giovane Fabrikator?» La donna si rivolse a Jesper.
«Sparerò finché avrò la forza di tenere il dito sul grilletto» rispose senza esitare. Sentì lo sguardo preoccupato di Wylan addosso, ma lei gli sorrise compiaciuta.
«Se era solo questo quello che avevate bisogno di dirmi, vi ringrazio per il pensiero. Ma sono abbastanza grande per occuparmi di me stessa.»
«No, non ho finito.» Disse Wylan con aria sconfitta. «C’è un’ultima cosa che le devo dire e poi… Avremmo bisogno del suo aiuto.»
La professoressa sospirò, poi guardò il fondo della tazza, ormai vuota. «Sospetto che avremo tutti bisogno di un’altra tazza di tè.»

Rimasero un’altra ora a parlare, Jesper osservava i due scienziati confrontarsi, valutare metodi più efficienti, considerare l’uso di nuovi materiali. Diede una mano per quanto poteva, con le sue poche conoscenze da Durast, ma, per quanto potesse essere interessante, iniziò presto ad annoiarsi e si chiese come facesse Inej a passare tutto quel tempo nell’ombra ad aspettare, studiare le persone e gli ambienti con così tanta pazienza. Quando finalmente ebbero finito, Jesper fu il più veloce ad andare verso la porta. Non vedeva l’ora di riprendere le sue pistole e uscire da lì.
«Professoressa, posso-» chiese Wylan quando erano sulla soglia della porta.
«Reeta» lo corresse lei. «Solo Reeta. Non sono più la tua professoressa.»
Jesper vide Wylan sorridere genuinamente, come quando erano bambini. «Reeta, posso chiederle delle lampadine?» Indicò con un gesto una delle strane lampade di cui era piena la casa e che, Jesper aveva notato, produceva luce tramite una specie di pallina di vetro. «Aveva detto che le erano state esportate da Ravka, dico bene? Posso chiederle come? Chi gliele ha date?»
«La prossima volta.» La donna aprì la porta per loro, invitandoli silenziosamente ad uscire. «Lasciami tenere ancora qualche segreto per questa sera.»
Sembrava quasi impossibile che tutto fosse filato così liscio, Wylan aveva l’aspetto di un bambino appena uscito da un negozio di caramelle mentre camminavano verso il vicolo in cui avevano lasciato la loro barchetta. Avevano dato il segnale ad Inej non appena erano usciti, lei li avrebbe aspettati nel canale e sarebbero immediatamente tornati all’hotel.
«Santi, quanto vi piace parlare di scienza.» Jesper si stiracchiò le braccia. All’improvviso si sentiva davvero stanco.
«Scusa, ti sei annoiato tanto?»
«No, no.» La bugia era talmente palese che Wylan rise. «Okay, un po’. Ma eri carino mentre facevi le tue cose da piccolo scienziato, cocco della prof che non sei altro.»
«Mi chiedo cosa faresti se non avessi me da prendere in giro. Come passeresti le tue giornate?»
«Probabilmente a un tavolo da gioco a dare via soldi che non ho.»
«Jes, smettila. Tu sei più di così e lo sai.» Wylan gli prese la mano e la strinse. Se non fossero stati due fuggitivi che si nascondevano in una strada buia, forse sarebbero potuti sembrare una coppia come tante altre, che passeggiava tenendosi per mano.
«Ci devo lavorare su questa cosa che non sono uno scarto. Almeno non letteralmente, perché nei fatti sono uno degli Scarti.»
Wylan lo stavo osservando con un’espressione pensierosa. «Jes, stavo pensando che, insomma, visto che la professoressa rimane a Ketterdam, sai, sarebbe logico…»
«Se continui a girarci attorno inizierai a ballare il walzer.»
«Potresti chiedere alla professoressa Levi di insegnarti a controllare il tuo potere.» disse tutto d’un fiato.
La sensazione di ansia fu istantanea. Il cervello gli urlava di scappare, fare una battuta stupida, flirtare per evitare di dover rispondere e fingere che quella conversazione non fosse mai avvenuta. Ma poi incrociò gli occhi chiari di Wylan, la sua mano stringeva ancora la sua come lo aveva stretto per non farlo scappare subito prima di baciarlo. L’istinto di fuga gli sembrò meno urgente. Forse poteva davvero fermarsi e gestire la situazione.
«Ci penserò.» E quelle parole bastarono per illuminare il viso di Wylan.
Svoltarono verso il canale, Inej nascosta dentro la barchetta li salutò con un sorriso.

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La luce del sole iniziava timidamente a farsi largo nella stanza. La testa di Wylan stava comodamente accoccolata sul petto di Jesper mentre lui passava il tempo a far sparire le dita tra i riccioli folti. Era già l’alba e nessuno dei due riusciva a dormire, l’asta si sarebbe tenuta tra poche ore ed era impossibile non pensarci, non importava quanto fosse rilassante starsene abbracciati sotto le coperte.
«Jes, posso farti una domanda?» Gli chiese voltandosi a cercare il suo sguardo e impedendogli così di continuare a giocare con i suoi capelli.
«Oh santi, devo preoccuparmi?»
«Non lo so, suppongo che dipenda dalla tua risposta. Quindi impegnati.» Wylan si era girato a pancia sotto, con i gomiti puntati sul materasso per tenersi dritto.
«Okay, sono pronto, spara.»
«Pensi sempre a sparare.» Wylan roteò gli occhi al cielo, ma non riuscì a mantenere l’espressione esasperata che subito si aprì in un sorriso quando Jesper rise. Poi continuò la domanda. «Quand’è che ti sei ricordato?»
«Oh no, ti prego, non umiliarmi così» Jesper si coprì il viso con un braccio, troppo imbarazzato per farsi vedere a quella distanza.
«Eddai, io ti ho riconosciuto subito, nonostante tu sia cresciuto di altri, quanti? Venti centimetri?»
«Da quel punto di vista tu non sei cambiato molto.» Lo prese in giro Jesper tornando a mostrare il viso e Wylan approfittò dello spostamento per vendicarsi mordendogli il braccio. «Pensavo vi educassero meglio, a voi piccoli mercanti.»
«Non ti conviene provocarmi, conosco gente pericolosa. Hai mai sentito parlare di Manisporche? E che mi dici dello Spettro?»
«Wow, non scherzavi. Quella è proprio gente brutta.»
«Ecco, allora è meglio che rispondi alle mie domande con le buone, o sarò costretto ad estorcerti tutte le informazioni che mi servono con le cattive.» Wylan fece schioccare i denti, pronto a mordere ancora.
«Mi arrendo, mi hai convinto.» Jesper fece un segno di resa alzando le mani. «Hai presente alla Corte di Ghiaccio?»
«Difficile dimenticare che abbiamo messo in atto un’evasione dalla prigione di massima sicurezza di Fjerda. Sì, mi ricordo.»
«C’erano state delle volte che mi era venuto il dubbio che fossi tu, ma mi ripetevo che se fossi stato davvero tu avresti detto qualcosa.» Wylan lo guardava con il viso appoggiato sui polsi, Jesper gli spostò un ricciolo dietro l’orecchio. «Finché non c’è stato quel momento in cui Inej è arrivata con i diamanti di Tante Heleen, io stavo cercando di intagliarli, tu dovevi montare il trapano, Inej continuava a urlare di darmi una mossa, insomma era un casino tale che avevo la testa in panne. E poi hanno iniziato a spararci addosso, Inej era già scappata via e non me n’ero neanche accorto. Ho sentito uno sparo pazzesco e ti sono saltato sopra per coprirti. E lì ho capito.»
«Sei davvero fissato con gli spari.» Wylan ridacchiò.
«Ma no, non è lo sparo che mi ha fatto capire. Senti, è imbarazzante.»
«E allora? Giuro che non ti prenderò in giro, Jesper Llewellyn Fahey.» Wylan mise solennemente una mano sul cuore per confermare il suo giuramento.
«Sei tremendo, non te lo racconterò mai» Jesper lo punì tappandogli il naso con due dita.
«E dai, ti pregooo» si lamentò Wylan con la voce nasale. «Jeeeees.»
«E va bene.» Gli lasciò andare il naso e fece un sospiro prima di continuare. «Quando ti ho visto sotto di me mi è venuto un flash, te ne stavi con gli occhi chiusi per il colpo e mi sono ricordato di una volta che ti sei addormentato sotto il salice. Ti ricordi il salice vicino al fiume? C’è stata un’estate che andavamo sempre lì perché tirava una bella aria fresca. Credo avessimo 11 e 12 anni.»
«Me lo ricordo, avevo fatto tanti schizzi sotto quel salice.»
«Lo so, mi riempivi dei tuoi disegni.»
«Beh, tu mi riempivi dei giocattolini che fabbricavi con tua mamma.»
«Cos’è, una gara?»
«No, dai, continua. Che c’entra il salice?»
«Un pomeriggio ti sei addormentato lì sotto, proprio mentre ti stavo leggendo un libro»
«Scusa» Wylan si coprì la bocca, ma la risatina colpevole riuscì comunque a uscire.
«Ho capito solo adesso perché mi chiedevi di leggere per te, dicevi che ti piaceva sentire la mia voce.»
«Beh, Non era falso. Hai una bella voce. Ma perché non mi hai svegliato?»
«Perché dormivi così bene, non volevo svegliarti. E allora sono rimasto a guardarti.»
«Mi è molto difficile immaginarti fermo senza fare nulla.» Per quanto fosse Jesper quello imbarazzato in quel momento, le guance di Wylan si colorarono di un soffice colore rosato.
«Quante volte devi farmi ripetere che mi piace la tua faccia?»
«Tu…? Già all’epoca?» Wylan sgranò gli occhi, ormai completamente rosso in volto, tentò di coprirsi con le mani.
«Ricordo di averlo capito proprio quel pomeriggio. Mentre ti guardavo ho proprio pensato che avrei voluto baciarti.» Jesper pensava che ammettere quanto fosse preso da lui sarebbe stato spaventoso, ma la reazione del mercantuccio lo stava rendendo alquanto divertente.
«Non ci posso credere» Wylan era sprofondato nel materasso, il viso nascosto tra le coperte.
«È così incredibile?»
«No, è che…» La faccia di Wylan sbucò all’improvviso dalle coperte. «Anch’io. Anch’io avevo una cotta per te.»
«Davvero?»
«È così incredibile?» Gli fece il verso il mercantuccio.
«La cosa incredibile è che ci siamo rincontrati.» Jesper gli accarezzò una guancia, sentì la sua pelle bollente e prima che potesse muoversi per baciarlo, Wylan doveva avergli letto nel pensiero e aveva annullato la distanza tra le loro bocche. Le mani di Jesper scivolarono lungo tutta la sua schiena, mentre il mercantuccio si arrampicava sempre più sopra di lui e lo baciava ancora e ancora. Quando Wylan si fermò, Jesper si prese qualche istante di silenzio assoluto per godersi il suo viso così vicino.
«Sai, mentre lavoravo all’università ho sentito i professori che parlavano tra di loro di una nuova teoria fisica per cui si postula l’esistenza di universi coesistenti al nostro ma esterno al nostro spaziotempo, come realtà parallele e diverse.» Era difficile comprendere i collegamenti mentali che potevano aver portato Wylan a pensare una cosa del genere mentre stavano beatamente amoreggiando.

«Mi sono perso» ammise Jesper inarcando un sopracciglio.
«Immagina un mondo simile al nostro, ma con qualche differenza.» Provò a spiegarsi Wylan. «Per esempio, un mondo identico al nostro, ma in cui non esistono le capre.»
«Mi sembra orribile. Se avessi una capra la chiamerei Milo.»
«Non ti distrarre.» Lo rimproverò scherzosamente.
«Okay, scusa, vai avanti.»
«Ecco, secondo questa teoria potrebbero esistere mondi infiniti, ognuno diverso dal nostro. Con qualche tratto simile e qualche tratto diverso. Però pensavo che…» Fece una piccola pausa alla ricerca del modo di esprimere quello che gli stava passando per la testa. «Lo so che è assurdo. Ma stavo pensando che ci saremmo incontrati in ogni universo. Anche in un mondo in cui non ci siamo conosciuti a Novyi Zem da bambini, non so come spiegarlo, ma ho la sensazione che ti avrei incontrato.»
«Anche se io fossi una capra?»
«Specialmente se tu fossi una capra.»
Jesper si concesse di crederci un po’ anche lui, che in ogni universo sarebbero stati loro e sarebbero stati insieme. E non fu difficile perché non era per niente complicato credere che tutto sarebbe andato bene quando il sorriso del mercantuccio era più caldo dei raggi di sole che ormai avevano invaso tutta la stanza.
«Wy?» Lo chiamò con un sussurro, come se stesse per confessare un segreto.
«Jes?» Rispose con lo stesso tono, come se fosse pronto ad ascoltare quel segreto.
«Credo di amarti.» Rivelò il segreto con un soffio di voce così leggero che sarebbe volato via se la finestra fosse stata aperta.
«Jes?» Questa fu la volta di Wylan per chiamarlo sussurrando.
«Wy?» Rispose Jesper esattamente come aveva fatto lui un attimo prima.
Wylan si avvicinò e ancora più piano gli disse nell’orecchio: «Io sono sicuro di amarti.»
Jesper non si trattenne, lo strinse a sé e rotolò sul letto finché non si trovarono a parti opposte, Wylan sotto di lui che rideva mentre Jesper sopra di lui baciava ogni centimetro della sua pelle.«Se oggi morirò, ti verrò a cercare in un altro universo.»
«Quello in cui sei una capra?»
«Specialmente quello in cui sono una capra.»

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Jesper non poteva credere di essersi sbarazzato di un Kherguud con il tonchio di Wylan, per una volta la smania di giocherellare con tutto quello che gli capitava sotto mano era risultata utile.
«Col cavolo che glielo dico che se mi sono salvato è di nuovo grazie a lui», pensò mentre correva. Aveva appuntamento con Inej e aveva già perso troppo tempo a cercare di non morire. La vide spuntare dalla porta.
«Jesper, dove…»
«Il fucile» ordinò lui e non appena lei se lo tolse dalla spalla, lui glielo strappò di mano e insieme corsero a perdifiato verso la cattedrale. Ma era troppo tardi, la sirena aveva già iniziato a suonare e dal punto in cui si trovavano non vedeva nemmeno dove fosse il bersaglio.
“Chiunque può sparare, ma non tutti sono capaci di prendere la mira.” La voce di sua madre gli parlò. “Noi siamo zowa. Tu e io.”
Ma era impossibile, non ci sarebbe mai riuscito. Però Wylan era così convinto che lui potesse fare cose pazzesche solo perché era un Grisha, magari aveva ragione. Jesper imbracciò comunque il fucile.
«Jesper?» Lo chiamò l’amica incerta.
Avrebbe voluto rassicurarla e dirle che sapeva esattamente cosa stesse facendo, ma non era vero. «Inej» disse, «se ti avanza una preghiera, questo è il momento di tirarla fuori.» Fece fuoco.

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Il viso di Wylan che fino a poche ore prima aveva ricoperto di baci, ora era ricoperto di ematomi e sangue. Jesper era seduto al suo fianco, poco più in là c’era Alys con la sua cameriera personale e un manipolo della stadwatch che faceva la guardia, impossibile capire se li stessero proteggendo o minacciando. Jesper e Wylan si stavano godendo lo spettacolo dell’intero Consiglio delle Maree che accusava un Jan Van Eck ammanettato e fuori di sé dalla rabbia e lo sconcerto.
«Che cosa succede?» chiese Alys, prendendo la mano di Wylan. «Perché Jan è nei guai?»
«Tu stai lontano da lei» ringhiò Van Eck mentre la stadwatch lo trascinava giù dal palco. «Alys, non ascoltarlo. Devi dire a Smeet di prelevare i soldi per la cauzione. Vai a…»
«Non credo che Alys sarà in grado di aiutarla» apparì Kaz e Jesper si rilassò.
Adesso dovevano solo aspettare che Manisporche tirasse i fili della commedia e presto tutto si sarebbe concluso come da copione. Sentì la mano di Wylan prendere la sua. Jesper accavallò una gamba per nascondere quel legame agli occhi dei presenti e continuò a stringerla. Ne avevano entrambi bisogno; Wylan stava affrontando la furia di suo padre e Jesper non riusciva a non pensare alla sicurezza del suo di padre. Sperava con tutto se stesso che quella storia sarebbe finita in fretta e che Colm non sarebbe mai più stato coinvolto in una follia del genere.
«Non potete dare a questo cretino il controllo dei miei capitali» gridò Van Eck, indicando Wylan con le mani nei ceppi. «Anche se volessi farne il mio erede, non ne avrebbe le competenze. Non sa leggere, sa a malapena mettere insieme una frase elementare sulla stessa pagina. È un idiota, un minorato.» Jesper strinse più forte la mano di Wylan. Si sentiva disgustato da quell’uomo e da come si rivolgeva al suo stesso figlio. Nessun essere umano merita di essere trattato così.
«Van Eck!» esclamò Radmakker, uno dei più illustri tra i mercanti. «Come fa a dire certe cose del sangue del suo sangue?»
Van Eck rise selvaggiamente. «Almeno questo lo posso provare! Dategli qualcosa da leggere. Avanti, Wylan, mostragli che grande uomo d’affari diventerai.»
Radmakker gli mise una mano sulla spalla. «Non sentirti obbligato ad assecondare i suoi deliri, figliolo.»
Wylan si alzò in piedi, Jesper lo vide scattare dal dolore per una fitta alle costole, gli si affiancò per permettergli di appoggiarsi al suo braccio. «Va tutto bene, signor Radmakker.» lo rassicurò Wylan cercando di darsi un tono nonostante il male che doveva sentire. «Sarei molto lieto di dimostrare a mio padre che “grande uomo d’affari” diventerò.» Poi fece cenno a Kaz che prontamente tirò fuori dal cappotto la miniatura del fonografo su cui avevano lavorato la sera prima con la professoressa Levi. «Se potessi essere così gentile da fare ascoltare a questi signori la registrazione.»
Kaz girò la piccola manovella del fonografo e subito uscì il suono della voce di Jan Van Eck che ammetteva ogni suo crimine: di aver assoldato degli assassini per uccidere Wylan, di aver rinchiuso ingiustamente la sua prima moglie in un manicomio, di aver agito contro il Consiglio delle Maree per avere il monopolio su una droga e di essersi alleato con Pekka Rollins pur di ottenerlo. I volti dei mercanti si fecero sempre più inorriditi mano a mano che la registrazione proseguiva, la cattiveria nel modo in cui Jan si rivolgeva a suo figlio diventava sempre più insopportabile da ascoltare ed era culminata con il suo ordine di riempirlo di botte. A quel punto Kaz smise di girare la manovella. Van Eck era bianco in volto, si era reso conto della trappola in cui era cascato. Aveva nuovamente sottovalutato suo figlio. Il mercantuccio era sempre stato un ottimo studente e perciò, come gli era stato insegnato, non si presentava a un incontro con il nemico senza un’arma segreta. Quando aveva finto di lasciarsi catturare, si era portato dietro il modo in cui avrebbe incastrato suo padre sotto forma di un piccolo e innocente fonografo.
«Vedi, padre. È questo l’uomo d’affari che diventerò.» L’espressione di trionfo di Wylan non poteva essere smorzata nemmeno dal gonfiore della sua faccia. «Uno previdente.»
«È un trucco» disse Van Eck. «È un altro dei trucchi di Brekker.» Si staccò dalle guardie e andò di corsa verso Wylan, ma Jesper gli si parò davanti, lo afferrò per le spalle e lo tenne a debita distanza con le braccia tese. «Distruggerai tutto quello che ho costruito, tutto quello che mio padre e suo padre hanno costruito. Tu… Inutile decerebrato.»
«Solo perché non posso leggere?» Wylan stava chiaramente faticando a mantenere il controllo e non urlare a sua volta. «Posso benissimo fare tutto quello che fai tu e anche meglio di come lo fai tu.»
La risata di Van Eck suonò completamente folle e incredula. «È assurdo che tu possa anche solo pensare di-»
Radmakker si frappose tra loro. «Van Eck, cosa sta insinuando? Mio padre non ha mai potuto leggere, è nato cieco eppure è stato un uomo dalle doti affaristiche insormontabili, ha salvato questa città quando l’epidemia ha rischiato di farci morire tutti di stenti. Le condizioni di suo figlio non gli impediscono minimamente di esercitare la professione.»
Van Eck era talmente frastornato che non trovò le parole, Jesper lo teneva ancora bloccato perché non si avvicinasse ulteriormente a Wylan e ne approfittò per dire con un tono abbastanza basso che nessun altro avrebbe potuto captare: «Posso leggere io per lui.»
«Ha una voce da baritono molto rilassante» aggiunse Wylan sfiorando un braccio a Jesper.
Nel giro di qualche secondo Van Eck aveva ricominciato ad agitarsi nel tentativo di scagliarglisi contro, le guardie lo trascinarono via e le sue urla si fecero sempre più lontane finché non sparirono oltre la porta della Chiesa del Baratto.

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Jesper non aveva mai creduto nei miracoli. Un giocatore sa che la fortuna non guarda in faccia a nessuno e si dovrebbe essere grati di essere toccati da lei anche solo una volta. Quando ci si siede al tavolo, si sente davvero euforia nel vincere proprio perché la norma è perdere. Eppure quel giorno ci volle credere. Credette con tutto se stesso che ogni cosa sarebbe andata bene.
Ci credette mentre combatteva contro il Kherguud che aveva seriamente rischiato di farlo fuori.
Ci credette quando sparò il colpo impossibile riuscendo a prendere Kuwei in pieno petto.
Ci credette quando guardò Van Eck venire trascinato via con la reputazione e tutto il suo impero per sempre corrotti.
Ci credette quando camminò piano verso casa Hendriks con Wylan ancora stretto alla sua mano, Alys ancorata al braccio della sua cameriera personale e Kaz che si reggeva al bastone con la testa di corvo che brillava illuminata delle lanterne.
Ci credette quando vide Inej e Rotty che aiutavano Kuwei, ancora imbrattato di sangue di maiale, a scendere dalla barca.
Ci credette quando suo padre, stanco come non lo aveva mai visto ma sano e salvo, lo strinse forte, lasciandolo senza fiato.
Smise di crederci quando notò Nina, ancora sulla barca, abbracciata al corpo senza vita di Matthias. E solo nel momento in cui sentì Wylan sussurrare “Dovevamo farcela tutti” si rese conto che lo stava pensando anche lui.
«Nessun rimpianto» si ritrovò a ripetere con la voce bloccata in gola dal dolore di trattenere le lacrime.
«Nessun funerale» sentì tutti gli altri rispondere al richiamo del Barile.

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La barca era stata preparata, l’ultima parte del piano era pronta a partire. Era arrivato il tempo dei saluti; quello con Nina aveva avuto il gusto di un arrivederci fin troppo lontano, non avrebbe voluto vederla andare via, ma sapeva che era la cosa giusta.
Kuwei aveva gli occhi gonfi di pianto, ma se lo aveva conosciuto un poco nei giorni che avevano passato al Velo Nero, aveva capito che non si faceva scrupoli quando voleva qualcosa, la chiedeva con un fare sfacciato. Così non si sorprese quando gli propose «Perché non vieni trovare me in Ravka? Possiamo imparare nostri poteri insieme» .
Quello che lo sorprese fu Wylan che si intromise sfoggiando lo sguardo truce che doveva aver imparato da Kaz. «Cosa ne dici se ti spingo nel canale così vediamo se sai nuotare?»
Jesper sorrise e scrollò le spalle: «Ho sentito dire che è uno degli uomini più ricchi di Ketterdam. Non me lo metterei contro». Jesper intrecciò le dita con quelle di Wylan e lui gli si strinse al fianco. Non aveva bisogno di dire altro.
Kuwei assunse un’aria offesa, ma subito prima di stendersi nella barca sorrise in modo giocoso a Wylan che ricambiò con una risata leggera e si strinse ancora di più al braccio di Jesper. Jesper non aveva mai capito che tipo di rapporto avessero quei due, se fossero amici, rivali o semplicemente due ragazzi che si erano ritrovati in un gruppo di criminali quasi per caso e dovevano lottare per la sopravvivenza con i pochi mezzi che avevano.
Poi vide suo padre stendersi sulla barca e cercò di scacciare via il pensiero di sua madre sul letto di morte, scossa dalla febbre dei veleni che le erano rimasti in corpo. Colm stava bene, andava tutto bene.
Per ultimo posarono il corpo di Matthias, da cui Nina aveva delicatamente tolto i fiori con cui lo avevano ricoperto tutti a turno, poco tempo prima. Quello era il saluto che aveva fatto più male, Jesper lo sentiva ancora fermo nella gola. Wylan gli accarezzò il braccio, forse aveva intuito quello che stava pensando, e solo quando si voltò per guardarlo si rese conto che le lacrime gli stavano rigando le guance.

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Erano rientrati da un’ora ormai, era notte fonda e la casa era silenziosa. Alys era già crollata addormentata da diverse ore, Inej era andata a dormire in una delle stanze degli ospiti, ma Jesper non aveva idea di dove fosse Wylan. Il mercantuccio gli aveva indicato una delle camere per gli ospiti che avrebbero utilizzato per la notte, visto che la stanza di Wylan era stata trasformata in una stanza per il bambino e non era più utilizzabile, poi si era dileguato chissà dove, in quella casa immensa. Jesper si ritrovò ad aggirarsi per i corridoi gettando occhiate in tutte le stanze che gli capitavano a tiro e aguzzando le orecchie in cerca di qualche rumore che gli rivelasse dove diavolo si fosse nascosto Wylan.
Ed ecco un indizio: il suono limpido di un pianoforte. Questa volta sarebbe stato impossibile confonderlo con chiunque altro, quando aprì la porta non poteva che essere lui ad essere seduto davanti alla tastiera con aria malinconica.
«Non sei stanco?» Chiese Jesper osservandolo dalla soglia.
«Sono a pezzi.» Wylan fece un accenno di risata, nascondendo davvero male che probabilmente stava piangendo fino a un istante prima. «Ma non me la sento ancora di andare a letto.»
Jesper si avvicinò a lui, fino a posare le mani sulle sue spalle, con delicatezza. «Puoi suonarla per me? La mia canzone?» gli sussurrò in un orecchio.
«Certo, tutte le volte che vorrai.» Wylan alzò il viso verso il suo e Jesper posò un bacio leggero sulle sue labbra. «Quindi vedi di fartela piacere.»

  
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