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Autore: Milly_Sunshine    25/02/2024    0 recensioni
Questo non è assolutamente un ennesimo racconto di Milly Sunshine ambientato nel mondo dell'automobilismo. Anzi, sì. :-)))) Ci ha provato a non scriverlo, ma l'ha fatto lo stesso! /// In un generico scenario early-80s, su un generico circuito cittadino degli Stati Uniti, sta per concludersi il campionato di Formula 1. Due compagni di squadra, molto diversi l'uno dall'altro, uno visto come un campione innato, l'altro come colui che si è messo in mezzo tra lui e i suoi sogni di gloria, sono entrambi di fronte all'occasione della loro vita: uno dei due diventerà campione del mondo. Entrambi sono focalizzati sullo stesso obiettivo, ma un grave incidente che capita nel primo giro di gara e provoca una lunga sospensione della corsa cambia almeno in parte le prospettive di entrambi in attesa dello scontro finale. In sintesi: molta introspezione a cui l'automobilismo fa da contorno.
Genere: Angst, Introspettivo, Sportivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il fatto che stia per iniziare il campionato di Formula 1 mi ha ispirata più del dovuto. Il fatto che il campionato sarà lunghissimo e il numero di gran premi trasmessi in diretta dalla TV non a pagamento mi sta facendo diventare una di quei tifosi vintage che vaneggiano 24/7 di come la Formula 1 era più bella quando c'erano 16 gran premi all'anno, i regolamenti tecnici non erano bloccati per anni e anni e le telecronache erano fatte da commentatori pacati e non da urlatori seriali. Anche questo mi ha ispirata, quindi ho iniziato a scrivere questo racconto ambientato nella Formula 1 degli anni '80. I personaggi inseriti sono tutti di fantasia: per intenderci, non sono ispirati a piloti vintage realmente esistiti.
Il titolo è riferito alla procedura con cui veniva data la ripartenza ai vecchi tempi in caso una gara venisse sospesa nel corso del primo giro: di fatto era come se non fosse mai iniziata (da cui "original distance") e, indipendentemente dalla posizione occupata dai piloti in quel momento, ciascuno riprendeva la propria posizione originale sulla stessa casella della griglia di partenza in cui si trovava in occasione della prima partenza.
Al momento non c'è un giorno specifico per la pubblicazione. Devo ancora terminare il racconto, nonostante abbia già superato la metà, e non saprei dire al momento quando pubblicherò il secondo capitolo. Indicativamente nella seconda metà della settimana.

Buona lettura. <3




Angelo Giuliani aveva sessantadue anni e svolgeva lo stesso mestiere da quando ne aveva all’incirca la metà. Certo, molto era cambiato nelle ultime tre decadi e, se un tempo la sua voce parlava alla radio e, al massimo, alla televisione appariva occasionalmente come inviato durante i notiziari sportivi, in un’epoca decisamente più recente era divenuto noto in tutto il Paese come la voce che commentava le gare di automobilismo in diretta sul secondo canale nazionale.
Molto era cambiato e non solo il fatto che, mentre Angelo era seduto in una cabina di commento spesso sovraffollata e non insonorizzata, condivisa con le altre emittenti televisive, in molte occasioni sovrastato da un brusio di sottofondo di gente che parlava in altre lingue o, ancora peggio, dal frastuono dei motori che coprivano le sue parole, molti italiani lo udivano descrivere nella maniera più puntuale possibile ciò che i loro occhi vedevano sul teleschermo.
Spesso Giuliani e i suoi colleghi avevano a disposizione monitor piccoli e in bianco e nero, facevano il loro lavoro avendo soltanto una vaga idea di cosa stessero vedendo e, chissà, magari ricevevano pure critiche gratuite. Per non parlare di quello che si sarebbe detto di lì a qualche decennio, quando finalmente i mezzi a disposizione per coprire un evento di portata internazionale sarebbero stati all’altezza della situazione e Angelo non sarebbe stato reputato al livello dei suoi colleghi che sarebbero venuti dopo di lui. Quella, tuttavia, non era una faccenda che lo riguardava: difficilmente avrebbe avuto modo di scoprire cosa avrebbero pensato di lui i telespettatori, inoltre nulla lasciava pensare che i mezzi a disposizione dei telecronisti sarebbero migliorati nei lustri a venire, probabilmente in quell’epoca avrebbe riposato in pace sottoterra o all’interno di un’urna cineraria, oppure sarebbe stato vecchio abbastanza da non avere più la mente lucida a sufficienza per capire.
Molto era cambiato e, ai vecchi tempi, l’automobilismo europeo divenuto mondiale non si sarebbe staccato tanto dalle proprie origini. Da qualche anno, ormai, la tendenza era invece svolgere più di un gran premio stagionale negli Stati Uniti e gli americani avevano una maniera molto diversa di concepire le corse. Per tale ragione gli eventi non si svolgevano su circuiti tradizionali quali Sebring o Watkins Glen, che avevano ospitato gran premi in passato, quanto piuttosto su tracciati cittadini ricavati nelle zone più o meno periferiche delle metropoli, con vista o su paesaggi mozzafiato oppure con cumuli di cemento a fare da sfondo. Non che quegli eventi fossero un successo di pubblico o che, nella terra in cui si svolgevano, fossero considerati da più di una piccola nicchia di persone, ma il progetto di espansione oltreoceano continuava e gare che passavano in sordina venivano ripetute stagione dopo stagione, ammesso che tra gli organizzatori non ci fosse il truffatore di turno che fuggiva con il denaro facendo arenare il progetto.
Angelo Giuliani ricordava i tempi in cui il campionato mondiale terminava a Watkins Glen, in un’epoca in cui gli eventi che avvenivano al di fuori dell’Europa difficilmente avevano una copertura completa nei paesi europei. Spesso capitava che gli appassionati di automobilismo venissero a scoprire dalle riviste specializzate, magari dopo qualche giorno, chi aveva conquistato la vittoria del titolo. Ai tempi c’era spesso da sperare che la classifica si chiudesse anzitempo e che il pilota in testa al mondiale potesse iscrivere il proprio nome nell’albo d’oro in occasione dell’ultima gara europea, che tradizionalmente si svolgeva sul circuito di Monza. Quell’aspetto era ormai cambiato e, anche se il campionato sarebbe stato assegnato in un altro fuso orario, quella sera gli italiani avrebbero potuto seguire la diretta televisiva dell’ultimo evento della stagione, seppure in un luogo che nulla aveva a che vedere con la storia dell’automobilismo, con una sola interruzione di un quarto d’ora in mezzo per trasmettere il telegiornale in versione ridotta.
Per semplice gusto personale, Angelo non amava i tracciati cittadini americani e, nello specifico, non amava quello sul quale si sarebbe gareggiato in quell’ultimo fine settimana d’autunno, ma non era sua competenza parlare in cabina di commento del proprio gusto personale, né vaneggiare a proposito dei bei vecchi tempi. Quei vecchi tempi erano terminati, con il loro indubbio fascino che non sarebbe mai più tornato. Non tutti i mali, tuttavia, venivano per nuocere. Quando Giuliani aveva iniziato a lavorare, esisteva ancora la concreta possibilità che non tutti i piloti presenti sulla griglia di partenza fossero ancora in vita al termine della gara e, ancora peggio, che tutti gli spettatori che stavano sulle tribune e dietro le reti di protezione - o, in alcuni eventi, pressoché ai lati della carreggiata, senza protezione alcuna - potessero vantare la stessa fortuna. Ogni volta era tutto un susseguirsi di voci che volevano mettere al bando le corse automobilistiche, o addirittura che se la prendevano con chi alla radio raccontava quello che loro tacciavano di essere uno “spettacolo di morte”, un po’ come a insinuare che provassero gusto nel vedere una ruota vagante sbalzata al di là delle protezioni che trucidava una decina di persone.
Da quel punto di vista erano stati fatti parecchi progressi, nel corso degli anni, anche se non vi era dubbio che spesso fosse stata la fortuna a impedire che accadessero tragedie. Comunque fosse, quando Angelo si accomodava in cabina di commento, indossava le cuffie sperando di non udire suoni di dubbia provenienza e accendeva il microfono, sapeva che vi era l’elevata probabilità che i ventisei piloti che si stavano apprestando a prendere il via alla gara fossero ancora tutti vivi di lì a due ore e che commissari di percorso, fotografi e spettatori fossero tutti in buone condizioni di salute.
«Buonasera ai nostri nostri telespettatori da-...» Un suono stridulo e micidiale arrivò nelle orecchie di Angelo mentre pronunciava il nome della città ospitante. Non era una novità. A volte succedeva addirittura già al momento del ‘buongiorno’ o della ‘buonasera’. «Segnalo ai miei colleghi di Roma che ho problemi di audio. Se riuscite a sentirmi, vi prego di verificare.»
Mancavano ancora pochi minuti alla partenza del giro di ricognizione e, per quanto fosse ancora possibile potere commentare la diretta della partenza, era molto probabile che Giuliani non avesse il tempo di snocciolare, prima dell’inizio del gran premio, le combinazioni con cui l’uno o l’altro contendente al titolo avrebbero potuto conquistare il campionato. Era consapevole che al pubblico italiano non interessasse molto di chi, tra i due compagni di squadra, avrebbe potuto portare a casa il trionfo finale, e magari avrebbero gradito addirittura se avesse trascorso parte della telecronaca a criticare le loro prestazioni come piloti, adducendo alla sola superiorità delle loro monoposto il dominio in quella stagione, però non era così che doveva lavorare un telecronista: doveva narrare, e magari cercare di smorzare le polemiche esistenti, piuttosto che fomentarle o addirittura inventarsi teorie del complotto da gettare in pasto a soggetti che, all’interno delle osterie, erano già arrivati a tracannare l’ennesimo bicchiere di vino e avevano disperatamente bisogno di qualcuno da insultare per apparire interessanti e competenti sull’argomento.
Mentre stava facendo quelle riflessioni, il suono stridulo si affievolì, fino a scomparire. Al suo posto una voce lo informò: «Sei in diretta, Giuliani.»
«Buonasera» ripeté Angelo, senza la certezza che il primo saluto fosse andato in onda. «Siamo in linea dagli Stati Uniti per la telecronaca del gran premio che metterà fine al campionato mondiale, qui tra poco scatteranno le tredici e le vetture sono già pronte sullo schieramento di partenza. Vi ricordo che ieri la seconda sessione di prove cronometrate è stata rinviata a causa di un problema di tenuta dell’asfalto e, dopo alcuni lavori di sistemazione, è partita con due ore e venti minuti di ritardo. Uno scroscio di pioggia ha impedito alla maggior parte dei piloti di migliorare i tempi ottenuti nella prima qualificazione del venerdì e ciò non ha certo favorito Xavier Delacroix, che si trova in testa alla classifica con appena un punto di vantaggio sul compagno di squadra Valerio Villa. Nella giornata di venerdì, Delacroix è riuscito a scendere in pista soltanto a sessione inoltrata a causa di un guasto al turbo, conquistando appena l’undicesimo tempo. Scatterà solo dalla sesta fila, mentre, pur autore di una prestazione non eccellente, Villa ha ottenuto il quarto posto. Ricordo che il punteggio viene così assegnato: nove punti al vincitore, sei al secondo classificato, quattro al terzo e poi, a seguire, tre, due e uno fino ad arrivare al sesto posto. I quattro peggiori risultati vengono scartati dal punteggio totale, ma ciò non avrà impatto per nessuno dei due: entrambi, infatti, hanno numerosi ritiri o arrivi in posizioni retrostanti, specie nella prima parte della stagione quando la scuderia Vertigo ha avuto innumerevoli problemi legati all’affidabilità, mentre Delacroix ha anche una mancata partenza, sempre risalente alla scorsa primavera, a causa di una frattura a un polso rimediata nel suo spettacolare incidente a-...»
Di colpo, un altro suono stridulo andò a colpire le orecchie già messe a dura prova del povero telecronista, mentre un pannello annunciava che mancavano trenta secondi alla partenza del giro di ricognizione. Sullo schermo che Angelo aveva davanti, al posto delle immagini in bianco e nero iniziarono a vedersi una serie di righe intermittenti. Una voce lontana, nelle cuffie, borbottò parole inudibili che, intuitivamente, potevano essere “non ti sentiamo più, diamo la linea allo studio di Roma”. Immaginò che la griglia di partenza venisse elencata dai suoi colleghi che commentavano dall’Italia e, nonostante non fosse particolarmente religioso, invocò eventuali entità superiori all’ascolto di potere lavorare in santa pace. In maniera del tutto inaspettata, le immagini tornarono mentre le vetture andavano a schierarsi sulla griglia di partenza e, al contempo, la voce del solito operatore gli comunicò: «Sei di nuovo in diretta.»
Non vi era più alcun tempo, ormai, per i convenevoli. Angelo sperò che i telespettatori fossero stati informati di tutto ciò che era necessario sapere in quel momento, poco importava che non fosse stato calcolato quanto tempo era passato da quando un italiano era divenuto per l’ultima volta campione del mondo. Non si aspettava, tuttavia, che i telespettatori fossero in trepidante attesa di assistere al momento in cui Villa avrebbe conquistato il titolo. La loro fedeltà andava in gran parte alle squadre italiane e, perfino considerato tra i piloti italiani, Villa non era certo quello che attirava più consensi. Molti giornalisti l’avevano tacciato in passato di essere poco cordiale e di darsi arie di superiorità e quel giudizio sommario - a Giuliani non importava se Valerio fosse un uomo simpatico o meno, il suo lavoro consisteva nel commentarne le prestazioni in pista, tutto il resto non aveva alcuna rilevanza - era bastato per renderlo poco appetibile agli occhi dei suoi connazionali.
Non vi era dubbio che, tra quella già ristretta parte del pubblico che sosteneva l’uno o l’altro pilota, ci fossero parecchi tifosi di Delacroix, ammirato per l’immagine da trascinatore di folle che gli era stata cucita addosso e per il modo in cui si atteggiava tanto a persona comune. Molti di loro, senz’altro, rimasero colpiti in positivo quando, al momento del via, videro le bandiere gialle agitarsi e il semaforo, invece di divenire verde, iniziare a lampeggiare: il pilota rimasto fermo sulla griglia era proprio Villa, che non sarebbe scattato dalla quarta posizione, ma dal fondo dello schieramento, sempre ammesso che il motore della sua monoposto intendesse riaccendersi.
Alla falsa partenza seguì un secondo giro di ricognizione, con il pilota italiano che si accodò ai venticinque che, diversamente da lui, non avevano avuto alcuna avaria. Tutto proseguì liscio, in cabina di commento, e Angelo Giuliani ne approfittò per elencare il nuovo ordine con cui le vetture si sarebbero riallineate. La casella della griglia originariamente conquistata da Villa rimase vuota e, seppure sull’undicesima piazzola, Delacroix era decimo, con il vantaggio di partire dal lato pulito della pista. Comunque fosse andata, tuttavia, era ben difficile che il suo compagno di scuderia potesse arrivare a raggiungerlo e a insidiare la sua posizione in vetta alla classifica. Sembrava ormai fatta per Xavier Delacroix, il ragazzo timido e schivo che al volante si trasformava in una bestia feroce, colui che tutti, fin dal primo momento, avevano identificato come un futuro campione del mondo. Quel futuro stava diventando il presente e, quando la gara finalmente partì, con un giro in meno da disputare a causa del nuovo schieramento sulla griglia, ebbe uno scatto fulmineo e si liberò di tre avversari, portandosi settimo, a ridosso della zona punti.
«Vediamo invece Villa in difficoltà, nelle posizioni retrostanti» commentò Angelo, cercando di metterlo a fuoco sul piccolo monitor in bianco e nero, «ruota contro ruota contro avversari che, sulla carta, avrebbero ben poche possibilità di resistergli.»
Era solo questione di pochi giri: ben presto quei piloti che guidavano auto con le quali era difficile superare la tagliola delle qualifiche, o addirittura quella delle prequalifiche, in alcune occasioni, si sarebbero arresi al loro ineluttabile destino. Qualcuno di loro, tuttavia, tentava un ultimo guizzo disperato per mettersi in mostra prima che terminasse la stagione, ma non c’era da stupirsene. Il debuttante svizzero Karl Graber, riconosciuto dal suo numero di gara inquadrato per un fugace attimo in primo piano, si trovava addirittura a vista d’occhio ben prima della ventesima posizione, a giudicare dal numero di monoposto che aveva dietro, il tutto dopo avere collezionato ben cinque mancate qualificazioni e una non prequalificazione nei sei precedenti appuntamenti del campionato. Doveva essere il suo giorno fortunato, un po’ come se il suo destino fosse rimanere, a modo suo, nella storia.
Angelo sapeva che quel giovane avrebbe perso posizioni prima ancora che il giro terminasse e che di lì a poche tornate si sarebbe ritrovato ultimo, e chissà, magari non sarebbe mai più stato al via di un gran premio, il tutto mentre i telespettatori, nei loro soggiorni oppure al bar, erano a malapena consapevoli della sua esistenza. Le regie dei singoli paesi erano gestite in autonomia e, mentre in alcuni stati con una grande cultura motoristica il lavoro di copertura era piuttosto buono, in altri lasciava molto a desiderare. Non c’erano dubbi che quella fosse una delle gare in cui le telecamere sarebbero andate a inquadrare il pilota al comando per gran parte del tempo, ignorando perfino la rimonta di Valerio Villa, figurarsi se c’era spazio per uno come Graber, che per molti doveva sembrare solo un nome come un altro che andava a riempire la griglia di partenza, nelle poche occasioni in cui riusciva a entrarvi.
Infatti, proprio come Giuliani immaginava, la sagoma gialla della monoposto di testa - sagoma che Angelo sapeva essere gialla, ma che appariva grigio chiaro sullo schermo - andò ben presto a monopolizzare le immagini. Dove fosse Villa, sembrava non importare a nessuno, figurarsi se qualcuno si preoccupava di dove fosse Graber, destinato a scomparire di scena, mentre al massimo, di tanto in tanto, faceva capolino la sagoma della Vertigo di Delacroix, che superata da poco la metà del primo giro era già al quinto posto.
Poi, di colpo, la regia staccò dal pilota in testa alla classifica, senza tornare su quello in testa alla gara: c’era una barriera sfondata, da qualche parte del circuito. C’erano due vetture ferme che ostruivano la strada e se ne intravedeva una ribaltata al di là della barriera stessa. Più indietro, un’altra monoposto era stazionaria con la parte anteriore visibilmente danneggiata: era quella di Villa e tutto lasciava pensare che il pilota fosse andato a colpire un muro nel tentativo di evitare il groviglio che gli si era parato davanti.
Un mezzo di soccorso venne inquadrato muoversi verso quella zona. Poco dopo apparve sullo schermo il direttore di gara che reggeva una bandiera una bandiera: appariva grigia scura, quasi nera, ma Angelo Giuliani sapeva che in realtà era rossa. Il pilota al comando non era ancora arrivato sulla linea del traguardo, il primo giro non era ancora stato completato. Il primo pensiero automatico fu quello che, una volta sistemate le barriere e rimosse le vetture incidentate, la gara sarebbe ripartita da distanza originale. Se le squadre che avevano auto coinvolte nella collisione multipla disponevano di una vettura di riserva, i loro piloti avrebbero ripreso il via.
Dal momento che tutto ciò che era accaduto fino a quel momento risultava non essere mai successo, doveva esserci, per forza di cose, un dubbio esistenziale: «Bisogna vedere, regolamento alla mano, se Villa potrà ripartire con il muletto dalla quarta posizione, oppure se dovrà schierarsi in fondo alla griglia.» Angelo era quasi sicuro che potesse riprendere la posizione originale, ma a quella certezza se ne accompagnava un’altra, ovvero che il fatto avrebbe senz’altro generato molte polemiche. «Se la memoria non mi inganna, dovrebbe essere così. Non...»
Si interruppe per un attimo, quando le immagini andarono a focalizzarsi sulla monoposto ribaltata. Le condizioni erano terribili e quelle del pilota non dovevano essere molto migliori. Commissari e addetti al soccorso stavano accerchiando il rottame, su cui svettava ancora, in bella vista, il numero di gara di Karl Graber. Il primo pensiero di Angelo andò alla considerazioni fatte poco prima, che fosse il giorno fortunato del giovane svizzero, che fosse destinato a farsi ricordare, associato a quel gran premio, e che quella avrebbe potuto essere la sua ultima presenza sulla griglia di partenza. La prima era senza dubbio sbagliata - non era certo il suo giorno fortunato, su questo non vi erano dubbi - ma la seconda e la terza avrebbero potuto corrispondere a verità.
 
   
 
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