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Autore: Avion946    16/03/2024    0 recensioni
[Iliade]
Nel 1400 a.C. circa, un ragazzo reco viene costretto da una serie di circostanze ad affrontare un'incredibile e pericolosissima avventura all'interno delle mura di Troia, nel corso della famosa guerra coinvolgendo in questa esperienza sorprendente un giovane studente dei tempi moderni in quale, per uscire dalla critica e delicata situazione in cui verrà a trovarsi, dovrà sostenere e risolvere un difficile test e superare una prova estremamente impegnativa.
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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                                                                           Parte III – Conclusione 

                                                                                        Cap IX^

Emanuele riprese conoscenza mentre, molte persone attorno a lui, dopo averlo girato in posizione supina, cercavano di capire cosa gli fosse successo. Un uomo, inginocchiato accanto , gli aveva sollevato la testa e, notando sulla fronte il segno di una seria contusione con del sangue, chiese un po’ d’acqua ai presenti. Subito una ragazza gli si accostò per farlo bere dalla sua borraccia, mentre una signora di mezz’età gli si avvicinò e, rapida, gli passò sotto le narici un tamponcino, imbevuto di sali ammoniacali, che gli fece l’effetto di una bastonata. L’uomo, dopo aver allontanato con gesto deciso la mano della donna, gli chiese:”Come state? Mi sentite? – e avendo notato che aveva gli occhi aperti, di nuovo gli chiese – Mi capite?”. Il ragazzo non capiva dov’era. Ora era giorno. Doveva essere rimasto sul pavimento per tutta la notte. Ma perché non era morto, si chiedeva. Qualcuno doveva averlo trascinato all’aperto. Cosa era successo a Crino ed al piccolo Anteo? A quell’ora, se i Greci erano stati di parola, dovevano essere già lontani ed in salvo, grazie agli Dei, perché di li a poco sarebbero arrivati soldati di Priamo. La vista gli tornò a fuoco ma ciò non lo rassicurò affatto. Attorno a lui era tutto distrutto, in rovina. E poi, come era vestita quella gente e lui era Ilario…. Emanuele. Chi era? La mente non resse  a quel fiume di domande ed il ragazzo di nuovo piombò in uno stato di incoscienza. Quando rinvenne, riprese i sensi lentamente. Non riusciva ad aprire gli occhi. La testa gli martellava in un modo terribile. Sentiva anche un forte dolore dove Tassos l’aveva colpito a tradimento. Ma se era ancora vivo, allora qualcuno doveva averlo curato.  Forse addirittura Crino che era tornata indietro a cercarlo. Ma allora erano in pericolo! Dovevano scappare! Aprì gli occhi. Seppure in penombra, riconobbe una stanza d’ospedale. Un tubicino, attaccato ad una flebo, gli iniettava del liquido nell’incavo del braccio destro. L’ambiente, tutto bianco, dava l’idea di una assoluta pulizia. Nella stanza c’era un altro letto che però’ in quel momento non era occupato. Emanuele, molto confuso, continuò a guardarsi attorno. Sul soffitto c’erano delle luci al neon che però in quel momento erano spente. Sul suo comodino erano stati posti una bottiglia d’acqua ancora chiusa, un pacchetto di fazzoletti ed un bicchiere di plastica. Le veneziane alla finestra erano posizionate per far entrare un po’ di luce ma non permettevano di vedere l’esterno. Riconosceva quegli oggetti. Era caduto, ora ricordava. No! Era stato pugnalato alla schiena e ricordava distintamente la sensazione della morte. Tutto quell’ambiente, le cose attorno a lui, gli erano familiari ma, al contempo, stridevano con ciò che lui era in quel momento. E iniziò ad urlare. Quasi immediatamente si aprì la porta della stanza ed entrò una infermiera anziana e corpulenta che si preparava a tenere fermo il paziente ma si accorse che il ragazzo non dava in escandescenze e si limitava ad urlare, con lo sguardo fisso verso il soffitto, ma le sue grida erano terribili e si sentivano per quasi tutto il piano. Chiamò allora il dottore che giunse, anche lui di corsa, malgrado l’età avanzata, con una siringa già pronta in mano. Velocemente e con grande esperienza iniettò il liquido nel braccio del paziente che quasi immediatamente piombò in un sonno profondo. “Povero ragazzo – disse l’infermiera ricomponendosi – Non sembra pericoloso ma quando ha queste crisi, dà l’idea di soffrire in modo terribile”.”Non sono le sue ferite – osservò il dottore – C’è qualcosa nella sua mente. Un trauma terribile, magari vissuto nel suo passato che ha trovato la strada per tornare in superficie, dopo essere stato sopito per tanto tempo. Chissà. Solo il tempo, temo, lo potrà aiutare”. Il giorno seguente il ragazzo si svegliò sereno. Sapeva esattamente dove si trovava. Ricordava il suo nome ed il motivo della sua presenza in quel luogo. Aveva sognato tutto, non c’erano dubbi. Il lungo e intenso impegno dello studio della sua materia, certamente l’avevano condizionato e avevano contribuito a scatenare quella strana reazione. C’era però il problema del profondo amore che provava nei confronti di Crino, che gli mancava terribilmente, come gli mancavano gli abbracci del piccolo Anteo a cui aveva augurato la buonanotte con un bacio sulla fronte solo pochi giorni prima. Iniziò a provare un’emozione intensa, un vero magone che lo faceva stare davvero male e che gli scatenò una crisi di pianto per il profondo senso di perdita che stava provando. Doveva uscirne. Prima, però, doveva uscire da lì e magari tornare in Italia dove avrebbe chiesto aiuto al suo dottore che lo seguiva e lo conosceva da molti anni e che, certamente, avrebbe trovato una soluzione. Temeva che se qualcuno all’interno del’ospedale, avesse intuito i suoi problemi, avrebbe potuto richiedere un accertamento e trattenerlo all’interno della struttura.  Cercò quindi di apparire più tranquillo possibile per cui, dopo un paio di giorni, fu messo in dimissione. Il dottore che lo aveva seguito, però, espletate tutte le pratiche, gli consigliò, confidenzialmente, di cercare qualcuno che lo potesse aiutare in modo efficace perché era evidente che, dal punto di vista fisico era tutto in ordine, non così era per il lato emotivo. Il ragazzo ringraziò per il consiglio e fu accompagnato da un infermiere in un ufficio dove gli vennero riconsegnati gli effetti personali che un agente, piuttosto scrupoloso, aveva provveduto a mettere al sicuro al momento del ricovero. Indossò i suoi abiti, un pantalone ed una maglietta , notando un piccolo strappo sul ginocchio destro del pantalone e alcune gocce di sangue sulla maglietta. Poi, l’agente gli consegnò un’altra busta, in cui erano stati custoditi gli oggetti di valore e che Emanuele svuotò sul tavolo per avere una visione d’insieme. Apparentemente c’e tutto. Il suo orologio, l’ anello con la corniola, il portafoglio con il denaro e… la catenina che gli aveva regalato sua madre al momento di lasciare l’isola. No!La catenina di Ilario, non la sua. Fu preso da uno strano senso, fra la disperazione ed il panico. Quell’incubo non aveva fine e lui non riusciva ad uscirne. Ricominciava tutto daccapo. Si portò le mani alle tempie e, chiusi gli occhi, cercò di superare quella tensione terribile che gli faceva sentire la mente stretta in una morsa. Fu richiamato alla realtà dal fatto che l’agente, vistolo in difficoltà, lo aveva preso per un braccio temendo che potesse venir meno e gli chiese come stesse. “Io sto bene riuscì a dire Emanuele – ma questa catenina ? – chiese indicando l’oggetto sul piano del tavolo. “Quella l’avevate al collo quando siete stato portato qui. La chiusura è rotta, è vero ma vi assicuro che non sono stato io. Magari, quando vi hanno rialzato lì, alle rovine. Ci tenete molto? ”.”Si – rispose esitante il ragazzo – E’ il ricordo di qualcuno che….. che non c’è più”. Lasciò l’ospedale e rifiutò il taxi. Voleva camminare, anche se non si sentiva molto in forma. I giorni terribili passati a letto. La confusione nella testa ed ora, quella benedetta catenina. Quanto sarebbe durata quella storia e come sarebbe andata a finire? Lui, Emanuele, lo studente, con a sua vita tranquilla e normale e poi, insieme Ilario con tutte le sue esperienze di vita e quel finale drammatico. Ma chi era lui adesso? Arrivato al suo albergo, si sedette al tavolo del bar ed ordinò un caffè. Si fece portare anche una penna e dei fogli per scrivere ed iniziò a prendere appunti circa gli interrogativi principali che quella storia gli poneva. Aveva prima pensato ad un sogno, per quanto reale, intenso, ma ora… quella catenina . E poi ricordava i suoni, la lingua troiana parlata correntemente che lui, in passato,  aveva letto ma non aveva mai sentito. Ricordava il sapore dei cibi e poi, arrivò all’improvviso il ricordo della formula segreta del colore rosso di Asha. Era un sogno anche quello? Pensò che non aveva assistito alla fase finale della guerra ma, forse, quello poteva essere un bene. Visto come erano andate le cose, se fosse rimasto, sarebbe stato quasi certamente ucciso lo stesso e, magari, avrebbe visto uccidere la sua famiglia. Ebbe un profondo brivido. La sua famiglia. Ma che si sapeva di loro? Ce l’avevano fatta a fuggire? La storia che conosceva, riportava che Teano ed il marito  erano realmente fuggiti e si erano rifugiati, in un primo momento, in un territorio chiamato, all’epoca,  Enetica, corrispondente al sud dell’Albania. Dopo un paio d’anni, però, furono raggiunti da Enea, seguito da diversi superstiti della città di Troia, che li convinse ad unirsi a loro, raggiungendo il nord dell’Italia dove, secondo lo storico romano Servio Mario Onorato, decisero di fermarsi e fondarono la città di Antenorea che assunse in seguito il nome di Padova. Di Crino invece non si sapeva nulla. In realtà, lui non aveva mai dato peso alla cosa, ritenendolo un personaggio più che marginale ma ora, evidentemente, diventava un caso personale. Forse dopo la fuga, la ragazza aveva pensato di far conoscere il bambino ai nonni. Possibile. E se se sua madre avesse conosciuto il piccolo Anteo, avrebbe potuto convincere Crino a restare con loro, tanto non avrebbe avuto altri posti dove andare. Lì avrebbe trovato quanto di più simile ad una famiglia potesse avere. Provò una forte strana sensazione. Quelle due donne non appartenevano alla sua vita ma visualizzare la scena del loro incontro lo fece sentire molto coinvolto. Quella notte , per dormire qualche ora, dovette prendere una dose di calmante doppia rispetto a quella che gli era stata prescritta in ospedale. Non funzionò granchè e la mattina si sentiva un vero straccio. Comunque alle 8.30 era davanti alle porte del sito archeologico di Troia. Come appariva incredibile quella grande città, solo pochi giorni prima imponente e maestosa, ridotta ora ad un misero mucchio di rovine. Riusciva ad orientarsi ma era molto difficile riconoscere i posti dove aveva  trascorso dieci anni. Anche ammesso che quello che aveva vissuto fosse stato vero e non un parto della sua mente in seguito al trauma, egli sapeva che sulla città di Priamo , erano stato costruiti almeno altri quattro insediamenti. Alcuni punti erano individuabili. La zona del tempio, parte delle mura, la zona della porta Dardanica, resti della filanda che però erano stati indicati come ruderi di magazzini. Ogni angolo, ogni luogo gli rimandava un ricordo, una voce, un’emozione. Mentre tentava disperatamente di tenere testa a quella tempesta  di sensazioni,  Emanuele/Ilario, andò dove poteva vedere bene il mare. Gli apparve l’accampamento dei Greci, pieno di vita e attività, con le navi tirate in secca sulla spiaggia. Il fossato con la palizzata, il campo dei Mirmidoni, con Achille. Rivide la battaglia, con migliaia di soldati che combattevano all’ultimo sangue, ognuno per la propria fazione. Udiva le grida, il frastuono, sentiva gli odori, provando un coinvolgimento estremo e terribile e poi, fu silenzio. Tutto era scomparso. Gli eroi erano morti, la città distrutta e lui, era lì, con il fiato corto e gli occhi ancora sbarrati, a fissare il mare. Si lasciò andare a sedere su un masso che era stato parte delle mura accanto alle porte Scee. Ora che avrebbe dovuto fare? Non riusciva a concentrarsi, non capiva. Quella cosa non poteva essere accaduta solo per farlo stare male. Poi, quasi senza accorgersi, la sua mano destra andò al taschino della camicia e ne trasse la catenina. Stette ad osservarla a lungo. Quella doveva essere la chiave. Ma, intanto, perché ce l’aveva lui? Poi gli tornò in mente ciò che stava facendo Ilario appena prima di morire. Si era strappato dal collo il piccolo monile e sollevandolo al cielo, chiedeva di essere riportato a casa. Cosa intendeva? E se…? Gli venne un’idea che si fece sempre più assillante e che , con il passare del tempo, si convinse essere la giusta soluzione. Stranamente in quel frangente, Ilario taceva. Emanuele prese alla fine la sua decisione. Non aveva nulla da perdere, in fondo, e magari avrebbe trovato altre risposte. Quella notte dormì di nuovo assai poco ma non volle prendere calmanti perché l’indomani, per portare a buon fine il suo piano, avrebbe dovuto essere più sveglio che mai. La mattina seguente, si fece portare da un taxi al vicino porticciolo di Yenicoy Limani , come gli era stato consigliato in albergo. Era una piccola installazione, senza pretese, frequentata da alcuni diportisti ma la maggior parte delle imbarcazioni erano pescherecci del luogo. Le barche erano di diverse dimensioni e in diverse condizioni. Passeggiando lungo il molo, con aria apparentemente distratta, in realtà Emanuele si fece un’idea della situazione dei natanti, valutando quelli che potevano fare al caso suo. Decise di usare una strategia che gli era stata utile in altre occasioni simili. Attaccò discorso, come per caso, con una vecchio pescatore che, seduto su una cassa, intento a riparare una rete, in realtà non l’aveva perduto d’occhio da quando era sceso dal taxi. Parlando un greco estremamente stentato e dicendosi straniero, chiese all’uomo se era possibile affittare una barca. Quello, ostentando una grande sicurezza e competenza, gli indicò due barche in discrete condizioni. Erano di amici suoi che, solo perché lo mandava lui, gli avrebbero fatto un prezzo speciale, ossia 500 euro al giorno, vitto e bevande escluse. Il ragazzo, non battè ciglio e ringraziò per le informazioni. Accomiatandosi, fece scivolare nelle mani dell’uomo un biglietto da 10 euro. Quello lo guardò leggermente deluso ma poi pensò al premio che gli avrebbe corrisposto il capitano della barca eventualmente affittata dallo straniero. Emanuele percorse di nuovo il molo, evitando le barche che gli erano state consigliate. Erano di certo ‘trappole per turisti’ ed una di loro non appariva nemmeno in buone condizioni. Fu invece attratto da un piccolo peschereccio attraccato quasi in fondo alla banchina. Un robusto uomo di mezz’età, che indossava soltanto un paio di stinti pantaloncini, stava lavando il ponte con delle secchiate d’acqua ed uno spazzolone. La barca, che aveva lo scafo verniciato in blu ed il ponte in colore celeste, appariva piuttosto ‘vissuta’ ma era pulita e ordinata. Il suo nome, Mastika, aveva colpito il ragazzo. Il padrone della barca doveva essere un estimatore di quel particolare liquore. Senza perdere tempo e senza sotterfugi, il ragazzo si rivolse all’uomo e gli chiese se era disposto a condurlo in un posto che avrebbe richiesto due giorni di navigazione fra andata e ritorno. Il marinaio dapprima non rispose ma poi, vedendo che l’altro era rimasto fermo ad attendere, chiese se il lavoro era onesto e pulito. Alle assicurazioni di Emanuele, l’uomo, dopo averlo valutato a lungo, decise di accettare ma gli chiese la cifra totale di 500 euro, cibo e bevande comprese,  di cui 100 euro in anticipo per il carburante.  L’altro accettò immediatamente e gli diede l’anticipo richiesto. L’appuntamento era per la mattina seguente alle ore sette, in quello stesso luogo. Sapeva che avrebbe potuto contrattare di più ma sentiva di aver fatto una buona scelta. La mattina seguente alle sette precise, trovò la barca ad attenderlo, pronta alla partenza. Il marinaio, che disse di chiamarsi Evan, appena il passeggero fu a bordo, partì. Disse, comunque, di aver chiesto troppo poco e che, con quel viaggio, ci avrebbe rimesso. Emanuele gli fece notare che avrebbe potuto trovare un passaggio anche ad un prezzo minore. Il marinaio concordò ma aggiunse che magari sarebbero colati a picco dopo poche miglia o che, giunti a metà del viaggio, gli avrebbero tagliato la gola per derubarlo, facendolo poi sparire. “E chi mi dice che non lo farai anche tu? Non è strano che tu non mi abbia nemmeno chiesto dove siamo diretti?”.”Già, sembra strano ma, io lo so dove siamo diretti. Mentre tu andavi via, ieri, ti sei fermato al chiosco del porto, per comprare una cartina delle isole ed hai fatto un sacco di domande sull’isola di Lemno. Dopo nemmeno un quarto d’ora, l’addetto, in cambio di un buon bicchiere, è venuto a dirmelo. Funziona così, qui. Ma cosa ci vai a fare laggiù? Tratti qualche  affare?”.”No, - ammise il ragazzo – sono solo uno studente e con scarsi mezzi, per di più. Per cui non farti venire strane idee”. La barca guidata con mano esperta, si era fatta strada fra le varie imbarcazioni ancorate e, ala fine, si diresse decisamente verso il largo. Il tempo era buono, il cielo sereno, il vento moderato ed il mare calmo. Via via che la costa si allontanava, riemergevano strani ma pressanti ricordi. Il suo arrivo con Asha a fianco, con un ben diverso panorama, il braccio del principe Polite sulle sue spalle. Ecco che tornava prepotente Ilario. Il ragazzo ebbe un nodo di commozione che lo colpì violentemente al petto e dovette appoggiarsi alla  murata per sostenersi. Poi, però, ebbe un moto di rabbia e inquietudine. Quelli non erano i suoi ricordi! Ma erano così reali… Fortunatamente lo chiamò Evan, chiedendogli di badare al timone, mentre lui sistemava le canne da pesca. “Queste sono le vettovagli comprese nel prezzo? – chiese scherzosamente il ragazzo. “Stai tranquillo – disse l’altro apparentemente risentito – ho per te delle fantastiche scatolette da turista. Io preferisco il pesce fresco e, non so se l’hai notato, quando mi hai ingaggiato,  io sono un pescatore e quindi, se appena ne ho l’occasione,  pesco!”. Il ragazzo non rispose perché in quel momento stavano costeggiando l’isola di Tenedo, sul lato settentrionale e si vedeva un porticciolo e diverse abitazioni concentrate però sul lato est . Per il resto, l’isola appariva quasi deserta, almeno vista dal mare. Evan gli confermò che lì vivevano circa 2000 persone, quasi tutte però  nel capoluogo chiamato Boozcada, in lingua turca. Dietro quell’isola si era rifugiata l’intera flotta Greca, mentre Ulisse consegnava la sua ambasceria farsa per ingannare i Troiani. Mentre ancora il ragazzo pensava a quell’evento, vedendo la terra ferma allontanarsi, Evan lo richiamò alla realtà, chiedendogli dove voleva essere condotto, con esattezza a Lemno. Di certo, essendo uno studente, sarebbe stato molto interessato alla località di Polichni, sulla costa orientale. A quel punto Emanuele prese dal suo zaino la cartina che aveva comprato e, dopo averla aperta,  mostrò al marinaio il punto esatto dove voleva andare, ossia all’interno di un golfo vicino al capoluogo di Mudros. “Ma non c’è niente là, forse solo i resti di qualche vecchio insediamento ma di nessuna importanza”.”Appunto, è proprio quello che cerco – rispose il ragazzo cercando di mantenere la calma. Era della sua casa che stava parlando…. No! Era la casa di Ilario, accidenti, non la sua!”. Fu distratto per fortuna, dalla domanda dell’altro che gli chiese con aria furba:”Non è che sei un cacciatore di tesori?”. Per un attimo ricordò al ragazzo il capitano Thais con il quale aveva perfino una certa somiglianza. “No, no, - si sbrigò a rispondere – devo solo fare dei rilevamenti geografici. Vedrai, faremo in fretta”. O almeno, sperava, perché nemmeno lui sapeva cosa aspettarsi e, ancor meno, sapeva perché stesse realmente facendo quella cosa. L’altro sembrò accontentarsi della risposta e  tornò alle sue mansioni. Dopo circa tre ore di navigazione, fermò il motore della barca e calò le lenze con le esche che aveva preparato in precedenza. Al ragazzo, che temeva un brutto scherzo, disse in tono rassicurante che con i motori fermi i pesci avrebbero abboccato più facilmente e loro avrebbero avuto ciò di cui avevano bisogno, nel giro di mezz’ora. Inoltre fece osservare che comunque la corrente li spingeva nella direzione giusta e lui, inoltre, non voleva arrivare all’isola di notte perché, nel posto particolare dove erano diretti, c’erano dei passaggi piuttosto critici che andavano affrontati con la luce del sole. Il ragazzo ricordava bene la preoccupazione del principe Polite quando erano partiti per l’inizio della sua avventura. La sua? Per fortuna la sua mente venne nuovamente distolta dal fatto che Evan aveva effettivamente preso qualcosa all’amo e poi fu solo una questione di tempo. Come il marinaio aveva pronosticato, nel giro di mezz’ora, avevano preso 12 pesci fra merluzzi, orate e branzini. Intanto Evan aveva preparato una piccola griglia a poppa e, dopo aver riavviato il motore, procedendo a bassa velocità, si mise subito a pulire i pesci e ne mise 4 a cuocere mentre dispose gli altri in una piccola ghiacciaia presente nella timoneria. Il pescatore condì i pesci con un misto di erbe che aveva tirato fuori dalla sua sacca e si sentiva un profumo incredibile. Poco dopo servì al ragazzo due pesci su un piatto di alluminio smaltato ed una birra fresca. Erano stati aggiunti al pasto dei pomodori secchi sott’olio e delle fette di pane di segale. Era tutto buonissimo. Altro che scatolette! Alla fine del pasto, Evan tirò fuori da un armadietto della timoneria una bottiglia ancora mezza piena di Mastika di cui doveva essere un buon estimatore, visto il nome che aveva dato alla sua barca. Il ragazzo rifiutò ma l’altro se ne versò una generosissima dose. Quando il passeggero gli fece notare l’inopportunità di quella bevuta, l’altro gli rispose che non ci sarebbe stato nessun problema perché sarebbe stato proprio lui a condurre la barca. Lo condusse in timoneria e gli indicò alcuni strumenti da tenere d’occhio. Regolò il motore accelerandolo giusto un po’ e poi gli mostrò la rotta da seguire. La corrente li avrebbe spostati leggermente a sud ma davanti il mare era tutto sgombro quindi niente preoccupazioni. Detto questo si andò a sdraiare a prua, si coprì il viso con il cappello e nel giro di secondi, dormiva profondamente. Il ragazzo, dapprima profondamente agitato per la responsabilità che gli era piovuta addosso, pian piano si tranquillizzò. Il motore aveva un ritmo regolare e rassicurante, il mare era calmo e tenere la rotta si rivelò più facile del previsto. Verso sera, finalmente Elvis si svegliò e, dopo essersi stiracchiato e sciacquato il viso, raggiunse il ragazzo nella timoneria. Guardò gli strumenti, il cielo ed assentì. “Ma dove siamo esattamente – chiese Emanuele, che per seguire la rotta si era servito unicamente della bussola, non essendoci in vista nessun altro punto di riferimento. “E va bene – rispose il marinaio quasi controvoglia. Ed aprì le ante di uno scomparto sopra al timone, accanto all’apparato radio. Comparvero due monitor che, quando furono accesi, indicarono con esattezza la loro posizione ed altre indicazioni relative alla navigazione. “E questi? – chiese sorpreso il ragazzo. “Mica penserai che io viva nell’età della pietra – rispose l’altro – Per sapere dove sono i pesci devi avere almeno un piccolo sonar che ti aiuti. Il GPS ci dà comunque a 25 miglia dal nostro obiettivo. Bravo, ha tenuto la rotta come un perfetto lupo di mare. Siamo proprio dove dovremmo essere”. Poi, dopo aver controllato lo stato della barca, si mise di nuovo a cucinare e, dopo la cena, disse al suo passeggero di andare a dormire che alla barca quella notte avrebbe badato lui. Il ragazzo, effettivamente piuttosto stanco, si distese su un materassino che l’altro gli aveva fornito e si coprì con una coperta. Non potè fare a meno di pensare per un attimo alla notte passata accanto ad Asha sul ponte della nave di Polite, vicino al timoniere. Poi, però, di colpo si addormentò. All’alba, coi raggi del sole, si svegliò constatando, con un certo piacere, che, nel corso della notte, nessuno gli aveva tagliato la gola e che il portafogli era ancora intatto al suo posto. Sollevandosi a sedere, scorse, con grande emozione che il loro obiettivo era in vista e che era anche molto vicino. Il cuore sembrava scoppiargli in petto. Per quanto tempo aveva sognato quel momento. Per dieci anni! Poi Emanuele si riprese e riacquistò il controllo. La vicinanza dell’isola gli rendeva difficile conservare la sua identità. I sentimenti di quell’altro, diventavano sempre più forti e la cosa più strana era che lui lo poteva capire perfettamente. Smise di lottare e decise di seguire la situazione via via che si svolgeva. Elvis , che intanto era entrato nel piccolo golfo che sulla sua cartina era indicato con il nome di Baia di Mudros, procedeva con la massima attenzione perché il fondale, vicino alla riva destra, era piuttosto insidioso. Il ragazzo ricordava che quella era proprio la rotta che seguivano le navi che commerciavano con l’isola. Poi, improvvisamente, gli scattò qualcosa nella mente. “E’ là! – gridò indicando un punto preciso della costa dove era una piccola rientranza – E’ là! Proprio là! Accosta, presto!”. Il pontile non c’era più, naturalmente, ma quello era il punto preciso dove attraccavano le navi che commerciavano con Stoyan. Il ragazzo non stava più nella pelle. Là vicino c’era la sua casa, o quella di Ilario ma, per qualche strana magia, nulla aveva più un senso reale. Il marinaio osservava in silenzio quel ragazzo estremamente e inspiegabilmente eccitato me non fece commenti, nemmeno quando lo vide gettarsi nell’acqua ed arrancare per poi arrampicarsi sugli scogli della riva. Poi, con una certa sorpresa, lo vide cadere in ginocchio e restare là a guardarsi intorno, quasi rapito e ammaliato da quello che vedeva, ma il punto era che per quanto guardasse, lui, invece non vedeva nulla di particolare. Delle rocce, degli arbusti, alberi. Poi il suo passeggero, quasi avesse ritrovato un po’ di serenità, si rialzò e si diresse verso l’interno. Ilario era diretto a casa sua. Camminò sicuro, su un tragitto ben conosciuto finchè non raggiunse delle rovine che attestavano un antico insediamento. “Qui c’era l’ingresso – iniziò a dire, come se parlasse con qualcuno, muovendosi con sicurezza – qui il cortile e lì, le cucine. Laggiù, il fabbricato per la tintura, la stanza dove lavoravo…”. Poi Emanuele ritrovò il suo equilibrio e le immagini lasciarono il passo alla realtà. Non c’era nulla, lì. Forse qualche rovina, ma nient’altro. Nemmeno lui sapeva cosa si era aspettato. Ma ora cosa doveva fare? Dentro di sé sentiva sempre di più che, venire in quel luogo, era stata la cosa giusta. Però non succedeva nulla. Dopo quell’esplosione di emozioni che lo aveva colpito, non sentiva più nulla, non sapeva cosa doveva fare. Cos’aveva detto Ilario? “Portami a casa! Riportami a casa!”. Bene, la casa era indubbiamente quella. Ma cosa stava facendo intanto il ragazzo, appena prima di morire? Aveva alzato il braccio verso il cielo e in mano aveva la catenina. Dopo aver riflettuto, Emanuele ebbe un’intuizione. Prese dalla sua tasca il piccolo monile. Attorno c’era un silenzio innaturale. Il ragazzo distese il braccio con la catenina, come aveva fatto Ilario ma non accadde nulla. Passarono alcuni minuti e alla fine decise che non poteva rimanere lì in eterno. Rimaneva una sola cosa da fare. Raggiunse quello che sembrava essere il centro della casa e, scelto il posto adatto, si inginocchiò e iniziò a scavare una piccola buca. Il terreno era piuttosto duro e dovette aiutarsi con una pietra piatta per raggiungere la profondità di una ventina di centimetri. Prese la catenina e ce la lasciò cadere dentro. Esitò per qualche secondo perché quello straordinario manufatto era l’unica testimonianza della pazza, assurda avventura che aveva vissuto e lui stava per abbandonarlo su quell’isola. Poi, senza più dubbi, la ricoprì di terra. Sentiva che era giusto così. Si rialzò, dette un ultimo sguardo in giro con un certo senso di delusione. Ma in fondo, cosa si era aspettato? Proprio mentre stava per girarsi e tornare verso la barca, fu investito da una potente raffica di un vento gelido che gli irrigidì tutte le membra e lo costrinse a chiudere gli occhi. Il suo corpo era completamente bloccato e provava dolore in ogni suo punto. Nella sua mente si formarono delle immagini confuse ma molto intense, luminosissime. Vide l’immagine di Troia, bella splendida, seguita da una serie di volti e personaggi, alcuni conosciuti, altri no. Vide Crino, il piccolo Anteo, Priamo, Ettore, Asha, Stoyan, Maia e tanti altri in una sorta di girandola che sembrò mandargli il cervello in fiamme e provocandogli una grande sofferenza. Quando sentì che stava per cedere, la pressione di colpo diminuì e percepì una strana sensazione. Era come se qualcosa defluisse, attraverso di lui, verso il terreno, liberandolo da quella tremenda situazione. Quando tutto ebbe termine, si sentì esausto, svuotato. Si premette le mani sulle tempie, cercando di riacquistare un minimo di controllo sulla situazione. Elvis, ancorata e ormeggiata la barca in sicurezza,  aveva deciso di seguire il ragazzo perché non era riuscito proprio a capire che intenzioni potesse avere. Non era il solito turista e non sembrava davvero un cacciatore di tesori quindi, con grande discrezione, nascondendosi dietro cespugli e rocce, gli tenne dietro, a prudente distanza, cercando di capire cosa stava cercando il suo passeggero. Lo vide addentrarsi nell’isola per circa 300 metri, con il passo deciso di chi sapeva con certezza dove andare. Di quando in quando, si fermava per toccare una roccia o la corteccia di un albero con atteggiamento assorto, poi ripartiva. Giunse alla fine in un luogo dove, a malapena si scorgevano delle rovine. Lo vide guardarsi attorno, come qualcuno che volesse riconoscere dei punti precisi e quindi chinarsi quasi a cercare, al suolo, dei segni o dei riferimenti. Il ragazzo, giunto circa al centro dell’antico insediamento, rimase fermo, guardandosi attentamente intorno come se fosse in attesa di qualche risposta dall’ambiente circostante. Dopo qualche minuto, lo vide prendere qualcosa dalla tasca, qualcosa di molto piccolo e notò che aveva allungato un braccio in avanti, come se lo tendesse a qualcuno. Il marinaio non capiva, ma cominciava a sentire una certa inquietudine. Cosa stava accadendo? Dopo alcuni minuti, il suo passeggero si inginocchiò al suolo e sembrò che stesse scavando una piccola buca. Poi notò che vi stava seppellendo l’oggetto che aveva portato e alla fine si rialzò in piedi. Qualche istante dopo, il luogo venne spazzato improvvisamente da un impetuoso vento gelido. Il ragazzo si irrigidì, con le braccia spalancate e la testa rovesciata all’indietro. Il terreno iniziò a tremare e un alone luminoso circondò tutta la zona nelle immediate vicinanze dell’altro. A quel punto Elvis, che pure ne aveva viste tante, si spaventò a morte e decise di aver visto abbastanza. Rimaneva comunque un marinaio, con tutte le sue superstizioni e le sue paure. Tornò rapidamente alla sua barca. Se il suo passeggero aveva veramente risvegliato qualcosa, se la sarebbe dovuta cavare da solo. Lui l’avrebbe comunque aspettato ma a distanza di sicurezza. Emanuele sentì che si stava riprendendo. Si strofinò le tempie e riuscì ad aprire gli occhi. La scena che si trovò davanti, era sconcertante, stupefacente, sbalorditiva ma contemporaneamente né inattesa né spaventosa. Davanti a lui, poste a semicerchio, erano comparse delle figure diafane, quasi inconsistenti, ma perfettamente riconoscibili. Al centro, Stoyan, con accanto la moglie Agata. Alla loro destra, vicini, Ector e Maia. Dietro a loro, si distinguevano le figure di alcuni schiavi che lavoravano nella filanda e nella conceria e con i quali si ricordava di aver lavorato diverse volte e con i quali, spesso, condivideva il pasto. All’estrema destra, leggermente discosto, riconobbe la figura di Thais che, diversamente dagli altri, che lo guardavano serenamente in viso, aveva lo sguardo rivolto a terra, come ad esprimere un certo disagio. Sulla sinistra, invece, a fianco dei suoi genitori, c’era Asha, con un braccio attorno alle spalle della moglie Frida. Il ragazzo rimase totalmente travolto da quella vista e provò un moto di commozione che gli squassò il petto e gli empì gli occhi di lacrime. L’emozione più profonda la ricevette però, dalla vista di Crino e del piccolo Anteo che erano apparsi accanto a Frida. Emanuele provava una gioia immensa nel vedere quelle figure che per lui avevano significato tanto e non si faceva domande sulla stranezza di quella situazione in cui si trovava così profondamente coinvolto, seppure senza capire. Poi, improvvisamente, nel punto in cuoi lui aveva sotterrato la catenina, che ora si trovava a circa 2 metri da lui, si materializzò la figura di Ilario. Questi, senza perdere un istante, si precipitò ad abbracciare Crino ed il suo bambino. Quindi, dopo avere guardato rapidamente verso Emanuele, andò ad abbracciare i suoi genitori che risposero con grande calore e lo stesso fece con i fratelli e salutò gli altri con un gioioso cenno della mano. Si pose davanti ad Asha e gli strinse forte la mano. I due stettero ad osservarsi a lungo, come due persone che si dovessero dire tante cose. Alla fine, tornò verso la moglie ed il figlioletto, li prese per mano e con loro si pose davanti ad Emanuele che aveva osservato la scena profondamente commosso ed in religioso silenzio, testimone di evento straordinario, fuori della realtà. Quando il terzetto giunse a circa 2 metri di distanza, si fermò. Emanuele guardò meglio l’altro in viso e fu sorpreso dal fatto che erano praticamente due gocce d’acqua. Ilario, con un largo sorriso disse semplicemente: “Grazie!”. E lo stesso fecero gli altri due, dopodiché il gruppetto si voltò e tornò ad unirsi agli altri. Quelli, tutti insieme, gli rivolsero un leggero inchino e poi, semplicemente, scomparvero. Il tutto era durato forse cinque minuti. Il ragazzo si sentiva esausto ma nello stesso tempo molto più leggero. La storia era sempre nella sua mente ma non in modo così coinvolgente come prima. Anche i sentimenti che provava nei confronti degli altri protagonisti della vicenda erano molto attenuati e lui pensava a loro solamente come persone con cui aveva condiviso un viaggio, un’avventura, e a cui aveva semplicemente voluto bene. Non aveva più nulla da fare lì. Ora lo sapeva. Tornò alla barca e trovò il marinaio che, seduto su uno scoglio, fumava nervosamente la pipa. Aveva veduto qualcosa? Emanuele decise di non parlare dell’accaduto e anche l’altro, dopo avergli rivolto una strana occhiata, si limitò a chiedere:”Allora, abbiamo finito qui?”. “Si – rispose l’altro – Abbiamo finito e possiamo tornare”. Detto questo, salì sulla barca senza aggiungere altro, seguito subito da Elvis. Il marinaio preparò la barca per il ritorno ed, appena possibile ripartì. Avrebbe dato chissà cosa per sapere cosa era accaduto sull’isola ma nello stesso tempo era terrorizzato dalle risposte che avrebbe potuto avere, quindi si astenne dal porre domande. Il ragazzo, in silenzio, si era seduto a prua e si limitava ad osservare le onde che scorrevano lungo i fianchi dell’imbarcazione. Nemmeno uno sguardo, verso l’isola che si stava lasciando alle spalle. Elvis percepiva, comunque, che il suo passeggero era cambiato. Appariva stanco ma sembrava qualcuno che si era tolto dalle spalle un gran peso. Ora il suo viso era disteso, sereno. In realtà Emanuele pensava all’importante ruolo, totalmente involontario,  che gli era toccato in quella fantastica storia. Doveva capire se gli era stato accordato un grande privilegio o se gli era stato  assegnato solo un grave e pesante incarico. Via via che passava il tempo si convinceva sempre di più che era maggiormente valida la prima ipotesi. Le sue conoscenze, le sue esperienze, le sue emozioni irripetibili e senza prezzo. Ora si, che avrebbe potuto scrivere la sua relazione ma doveva stare attento a non esagerare con i particolari perché non avrebbe saputo spiegare come ne era venuto a conoscenza. Come avrebbe potuto spiegare, infatti, di essere uno dei pochissimi esperti al mondo a saper parlare una fluente lingua troiana, cosa che nemmeno il suo professore era in grado di fare? E c’era di peggio! Come avrebbe potuto spiegare le sue competenze in qualità di ‘Zoographoi’ che erano ancora lì, tutte nella sua testa, assieme al segreto del colore rosso, ammesso che ai tempi attuali potesse avere ancora un valore? Non vedeva l’ora di mettersi al lavoro. Infatti non avrebbe dovuto descrivere dei fatti appresi in seguito a profondi studi o affannose ricerche. Avrebbe dovuto semplicemente scrivere della sua vita.

                                                                                           Fine

                                                                                                                                     A Patrizia

 

  
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