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Autore: Signorina Granger    17/03/2024    4 recensioni
INTERATTIVA || Iscrizioni Chiuse
Chiunque abbia mai messo piede a Beauxbatons ha sentito parlare della sua celebre società studentesca, anche se c’è chi dice che non esista più ormai da decenni. Ogni anno, invece, 10 studenti le cui identità restano ignote ai più vengono scelti per entrare a farne parte, ritrovandosi la strada spianata per occupare un giorno posizioni di prestigio all’interno della società magica. Se qualcuno potrebbe azzardare ad indovinare i nomi dei membri della società lo stesso non si può dire delle loro pratiche, tutt’ora ignote, che sono da sempre oggetto di curiosità e teorie più disparate da parte del resto della scuola: c’è chi pensa che durante le riunioni prendano vita rituali di natura esoterica, chi sostiene che il gruppo lasci frequentemente i confini della scuola per darsi ad opere di vandalismo, chi che questi studenti non siano altro che un gruppo di ricchi snob. Alcuni sostengono che il più grande segreto della società potrebbe essere che i suoi segreti in realtà sono essenzialmente banali, ma nessuno può sapere con certezza quale teoria corrisponda al vero. Eccetto, naturalmente, per i dieci studenti che ogni anno vengono scelti per entrare a farne parte.
Genere: Introspettivo, Romantico, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Maghi fanfiction interattive
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
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Capitolo VIII
 
 

 
Mercoledì 23 novembre
 


 
Dante aveva il sentore che l’imminente lezione di musica sarebbe stata differente da quelle che l’avevano preceduta, ma le motivazioni sfuggivano alla sua comprensione: seduto al suo solito posto con il suo sassofono pulito e lucidato giusto la sera prima in grembo, Dante stava facendo correre lo sguardo sempre più accigliato sui volti che lo circondavano, quasi tutti visibilmente molto tesi. Anche il brusio che si era levato tra i suoi compagni era più acceso del solito, e anche se buona parte delle parole che rimbalzavano tra le alte pareti della torre sfuggivano alla sua comprensione Dante era assolutamente certo che tutti fossero nervosi, preoccupati o in trepidante attesa di qualcosa, qualcosa di cui lui era bellamente all’oscuro.
Alla fine, stanco di quel fastidioso senso di incertezza che sembrava attanagliare solo e soltanto lui il Papillonlisse si alzò e approfittando dell’assenza dell’insegnante si spostò tra le sedie cercando di raggiungere qualcuno in grado di mettere a tacere almeno parzialmente i suoi dubbi.
Individuare alcune delle sue compagne di Casa non fu difficile grazie alla folta chioma di capelli biondo miele di Maëlle, che come lui aveva abbandonato il suo posto di rito come primo violino e sedeva invece davanti a Daphné occupando abusivamente una delle sedie delle viole. La giovane strega sedeva dando le spalle all’alto leggio di legno di Corradi per poter chiacchierare con la flautista e con Lucinda, anche lei spostatasi per poter conversare con le amiche prima dell’inizio della lezione.
Quando Dante le ebbe raggiunte le trovò impegnate a parlare fitto fitto a bassa voce, le teste leggermente più vicine del normale quasi stessero confabulando, e all’improvviso il ragazzo ebbe la certezza che niente di buono stava per abbattersi su di loro: persino Maëlle dava l’impressione di essere molto più seria del solito, tanto da spingere il ragazzo a convincersi di come la spiegazione dietro a quelle stranezze non poteva che essere qualcosa di terribile.
“Ragazze, mi dite che cosa succede? Perché sembrano tutti agitati?”
Siamo tutti agitati! Si dice che oggi Corradi ci dirà cosa dovremo suonare a fine anno.” Le labbra di Maëlle si torsero per dar vita ad una smorfia preoccupata mentre Dante si affrettava ad occupare la sedia libera più vicina alle tre ragazze, alternando sguardi perplessi a ciascuna di loro mentre sollevava il sopracciglio destro, non del tutto certo di capire quale fosse il problema:
“A fine anno scolastico? E quindi, siamo a novembre!”
“No scemo, letteralmente a fine anno, al Ballo!”
“Al Ballo dovremo suonare noi? Perché non ne sapevo niente?” E perché tutti davano per scontato che lui fosse messo a parte di ogni informazione utile quando era arrivato solo da qualche mese, pensò inarcando infastidito un sopracciglio mentre Maëlle alzava gli occhi al cielo e Daphnè, il flauto sulle ginocchia sottili tremolanti, scuoteva la testa senza smettere di alternare occhiate nervose in direzione della porta d’ingresso della torre:
“Più o meno, non per tutta la sera. Però dopo il banchetto ci si esibisce con alcuni brani davanti a tutti, sì.”
“E qual è il problema, non è per suonare che siamo qui seduti due volte alla settimana?”
Di nuovo, Dante guardò i visi più o meno preoccupati (a cominciare da Daphné, che sembrava starsi crogiolando nell’ansia, per finire con Lucinda, di gran lunga la più rilassata delle tre) delle compagne di Casa senza riuscire a capire quale fosse il problema di doversi esibire davanti agli altri studenti per persone che facevano pur sempre parte di un’Orchestra sinfonica. Maëlle al contrario sbuffò e gettò un’occhiata leggermente torva in direzione della porta senza smettere di picchiettarsi l’archetto del violino sul ginocchio sinistro mentre Lucinda, dietro di lei, metteva una mano su quello di Daphné per cercare di far cessare il tremore delle gambe dell’amica.
“Il problema è che Corradi alterna anni in cui si sente di fare a noi poveri dementi un regalo di Natale ed essere misericordioso e anni in cui rifila le peggio cose, ecco qual è!”
“Secondo me dipende anche molto da come si sveglia al mattino,” osservò Lucinda con una stretta di spalle, certa che come ogni direttore d’orchestra che si rispettasse l’insegnante fosse classificabile come piuttosto lunatico, “se si sveglia di buon umore arriva e ci rifila Il Mattino di Grieg, se si sveglia con la luna storta ci fa soffrire tutti in agonia.”
“E l’anno scorso che avete suonato?”, domandò Dante iniziando a percepire un inizio di preoccupazione stringergli lo stomaco e sperando in brani e compositori quasi impossibili come risposta per avere più speranze positive per il futuro, speranze che Maelle spazzò brutalmente via scuotendo il capo con amarezza.
“L’anno scorso abbiamo suonato Mozart, il concerto per pianoforte e orchestra n° 17 in sol maggiore, è stato clemente, quindi quest’anno siamo certi che ce la metterà in quel posto.”
“Vi immaginate se dovesse arrivare con Rachmaninov?!”, domandò Lucinda inarcando un sopracciglio e facendo così rabbrividire le sue amiche. Per un istante le tre si scambiarono occhiate timorose, finchè Maëlle non si sforzò di sorridere e scosse il capo nel tentativo di convincere le sue amiche tanto quanto se stessa:
“No, andiamo, non può essere così bastardo. In caso io mi mollo e mi do all’apicultura.”
Forse Maelle aveva parlato troppo presto, si disse Dante aggrottando la fronte quando un istante dopo la porta d’ingresso bianca della torre venne bruscamente spalancata e il loro insegnante varcò la soglia senza salutare o guardare nessuno. Un paio di Elfi Domestici, entrambi con addosso completini blu e cravattine azzurre, lo seguirono solerti reggendo borse di tela rigonfie e dall’aria piuttosto pesante, andando a sistemarle sulla cattedra – i tonfi sordi che l’impatto produsse e che echeggiarono tra le alte pareti non fecero ben sperare nessuno dei presenti – mentre Corradi si sfilava la giacca per gettarla malamente sullo schienale della sua sedia. All’ingresso dell’italiano seguì un fuggi fuggi generale in cui tutti si alzarono per tornare ai rispettivi posti, e Daphné e Maelle si strinsero debolmente la mano quasi si stessero salutando per l’ultima volta prima che la bionda si alzasse per raggiungere la sua sedia.
Anche Dante e Lucinda si alzarono e si affrettarono ad allontanarsi dalle prime file – entrambi felicissimi non essere vicini al leggio di Corradi –, scivolando rapidi tra le sedie mentre il brusio si quietava ma le espressioni dei compagni si facevano sempre più preoccupate.
“Che ha in quelle borse, delle incudini?!”, domandò in un soffio Dante alla portoghese mentre cercava di raggiungere la sua sedia prima che l’insegnante decidesse di usarlo come bersaglio ambulante per le freccette, e Lucinda scosse brevemente il capo prima di rispondergli sbuffando con un cupo mormorio:
“Niente di buono.”
Gli Elfi Domestici nel frattempo, concluso il loro lavoro, si stavano dirigendo uno dietro l’altro verso l’uscita della torre con Corradi ad aspettarli accanto alla porta, pronto a richiuderla alle loro spalle. Salutò e ringraziò le due creature con un garbo che con ogni probabilità quel mattino non avrebbe riservato a nessuno dei suoi studenti, e quando la pesante porta di legno si fu richiusa con un tonfo che risuonò tra le pareti la classe si zittì definitivamente, precipitando in un silenzio quasi tombale mentre tutti scrutavano preoccupati e in attesa le movenze dell’insegnante.
Prima di parlare Corradi, che Lucinda ebbe l’impressione si fosse svegliato mettendo un piede giù dal letto e sbattendo il mignolo contro lo spigolo del comodino, si avvicinò nuovamente alla cattedra e sfilò da una delle due borse un primo plico di fogli contenuti in una cartellina trasparente. Li depositò sul ripiano di legno con un altro tonfo che fece sobbalzare le prime file e Dante, tendendo il collo per cercare di vedere, si ritrovò ad aggrottare la fronte: non aveva mai visto un plico di spartiti simile in vita sua. Che razza di opera avrebbero dovuto suonare?
Invece di parlare l’insegnante continuò in silenzio per qualche altro tesissimo minuto, perfettamente consapevole della suspence che stava creando sui suoi poveri studenti in crescente ansia. Solo quando ebbe tirato fuori tutti i plichi sollevò lo sguardo sulla piccola platea disposta a ventaglio davanti a lui, allargando le labbra in un sorriso affabile che non convinse pienamente nessuno dei presenti:
“Quest’anno ho deciso che al Ballo e a fine anno suonerete qualcosa dello stesso compositore per dare continuità al vostro studio. Naturalmente il mese prossimo non suonerete tutti i brani che sto per darvi, ne ho selezionati alcuni per il Ballo e altri per maggio… Quelli segnati in rosso sono quelli che potreste suonare il mese prossimo.”
Dopo aver parlato ed aver sfilato la bacchetta di frassino dalla tasca interna della giacca nera che aveva lasciato sulla sua sedia – che nessuno ricordava di avergli mai visto utilizzare per sedersi – la puntò contro gli spartiti impilati e disposti su tutta la superficie della cattedra, e tutti sembrarono trattenere il fiato mentre i fogli si libravano in aria, schizzando attraverso la stanza verso gli studenti. Quando i primi blocchi di spartiti raggiunsero i primi studenti Dante li guardò cercando di decifrarne le reazioni, e quello che vide e sentì lo lasciò sempre più perplesso: gente che sospirava, gente che chinava il capo con aria disperata, chi si voltava verso un proprio amico con gli occhi sgranati e pieni d’orrore per dirgli qualcosa in labiale.
Fu esattamente ciò che Maëlle fece con Daphné, voltandosi verso l’amica e sillabando senza parlare il nome che, minacciosissimo, la fissava dalla cima della prima pagina, appena sopra al titolo se possibile ancor più terribile dell’opera. Daphné avrebbe disperatamente voluto non crederci, e deglutì a fatica in attesa di ricevere i suoi spartiti aggrappandosi ai bordi della sedia e alle ultime magre speranze che le rimanevano in corpo mentre Dante, a qualche metro di distanza, ruotava lentamente il capo, a disagio, per guardarsi attorno e osservare sempre più perplesso le bizzarre reazioni che i suoi compagni stavano rapidamente collezionando facendolo pensare al peggio: erano forse lacrime quelle che gli sembrò di scorgere attorno agli occhi di una violoncellista?
Quando sentì una trombettista seduta davanti a lui mormorare un soffocato e sofferto “È lui!” all’amica che le sedeva vicino Dante avrebbe voluto disperatamente sporgersi in avanti e chiederle di chi stesse parlando e porre così fine a quella breve ma apparentemente interminabile agonia, ma a dargli una risposta ci pensarono direttamente gli spartiti, che gli planarono sulle ginocchia proprio in quell’istante. Improvvisamente non del tutto certo di avere il coraggio di guardare Dante chinò lentamente il capo per leggere attraverso il sottile velo di plastica che proteggeva i fogli, finendo col trattenere, come di certo molti altri, un’imprecazione che avrebbe avuto l’effetto di farlo sbattere fuori dalla torre.
Lucinda, dal canto suo, ebbe modo di sbirciare il nome del compositore e dell’opera scelta da Corradi attraverso la spalla di un clarinettista, e quella vista la portò a sgranare gli occhi inorridita e a gettare un’occhiata preoccupata in direzione del direttore d’orchestra, che si stava arrotolando le maniche della camicia bianca sugli avambracci ostentando la massima nonchalance. In quel momento la portoghese si persuase che sì, Corradi doveva essersi alzato dal letto sbattendo il mignolo del piede contro un mobile, ma non certo una volta. Forse una decina.
Daphné fu una delle ultime a ricevere i suoi spartiti, e trovare il coraggio di chinare il capo e guardare non fu affatto semplice. Alla fine la ragazza si convinse, si fece coraggio, inspirò profondamente e dopo aver cercato di deglutire un po’ di saliva chinò lo sguardo, restando impietrita di fronte a uno dei nomi che in assoluto più detestava al mondo.

 
Richard Wagner
Tetralogia(1)

 
Daphné non poteva esserne del tutto sicura, ma mentre sentiva qualcuno quasi singhiozzare disperatamente alle sue spalle e altre voci chiedere sussurrando ai vicini se fosse possibile abbandonare l’Orchestra ad anno avviato si domandò quale aspetto avrebbe potuto assumere il suo Molliccio da quel momento della sua vita in poi. Con ogni probabilità avrebbe assunto l’aspetto di Richard Wagner, con tanto di stempiatura ed espressione arcigna, che la inseguiva sventolando minaccioso gli spartiti della sua opera magna intimandole in tedesco di eseguirla.
Probabilmente l’idea di abbandonare l’Orchestra non era poi così malvagia, si disse la francese mentre sentiva un moto di forte nausea risalirle dallo stomaco fino alla faringe e riportava gli occhi verdi pieni di terrore sul viso sorridente di Corradi, che si premurò invece di chiedere a tutti se fossero felici della sua scelta appoggiandosi con fare rilassato al suo bel leggio e facendo rimbalzare lo sguardo sui volti tesi e disperati dei presenti.
“Ma come?”, domandò sgranando con fare teatrale gli occhi cerulei mentre un sorriso amabile gli addolciva la linea delle labbra, “Non siete contenti?”
Per il suo insegnante di musica Maëlle nutriva il massimo rispetto, ma quel giorno la tentazione di lanciargli contro violino, archetto e spartiti fu indicibilmente difficile da contenere.
 
 
divisore
 
 
Nonostante lei e Clelia avessero spalancato la porta chiacchierando e ridendo il suono delle loro voci si spense bruscamente non appena si furono affacciate sulla stanza che condividevano da sei anni: Lucinda tutto si aspettava tranne di sentire un brano musicale rimbombare a tutto volume tra le pareti, e riconoscere rapidamente quel brano in particolare ebbe l’effetto di farla irrigidire, sempre più confusa, sulla soglia della stanza, la mano ancora stretta sul pomello laccato d’oro mentre cercava perplessa una delle sue compagne con lo sguardo facendolo rimbalzare a destra e a sinistra. Di una delle sue amiche, tuttavia, sembrava non esservi alcuna traccia.
“Ma non è La Cavalcata delle Valchirie?”, domandò Clelia inarcando un sopracciglio e dando rapidamente voce ai medesimi pensieri della compagna, che si limitò ad annuire prima di entrare nella stanza, seguita dall’italiana, e chiudersi la porta alle spalle. Mentre Clelia si dirigeva rapida verso la porta del bagno per bussare e appurare o meno la presenza di una delle loro compagne Lucinda indugiò davanti al letto a baldacchino di Daphnè, da dove una Duchess acciambellata la stava guardando come a chiederle di porre fine a quello strazio sonoro e di lasciarla dormire in santa pace. In realtà l’attenzione di Lucinda indugiò sulla bella gatta dell’amica solo per un istante, finendo rapidamente col gettare un’occhiata scettica alla massa informe che sembrava essersi nascosta sotto al copripiumino fiorito della legittima proprietaria del letto.
Mentre Clelia la informava che in bagno non c’era nessuno Lucinda, che aveva già individuato da sé la coinquilina nascosta, raggirò il letto, afferrò il bordo del piumone e con uno strattone lo sollevò, sorridendo allegra al volto teso, pallido e dall’aria contrita di una delle sue migliori amiche:
“Buongiorno Principessa!”, la salutò allegra Lucinda mentre Daphnè gemeva di voler sparire dall’universo e afferrava il suo cuscino per premerselo sul viso. La portoghese invece, affatto preoccupata, sedette sul bordo del materasso lisciando distrattamente le pieghe del copripiumino e allargò il suo sorriso mentre Clelia, sbuffando, chiedeva a gran voce di spegnere la musica cercando di surclassare le note di Wagner con il proprio timbro.
 “Che fai, ti nascondi? Non ti avrà mica morso un vampiro voglio sperare!”
“Nessun vampiro.”, borbottò la voce di Daphné al di sotto del cuscino con un tono tetro che Lucinda ricordava di averle sentito usare solo in poche occasioni: quando avevano finito di guardare The Notebook e prima di un’esibizione, quando si faceva vincere dal panico da palcoscenico.
“Beh meno male, in estate volevo chiederti di andare al mare insieme, se fossi un vampiro sarebbe un po’ complicato. Allora, perché te ne stavi qui a farti martellare le orecchie da Richard Wagner?” Lucinda si allungò chinandosi verso i propri piedi per slacciare e sfilarsi le deliziose scarpette blu e azzurre della divisa per poter assumere una posizione più comoda, incrociando sul piumino le gambe esili fasciate dalle calze mentre Daphné si toglieva finalmente il cuscino di dosso per gettarle un’occhiata cupa e indicare il suo telefono, abbandonato sul comodino, con l’indice:
“Lo senti?”
Lucinda non era del tutto sicura in merito a cosa avrebbe dovuto sentire oltre al brano sparato ad alto volume e aggrottò le sopracciglia prima di annuire lentamente, guardando l’amica iniziando a chiedersi se non si fosse scolata qualcosa di forte per affogare la disperazione:
“Sì, sono le Valchirie.”
“No, non sono le Valchirie, è Wagner che persino da morto e sepolto mi prenderà brutalmente a calci davanti a tutti.” Daphné si premette di nuovo il cuscino sul viso piagnucolando, o almeno era ciò che aveva intenzione di fare, ma Lucinda glielo strappò di mano per abbracciarlo intimandole che di quel passo avrebbe riempito di mascara colato la sua bella federa di raso color confetto. Non avendo nient’altro da abbracciare – Duchess se n’era andata non gradendo tutta quella gente attorno – alla francese non restò che lamentarsi e inveire contro l’uomo che, quel giorno, più detestava al mondo:
“Quanto odio Richard Wagner! Lo hai sentito? È impossibile, lui e il suo dannato anello del cavolo! Come si fa ad impararlo in un mese?! Un mese! Mi verrà un esaurimento giusto in tempo per Natale!”
Detta così sembra che tu stia parlando di Sauron.”
Peggio! Non riuscirò mai ad imparare i brani in tempo, farò una figuraccia e Corradi si infurierà. A mia madre non voglio neanche pensare, come minimo mi esilia in soffitta come Cerentola.”, piagnucolò la francese precipitando sempre più in profondità di un tunnel senza fine fatto di desolazione, “E poi mi taglierà i viveri, passerò il Natale vendendo fiammiferi in strada come la piccola fiammiferaia!”
“Se ti consola erano tutti visibilmente disperati a lezione, non sei la sola.” Nel tentativo di essere di qualche conforto per l’amica Lucinda si strinse debolmente nelle spalle, e all’improvviso le tornarono alla mente le lacrime che era sicura di aver visto rigare più di qualche volto alla vista dell’immenso plico di spartiti che Corradi aveva distribuito quel mattino per mettere al tappeto l’umore generale di tutta l’Orchestra.
“Certo che erano disperati,” commentò con una punta di rassegnazione Clelia riuscendo finalmente a mettere mano sul telefono rosa di Daphnè per mettere a tacere, con gran sollievo di Lucinda e dell’udito collettivo, il compositore più temuto da ogni aspirante musicista che si rispetti, “è Wagner. Quando passava Attila i fiori non crescevano più, quando senti nominare Wagner sei tu che vorresti sotterrarti e sparire.”
“Esatto. Mi darò malata. Dirò di avere qualcosa di terribile, come la tubercolosi.” Daphnè annuì decisa e si sistemò meglio il copripiumino addosso, pronta ad assumere una posa da moribonda mentre Lucinda, il cuscino ancora tra le braccia, la guardava esasperata e sentendosi piuttosto scettica a proposito della riuscita del piano dell’amica:
“L’hanno debellata la tubercolosi genia, c’è un vaccino!”
Qualcos’altro allora, o Wagner anche da morto mi farà fare una figuraccia davanti a tutta la scuola! Maledetto schifoso.”
 
 
divisore
 

 
Venerdì 25 novembre


 
“Mi devi fare un favore Die’.”
Diego stava leggendo un interminabile e orribile capitolo dei Promessi Sposi appuntando a bordo pagina con una matita gli spunti di riflessioni richiesti da Lefevre per la settimana successiva quando la sua dolce cugina aveva deciso di porre momentaneamente fine al suo tedio piazzandoglisi davanti e sottraendogli il voluminoso romanzo, probabilmente per essere certa di ottenere tutta la sua attenzione. Trovatosi bruscamente senza libro Diego aveva istintivamente sollevato il capo per puntare i brillanti occhi azzurri su Clelia, inarcando un sopracciglio mentre la guardava gettare un’occhiata alla copertina del volume e dar vita di conseguenza ad una smorfia disgustata:
“Merlino che merda. Ma non l’hai già lett0?”, domandò la ragazza appoggiando il romanzo sul tavolo della Biblioteca davanti al quale il cugino aveva preso posto, guardandolo stringersi debolmente nelle spalle mentre la guardava rigirandosi la matita tra le dita affusolate e piene di calli:
“Eccome, ma Lefevre vuole argomenti di discussione, sto fingendo di interessarmi alla lettura.”
“Contento tu. Insomma, ti dicevo che devi farmi un favore.”
“Dimmi cara cugina, cosa posso fare per allietare la tua giornata?” Diego parlò rivolgendo alla cugina un sorriso amabile che sapeva di presa per il culo, ma Clelia era giunta per chiedere un favore ed era dunque perfettamente consapevole di non potersi permettere di replicare (avere dei fratelli maggiori le aveva insegnato moltissime cose), pertanto si limitò ad arricciare il naso con lieve stizza prima di fare finta di nulla e incrociare le braccia al petto:
“Potresti smettere di fingere di non essere una persona gentile per un pomeriggio o due e prestare la tua genialità al prossimo? A Natale e a fine anno scolastico Corradi vuole suonare Wagner e sono tutti disperati.”
“Wagner?” Essendo la musica entrata nella conversazione Clelia aveva tutta l’attenzione del cugino, che inarcò un sopracciglio chiedendosi quanti spigoli il mignolo del piede di Corradi avesse incontrato di recente per spingerlo a sottoporre un gruppo di adolescenti ad una simile tortura.
“L’anello del Nibelungo. Una parte, ovviamente, non tutto.”
“Vorrei ben vedere, è una tetralogia di 900 minuti, staremmo a sentire l’Orchestra più o meno dal taglio del Panettone fino a Capodanno. Quindi chi dovrei aiutare?”
Diego non avrebbe mai avuto la presunzione di affermare di essere in grado di eseguire tutti i brani che componevano le quattro opere della tetralogia, ma di certo con suo nonno ne aveva studiati la maggior parte e molto probabilmente il suo aiuto sarebbe potuto risultare di qualche utilità per qualcuno dei suoi compagni. Parlare di musica o suonare a scuola non era in realtà mai stato di suo gradimento, ma di abbandonare qualche povera anima ad un crudele destino chiamato Richard Wagner proprio non se la sentiva.
Clelia, capito di aver raggiunto il suo obbiettivo a tempo record, sorrise compiaciuta. E Diego quasi si pentì di aver accettato.
 
Come gli era venuto in mente di accettare, si chiese atterrito e amareggiato Diego un’ora dopo mentre saliva gli interminabili gradini ricurvi che conducevano in cima alla Torre Nord. Vestito di nero, cupo e ingobbito – anche perché gli spartiti della tetralogia pesavano, e non poco – Diego si sentì improvvisamente vicinissimo al Gobbo di Notre-Dame mentre Clelia, subito dietro di lui, non la smetteva di riempirgli le orecchie e di stordirlo col suo allegro chiacchiericcio: la cugina sembrava essersi improvvisamente resa conto che tutto sommato lui e l’amica che aveva accettato di aiutare avrebbero potuto “essere carini insieme”, e non la smetteva di dargli consigli del tutto non richiesti su come comportarsi.
“Clelia finiscila, mi stai innervosendo, vai ad accasare Icaro se ci tieni!”
“Ma con quello è impossibile, a lui non piace mai nessuno!” Clelia scosse il capo e liquidò il discorso con un gesto che sembrò voler scacciare il ronzio fastidioso di una mosca, portando Diego a smettere di salire i gradini per fermarsi, voltarsi verso di lei e guardarla come certo che avesse improvvisamente perso il senno. O forse era lui che, oltre che miope come una talpa, stava anche diventando rincoglionito? Eppure, anche se non ci vedeva bene, le ragazze che al passaggio di suo cugino lo guardavano sognanti era certo di non essersele immaginate.
“Ma che cazzo dici Clelia, se è pieno di ragazze?!”
“Sì ma non gli interessano seriamente, lo sai com’è. Sarebbe proprio carino invece se il mio cugino tenerino si prendesse una cotta.”  Le labbra di Clelia ripresero la forma del sorrisetto sfoggiato fino a poco prima mentre con una mano pizzicava la guancia destra del cugino, ridacchiando divertita quando vide il volto del ragazzo imporporarsi e Diego le scacciò la mano infastidito:
“E piantala!” Più pentito che mai di aver accettato riprese a salire affrettando il passo nella speranza di seminare la cugina, che tuttavia superò le sue aspettative riuscendo a stargli dietro scavalcando due gradini alla volta e continuando imperterrita a snocciolargli consigli:
“Ricordati di non fare il musone, sii gentile e non farla sentire stupida se sbaglia, non piace a nessuno!”
“Clelia, ho già interagito con degli esseri umani in passato.”
Certo forse le interazioni sociali non erano proprio ciò in cui eccelleva, ma questo si guardò bene dal riconoscerlo a voce alta mentre Clelia, ignorando il suo commento, gli intimava di allenare i muscoli facciali per sorridere di tanto in tanto.
 
Daphnè aveva occupato la sua solita seduta, più per abitudine che per altro, e stava aspettando con il flauto già tirato fuori dalla custodia, posato in grembo, e l’alta pila di spartiti che la fissavano minacciosissimi dal posto di fianco. Discretamente preda dell’agitazione, le sue ginocchia sembravano non volerne sapere di stare ferme e non facevano che tremolarle all’impazzata, esattamente come accadeva prima di un’esibizione o di una potenziale interrogazione: se Diego era davvero un così bravo musicista l’idea di suonare e di sbagliare clamorosamente davanti a lui la innervosiva non poco, temendo di passare per una totale incapace.
Aveva appena gettato l’ennesima occhiata nervosa al suo orologio da polso in maglia d’oro con il quadrante di madreperla quando nell’ampia sala circolare deserta aveva preso a risuonare l’eco indistinto di un paio di voci, una maschile e una femminile, provenienti da dietro la porta chiusa che collegava le scale con la cima della torre. Incuriosita e non riuscendo a comprendere una parola – le voci stavano parlottando in italiano – Daphné puntò lo sguardo sulla porta bianca a forma di arco e raddrizzò spalle e schiena per assumere la postura a cui sua madre aveva sempre cercato di abituarla giusto in tempo per vederla aprirsi e scorgere la figura di nero vestita e dall’aria visibilmente seccata di Diego Colonna, che aveva appena faticosamente placato i tentativi di sua cugina di pettinargli i capelli usando una spazzola da borsetta a forma di unicorno.
“Ciao Diego.”
Daphné si stampò un sorriso gentile sulle labbra mentre il ragazzo si chiudeva la porta alle spalle con fare forse appena un po’ troppo sbrigativo, quasi stesse morendo dalla voglia di liberarsi della persona che lo aveva accompagno fin lì, e la francese lo vide seguire il suono della sua voce e far correre lo sguardo sulla sala delle prove stringendo leggermente gli occhi fino ad individuarla e rivolgerle un muto cenno del capo, avvicinandosi portando con sé tutti gli spariti.
“Ciao Daphné. Mia cugina mi ha detto che sei un po’ preoccupata per Wagner.” Raggiunta la compagna Diego spostò leggermente le sedie che si trovavano immediatamente davanti a lei – le viole lo avrebbero perdonato – per far sì che entrambi avessero più spazio per muoversi, prendendo posto su una sedia vicina per posarsi gli spariti sulle ginocchia mentre Daphnè accarezzava il bordo freddo del suo flauto annuendo con lieve nervosismo:
“Sì, diciamo.”
“Da quale opera vuoi iniziare?”  Se percepì il suo nervosismo Diego non lo diede a vedere, limitandosi a guardarla in pacata attesa mentre Daphné, le ginocchia finalmente tornate immobili, esitava mordicchiandosi indecisa il labbro inferiore e togliendosi così parte del balsamo alla fragola che in quei giorni vi spalmava di continuo a causa del freddo crescente. Alla fine, non volendo tentennare a lungo e farsi risucchiare dalla propria indecisione, Daphné si impose di ricorrere alla proposta più logica, ovvero alla prima opera della Tetralogia:
“L’oro del Reno?”
Diego annuì in segno di muto assenso prima di porgerle gli spariti della prima scena, suggerendole di provare ad usare i suoi invece di quelli consegnatale da Corradi a lezione. Daphnè si prese qualche istante per studiarli accarezzando i numerosi pentagrammi incolonnati l’uno sotto l’altro con lo sguardo e appurando così la presenza di numerose annotazioni sui margini e segni fatti a matita sulle note, presenza che Diego giustificò asserendo di aver ritenuto che potessero esserle d’aiuto.
“Li hai fatti quando hai studiato il brano?”
“No, li ho fatti prima sulle prime scene di tutti e quattro i drammi, ho pensato che ti sarebbero stati utili.”
“E hai eseguito i brani?” Daphné tornò sbigottita a guardare l’italiano chiedendosi come e quando avesse trovato il tempo di eseguire parte delle composizioni, ma la reazione di Diego, che si limitò a scuotere debolmente il capo in segno di diniego, la stupì ancora di più.
“Quindi sei andato… a memoria?”
“Non proprio, quando leggo gli spartiti riesco a sentirli molto bene. È un po’ difficile da spiegare.”
Invece di rispondere Daphné si limitò a fissarlo meravigliata per un paio di istanti che a Diego sembrarono interminabili e durante i quali si pentì di aver usato parole che avrebbero potuto suonare cariche di arroganza. Fortunatamente Daphné finì col sorridere spazzando via i suoi timori, impressionata e un tantino invidiosa al tempo stesso:
“Cavolo, beato te. Io li devo sentire, risentire e provare a dismisura.”
“È normale, non vuol dire che tu non sia brava. Comunque,” Diego si raddrizzò sulla sedia e si schiarì la voce, non vedendo l’ora di cambiare argomento, e sollevò il primo spartito della sua pila per agitarlo lievemente:
“immagino tu sappia che Wagner aveva una concezione dell’opera d’arte totale, quindi componeva l’opera e scriveva anche i testi poetici dei drammi. Scrisse la Tetralogia per denunciare il sistema capitalistico e borghese della prima metà dell’Ottocento mascherando la denuncia sociopolitica prendendo spunto dall'epopea tedesca del Nibelungenlied per la trama.”
“È per questo che la musica di Wagner è sempre… arrabbiatissima?” Daphné non avrebbe saputo quale altro aggettivo usare per definire al meglio composizioni dell’autore tedesco – almeno non in base alle sue conoscenze rispetto al repertorio –, ma quando colse lo stupore sul volto di Diego percepì una nota quanto sgradevole sensazione di calore pervaderle le guance. Per un attimo temette sinceramente che l’italiano le avrebbe dato della frivola ignorante, ma finì col rilassarsi quando scorse un accenno di sorriso sollevare gli angoli delle labbra di Diego, che annuì sembrano sinceramente divertito:
“Sì, direi che più o meno si può definire così… Perciò quando suoni Wagner devi metterci impeto, trasforma l’ansia e il nervosismo in energia. Il protagonista dell’opera è Alberich, un nano, re dei Nibelunghi appunto, che oserei definire altamente sgradevole.”
“Mi ricorda un mio lontano cugino.” Daphné non aveva idea di come le fosse venuto in mente di uscirsene con un commento del genere, e quando l’italiano smise bruscamente di parlare per guardarla perplesso si sentì fastidiosamente arrossire fino alle radici dei capelli. Diego, invece esitò, guardando Daphné con una punta di perplessità prima di distendere le labbra per dare forma ad un sorriso scuotendo il capo:
“I miei sono tutti piuttosto belli e non hanno nulla che li renda simili ad un nano barbuto.” Il che era vero, rifletté silenziosamente Diego, come era vero anche che non avrebbe potuto affermare il contrario in ogni caso sospettando che una delle sue cugine fosse giusto appostata fuori dalla porta nel tentativo di origliare la conversazione. Al contempo Daphné sorrise, rilassandosi, ma si chiese per quale motivo Diego avesse pronunciato quelle parole gettando una rapida e sfuggente occhiata in direzione della porta chiusa della torre, quasi si aspettasse di poter udire un commento o una risposta di qualche tipo risuonare tra le pareti.
 


 
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Sabato 26 novembre
 

 
Se un qualsiasi studente di Beauxbatons si fosse alzato dal letto al sorgere del sole e avesse fatto indugiare il proprio sguardo sul vetro di una delle finestre che si affacciavano sul versante del Lago avrebbe potuto senza alcun dubbio scorgere dieci piccole sagome avanzare, tutte con degli zaini sulle spalle, proprio verso i faggi che si trovavano in prossimità del vasto specchio d’acqua dolce che bagnava parte della tenuta.
Naturalmente ciò non sarebbe avvenuto poiché nessuno studente sano di mente si sarebbe alzato dal letto tanto presto di sabato mattina, specie in pieno autunno, quando a quell’ora il freddo si faceva più pungente che mai. Nessuno, certo, fatta eccezione per le dieci persone che si stavano trascinando verso le sponde del Lago d’Oô, quasi tutte sbadigliando mentre calpestavano le foglie secche gialle e arancioni cadute dalle fronde ormai quasi del tutto spoglie dei faggi nel corso dei giorni precedenti.
Antoine e Gisèle, abituati ad alzarsi molto presto, giunsero per primi, seguititi in breve tempo da Milad, Abel e Guillaume – all’arrivo del cugino Gisèle aveva inforcato rapida un paio di occhiali da sole vintage marrone Havana firmati Ralph Lauren rubati a sua madre l’estate precedente, certa che vedere la faccia di Guillaume a quell’ora fosse troppo per le sue povere cornee –  da Leticia e da Nerea – che si stringeva le cinghie dell’enorme zaino di tela verde pino sorridendo con più entusiasmo di chiunque altro – e infine da Annika, che si fermò di fronte ai compagni con uno zaino color glicine quasi più ingombrante della sua esile figura sulle spalle e scusandosi affannata per il ritardo con il viso normalmente pallido arrossato per l’imbarazzo. A rassicurare la Papillonlisse ci aveva rapidamente pensato Leticia, pronta a far notare all’amica e a tutti gli altri di come all’appello mancassero ancora un paio di persone:
“Dove cazzo sono Etienne e Icaro?!”
 
Nicholas Lefevre sapeva perfettamente che sperare nella puntualità dei suoi studenti, quegli studenti in particolare, equivaleva e sperare nell’eventualità che un bel giorno una valigia piena di monete d’oro sarebbe caduta dal cielo atterrando ai suoi piedi; proprio per questo motivo si era recato al punto d’incontro prestabilito la settimana precedente attraverso biglietti che si erano autodistrutti dopo la lettura prendendosela comoda: dicembre era alle ormai alle porte, quando il sole ancora non era sorto la valle in cui sorgeva la scuola era avvolta dal gelo e di aspettare al freddo per un’eternità non ne aveva intenzione alcuna.
Dopo essersi vestito ed essersi premurato di prendere un vecchio vaso di ceramica sbeccato in più punti aveva lasciato la sua stanza, aveva raggiunto il pian terreno scendendo le scale deserte, l’eco dei suoi passi sul marmo a fargli compagnia risuonando tra le pareti e nient’altro, e infine aveva varcato la soglia del castello per addentrarsi nel parco della tenuta rabbrividendo per l’aria gelida che gli si era insinuata implacabile nei polmoni mentre avanzava a grandi passi sul prato, diretto verso le sponde del lago.
Considerando che le persone che si aspettava di trovare erano solo dieci appurare che qualcuno mancasse non fu difficile, Nicholas se ne rese conto con un sospiro non appena scorse le sagome studenti in piedi a poca distanza dai ciottoli bagnati dall’acqua dolce, quasi tutti impegnati a parlottare discutendo tra loro.
“Che cosa c’è? Dove sono… Orsini e Macquart?”, domandò non appena si fu fermato ad una manciata di metri dal piccolo gruppo, il vaso sempre stretto sottobraccio. Il suono della sua voce, che tradì immediatamente una punta di nervosismo, interruppe ogni discussione e portò su di sé sedici occhi, chiari, scuri e quasi tutti visibilmente desiderosi di tornare a dormire al più presto.
“Non lo sappiamo, Signore.”, si limitò ad asserire Guillaume con una pigra stretta di spalle mentre Nerea, a poca distanza e in piedi tra Leticia e Gisèle, ciondolava sul posto spostando distrattamente il peso da un piede all’altro e mordicchiandosi con lieve nervosismo il labbro inferiore, pentita di non essersi premurata di trascinare personalmente Etienne fuori dal letto.
“Come fate a non saperlo se vivete insieme e dormite nello stesso posto? Voi quattro dormite nella stessa stanza di Orsini.” Nicholas inarcò un sopracciglio mentre faceva rimbalzare le iridi grigio-azzurre dal punto in cui si trovavano Guillaume, Abel e Milad a quello dove si trovava Antoine, che svettava sul resto del gruppo stando fermo accanto a Gisèle e tormentandosi nervosamente le cinghie dello zaino blu. Lui e Milad si scambiarono una muta occhiata perplessa, incapaci di affermare dove fosse finito il loro compagno di stanza prima che Abel, le mani infilate nelle tasche profonde di una giacca a vento vermiglia e i lisci capelli biondissimi leggermente mossi dall’aria fredda del mattino, facesse eco a Guillaume parlando con tono neutro:
“A letto non era di sicuro quando siamo usciti. Anzi, è uscito dalla stanza prima di noi.”
La pazienza di Nicholas aveva un limite, specie a quell’ora del mattino. Sospirò cercando di mantenersi calmo, ma quando parlò la sua voce risuonò tra gli alberi con almeno un’ottava in più del normale:
“E allora dove sono?!”
 
“Muoviti, cazzo!”
Invece di scenderli uno alla volta Icaro saltò i gradini di granito che collegavano l’ingresso del castello al piazzale su cui esso si affacciava, incespicando sulla ghiaia che gli era di impedimento alla corsa mentre Etienne, subito dietro di lui, scendeva rapido i gradini con lo zaino che gli dondolava sulle spalle e sbuffando infastidito:
Io mi devo muovere? Ti ho aspettato per quasi dieci minuti buoni!”
“Non è colpa mia, sono uscito prima di tutti gli altri, ma per sfiga mi sono imbattuto in Nick sulle scale del Dormitorio e mi sono dovuto inventare una balla.” Icaro sbuffò maledicendo l’insonnia del suo amico, sperando vivamente che se ne fosse tornato a letto. Se non altro, rifletté con sollievo mentre Etienne affrettava il passo per stargli dietro, dalla camera di Phoenix il lago non era visibile e difficilmente avrebbe potuto scorgere lui e tutti gli altri. 
“Che ci faceva Phoenix in giro a quell’ora?!”
“Non dorme un cazzo, mi ha detto che si era messo a leggere su una poltrona e non sembrava parecchio convinto di quello che gli ho raccontato. Dai, muoviti!”
Era davvero troppo presto per correre, si ritrovò a riflettere Etienne mentre Icaro aumentava la frequenza delle falcate distanziandolo – certo il fatto che fosse più alto di lui non aiutava – e costringendolo così ad imitarlo, finendo col fermarsi davanti al resto del gruppo e ad un Lefevre visibilmente seccato quasi con il fiatone.
“Oh, bene, avete deciso di renderci omaggio con la vostra presenza. Datevi una mossa, avete cinque minuti.” Lefevre si chinò per posare il vaso sul prato mentre Etienne, agognando un bicchiere d’acqua, avanzava già stanco verso Nerea e Gisèle in cerca di conforto. Per sua sfortuna la Ombrelune non gli diede troppa soddisfazione in tal senso, anzi gli sorrise con fare beffardo e lo colpì giocosamente su una spalla:
“Non ti farebbe malaccio un po’ di allenamento, eh?”
“Oggi ho corso principessa, sono a posto per un mese. Ciao ragazze.” Mentre ancora cercava di riprendere fiato Etienne salutò con un cenno Nerea, Leticia e Annika, che gli rivolse uno dei suoi sorrisi dolci come lo zucchero a velo mentre Nerea, visibilmente felice di vedere l’amico, gli assicurava che senza di lui sarebbe stata indubbiamente una gita meno divertente.
“Non è una gita, è una tradizione. Il luogo è sempre lo stesso, vedete di non disastrarlo con qualche casino o ve la vedrete direttamente con i vostri genitori. Forza, tutti attorno al vaso.”
Seguì qualche istante di brusio generale mentre i dieci studenti cercavano di stringersi attorno al vaso, operazione resa più complicata a causa dell’ingombrante presenza degli zaini che ciascuno di loro reggeva sulle spalle. Guillaume appurò con orrore di essere capitato accanto a Gisèle mentre cercava senza successo di mettersi comodo sul prato – sentendosi un perfetto cretino a starsene lì accovacciato in attesa che un vaso sbeccato li portasse altrove –, e si premurò di dare una gomitata alla cugina e di chiederle garbatamente di spostarsi di qualche centimetro. L’altrettanto garbata risposta naturalmente non si fece attendere:
“E levati dalle palle!”
“Tu levati, sei sempre in mezzo peggio di Carlo V(2)!”

Nicholas, dal canto suo, decise di portare avanti la sua missione volta ad ignorare le scaramucce dei Delacroix e diede al gruppo le ultime informazioni utili senza battere ciglio, guardandoli in pacata attesa con le braccia strette al petto:
“La Passaporta vi porterà al Pont d’Espagne. È un’area naturale protetta quindi, di nuovo, non fate niente di stupido, e se potete evitate di cadere dal ponte.” Malgrado tendesse ad ignorarli quando discutevano per futili scemenze lo sguardo del mago indugiò comunque per un istante su Gisèle, gettando una lieve occhiata ammonitrice a lei e al sorriso che le era sorto sulle labbra mentre di certo immaginava di legare il cugino ad un tronco e gettarlo giù dalla cascata. “Da lì arriverete al Lac de Gaube, basterà camminare per un’ora.”
“Un’ora?!” La voce di Etienne si levò preoccupata mentre i suoi occhi chiari saettavano allarmati e inorriditi sul volto dell’insegnante: “E quando si mangia?!”
“Chiedo scusa Signore, ma come facciamo a sapere la direzione giusta da seguire?”, domandò invece Antoine con un accenno di sorriso pacato a sollevargli gli angoli delle labbra sottili, e a questa domanda, al contrario di quella sollevata da Etienne, Nicholas decise di potersi degnare di rispondere trovandola sensata:
“Ho dato una bussola a Sarkis, vi sarà sufficiente usare quella. Ricordate, ai vostri compagni dirò che vi ho spediti a Parigi per un progetto di storia dell’arte, vedete di tenerlo a mente quando tornerete e vi faranno delle domande.”
“Che palle, chi lo dice alle mie sorelle che non avrò souvenir per loro se pensano che sono stato a Parigi per tutto il weekend?”, sbuffò Icaro amareggiato prima di imprecare a bassa voce per colpa di un crampo al polpaccio dovuto alla posizione scomodissima in cui si trovava, intimando secco ad Etienne di spostarsi di qualche centimetro per garantirgli un po’ di spazio in più mentre Guillaume, un sopracciglio inarcato, domandava scettico a Lefevre per quale motivo avesse consegnato la fantomatica bussola a Milad.
“Semplice, perché lui è affidabile. Bene signori, buon viaggio, vedete di tornare tutti e dieci e con tutti gli arti al loro posto… L’albero che dovete trovare è segnato, non dovrebbe esservi difficile riconoscerlo… E ricordate, domani alle 15.”
Con ogni probabilità Guillaume avrebbe sollevato una qualche obiezione legata al suo essere affidabile tanto quanto il belga – che pur non amando darsi delle arie non riuscì a trattenere un accenno di sorriso fortemente compiaciuto, più per la consapevolezza di aver infastidito il francese che per la mansione affidatagli dall’insegnante – ma la voce del ragazzo venne spazzata via ancora prima di levarsi dall’azionarsi della Passaporta, che portò lontano dalla tenuta i ragazzi e anche le preoccupazioni di Nerea, che ebbe appena il tempo di chiedersi assorta se avesse ricordato o meno di mettere nello zaino i marshmallow prima di sentirsi strappare bruscamente dal terreno, come legata al vaso da un filo invisibile.
Un istante dopo Nicholas era solo, in piedi davanti ad un pezzo di prato completamente vuoto che tuttavia serbava ancora il ricordo della presenza dei ragazzi nei punti vi si erano sistemati, dove i fili d’erba erano appiattiti. Il silenzio che improvvisamente lo colse fu una piacevolissima sorpresa, e Nicholas se lo godette con un profondo sospiro prima di sorridere, sentendosi un po’ più leggero rispetto a soli pochi istanti prima:
Finalmente.”
Il suo predecessore glielo aveva detto, che star dietro a quel gruppo non sarebbe stata una passeggiata, ma Nicholas si chiedeva anche quanti ce ne fossero stati, nella storia della Brigade, di assemblaggi di studenti tanto bislacchi. Determinato a godersi un po’ di meritato riposo l’insegnante levò in aria le braccia per stiracchiarsi mentre dava le spalle al lago, dirigendosi verso il castello per scendere nelle cucine e bersi una generosa tazza di caffè bollente mentre le nuvole sopra di lui si tingevano di meravigliose e calde sfumature di rosa e d’arancione.
 
 
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Pont d'Espagne, Alti Pirenei


 
Atterrare in malo modo costituiva per Etienne Macquart un’abitudine, pertanto quando giunse a destinazione sbattendo il naso al suolo non provò, dolore a parte, poi tutta questa gran sorpresa. Dopo che il suolo contro cui era premuto il suo volto ebbe attutito il suo sofferto gemito Etienne si agitò per cercare di rigirarsi in modo da mettersi supino sul prato e alzarsi in piedi, operazione resa particolarmente difficoltosa a causa dell’ingombro dello zaino che reggeva sulle spalle. Inveendo contro il campeggio, le tradizioni e la separazione forzata da ciò che di più caro aveva al mondo – il suo letto e la sua gatta – Etienne riuscì infine a rotolare su se stesso mettendosi sul fianco, esalando un sospiro stanco – erano partiti da cinque minuti scarsi ed era già esausto – prima di mettere a fuoco il bellissimo cielo rosa che si ergeva sopra di lui.
Se non altro il panorama non era male, cercò di consolarsi il francese mentre si tastava il naso preoccupato, timoroso di averlo rotto. A poca distanza Nerea, atterrata in piedi, stava aiutando Leticia ad alzarsi trillando entusiasta qualcosa a proposito della bellezza del luogo in cui si trovavano, ma l’attenzione di Etienne venne ben presto catturata da Gisèle, che dopo aver toccato il suolo con una grazia che a lui sarebbe eternamente rimasta sconosciuta si stava spolverando con disinvoltura le maniche della giacca a vento verde che indossava, in tinta con i leggings termici. Come i suoi occhiali da sole fossero sopravvissuti incolumi all’atterraggio Etienne non seppe spiegarselo.
“Ma che cazzo mangi a colazione?”, domandò il francese all’amica quasi con tono affranto mentre cercava di trovare le forze – inclusa quella di volontà – per alzarsi in piedi. Per sua fortuna Gisèle si sfilò gli occhiali adagiandoli sul frontino del cappellino da baseball bianco e gli rivolse un sorriso, avvicinandoglisi senza esitazione per porgergli una mano:
“Quello schifo di fette biscottate integrali che sanno di segatura. Vuoi provare?”
“Per carità, no.” Etienne si sentì scuotere da un brivido solo all’idea, ma accettò di buon grado la mano che l’amica gli porgeva e si lasciò aiutare ad alzarsi dalla forza sorprendente delle braccia di Gisèle. Così facendo riuscì finalmente a guardarsi attorno mentre si dava una ravvivata distratta ai lisci capelli biondo cenere, vedendo Milad, Antoine e Icaro chini sulla bussola che il primo teneva in mano dopo averla estratta dalla tasca della sua giacca nera. Mentre i tre parlottavano discutendo in merito alla strada da prendere Leticia, Annika e Nerea si erano avvicinate all’enorme ponte di pietra accanto al quale erano atterrati – visto il suo tremendo atterraggio Etienne ringraziò chiunque avesse stabilito le coordinate dell’arrivo, o il suo naso avrebbe dolorosamente incontrato del granito anziché una porzione di prato –, godendosi la visuale sulle ripide cascate che si trovavano sotto di loro.
“Cavolo, fa freddissimo, quanto in alto siamo?” Di nuovo Etienne rabbrividì, questa volta a causa dell’aria fredda che gli si stava insinuando nei polmoni, mentre si sistemava le bretelle dello zaino sulle spalle e Gisèle, accanto a lui, si sfilava il cappellino bianco per legarsi i capelli in una coda di cavallo:
“Credo di gran lunga sopra i 1000 metri. Da qui una volta si arrivava in Spagna attraverso le montagne… Rea, ti prego, non ti sporgere!” La voce della francese si alzò di un’ottava e assunse improvvisamente un’inclinazione preoccupata alla vista dell’amica, che si stava sporgendo leggermente oltre il parapetto di pietra per godersi il panorama naturale e cercare di scorgere al meglio l’enorme cascata vicino alla quale si trovavano, visione che la portò ad allontanarsi brevemente da Etienne per affrettarsi verso lei, Annika e Leticia.
“Gisèle, stai tranquilla, non ho cinque anni!”, osservò ridendo l’italiana quando l’amica, raggiunto il ponte, si posizionò dietro di lei e l’afferrò per l’orlo della giacca, pronta a trattenerla e impedirle di cadere. Gisèle al contrario, guardandosi bene dall’avvicinarsi a sua volta al parapetto, per nulla intenzionata a far indugiare il proprio sguardo sulle cascate sotto di loro, si limitò ad una debole stretta di spalle:
“Meglio prevenire. Ma se vogliamo chiedere a qualcuno di guardare bene il panorama in nostra vece possiamo chiedere a mio cugino.”


“Ragazzi, venite, dobbiamo salire per di qua! E vedete di muovervi, perché non voglio perdere e andare a cercare nessuno!” Vivamente intenzionato ad arrivare a destinazione in fretta e non oltre l’ora di cammino prestabilita Icaro alzò la voce e fece cenno ai compagni di incamminarsi dietro a Milad e ad Antoine, che già si stavano allontanando chiacchierando. Guillaume e Abel superarono l’italiano per seguire gli altri due, con tanto di commento non propriamente mormorato da parte del francese:
Mia cugina possiamo anche lasciarla qui, nessun problema.”
“Io ho fame!”, si premurò invece di far sapere Etienne all’amico quando lo ebbe raggiunto, lo sguardo triste e implorante da cucciolo maltrattato. Suo malgrado Icaro non riuscì a trattenere un lieve accenno di sorriso a quella vista, e colpì un paio di volte la spalla dell’amico con un paio di pacche d’incoraggiamento:
“Mangiamo quando arriviamo, forza bello. Gambe in spalla.”
Le labbra di Etienne si tesero in una smorfia mentre superava Icaro – quel weekend proprio non gli piaceva per niente –, che invece dopo aver individuato le ragazze alzò gli occhi al cielo prima di alzare la voce per farsi sentire da Annika, Leticia, Nerea e Gisèle, tutte ancora nei pressi del ponte:
“Ragazze, finitela di farvi le foto, dobbiamo andare!”
Dopo aver scattato la quattordicesima foto perfettamente identica ad Annika e Leticia Nerea si affrettò a restituire il telefono alla compagna di Casa e a rivolgere un allegro sorriso di scuse ad Icaro, affrettandosi a raggiungerlo con rapide e ampie falcate mentre lo zaino le si agitava tintinnando rumorosamente sulle spalle esili, portando l’italiano a chiedersi che cosa diavolo si fosse portata dietro. Gisèle invece seguì l’amica prendendosela decisamente comoda, la tazza termica nera piena di caffè che aveva precedentemente sfilato dallo zaino in mano e gli occhiali da sole di nuovo calati per schermarle lo sguardo:
“Arriviamo, che stress… Tranquillo che i bigodini li puoi tenere in posa anche mentre dormi.”
“I bigodini li porterai tu, i miei capelli sono naturalissimi!”
Icaro seguì stizzito e oltraggiato la compagna di Casa unendosi alla fila, ma Gisèle sembrò ignorare le sue parole tanto quanto il suo malcontento, limitandosi a riprendere a sorseggiare il suo caffè mentre poco più avanti Nerea porgeva sorridendo affettuosamente ad Etienne un panino farcito alla Nutella: sua madre e sua nonna l’avrebbero come minimo disconosciuta se avessero saputo che era andata in gita senza nemmeno un po’ di cibo nello zaino.
 
Quando un’ora dopo ebbero raggiunto il lago il sole era ormai definitivamente sorto illuminando un cielo azzurro e limpido e la vasta distesa d’acqua blu incuneata in mezzo alle montagne e ad un ampio paesaggio verdeggiante. Ancora non del tutto certo di quale fosse di preciso la loro destinazione ultima, dopo aver scavalcato un alto dislivello formatosi sul sentiero che avevano seguito fin dal Pont d’Espagne Milad si sfilò per l’ennesima volta la piccola bussola d’oro dalla tasca della giacca blu, sollevando il coperchio che riportava l’incisione di una rosa dei venti per studiare accigliato l’ago vermiglio dello strumento magico che, anziché puntare a Nord, stando alle parole di Lefevre si muoveva indicando loro la direzione da seguire.
Gli occhi scuri del ragazzo accarezzarono l’ago rosso della bussola e poi volsero altrove cercando di seguirne la direzione, ritrovandosi ad osservare la fiancata della distesa d’acqua dolce che bagnava i margini di un bosco di pini mentre, alle sue spalle, dopo averlo raggiunto Antoine si voltava verso il resto del gruppo e allungava una mano a Gisèle, aiutandola ad issarsi sul proseguo del sentiero.
“Grazie Antoine. Ormai non dovremmo esserci? Al lago ci siamo arrivati, no?” approfittando della sosta dettata da Milad Gisèle si lasciò scivolare lo zaino dalle spalle per farlo cadere ai propri piedi, accanto alle scarpe da ginnastica nere leggermente impolverate, e circondò la vita dell’amico con le lunghe braccia per appoggiarsi stancamente ad Antoine senza smettere di guardarsi attorno, scrutando scettica il lago attraverso le lenti scure dei suoi occhiali.  
“Sì, ma credo che dobbiamo raggiungere il bosco, in mezzo agli alberi da quella parte.”  Milad levò il braccio destro per indicare distrattamente il bosco, che si trovava quasi dall’altra parte del lago rispetto a dove si trovavano in quel momento, prima di riporre la bussola al sicuro nella tasca della giacca e voltarsi verso i due compagni di Casa, giusto in tempo per udire il lieve sbuffo che si levò da Gisèle e vedere Icaro spuntare accanto a lei e ad Antoine spolverandosi distrattamente i pantaloni con una mano e indicando un punto imprecisato alle sue spalle con l’altra:
“Dovremmo fermarci per un minuto o due, gli altri sono rimasti indietro.”
“Perché? Nessuno si è fatto male, vero?” Nella mente di Milad, che aveva ripetuto talmente tante volte ai compagni di non restare indietro e di non uscire dal sentiero di montagna dal finire col sentirsi alla stregua di una vecchia zia apprensiva, subito presero vita gli scenari più orribili e catastrofici, ma fortunatamente Icaro li mise immediatamente a tacere scuotendo il capo mentre si sistemava distrattamente le bretelle dello zaino sulle spalle, guardandosi attorno schermandosi il viso con la mano sinistra per proteggersi gli occhi scuri dalla luce del sole:
“No, credo che Nerea abbia visto una marmotta. Da che parte dobbiamo andare?”
“Nel bosco, suppongo che la zona protetta dagli incantesimi sia lì da qualche parte.” Milad accennò di nuovo in direzione del bosco sentendosi pervadere dal sollievo, ma Gisèle non sembrò dello stesso avviso: mentre intuiti i pensieri dell’amica un sorriso divertito allargava le labbra di Antoine la ragazza sgranò inorridita i grandi occhi chiari prima di voltarsi cercando con lo sguardo la Bellefuille, certa che in quel momento Nerea fosse impegnata nel disperato tentativo di fare amicizia con un’adorabile marmotta.
Una marmotta? Allora non ce ne andremo mai più.”
 
“Uffa, qui non prende per niente! Volevo cercare su internet se esistono casi di marmotte addomesticate… Magari potrei chiederne una per Natale!” Una ventina di minuti dopo il gruppo si era finalmente inoltrato in mezzo al bosco di pini che fiancheggiava il lago, ma forse per la prima volta in vita sua Nerea non si stava godendo appieno il panorama e la natura in mezzo a cui si trovava e stava invece litigando con il telefono, le braccia lunghe ed esili levate in aria mentre cercava disperatamente un po’ di campo. Gisèle, che la stava affiancando in quell’ultimo tratto di cammino, si scansò appena in tempo per evitare di prendersi il basso ramo di un pino in pieno volto prima di parlare cercando di immaginare una marmotta unirsi allo zoo che Nerea già gestiva a casa propria:
“Oh, sì, tua madre sente di sicuro il bisogno impellente di una marmotta domestica. Chissà invece come se la caverà Vaclav da solo fino a domani sera…” Gisèle non lasciava mai il suo gatto, lo portava con sé persino nelle sue lunghe estati a Londra, quando si chiudeva in Accademia per i corsi intensivi estivi per lunghe settimane. La francese sospirò tristemente sentendo già la mancanza del suo gatto, per il quale essendo sordo nutriva una vera e propria iperprotettività, e Nerea smise brevemente di cercare campo abbassando le braccia per avvolgere le spalle dell’amica con il destro, sorridendole affettuosamente e assicurandole che sarebbe stato benissimo. Nerea suggerì allegra che con ogni probabilità il viziatissimo gatto avrebbe passato tutto il weekend a dormire beatamente sul suo letto, e trovando l’immagine tutto fuorché poco realistica la francese annuì e un accenno di sorriso tornò rapidamente a sollevarle gli angoli della labbra.
“Ecco, brava, sorridi. Ora tesoro, parlando di cose serie, tu come la chiameresti una marmotta? Che ne dici di Isotta?”
“Isotta la marmotta?”, le fece eco Gisèle aggrottando scettica fronte e sopracciglia, ma l’italiana non sembrò cogliere il suo evidente scetticismo perché spalancò euforica gli occhi verdi, come trovandola un’idea sensazionale. Era proprio un peccato che non prendesse per nulla in quell’angolo di Francia in cui si trovavano, o avrebbe già chiamato sua sorella Calipso per chiederle cosa ne pensasse del nome che aveva scelto.
Nel frattempo, solo qualche metro più avanti, Milad, il capo chino e gli occhi scuri puntati sempre sulla bussola, smise di colpo di camminare fermandosi nel bel mezzo di una piccola radura: da quasi un minuto lo strumento sembrava essere impazzito, e l’ago scarlatto non sembrava volerne sapere di smettere di agitarsi roteando e puntando senza un senso apparente in tutte le direzioni.
“Ok, l’ago della bussola sta girando all’impazzata, quindi o è rotta, e spero vivamente che non lo sia, o siamo arrivati.”
“Siamo arrivati, lo decido io, mi sono rotto di camminare!” Etienne, subito dietro il belga insieme ad Icaro, diede maggiore enfasi alle proprie parole e alla propria ferrea decisione levandosi lo zaino e gettandolo sul prato, stabilendo che da lì non si sarebbe proprio più mosso di un centimetro.
Consultandosi rapidamente i dieci decisero che si sarebbero stabiliti nei paraggi con le loro tende, e tutti stavano perlustrando la zona per decidere dove sistemarsi quando Annika, in piedi a pochi metri dalla riva del lago insieme a Leticia, indicò accigliata dei sottili fili scuri a malapena visibili dal punto in cui si trovavano, ma che la ragazza aveva scorto in lontananza per quasi tutto il tragitto in salita compiuto per arrivare fino al lago.
“Ragazzi, che cosa sono quei fili laggiù? Li vedevo anche prima, mentre salivamo.”
“Credo sia una seggiovia, Anni.” Accanto a lei Leticia si schermò il viso con la mano destra e strizzò i grandi occhi chiari per cercare di vedere a sua volta e un attimo dopo le due vennero raggiunte da Etienne, che guardò sgomento a sua volta prima di voltarsi inorridito verso il resto del gruppo, indeciso se incazzarsi con Lefevre per quel piccolo dettaglio che gli era sfuggito o prenderla con filosofia:
“Una che?! Mi state dicendo che c’era una cazzo di seggiovia e noi siamo saliti a piedi come dei poveri coglioni?”
 
 
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Nel frattempo, a Beauxbâtons, come quasi tutte le mattine Diego e Phoenix stavano facendo colazione insieme, anche se sarebbe stato più corretto dire che stavano facendo colazione occupando due sedie vicine ma entrambi con un libro aperto sul tavolo, in mezzo a piatti, tazze, briciole e bricchi caldi di tè, latte e caffè.
“Che cosa stai leggendo Dieghino?”, domandò il greco senza mentre allungava la mano pallida per prendere la sua tazza senza nemmeno alzare la testa.
“Il libretto dell’Otello(3).”
“Che rottura di palle.” Phoenix, che non si era e mai si sarebbe considerato un fan di Shakespeare, parlò distogliendo di sfuggita lo sguardo dalle pagine del suo libro per gettare una rapida occhiata in direzione dell’amico, abbozzando un sorrisetto beffardo quando lo vide distogliere a sua volta gli occhi azzurri dalle spesse pagine ingiallite del libricino che teneva aperto e appoggiato accanto al piatto e al suo croissant alle mandorle mangiato a metà. Diego scoccò all’amico occhiata sinceramente offesa che allargò il sorriso sulle labbra del greco, che trattenne a stento una risata – la soddisfazione che traeva nell’infastidirlo era persino superiore a quella che provava nel dar fastidio a suo cugino – mentre l’italiano lo scrutava torvo:
“Taci Nick, mia nonna cantava l’opera e ci tiene che legga questa roba. Tu cosa leggi?”
A dire la verità Diego doveva ringraziare che l’edizione mandatagli da sua nonna prevedesse un formato di stampa dei caratteri maggiori della media e che gli consentiva di riuscire a leggere senza occhiali senza perdere cinque minuti appresso ad ogni riga – o forse la scelta non era stata del tutto casuale –, e quasi senza rendersene conto accarezzò il bordo delle pagine ingiallite che la donna doveva aver letto e girato più e più volte nel corso della sua vita mentre teneva gli occhi chiari puntati sul viso pallido dell’amico che, come sempre, non riusciva a scorgere in maniera del tutto definita a causa della sua miopia. Il sorrisino di Nick, però, quello sì riusciva sempre a vederlo.
“Sto rileggendo Moby Dick, è decisamente uno di quei libri che va letto più di una volta per essere capito davvero.”
“Pensi che la tua balenotta sia più interessante di Otello?”
“Non lo so Dieghino, penso che l’allegoria della vita e dell’ignoto che nessun uomo può raggiungere pur spingendosi verso la follia e verso la morte sia più interessante di un pazzo coglione? Mi è difficile risponderti.”
Le conversazioni che lui e Nick intavolavano a proposito di letture erano solite protrarsi all’infinito e spesso degeneravano in delle discussioni vere e proprie – al termine delle quali, di norma, Diego poneva fine al silenzio teso proponendo con un borbottio all’amico di guardare insieme la puntata di una serie tv, mossa che aveva sempre un effetto conciliatorio – tanto che l’italiano scelse saggiamente di lasciar cadere l’argomento limitandosi ad alzare gli occhi al cielo. Per qualche lungo istante Nick tornò a leggere e Diego fece altrettanto, fino a che quest’ultimo non rammentò quale giorno della settimana fosse e cosa ciò significasse per il suo amico:
“Dopo hai la seduta?”
“Mh-mh.”
“Ci andrai? Ci devi andare, o ti trascinerò io.” Diego tornò a guardare l’amico stringendo gli occhi azzurri, per combattere la sua miopia e scrutarlo bene in volto più che per risultare minaccioso – come talvolta la gente fraintendeva, destando sghignazzi da parte di Icaro e Phoenix – nonostante fosse determinato a tenere fede alla sua promessa. Le sue parole destarono un rinnovato sorriso sul bel viso del greco, che annuì mentre tornava a guardarlo con un luccichio divertito nei brillanti occhi cerulei:
“Tranquillo, puoi sempre minacciarmi di cantarmi l’Otello, correrò a farmi psicanalizzare come non ho mai corso prima.”
Diego non avrebbe fatto sentire la sua voce in pubblico nemmeno se torturato e questo Phoenix lo sapeva benissimo: un sorriso più ampio allargò le labbra del greco mentre Nick guardava il volto dell’amico andare a fuoco, visione che lo portò a ridacchiare maligno prima di sporgersi verso di lui e colpirgli debolmente la spalla.
“Povero Dieghino, come mi intratterrei senza te nei paraggi?” Diego non ricambiò il sorriso dell’amico, si limitò a scoccargli un’occhiata di sbieco prima di tornare a concentrarsi sul suo libro, annuendo distrattamente prima di parlare:
“Già, soprattutto in assenza di Icaro.”
“Stamattina l’ho trovato in Dormitorio con questo enorme zaino, ha blaterato qualcosa a proposito di un progetto di arte e poi è schizzato via. Chissà che cazzo è andato a fare.”
Diego non rispose e quasi senza volerlo Nick, forse incuriosito da quel silenzio, gli gettò un’occhiata. Fu così che ebbe l’impressione si scorgere un accenno di sorriso sulle labbra dell’amico, e dato che dei due quello a vederci perfettamente era lui la cosa lo stupì non poco: che cosa ci trovava Diego di divertente nell’assenza del cugino? Sapeva qualcosa di cui lui era all’oscuro? Quel che era certo era che quel giorno il suo amico non era l’unico assente del suo anno, a giudicare dalle numerose facce che non aveva scorto quando era sceso al pian terreno per fare colazione.
“Sai qualcosa che non so?”
“Io non so proprio niente,” asserì l’italiano con un sorriso angelico, frutto di anni e anni di insegnamenti e tentativi da parte dei suoi cugini per permettergli di mentire senza farsi scoprire, “pensi che se Icaro avesse in mente di combinare qualcosa lo direbbe a me e non a te? Magari è andato a fare una gitarella con una ragazza, chissà.”
“E perché non dirlo allora? In realtà credo che gli assenti siano diversi, magari è davvero andato a fare un progetto inutile.”
“La cultura non è inutile, demente che non sei altro. A proposito, quando hai finito con la seduta ripassiamo insieme letteratura? Chiederò anche a Dante.”
“Come ti pare. Che farai in mia assenza, vagherai per i corridoi cercando di non inciampare su un gradino?”
“Devo aiutare Daphné con una cosa.” Diego si strinse nelle spalle per conferire alle sue parole il massimo grado di noncuranza possibile, ma Nick naturalmente le accolse in tutt’altro modo: il greco riuscì finalmente a dimenticare il libro sul tavolo per rivolgergli la sua completa attenzione, ruotando il busto e mettendosi a sedere con le gambe rivolte verso di lui mentre lo guardava esterrefatto e con gli occhi azzurri spalancati, quasi increduli:
“Che cosa devi fare con Daphné?! Sei veramente un idiota, mi parli dell’Otello del cazzo e le cose più interessanti non me le dici!” Com’era prevedibile Diego si sentì arrossire, e maledisse se stesso per non aver mentito – anche se in caso avesse mentito quando poi Phoenix lo avrebbe scoperto sarebbe stato peggio, e ancora peggiori sarebbero state le illazioni a riguardo – mentre appallottolava il suo tovagliolo bianco nella mano destra, lanciandolo verso l’amico e colpendolo in pieno viso:
“Sei più pettegolo delle amiche di mia nonna, lo sai vero?!”
Naturalmente tovagliolo e paragone con le amiche di sua nonna (da suo nonno soprannominate “Oche del Campidoglio”) non frenarono la curiosità quasi morbosa di Phoenix, che si levò il quadrato di stoffa bianco di dosso e lo rimise malamente sul tavolo prima di iniziare a sghignazzare, la mano sinistra già in direzione del telefono precedentemente abbandonato per scrivere a Icaro e condividere con lui la notizia.
“Stai seriamente scrivendo a mio cugino? Davvero? Siete peggio di due bimbette del primo anno!”
 
 
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Lac de Gaube


 
In un piccolo angolo del bosco di pini che affiancava il Lac de Gaube quattro ragazzi stavano in piedi rivolti gli uni verso gli altri, chiusi a capannello e attorniati da un silenzio carico di tensione: nessuno tra Antoine, Milad, Etienne e Icaro parlava mentre tutti i quattro stavano con le teste chine, gli sguardi – per lo più scettici o perplessi – puntati sul cumulo di tessuto verde scuro ammucchiato in mezzo ai loro piedi insieme ad un sottile manuale di istruzioni e minuscoli aggeggi metallici che nessuno di loro era certo di saper usare correttamente.
“Com’è che la tenda è tua e non la sai montare?”, domandò infine Milad, che non era mai andato in campeggio in tutta la sua vita – i suoi genitori di certo non si sarebbero mai sognati di chiudere il negozio per andare a stare in tenda per qualche giorno, men che meno dovendo fronteggiare la salute fragile di sua madre – alzando la testa per puntare il mento verso Etienne, i grandi scuri impregnati di rassegnazione ed esasperazione al tempo stesso mentre il francese, esasperato a sua volta, si stringeva nelle spalle tenendo le mani sprofondate nelle tasche dei pantaloni scuri:
“Non è mia, ve l’ho detto, è di mio fratello! Me l’ha mandata per posta l’altro giorno sapendo che dovevamo venire qui, ci sono venuti anche lui e Soleil quando erano al VII anno di scuola, ma noi in campeggio insieme non siamo mai andati, a volte lo fa lui con i suoi amici e la squadra quando viaggiano.” In un paio di occasioni lui e Maëlle dovevano anche averlo proposto ai fratelli maggiori, di andare in campeggio tutti insieme durante l’estate sfruttando l’enorme tenda di Basile. Eppure, per qualche motivo che sfuggiva alla sua comprensione, Soleil si era sempre fermamente opposta. Probabilmente la sorella pensava che loro quattro e una tenda non fossero un abbinamento in grado di far ben sperare.
“Io non ho mai dormito in tenda.”, ammise Antoine con una lieve stretta di spalle mentre, in lontananza, si udivano le voci di Abel e Guillaume discutere in maniera indistinta a proposito della loro: si sarebbe detto che nemmeno loro si potevano considerare degli esperti in materia.
“Nemmeno io, la mia famiglia quando va in vacanza preferisce stare comoda. Quel che è certo è che di sicuro voi siete più pratici di me con queste cose, quindi forse io potrei andare a dare un’occhiata in giro e rendermi utile in qualche altra maniera…”
Un sorriso amabile stampato sul viso Icaro stava già iniziando ad indietreggiare lentamente per dileguarsi tra gli alberi e sfuggire allo sgradito compito di montare la tenda che li avrebbe ospitati fino alla sera seguente quando Etienne spazzò via i suoi piani fulminandolo con lo sguardo:
“Tu non vai proprio da nessuna parte!” Determinato ad impedire all’italiano di darsela a gambe scaricando l’incombenza su di loro Etienne afferrò prontamente l’amico per il bavero della giacca a vento blu, trattenendolo accanto a sé con decisione. Icaro si liberò dalla presa del francese sbuffando e con un lieve strattone, lisciandosi con una smorfia indispettita le pieghe createsi sulla sua giacca prima di sollevare la pallida mano sinistra e indicare pieno di stizza un punto che si trovava alle spalle di Antoine, in direzione della zona vicina a dove avevano deciso di montare la loro tenda, dove gli alberi si diradavano aprendo ampi scorci sul paesaggio lacustre:
E perché Gisèle può starsene a non far niente su una sedia Adirondack?”
 Antoine, Milad ed Etienne volsero rapidamente gli sguardi seguendo la direzione indicata loro dal compagno finendo con l’individuare rapidamente la strega, che se ne stava effettivamente seduta su una bella sedia di legno da giardino con lo schienale alto, reclinato e dall’aria particolarmente confortevole che nessuno di loro rammentava di aver scorto nei paraggi fino a poco prima. Rivolta verso il lago Gisèle dava loro quasi del tutto le spalle stando seduta al sole con una rivista aperta in grembo, le gambe accavallate, il cappellino bianco in testa per schermarle lo sguardo dai raggi solari e una felpa dello stesso colore a fasciarle spalle e braccia.
“Forse ha già montato la sua tenda.”, azzardò Milad con scarsa convinzione, faticando ad immaginare la compagna di Casa come un’esperta di campeggio: da quel che sapeva Gisèle viveva immersa nella campagna provenzale, in mezzo a distese di campi di lavanda e verdeggianti vigneti, ma era anche vero che difficilmente a qualcuno sarebbe venuto in mente di definirla una ragazza di campagna in piena regola, né tantomeno amante dell’aria aperta.
“Forse conosce un incantesimo per farlo in fretta! Andiamo a chiederglielo.”, propose Etienne mentre gli si illuminava lo sguardo, speranzoso nei confronti dell’amica e di qualche capacità che magari avrebbe potuto condividere con loro, ma come Milad Antoine aggrottò la fronte, per nulla convinto mentre studiava la sua migliore amica: Gisèle si dedicava con impegno solo e soltanto a ciò che le interessava, e l’idea che avesse impiegato i giorni precedenti per studiare qualche incantesimo da campeggio gli risultava abbastanza difficile da credere.
“Ne dubito fortemente, Gisèle non è amante del campeggio, e direi nemmeno la sua famiglia.” Anche se doveva ammettere che c’era un che di comico nell’immaginare Colette, la madre della ragazza che Antoine mai aveva scorto sprovvista di tacchi alti ai piedi, alle prese con una tenda e un falò.
“Beh, andiamo a chiederglielo.” Etienne si strinse nelle spalle e di nuovo accennò in direzione della francese, invitando i compagni a fare come diceva. In fila indiana i quattro si avvicinarono al punto in cui Gisèle aveva deciso di piazzare la sua bella seggiola, interrompendo il quiz che la ragazza stava per portare a compimento (Quale strega famosa sei?) quando Icaro le picchiettò fastidiosamente il dito indice sulla spalla. Lentamente la francese distolse lo sguardo dalle pagine della rivista per ruotare il capo e rivolgersi a chi l’aveva interrotta, e Icaro quasi si pentì di non aver mandato avanti Antoine – di certo con lui sarebbe stata più bendisposta – mentre la guardava farsi scivolare di un paio di centimetri la montatura degli occhiali sul setto nasale per potergli gettare un’occhiata da sopra le lenti scure:
“Posso esserti d’aiuto?”, domandò Gisèle celando il proprio sarcasmo dietro un tono amabile e un accenno di sorriso che di certo sua madre avrebbe lodato mentre Icaro annuiva, schiarendosi la voce:
“Sì, volevamo chiederti se hai già montato la tua tenda.”
“No, non l’ho fatto.” Gisèle fece per tornare alla sua rivista e al suo quiz – rilassarsi in solitudine di quei tempi era diventato impossibile, non le restava che trasferirsi su una montagna una volta conseguito il Diploma – ma una seconda voce maschile glielo impedì levandosi da un punto imprecisato alle spalle dell’italiano:
“E allora perché stai qui a rilassarti?”, fece eco Etienne facendo capolino indispettito da dietro l’amico, guardandola sospettoso e come certo che stesse nascondendo loro un sordido segreto sulle tende da campeggio. Di nuovo Gisèle si rivolse alla sua fonte di disturbo con estrema calma, limitandosi ad una lieve stretta di spalle prima di indicare con nonchalance un punto impreciso del bosco usando la penna che stava adoperando per le crocette del suo quiz:
“Perché io ho una Nerea. Voi potete dire lo stesso?”
I quattro stavano giusto per chiederle che cosa volesse dire quando la voce allegra e familiare dell’italiana giunse alle loro orecchie, anticipando l’arrivo di una sorridente Nerea pronta ad annunciare felice di aver finito con “Brenda” e ad invitare l’amica a seguirla per andare a vedere.
“Chi è Brenda? Un’amica loro?”, domandò Icaro rivolgendosi accigliato al resto del gruppo mentre Milad, sempre più confuso, guardava Nerea sbracciarsi in direzione di Gisèle inarcando scettico un sopracciglio:
“Difficile dirlo.”
“Magari lei sa come si monta una tenda!”, propose Etienne speranzoso mentre Gisèle si alzava in tutta calma dalla sua Adirondack e chiudeva la rivista per sistemarsela sottobraccio, sospirando mentre studiava rassegnata i quattro scuotendo lentamente il capo:
“A volte mi chiedo se non abbiate due neuroni, dove uno si nasconde dall’altro. Brenda è la tenda di Nerea, non lo sapete che le piace dare i nomi alle cose?”
Con quelle parole la francese fece per allontanarsi in direzione dell’amica, ma dopo soli pochi metri sembrò ricordarsi di qualcosa, perché fece dietro-front e tornò indietro, superò uno ad uno Antoine, Milad, Etienne ed Icaro, tutti e quattro sempre più perplessi, e infine si fermò alle spalle della sedia:
“Se volete scusarmi,” asserì seria mentre gettava rivista e penna sulla seduta per poi sollevare lo schienale della sedia, “questa è mia.”
Con quelle parole la ragazza si allontanò definitivamente, trascinandosi appresso l’enorme sedia finchè Antoine non la raggiunse per darle una mano, sollevandola al posto suo e dirigendosi insieme a lei verso Nerea. Etienne gettò invece un’occhiata amareggiata al punto in cui fino ad un attimo prima si era trovata la seduta, asserendo di aver già visto sfumare il suo piano di usarla per dormire in caso fossero rimasti sprovvisti di tenda.
 
“Guarda che carina!”, esclamò Nerea rivolgendosi all’amica mentre guardava sorridendo orgogliosa la sua tenda, che col suo color senape spiccava in mezzo ai colori scuri del bosco quanto un semaforo in mezzo alla strada. Gisèle, accanto a lei, studiò con sincera ammirazione il bel lavoro dell’amica prima di sorriderle e sfiorarle affettuosamente il braccio destro con una carezza:
“Molto carina, sei stata bravissima Rea. Vuoi venire dentro a vedere?” Gisèle si rivolse ad Antoine, che non esitò e accettò di buon grado la proposta, piuttosto curioso di scorgere l’interno dell’apparentemente comunissima tenda a due posti che aveva davanti.
Qualche metro più indietro Icaro, Milad ed Etienne, che naturalmente avevano seguito i compagni per vedere con i loro occhi, osservarono sgomenti l’ottimo lavoro di Nerea mentre l’italiana, Gisèle e Antoine entravano uno dietro l’altro nella tenda, sparendo dal loro visivo.
“Quindi Brenda era davvero una tenda.”, osservò infine Milad dopo qualche lungo istante di silenzio osservando stupito la costruzione color senape che si ergeva vivace in mezzo agli alberi mentre Etienne, in piedi alla destra di Icaro, scuoteva la testa sconsolato:
“Io speravo fosse una tizia in grado di darci una mano.”
“Magari anche figa.”, aggiunse distrattamente Icaro continuando a studiare la tenda che avrebbe ospitato Nerea e Gisèle fino al giorno seguente, ed Etienne annuì sempre con aria sconsolata. Alla fine, dopo qualche altro lungo istante di contemplazione e riflessione, l’italiano sbuffò e fece cenno agli altri due di seguirlo per tornare alla loro tenda, che ancora era solo un ammasso di stoffa:
“Beh, sentite, se ci riescono gli altri ci riusciremo anche noi. Siamo in quattro e non siamo certo un branco di deficienti, è impossibile che non riusciamo a metterla in piedi!”

 
Mezz’ora dopo
 

“Di chi cazzo è stata l’idea del campeggio? Che tradizione stupida! Sapete quante belle e comode case col pavimento riscaldato avrei potuto offrire io per ospitarvi? Un sacco!” Esasperato Icaro gettò malamente il manuale d’istruzioni sulla porzione di prato davanti a sé e che lo divideva da Milad, Antoine ed Etienne, tutti e tre seduti come lui con le gambe incrociate e cercando di capire come mettere in piedi la tenda senza che crollasse sopra le loro teste mentre dormivano. A raccoglierlo con calma fu Milad, che lisciò quasi distrattamente e senza rifletterci la pagina che si era piegata su un angolo prima di alzare lo sguardo e farlo rimbalzare sui visi che lo circondavano:
“Credo che ci resti solo una cosa da fare.”
Per una manciata di istanti, mentre gli altri tre riflettevano sull’eloquenza delle sue parole, il belga non ottenne risposta, o almeno finchè Etienne non annuì facendo per alzarsi in piedi:
“Vado a chiedere aiuto a Nerea.”
 
 
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Mentre Icaro, Milad, Antoine ed Etienne litigavano con la loro tenda una studentessa del VI anno si trovava in Biblioteca, alle prese con uno dei temi più lunghi e barbosi della sua vita, pile di libri e un cocente malumore: era sabato e c’erano tantissimi modi in cui Lucinda avrebbe potuto sfruttare il pomeriggio, invece eccola lì, a marcire in Biblioteca e con il polso che le doleva a furia di scrivere e tirare righe per cancellare le frasi che non la convincevano della sua brutta copia.
Se non altro la Biblioteca restava comunque obbiettivamente un gran bel posto per marcire a studiare, dovette ripetersi la portoghese mentre sollevava il mento verso l’alto soffitto che svettava su di lei e sugli altri studenti disperati, reggendosi la testa con la mano mentre studiava pensosa gli stucchi e i dettagli laccati d’oro del soffitto. Forse l’avevano progettata tanto bella proprio per quel motivo, rifletté distrattamente mentre un lieve brusio nervoso le suggeriva che, dietro di lei, altri studenti del suo anno stavano litigando proprio con il medesimo compito, per allietare in qualche modo le lunghe ore di studio di loro poveri studenti.
Daphnè e Maëlle l’avevano abbandonata a se stessa per dedicarsi allo studio di Wagner – e francamente non si sentiva di invidiarle –, quindi Lucinda si era trascinata in Biblioteca da sola e da sola aveva riletto tutti gli appunti presi a lezione, nonché tutte le informazioni reperibili sull’oggetto del suo tema sul libro di testo. Aveva anche cercato qualche volume da consultare sugli scaffali, ma sembrava che altri studenti disperati l’avessero preceduta, e non ne era rimasta una sola copia, gettandola nello sconforto. Stava per prendere in considerazione l’idea di voltarsi e chiedere ai compagni che sedevano attorno al tavolo alle spalle del suo se fossero riusciti a mettere le mani su un volume dedicato alle pozioni soporifere avanzate quando una voce alle sue spalle la salutò ridestandola brevemente dalla terribile noia in cui versava ormai da quasi un’ora:
“Ciao. Stai scrivendo il tema sul Distillato della Morte Vivente?”
Lucina si voltò e levò lo sguardo verso la fonte della voce, restituendo lo sguardo di Dante con un’occhiata talmente cupa che, assieme al libro di pozioni aperto sul tavolo, fornì da sé una risposta al ragazzo.
“No, ci sto piangendo sopra. Se sei in cerca di qualche libro da consultare ti faccio risparmiare tempo, sono tutti scomparsi. Domani mattina verrò all’alba sperando che qualche copia ricompaia sulle mensole.”
Lucinda sbuffò cupa mentre continuava a sorreggersi la testa con la mano, quasi il suo capo non fosse più in grado di stare dritto da solo, e gettò un’occhiata torva alla pagina piena di cancellature e segnacci che già aveva scarabocchiato a matita su un quaderno a spirale bianco mentre Dante, accanto a lei, si faceva scivolare lo zaino di tela nero dalla spalla sinistra per poterlo aprire e tirarne fuori qualcosa da mostrarle:
“Tipo questo? Ieri mattina dopo colazione sono corso qui prima che tutti ci si fiondassero sopra come avvoltoi.”
Dante mostrò libro e copertina alla compagna di Classe e vide gli occhi verdi della giovane strega spalancarsi e illuminarsi come se le stesse porgendo un regalo da sogno, abbozzando un sorriso divertito quando la vide annuire con aria concitata:
“Sì, tipo quello! Weber vuole una lista dei dannati usi più noti di quella dannata pozione, se non sono attestati lì non so dove altro potremmo guardare. Non è che ti dispiacerebbe condividere?” Lo stupore svanì rapido dal viso di Lucinda lasciando spazio ad un sorriso amabile e speranzoso che Dante decise di non disilludere, limitandosi ad annuire con una pigra stretta di spalle mentre posava il volume dalla copertina rigida verde bottiglia e le pagine ingiallite sullo spazio libero del tavolo accanto a lei:
“No, credo di no.”
Dante posò lo zaino sul pavimento e scostò la sedia accanto a quella della portoghese per sedersi vicino a lei, destando un sorriso allegro sulle labbra della ragazza mentre prendeva il suo quaderno a spirale per mostrargli ciò che aveva già scritto:
“Dobbiamo scrivere quattro pagine, se ti interessa e vuoi prendere ispirazione, visto che mi presti il libro, io ne ho sprecata già più di mezza parlando di Shakespeare.”
Dante non ricambiò il sorriso allegro di Lucinda, aggrottando invece le sopracciglia mentre la guardava stranito e chiedendosi se non avesse per caso frainteso le sue parole. Il che poteva anche darsi, visto che da madrelingua la ragazza parlava francese a macchinetta e con un accento impeccabile, ancor più di molti altri compagni di scuola.
“Perché Shakespeare?”, domandò istintivamente il ragazzo – che non aveva mai letto Shakespeare in tutta la sua vita – inarcando scettico un sopracciglio mentre faceva rimbalzare gli occhi scuri dal volto sorridente della compagna al suo quaderno pieno di scarabocchi. Le sue parole fecero sparire ogni traccia di sorriso dalle labbra di Lucinda, che invece sbuffò quasi con fare offeso mentre gli sventolava impaziente il quaderno davanti:
“Sveglia, Romeo e Giulietta! È ovvio che siano un po’ la stessa cosa, no, la roba che Giulietta beve per fingere di essere morta e il Distillato della Morte Vivente. Weber vuole una “riflessione personale”, giuro che se non troverà questa abbastanza personale andrò nel suo ufficio a lamentarmi. E poi gli dirò di leggersi Shakespeare, se non mi crede.”
“Giulietta è una povera cretina,” obbiettò scettico Dante aggrottando ulteriormente la fronte, “finge di essere morta, non avvisa personalmente Romeo e alla fine muoiono tutti.”
“Ma certo che muoiono tutti alla fine, è Shakespeare, cosa ti aspetti? Forza, scrivi, io consulto l’indice per cercare qualche esempio.” Lucinda posò il quaderno sul tavolo accanto a Dante per prendere invece il libro preso in prestito dagli scaffali dell’immensa Biblioteca, e anche se non era sua abitudine apprezzare che gli si dessero ordini, e a dirla tutta nemmeno fare i compiti in compagnia, il ragazzo tacque e obbedì, iniziando a cercare di decifrare accigliato sia la grafia della compagna tanto quanto il suo ottimo e fluente francese: la tentazione di chiederle di parlare un po’ più lentamente era spesso molto forte, ma ancora non aveva mai osato per paura che la ragazza lo prendesse in giro, considerato che già correggeva la sua pronuncia imperfetta un po’ troppo di frequente.
 
 
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Mentre cercava di districare dallo zaino pieno i vestiti che aveva portato con sé Icaro osservò dubbioso uno dei due letti a castello presenti nella camera della tenda, in particolare quello di sotto che gli era spettato dopo aver perso a morra cinese con Etienne. In tutta onestà non sapeva se essere grato o meno a quella sconfitta: certo dormendo nel letto in basso non rischiava di cadere dal letto, ma nemmeno l’idea di alzarsi e prendersi una testata appariva molto allettante.
“Non ho mai dormito in un letto a castello, spero di non svegliarmi domattina e dare una testata alle assi che sorreggono quello di Etienne.”, osservò a voce alta l’italiano per farsi sentire da Milad, che come lui era rimasto all’interno della tenda per pulire solertemente la cucina: Etienne e Antoine si erano offerti di aiutarlo, ma il belga li aveva liquidati forse temendo che avrebbero potuto arrecare, Etienne in primis, più danni che altro.
“Non hai mai dormito in un letto a castello?”, gli fece eco incredulo Milad mentre finiva di mettere in ordine il caos spropositato generato dai compagni per prepararsi un semplicissimo spuntino strofinando energicamente una spugna gialla sui fornelli: poteva solo sperare che l’incombenza della cena sarebbe ricaduta su qualcun altro e non sui suoi tre “coinquilini”. Il compagno di Casa lo raggiunse nelle stanza infilandosi dalla testa una felpa blu col cappuccio, sistemandosi i lunghi capelli scuri mentre scuoteva debolmente il capo:
“No, prima volta. Ti va di accompagnarmi a prendere la legna per fare il falò? Preferisco fare quello che aiutare in cucina, non so fare niente.”
“Ho avuto quest’impressione quando tu e gli altri stavate per mettere un contenitore di plastica in microonde, sì. D’accordo, tanto qui ho finito.”
Dopo essersi lavato le mani Milad seguì Icaro fuori dalla tenda, chiedendogli se volesse chiedere anche a qualcun altro di andare ad aiutarli mentre Guillaume e Abel sistemavano delle colorate sedie pieghevoli da campeggio attorno al luogo prescelto per il falò ed Etienne e Gisèle stavano seduti preparando i bastoncini di marshmallow da arrostire quella sera.
“In tre faremmo prima… Gisèle, hai visto Antoine?”
“Antoine lo ha già prenotato Nerea, deve dare una mano a lei, Annika e a Leticia con le cose da mangiare. E qualcuno deve anche andare a cercare gli ombrelli e la Passaporta che dobbiamo usare domani per tornare a scuola prima che faccia buio… Basta mangiarne, o non ne rimangono per dopo.” La francese strappò delicatamente di mano ad Etienne il marshmallow che l’amico stava per inghiottire, infilzandolo su un bastoncino mentre il ragazzo sbuffava borbottando qualcosa a proposito di come tutti avessero sempre qualcosa da rimproverargli.
“Beh, prima che faccia buio dobbiamo anche prendere qualcosa per appiccare il falò. Andiamo noi due?”
Icaro si voltò verso Milad, che si strinse debolmente nelle spalle mentre spostava lo sguardo dal punto in cui sedevano Etienne e Gisèle chiacchierando fino a farlo indugiare su Abel e Guillaume.
“A Guillaume non chiederei un favore nemmeno sotto tortura, Abel è occupato in ogni caso… servirebbe qualcuno di abbastanza forte.”
In silenzio i due Ombrelune tornarono a scrutare brevemente Etienne e Gisèle, e dopo essersi scambiati una rapida occhiata che gli permise di accertarsi di aver avuto la stessa idea Icaro si schiarì la voce:
Gisèle, vieni a darci una mano con la legna?”
“Ok, arrivo… Non mangiarne troppi se non vuoi star male.” Gisèle si alzò e dopo aver lasciato il suo sacchetto di marshmallow sulla sedia pieghevole rossa arruffò affettuosamente con entrambe le mani i capelli biondo cenere di Etienne, salutando l’amico con un sorriso prima di raggiungere i due compagni di Casa con poche e rapide falcate.
Etienne seguì brevemente con lo sguardo i tre allontanarsi per inoltrarsi nel bosco per nulla dispiaciuto all’idea di potersene restare comodamente lì seduto per assolvere un compito tanto semplice, anche se il suo idillio ebbe vita breve: un paio di minuti dopo Nerea lasciò Leticia ed Annika alle prese con il cibo in cucina e uscì dalla sua sgargiante tenda gialla insieme ad Antoine. Una volta scorto l’amico seduto su una delle sedie da campeggio che lei stessa aveva previdentemente infilato nello zaino la sera prima l’italiana non tardò a raggiungerlo e a pararglisi davanti con un ampio sorriso sulle labbra:
“Ciao carino… vieni a dare una mano a me e ad Antoine? Dobbiamo cercare gli ombrelli, ergo dobbiamo controllare tutti gli alberi delle vicinanze, ci potrebbe volere un po’.”
“Come vuoi… Anche se onestamente questa cosa degli ombrelli incantati non mi piace nemmeno un po’.”, asserì con tono poco convinto Etienne mentre si alzava, abbandonando il sacchetto di marshmallow sulla sedia esattamente come aveva fatto Gisèle poco prima.
“Col culo che ho il mio sarà sicuramente quello difettoso che non si aprirà o che funzionerà male… sentite, è il caso di lasciare i marshmallow qui in bella vista? Non è che ci sono orsi qui nei paraggi, vero?” Dopo aver gettato un’ultima occhiata leggermente apprensiva ai sacchetti pieni di candidi dolcetti pieni di zucchero Etienne s’incamminò per seguire Nerea affiancando Antoine, sentendosi un po’ più sollevato quando l’amica ruotò su se stessa scuotendo il capo e prendendo a camminare all’indietro mentre accennava agli alberi che li circondavano:
“Milad ha detto di no, quindi sicuramente non ci sono. In caso Gisèle ha detto che possiamo usare Guillaume come esca… Bene, dividiamoci e cerchiamo un pino che abbia un intaglio a forma di ombrello sulla corteccia, forza.”
“Ci vorrà un’eternità! Lefevre non poteva darci delle coordinate, un’altra bussola magica o che so io?
“Certo, perché in caso tu le avresti sapute decifrare di sicuro, le coordinate… Lamentati di meno e cerca di più.”
Con quelle parole Nerea scoccò un bacio aereo ai due prima di dar loro nuovamente le spalle e allontanarsi verso i pini alla loro sinistra, lasciando Etienne ed Antoine a seguirla brevemente in silenzio con lo sguardo finchè il francese non si rivolse al belga inarcando un sopracciglio:
“Sembra anche a te che a volte assuma un tono autoritario un tantino simile a quello di Gisèle? Forse cominciano a passare un po’ troppo tempo insieme.”
“Sono la perfetta personificazione di quelle foto dove c’è il Golden Retriever sorridente accanto al gatto nero dallo sguardo truce che sono magicamente diventati migliori amici... Nessuno sa come sia accaduto, è accaduto e basta. ”, asserì Antoine annuendo serio mentre a poca distanza Nerea iniziava ad ispezionare i primi alberi e Guillaume, alle loro spalle, sgraffignava qualche marshmallow dai sacchetti rimasti incustoditi.
“Quindi secondo la stessa logica Gisèle stando sempre insieme a Nerea dovrebbe diventare un po’ più solare e un po’ meno… Gisèle?”, ipotizzò con tono scettico Etienne mentre avvicinava ancor di più un sopracciglio all’attaccatura dei lisci capelli biondi, ma dopo una breve riflessione Antoine smentì la sua ipotesi scuotendo serio il capo:
“No, questo mi sembra improbabile.”
 
Dopo più di mezz’ora di ricerche Nerea stava quasi iniziando a perdere le speranze, ma l’incisione a forma di ombrello tanto decantata dal loro insegnante apparve infine, con gran gioia dell’italiana, sulla corteccia di un pino distante quasi mezzo chilometro dal punto in cui lei e i compagni avevano sistemato le tende.
“Ragazzi, l’ho trovato finalmente!” Mentre si sfilava la bacchetta dalla tasca dei pantaloni della tuta verde bosco Nerea si alzò in piedi e si voltò con un ampio sorriso sulle labbra per richiamare a gran voce l’attenzione di Antoine ed Etienne, chinando poi lo sguardo sul grosso masso che si trovava ai piedi dell’albero. Istintivamente ci puntò contro la bacchetta per sollevarlo con un Wingardium Leviosa non verbale, esultando con un lieve ed euforico saltello sul posto quando la pietra sollevandosi e atterrando con un tonfo accanto al tronco del pino rivelò una cavità nel terreno. Mentre Antoine ed Etienne la raggiungevano Nerea ripose la bacchetta e s’inginocchiò sul terriccio per afferrare, sorridente, il manico ricurvo nero di un ombrello che, una volta sollevato dalla buca, ne rivelò molti altri.
“Venite, qui sotto ci sono gli ombrelli, e… una palla da tennis?!” L’euforia svanì improvvisamente dal bel volto dell’italiana quando tirò fuori dalla buca una palla da tennis scolorita che aveva decisamente visto giorni migliori, chiedendosi come un oggetto del genere fosse finito lì sotto mentre Antoine, fermo dietro di lei, si stringeva nelle spalle:
“Sarà la Passaporta per domani. Brava Nerea, cominciavo a pensare che non saremmo affatto torbati a scuola domani.”
“Certo che lo potevano anche scegliere più vicino all’area indicata dalla bussola, l’albero… tipico di Lefevre. Dammi, ti aiuto.” Etienne si inginocchiò accanto all’amica per aiutarla a sfilare dalla buca tutti e dieci i loro ombrelli, mentre Nerea continuò a fissare incredula e confusa la palla da tennis che teneva in mano:
“Ma perché una Passaporta così piccola? Sarà scomodissimo tornare con questa domani, siamo in dieci e dobbiamo toccarla tutti almeno con un dito! Forse pensa che non saremo tutti pronti in tempo per tornare a scuola?”
 
Quando poco dopo fecero ritorno Nerea, Antoine ed Etienne trovarono Gisèle, Milad ed Icaro accanto al falò già acceso, e l’italiana non tardò a correre incontro all’amica stringendo tra le mani la palla da tennis mentre i due ragazzi la seguivano con le braccia cariche di ombrelli:
“Ciao ragazzi, abbiamo gli ombrelli e la Passaporta per domani! Com’è messo il nostro falò?”
“Bene credo, penso che abbiamo raccolto abbastanza legna per tutta la sera…  Guillaume sta portando le casse nella nostra tenda. Forse è meglio se questa la tengo io…” Milad gettò un’occhiata apprensiva alla pallina da tennis in mano a Nerea e l’italiana, non sentendosi di replicare, annuì prima di cedergliela. Gisèle invece stava studiando scettica suo cugino, impegnato a trasportare dalla tenda che condivideva con Abel la pesante cassa piena di bottiglie di Champagne prodotto dalla loro famiglia che il giorno prima gli era arrivata per posta dopo essere stata rimpicciolita dentro una scatola.
“Zio Hércules come l’ha presa quando gli hai chiesto di mandarti tutte quelle bottiglie?”
“Non è stato papà, una settimana fa ho scritto direttamente alla nonna, ha detto che ci avrebbe pensato lei.” Guillaume si strinse debolmente nelle spalle mentre camminava in direzione della tenda di Etienne reggendo con cautela le costosissime bottiglie mentre Milad, accigliato, si complimentava con i Delacroix per quella fantomatica nonna tanto intraprendente da rubare delle bottiglie che costavano un occhio della testa dalla antina dei suoi stessi figli.
Gisèle invece, ben sapendo quali fossero le condizioni di salute della donna, sgranò incredula gli occhi grigi non riuscendo neanche lontanamente ad immaginare come la nonna paterna fosse riuscita in una simile impresa:
La nonna?! Ma se è sulla sedia a rotelle?! Come ha fatto a rubare tutte quelle bottiglie dalla cantina senza farsi notare?!”
“La nonna da bambina nascondeva gli ebrei dai nazisti Gisèle, secondo te la spaventano un paio di bottiglie?”
Guillaume sparì all’interno della tenda dei compagni roteando gli occhi, come a chiedersi come fosse possibile che la genetica avesse sbagliato dando facendogli capitare una cugina tanto poco sveglia rispetto a lui mentre Milad si rivolgeva a Gisèle chinando il capo sulla compagna di Casa:
“Le vostre cene di famiglia hanno l’aria di essere molto interessanti.”
“Se non siete mai stati al circo siete tutti invitati da me per Natale.” Imitando inconsapevolmente il cugino Gisèle roteò brevemente gli occhi prima di girare sui tacchi e dirigersi verso la tenda che fino al giorno seguente avrebbe condiviso con Nerea, seguita immediatamente dall’amica mentre Etienne, le mani in tasca e l’espressione accigliata, pensava assorto ai cataclismi che ogni anno si verificavano a casa sua in occasione delle feste:
“Dice così perché non è mai stata a casa mia…”
 
 
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Dante e Diego sedevano uno di fronte all’altro, divisi da un caos di astucci neri, quaderni, libri e penne sparsi su uno dei tavolini bianchi da giardino di metallo disseminati per tutta la terrazza. Stavano aspettando che a loro si unisse anche Phoenix, in quel momento in procinto di porre fine alla seduta settimanale di terapia che gli era stata imposta alla fine dell’anno precedente, e Dante ne stava approfittando per fumare una sigaretta mentre si teneva il quaderno di letteratura aperto sulle ginocchia.
“Anche tuo cugino è andato via con Nerea, vero?”, domandò il ragazzo picchiettando distrattamente la sigaretta accesa e ormai parzialmente consumata sul bordo del posacenere di vetro che un solerte Elfo Domestico vestito di blu e con lo sguardo carico di disapprovazione aveva portato loro poco prima, non appena Dante aveva estratto il pacchetto dalla giacca. Diego, che stava rileggendo i suoi infiniti appunti sui Promessi Sposi con gli occhi azzurri stretti e un’espressione vagamente schifata, alzò la testa per studiare brevemente il compagno di classe prima di annuire, mormorare un assenso e infine tornare a leggere in silenzio, quasi non avesse voglia di spendere troppe parole sull’argomento.
“Che cosa sono andati a fare? È strano che Nerea non mi abbia detto niente, mi racconta sempre tutto. L’altro giorno mi ha trovato davanti ad un bagno e non la finiva di spoilerarmi i gossip del prossimo numero del giornale, anche quelli su gente che non ho mai sentito nominare.”
“Non ne so molto, credo che andassero a vedere… Il Louvre. Per arte, sai.”  Diego si mosse leggermente sulla sedia senza alzare la testa per ricambiare lo sguardo del compagno, certo che avrebbe rischiato di tradirsi in qualche modo e sperando di chiudere l’argomento il più rapidamente possibile: naturalmente lui per primo non ci credeva, alla storia di Parigi, ma non aveva nessuna intenzione di condividere le sue rimostranze con nessun’altro.
“Cioè loro sono volati a Parigi e noi stiamo qui con Manzoni? Che palle.” Dante sbuffò debolmente mentre si riportava la sigaretta alle labbra e Diego continuava ad ostinarsi a non guardarlo, impegnato a leggere maledicendo la loro abitudine di studiare in luoghi pubblici che gli impedivano – loro e la sua scarsa autostima – di indossare gli occhiali.
“Sì, e spero che Nick arrivi in fretta, se Lefevre lo interroga e prende un votaccio suo padre non gli manderà una Strillettera, verrà qui personalmente per prenderlo a calci.” L’italiano rabbrividì neanche la minaccia fosse rivolta a lui: il padre del suo amico aveva sempre l’aria di essere arrabbiato e di cattivo umore, e quando lui e Nick discutevano sbraitando in greco le vibrazioni non sembravano mai particolarmente positive.
“Come mai Nick va dalla psicologa? Faccio fatica ad immaginarlo come qualcuno che accetta facilmente di andare in terapia.” Quando era riuscito ad estorcere i motivi che portavano Phoenix a dissolversi nel nulla per parte di ogni sabato pomeriggio Dante era rimasto sinceramente di stucco, stentando a crederci. E poi aveva ringraziato che sua madre non avesse avuto la stessa idea: ci mancava solo che una sconosciuta lo psicanalizzasse in merito a quanto era successo tra i suoi genitori, nonché nel corso del suo ultimo anno a Mahoutokoro.
“Stai scherzando, la odia. L’hanno costretto, ovviamente... Non ci sarebbe mai andato spontaneamente.”
Diego, a dire la verità, era piuttosto entusiasta delle sedute dell’amico, certo che gli avrebbero fatto bene. Ma questo a Nick naturalmente non si sognava di dirlo.
“L’anno scorso minacciarono di bocciarlo un’altra volta, suo padre venne qui e rimase non so quanto a parlare con la Preside nel suo ufficio… In qualche modo hanno deciso che Nick non avrebbe ripetuto l’anno solo a patto che iniziasse ad andare a parlare per un’ora, ogni sabato, con la psicologa della scuola.”
“Perché lo mandarono dalla psicologa invece di bocciarlo di nuovo? Pensavano che non studiasse per qualche motivo particolare?”
Diego esitò, iniziando a cercare di ricreare un po’ di ordine sul tavolo che avevano occupato per prendere tempo e pensare a come rispondere mentre attorno a loro, nonostante il freddo, altri studenti studiavano insieme, chiacchieravano o semplicemente sorseggiavano caffè scaldandosi grazie alle lanterne che ospitavano piccole fiamme turchine presenti su ogni tavolo. Alla fine, mentre Dante lo guardava incuriosito ormai dimentico dei suoi appunti di letteratura italiana, si strinse nelle spalle giocherellando con una matita nera, senza guardarlo:
“Nick non è… mai stato uno studente modello, Icaro dice sempre che in certe materie ha fatto schifo fin dal primo anno, come Botanique. Però sai, se la cavava, studiava quantomeno quello che gli interessava, e alla fine dell’anno mio cugino lo faceva sedere e lo costringeva a recuperare le insufficienze. Al quinto anno è un po’ cambiato.”
“Che è successo?”
Di nuovo Diego esitò prima di rispondere, questa volta per gettarsi un paio di rapide occhiate alle spalle, come per essere certo che il diretto interessato non fosse nei paraggi e in grado di sentirlo. Alla fine l’italiano si schiarì la voce sporgendosi leggermente verso Dante al di sopra del tavolo, lieto che la maggior parte delle persone che sedevano attorno a loro non fosse in grado di capirli quando parlavano la loro lingua:
“Sua madre se n’è andata. Non nel senso che è morta, se n’è proprio andata. È tornato a casa per le vacanze di Natale del suo quinto anno e lei non c’era più. Lei e tutte le sue cose… Non gli scrisse niente, credo che Nick non avesse nemmeno idea di dove fosse andata.”
“Cosa? Che merda!” Dante strabuzzò gli occhi prima di rendersi conto di aver alzato un po’ troppo la voce attirando qualche sguardo incuriosito sul loro tavolo, e si affrettò ad abbassare il tono mentre si avvicinava a sua volta al compagno di classe:
“E poi che è successo?”
“Credo che si sia fatta sentire dopo più di un anno e che abbia provato a vederlo l’estate scorsa, ma lui non ha voluto, potrei benissimo definire Nick una delle persone più testarde e rancorose che abbia mai conosciuto. Il fatto è che andava molto più d’accordo con lei che con suo padre, quei due discutono sempre, in parte perché sono uguali, penso che sia incazzato nero ancora di più proprio perché se n’è andata senza di lui, e senza dirgli niente.” Diego si raddrizzò sulla sedia scuotendo il capo, lo sguardo dispiaciuto per il suo amico mentre Dante, di fronte a lui, fissava pensoso e quasi incredulo il quaderno che teneva ancora aperto sulle ginocchia: il suo, di padre, faceva schifo e lo sapeva benissimo, ma all’improvviso si chiese se non fosse il caso di rivalutare almeno in parte il comportamento passato di sua madre.
“Cavolo. E io che ce l’avevo con mia madre perché mi ha fatto trasferire in Italia... Tra mio padre e sua madre è la fiera dei genitori di merda.”
“Sì, beh, mi raccomando, non ne parla mai, quindi fai finta di niente.”
Dante annuì nell’esatto istante in cui scorse il diretto interessato far capolino sulla terrazza e guardarsi attorno cercando proprio loro, affrettandosi ad informare anche Diego con un mormorio mentre l’Ombrelune, una volta individuati, si affrettava a raggiungerli a grandi passi e con un accenno di sorriso sulle labbra rosee:
“Allora, che avete combinato mentre io mi facevo psicanalizzare?”, domandò il greco con disinvoltura mentre sedeva sulla sedia rimasta libera appositamente per lui sfilando una sigaretta dal pacchetto aperto che Dante non tardò a porgergli, destando come sempre profonda disapprovazione da parte di Diego.
“Io ho dato ripetizioni a Daphnè.”, si limitò ad asserire l’italiano con tono neutro e una lieve stretta di spalle senza guardare l’amico, in parte nella speranza di risparmiarsi un commento sarcastico e in parte provando un lieve senso di colpa per aver parlato delle sue questioni personali.
“Io ho fatto il tema di Philtres et Distillats con Lucinda.”  Anche Dante si strinse debolmente nelle spalle mentre porgeva a Nick il suo accendino nero, ma il ragazzo, al contrario, sembrò quasi non accorgersene mentre faceva rimbalzare gli occhi cerulei dal suo viso a quello di Diego tenendo la sigaretta spenta e dimenticata sospesa a mezz’aria.
“Mi prendete per il culo?”, domandò infine dopo una breve esitazione e con tono stralunato, “Mi state dicendo che sarò l’unico coglione da solo a quella merda di Ballo a cui mi tocca andare per forza?”
“Ma figurati, io sarò sempre il coglione da solo al Ballo. Mi faranno una targa commemorativa per il Diploma: “Diego Colonna, da solo al Ballo”.”, decretò quasi fin troppo serio Diego scuotendo il capo e provando già il cocente desiderio di sotterrarsi quando, una volta a casa per le vacanze, in famiglia gli avrebbero fatto domande a riguardo.
“Io al Ballo non voglio neanche andarci.”, gli fece eco Dante con una stretta di spalle mentre sentiva un brivido gelido scendergli lungo la schiena: poteva solo sperare che la sua famiglia restasse all’oscuro di quella tremenda tradizione natalizia di Beauxbâtons, o chissà che escamotage avrebbero trovato per costringerlo ad andarci. Probabilmente lo avrebbero legato a Nerea con una corda.
“Ma che cazzo dici, la tua targa commemorativa sarà “Diego Colonna, il ragazzo dai mille nomi, miope, non portava gli occhiali e sbatteva il naso su ogni superficie piana disponibile”. Io al massimo andrò al Ballo per sfottere le tizie che sbavano per Icaro, poi me ne andrò a farmi i cazzi miei come al solito.” Nick accettò finalmente l’accendino di Dante stringendosi nelle spalle con noncuranza, e Diego non riuscì a trattenersi: guardò l’amico accendere la sigaretta offertagli da Dante inarcando un sopracciglio, un velo di scetticismo nello sguardo.
“Non c’è davvero nessuna persona con cui ti piacerebbe andarci?” Ballo o meno – che Phoenix non fosse un fan di simili ricorrenze non era difficile immaginarlo – Diego trovava piuttosto bizzarro che si parlasse sempre delle ragazze di suo cugino e mai di un qualche interesse da parte dell’amico, che grazie al suo bell’aspetto era obbiettivamente oggetto di attenzioni a sua volta. Diego aveva la netta impressione che Phoenix evitasse con maestria l’argomento svicolando e portando l’attenzione sul suo migliore amico per un motivo ben preciso, ovvero che forse in fondo qualcuno che interessava anche a lui c’era eccome, ma i suoi sforzi volti ad affrontare l’argomento si rivelavano costantemente vani, mitigati dall’estrema, quasi ossessiva, riservatezza dell’amico.
“Perché Dieghino, a te con chi piacerebbe andarci? È un invito forse?” Invece di accendersi la sigaretta dopo una quasi impercettibile esitazione Nick si rivolse infatti all’amico sfoderando un sorrisetto e strizzandogli l’occhio, finendo come al solito col farlo arrossire e portarlo a borbottare sommessamente qualcosa senza ricambiare il suo sguardo:
“Non capisco perché mi prendete sempre in giro.”
“Perché ti vogliamo bene, che domande! Chissà Icaro come se la passa, a proposito. Di certo si dispera per la mia assenza.”


 
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Comodamente sprofondata sul materasso e in mezzo a soffici cuscini Gisèle raddrizzò il computer che si era adagiata sulle ginocchia sistemando l’inclinazione dello schermo per avere la miglior visuale possibile e avvicinò la ciotola piena di popcorn ancora caldi che aveva preparato nel microonde di cui la cucina della tenda era provvidenzialmente munita. Felicissima di potersene finalmente stare da sola e in pace la francese sorrise mentre faceva partire il video, prendendo a sgranocchiare manciate di mais scoppiato finchè, cinque minuti dopo, qualcuno non interruppe bruscamente il suo idillio personale picchiettando nervosamente una mano sull’entrata chiusa della tenda color senape di Nerea:
Gisèle?! Gisèle, mi serve una cosa!”
La francese interruppe il video prima di voltarsi incredula e inorridita verso l’ingresso della tenda, chiedendosi per quale motivo stessero interferendo con la sua tanto sospirata solitudine prima di spostarsi computer e ciotola dalle gambe e alzarsi dal letto: Icaro aveva ripreso a picchiettare impaziente sulla tenda chiedendole di aprirgli, e a giudicare dal suo fastidiosissimo tono lagnoso sembrava non avere alcuna intenzione di andarsene. In pigiama e con una fascetta di spugna bianca a tenerle indietro i capelli Gisèle ciabattò furiosamente verso la soglia prima di aprire l’ingresso della tenda abbassando la zip e ritrovarsi così a fronteggiare uno dei suoi compagni di Casa:
“Che vuoi?!” Gisèle lo accolse con un’occhiata truce e con un tono per nulla ospitale che sembrarono indispettire vagamente l’ego di Icaro, che la guardò scuotendo leggermente il capo con disapprovazione mentre alle sue spalle il falò attorno al quale un’ora prima avevano cenato ancora crepitava:
Che maleducata.”, commentò con tono aspro il ragazzo mentre Gisèle, sempre più esasperata, gli faceva sbrigativamente cenno di parlare con un stizzito movimento della mano destra:
“Avanti, che vuoi, non mi far perdere tempo!”
“Ho scordato la schiuma a scuola, non è che mi presteresti la tua?”, domandò l’italiano con tono implorante mentre si indicava i capelli bagnati che gli incorniciavano il viso pallido.
“Perché cavolo ti sei lavato i capelli, domani si riempiranno di acqua e di tutte le schifezze del lago!”
“E infatti me li laverò anche domani sera a scuola, ma non voglio affrontare la giornata di domani con dei capelli orrendi.” Icaro si esibì in una lieve stretta di spalle mentre dalla tenda che condivideva con Milad, Etienne e Antoine giungeva l’eco delle voci dei compagni, ritrovandosi ad aggrottare la fronte perplesso quando la sua attenzione indugiò sul pigiama indossato dalla compagna di Casa, a righe blu e coperto da orsetti ricamati.
“Hai un pigiama con gli orsetti?”, domandò stranito prima di riuscire a trattenersi mentre Gisèle chinava il capo per scrutare a sua volta il pigiama che indossava, abbinato alle pantofole bianche Polo Bear abbellite da un orsetto ciascuna.
“E quindi? A me piace.”, osservò accigliata la francese chiedendosi cosa avesse di strano il suo pigiama prediletto mentre Icaro si stringeva nelle spalle con un accenno di sorriso sulle labbra:
“Penso solo che ti si addirebbe più qualcosa con i serpenti a sonagli, o roba del genere…”
“La vuoi la schiuma? Allora non rompere. Aspetta qui.”
Ma Icaro di starsene al freddo con i capelli bagnati a fine novembre non ne aveva nessuna intenzione, pertanto quando Gisèle si fu allontanata verso il bagno che condivideva con Nerea non tardò ad ignorare il suo ordine seguendola dentro la tenda, deciso a non tornare a scuola pieno di raffreddore.
“Mi spieghi perché te ne stai qui da sola a fare l’eremita?”, domandò l’italiano mentre chiudeva la tenda e Gisèle rovistava tra i fin troppi prodotti per capelli che si era portata da Beauxbatons,
“Hai ragione, del resto stiamo tutti insieme ogni giorno di ogni settimana di tutto l’anno da quando avevamo undici anni, c’è proprio bisogno della mia presenza anche stasera. E comunque ti avevo detto di startene fuori!”, osservò infastidita Gisèle mentre Icaro, ignorandola, dopo essersi brevemente guardato attorno finiva col posare lo sguardo sul computer rimasto aperto sul grande letto che si trovava in fondo alla tenda, circondato da piante e piantine verdeggianti che lasciavano pochi dubbi sull’identità della proprietaria.
“Ti prego non dirmi che stai facendo i compiti!”, osservò inorridito il ragazzo mentre si avvicinava al computer che, a giudicare dagli adesivi ritraenti scarpine da ballo, apparteneva inequivocabilmente alla compagna di Casa. E in fondo chi altro si sarebbe portato il computer in campeggio, rifletté brevemente Icaro mentre sollevava il computer chiedendosi rassegnato quale tema stesse scrivendo la francese mentre a poca distanza i suoi compagni giocavano a beer pong sprecando litri del costosissimo champagne prodotto dalla famiglia della diretta interessata.
Quando Gisèle uscì dal bagno con in mano il flacone di schiuma per capelli ricci fece per intimare ad Icaro di farsi gli affari propri e di non romperle, ma le parole le morirono in gola quando scorse l’italiano in piedi, di spalle, davanti al letto e con in mano il suo computer aperto.
La strega si avvicinò in silenzio e senza riuscire a dire nulla, fermandosi accanto ad un Icaro dall’aria sgomenta e fissando brevemente a sua volta lo schermo del pc prima di voltarsi verso il ragazzo e ricambiare così il suo sguardo stralunato:
“Ti prego dimmi che scherzi.”, fu ciò che Icaro riuscì a dire un paio di istanti con voce tremante, trattenendosi faticosamente dal scoppiarle a ridere davanti essendo più che certo che Gisèle non avrebbe esitato ad usare la schiuma per capelli come corpo contundente.
“Se lo dici a mio cugino ti taglio i capelli nel sonno e poi li dono per farci una parrucca. Non scherzo affatto.”
Stranamente Icaro non fece alcuna fatica a crederle, perciò sempre cercando a fatica di non sghignazzare le restituì rapido il computer prendendole la schiuma dalle mani e si allontanò per lasciare la tenda e uscire dalla possibile traiettoria di lancio della francese. Quando tornò nella sua per finire di sistemarsi i capelli prima di unirsi agli altri, tutti radunati attorno al tavolo, Icaro stava quasi ridendo, ma invece di rispondere alle domande che i compagni gli posero si limitò a scuotere il capo senza dire una parola.
 
 
*
 
 
Milad aveva fatto del suo meglio per buona parte della serata, aveva cercato di andare oltre alla sua naturale introversione e di valicare le sue scarse inclinazioni alla socializzazione prolungata restando nella sua tenda insieme agli altri, ma poco dopo le 23 era uscito per andare a sedersi vicino a ciò che restava del falò attorno al quale avevano cenato sfidando il freddo munito di giacca, sciarpa e berretto. Si stava rilassando godendosi la quiete della natura e studiando le porzioni di cielo notturno visibili tra le fronde dei pini in mezzo a cui si trovavano quando qualcuno lo aveva inaspettatamente raggiunto: Gisèle uscì dalla sua tenda con una giacca termica infilata sopra al pigiama e con le mani sprofondate nelle tasche si avvicinò a sua volta al falò sedendosi a qualche posto di distanza dal compagno di Casa, salutandolo con un muto cenno della mano mentre Milad, al contrario, la guardava sorpreso di vederla:
“Ciao. Come mai sei uscita?”
“Mi si è scaricato il computer.”, affermò con tono tetro la francese mentre sedeva su una delle sedie pieghevoli colorate che Nerea aveva rimpicciolito e infilato nel suo zaino prima di lasciare Beauxbâtons sollevando le lunghe gambe per incrociarle.
“Stavi facendo i compiti?” Milad inarcò un sopracciglio guardando sorpreso la compagna di Casa, stranito all’idea che qualcuno fosse persino più smanioso di fare i compiti di lui mentre Gisèle si sollevava il cappuccio della giacca attorno alla testa con una lieve stretta di spalle:
Non proprio. Ma mi fa piacere non essere l’unica che ogni tanto vuole stare sola.”
Dopo essersi sistemata i capelli ricci che le incorniciavano il viso fuoriuscendo dal cappuccio Gisèle si inclinò sulla sedia per avvicinarsi al suolo e ad una delle riviste sul campeggio che Antoine si era messo a leggere mentre infilzavano decine di marshmallow su dei bastoncini per farli arrostire, mettendosela sulle ginocchia e prendendo a sfogliarla distrattamente mentre Milad tornava a reclinare il capo sullo schienale della sedia per studiare pensoso il cielo notturno.
“Pronta per domani?”, domandò il belga dopo qualche lungo istante di silenzio mentre dalla tenda che condivideva con Antoine, Icaro ed Etienne giungeva l’eco rabbioso della voce di Leticia, che sembrò accusare il compagno di Casa di averle volontariamente versato addosso mezzo litro di champagne.
“Domani non vengo, mi dovrete trascinare per i piedi.”, commentò Gisèle con tono inespressivo e senza nemmeno alzare lo sguardo dalle pagine della rivista, studiando accigliata le immagini di una trappola mentre Milad tornava invece a guardarla scettico:
“Non penso che gli altri ne saranno felici.”
“Ci sono muschi di cui importa di più. Sapevi che costruire una trappola a rete è semplicissimo?”
“In realtà non penso ci siano orsi da queste parti.”
“Sì lo so, pensavo più a mio cugino. Potrei ingabbiarlo la sera del ballo, così se dovessi assentarmi nessuno potrà andare a dirlo a mia madre.”
“Puoi sempre farti vedere per un po’ e poi sparire, tanto per poter dire di esserci stata. E poi tu sai ballare, di che ti preoccupi?” Milad si sistemò il berretto di lana verde sulla testa gettando un’occhiata scettica alla compagna di Casa, che smise di studiare le immagini della rivista per alzare lo sguardo e posare gli occhi blu su di lui inarcando un sopracciglio:
“È questo che preoccupa te? Non sai ballare Milad?”
Milad non rispose, prendendo a fissare con ostinazione le fiamme sempre più fievoli del falò tenendo le braccia strette al petto mentre Gisèle sgranava gli occhi guardandolo divertita e stupefatta al tempo stesso:
“Ma dai, è una stupidaggine! Di che t’importa?”
“Ti stupirà sapere che non mi piace fare la figura dell’idiota in pubblico.”, bofonchiò cupo Milad stringendosi nella giacca e sprofondando leggermente nella sedia, a disagio, mentre Gisèle chiudeva la rivista e l’agitava con un lieve sbuffo infastidito:
“E allora, manca un mese, puoi imparare! Se balla mio cugino può ballare chiunque. Ti insegno io, è facilissimo.”
“Non sono capace!”, replicò torvo Milad sempre fissando il fuoco e desiderando di sparire, astenendosi dal far sapere a Gisèle di avere sicuramente meno orecchio musicale dei tronchi d’albero che li circondavano mentre la francese, sfortunatamente per lui, prendeva la ferma decisione di aiutarlo e di insegnargli a ballare:
“Non scassare Milad, hai due piedi e due mani, ergo sei capace. Poi potrai andare a casa per le vacanze e dire ai tuoi genitori che gran bella figura hai fatto… Ormai ho deciso, quindi rassegnati. Ora, secondo te mi cacciano dalla Brigade se intrappolo mio cugino e gli impedisco di prendere parte a quella ridicola pagliacciata di domani?”
 
 
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Domenica 27 novembre
 

 
“Come sarebbe a dire che non vieni?”
Nerea, in piedi accanto al letto e già vestita, guardò la sua migliore amica sgranando inorridita e dispiaciuta gli occhi verdi mentre Gisèle, ancora comodamente sotto le coperte e con la mascherina da notte di raso rosa antico indossata a mo’ di fascetta per capelli, scuoteva svogliatamente il capo scartando una Kinder Delice:
“Scusa Nerea, ma non vengo neanche se mi dite che alla meta c’è Jacopo Tissi(4) ad aspettarmi.”
“Ma è tradizione, lo facciamo tutti da… beh, non so di preciso da quanto, ma da sempre. Lo hanno fatto anche i nostri genitori!” L’italiana sedette sul bordo del letto rivolgendo all’amica uno sguardo implorante da cane bastonato, arma che di solito Nerea sfoderava per convincere Gisèle a fare pressochè qualsiasi cosa, ma quel mattino l’Ombrelune sembrava particolarmente ferma sulla sua posizione e scosse il capo prima di addentare la merendina al cioccolato:
“Beh, con tutto il rispetto, se mia madre si butta da un dirupo io cerco di fermarla, di sicuro non la seguo!”


“Gisèle non viene, possiamo anche portare un ombrello in meno.”, annunciò con tono cupo Nerea un paio di minuti dopo, quando raggiunse gli altri davanti ai resti del falò della sera prima con i lunghi capelli castani legati in una traccia e una tuta verde salvia infilata sotto ad una giacca termica.
“Ve l’avevo detto che non voleva... Non le piacciono le altezze.” Antoine scosse leggermente il capo mentre giocherellava con il manico ricurvo dell’ombrello blu notte che stringeva tra le mani, abbozzando un sorriso quasi divertito quando Etienne gli chiese di andare dall’amica per convincerla a seguirli:
“Sinceramente non penso che nessuno possa convincerla a fare qualcosa che non vuole.”
“Per me nessun problema, lasciamola qui.” Deciso a non perdere tempo per aspettare sua cugina Guillaume si strinse nelle spalle e fece per girarsi e incamminarsi per uscire dal bosco, ma Icaro lo precedette consegnando il suo ombrello ad Etienne e chiedendo al gruppo di aspettarlo prima di incamminarsi verso la tenda gialla di Nerea:
Un momento solo.”

 
Seduta contro la testiera del letto Gisèle stava giusto pensando a come poter sfruttare nel miglior modo possibile i fortuiti momenti di pace e solitudine che l’aspettavano quel mattino quando per la seconda volta in dodici ore Icaro Orsini decise di interrompere la sua quiete: la zip della tenda venne bruscamente abbassata e Gisèle si voltò accigliata e masticando giusto in tempo per scorgere l’italiano sporgersi con il capo oltre i lembi impermeabili per dirle qualcosa con un tono sbrigativo che non ammetteva repliche:
“Vedi di muoverti, o dico a tuo cugino cosa stavi guardando ieri sera e ti prenderà per il culo fino al tuo ultimo giorno di vita. Bene, ciao.” Dopo averle indirizzato un breve sorriso amabile Icaro sparì dal suo campo visivo ritraendosi dall’ingresso della tenda, lasciandola di nuovo sola con quel che restava della sua merendina al cioccolato, l’unica gioia della giornata. Trascorso un breve attimo di realizzazione Gisèle si scostò sbuffando le coperte di dosso e si alzò addentando l’ultimo boccone di Kinder Delice, accartocciando e gettando in un angolo la cartina prima di andare a recuperare i suoi vestiti borbottando a mezza voce:
Lurido baftardo.”

 
“Eccomi, ci sono. Ho cambiato idea.”, annunciò Gisèle quando, meno di cinque minuti dopo, raggiunse il gruppo dopo aver lasciato la tenda vestita da capo a piedi e con gli occhiali da sole del giorno prima a schermarle gli occhi grigi lampeggianti d’ira.
Davvero?! Che le hai detto?” Dopo aver gettato un’occhiata incredula alla sua amica, che si allontanò prendendo Antoine sottobraccio chiedendogli di non farle domande, Nerea si rivolse ad Icaro, ma il ragazzo si limitò ad un pigro sorriso prima di stringersi nelle spalle e avanzare per incamminarsi in testa agli altri:
“Niente, le ho solo fatto notare i pro e i contro. Forza gente, andiamo.”
Etienne si affrettò a seguire l’amico per restituirgli il suo ombrello, ma soprattutto per far sapere di non aver alcuna intenzione di fare il tragitto a piedi come il giorno precedente:
“Ok, ma sia chiaro che questa volta prendiamo la seggiovia, io col cazzo che mi faccio due ore di strada anche oggi!”
 

 
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“Sapevate che fino a qualche anno fa per farlo si mettevano dei bellissimi abiti da sera? Me l’ha detto mia sorella.” Nerea strizzò leggermente gli occhi verdi mentre teneva il capo sollevato cercando di scorgere la cima della cascata ai cui piedi si trovavano, pentendosi di non aver imitato Gisèle portandosi gli occhiali da sole mentre cercava di schermarsi lo sguardo tenendosi una mano poggiata sulla fronte.
“Mi sembra piuttosto sciocco vestirsi eleganti per poi farsi il bagno.”, osservò accanto a lei Milad aggrottando le sopracciglia mentre studiava a sua volta la cima della cascata. Gisèle, in piedi a braccia conserte vicino all’amica, si limitò a sbuffare scrutando torva la cascata maledicendo la stupida tradizione a cui era stata costretta a prendere parte:
“Certo, perché invece lanciarsi da una cascata con un ombrello è proprio una mossa da geni...”
“Quanto sei acida, beviti un po’ di latte e miele quando torniamo a scuola… Beh, io vado, ci vediamo in cima.” Bacchetta in una mano e ombrello nell’altra Icaro si Smaterializzò creando uno spazio vuoto tra Antoine ed Etienne, che non tardò ad imitare l’amico sparendo a sua volta. Guillaume, Abel, Milad, Leticia e persino Annika, che con i grandi occhi azzurri e le mani pallide tremolanti appariva di gran lunga la più preoccupata del gruppo, ben presto li imitarono lasciando indietro solo Antoine, Nerea e Gisèle, che continuò a fissare immobile e torva la cascata mentre l’amico le porgeva con un sorriso mite l’ombrello che avrebbe dovuto utilizzare.
“Fai tante di quelle cose spaventose con le punte di gesso ai piedi che un sacco di gente non si sognerebbe mai di fare… non dirmi che ti fai spaventare da un po’ d’acqua.”
Antoine depositò una carezza gentile sulla spalla dell’amica prima di strizzarle l’occhio e Smaterializzarsi, lasciando Gisèle e picchiettare nervosamente la punta dell’ombrello sul terriccio umido mentre scrutava con apprensione la cascata cercando di quantificare il numero di ossa che avrebbe potuto spezzarsi cadendo da un’altezza simile.
“Andiamo?” Rimaste sole, Nerea si rivolse all’amica con un sorriso gentile e porgendole la mano, invitandola mutamente a stringerla finchè Gisèle, dopo una breve esitazione, non acconsentì con un lieve sospiro. Prese la mano di Nerea e borbottò un assenso prima di lasciarsi Smaterializzare insieme a lei, riapparendo pochi istanti dopo in cima alla cascata accanto agli altri.
“Ah, la fifona ce l’ha fatta, non ci contavo!”
A frenare l’impeto di Gisèle di spingere il cugino dalla cascata furono gli otto testimoni oculari presenti – di cui sfortunatamente solo un paio talmente affezionati a lei da poter considerare corruttibili –, e la francese dovette esercitare tutto l’autocontrollo impartitole in Accademia da quando era solo una bambina per ignorare il commento di Guillaume, restando ferma a diversi metri dal limitare della sporgenza: non aveva nessuna intenzione di saltare per prima.
“Beh, chi vuole andare per primo?” Quasi le avesse letto nel pensiero Etienne si sporse leggermente – Icaro lo afferrò per un lembo della giacca quasi spinto da un riflesso involontario – per gettare un’occhiata al fondo della cascata e all’acqua che scendendo a valle affluiva nel lago per poi spostare lo sguardo sui compagni. Per qualche breve istante nessuno fiatò, finchè Nerea non si strinse nelle spalle e smise di stringere la mano di Gisèle facendo un passo avanti:
“Lo faccio io!” La ragazza sorrise mentre apriva il suo ombrello, avanzando verso Etienne ed Icaro mentre Gisèle, alle sue spalle, impallidiva guardandola inorridita:
Sei matta?! No Rea, fai andare prima qualcun altro! Guillaume, vai tu, così vediamo se gli ombrelli funzionano.”
“Andrò prima di te proprio per dimostrarti che non c’è niente di cui preoccuparsi. Leti, vieni?” Dopo aver rivolto un ultimo sorriso all’amica l’italiana volse lo sguardo sulla compagna di Casa, in piedi in un angolo accanto ad Annika con le braccia conserte, e dopo una breve riflessione la spagnola si strinse nelle spalle:
“Sì, perché no. Vieni Anni, andiamo insieme.”
Decisa a non lasciare sola l’amica Leticia prese Annika per mano e la costrinse gentilmente a seguirla fino a raggiungere Nerea vicino alla sporgenza.
Mentre anche Leticia e Annika aprivano i loro ombrello Gisèle ruotò su se stessa, rifiutandosi di guardare le tre compagne saltare nel vuoto affidandosi solamente a degli ombrelli. Mentre Leticia e Annika si prendevano per mano Nerea si sporse leggermente in avanti per gettare un’occhiata all’acqua sottostante, cercando di non chiedersi di quanti metri fosse il salto che stava per fare e di tenere a freno il dirompente principio di ansia che stava iniziando a pervaderla in tutto il corpo. Per la prima volta in tutta la sua vita riusciva a sentire distintamente il cuore pulsarle nel petto, ed era talmente presa dall’idea di dover saltare che quasi trasalì quando sentì una mano stringerle la sua:
“Salto io con te, avanti.”
“Grazie.”  Le labbra di Nerea si distesero dando vita ad un sincero sorriso pieno di gratitudine quando voltandosi gli occhi verdi della ragazza indugiarono sul viso di Etienne, che in tutta risposta si strinse debolmente nelle spalle prima di gettare un’occhiata poco convinta alla base della cascata:
“Aspetta a ringraziarmi, lo sai che la sfiga mi perseguita, spero di non essere contagioso.”
In fin dei conti se tutte quelle persone, inclusi i suoi familiari, l’avevano fatto tempo addietro non poteva poi trattarsi di qualcosa di tanto terribile, si ritrovò a riflettere Nerea mentre gettava un’ultima occhiata in basso prima di costringersi ad alzare la testa per puntare i brillanti occhi verdi dritti davanti a sé, la mano stretta con parecchia enfasi su quella di Etienne. E di cose catalogabili come assurde ne aveva fatte parecchie già nel corso dell’anno precedente, prima di entrare nella Brigade.
Dopo essersi scambiata un ultimo sorriso con Leticia Nerea raccolse tutto il coraggio di cui disponeva e saltò appena un paio di istanti prima delle due compagne portando Etienne con sé, ritrovandosi suo malgrado a sferzare l’aria con un acuto grido involontario mentre prendeva velocità aggrappandosi alla mano dell’amico e al manico dell’ombrello. Era vicinissima a maledirsi per aver deciso di saltare per prima quando la magia dell’ombrello si attivò e la caduta verso l’acqua rallentò, conferendole quasi la bizzarra sensazione di star fluttuando. Meravigliata, Nerea ebbe a malapena il tempo di guardarsi attorno e di godersi quell’inaspettatamente piacevole sensazione quando, sfiorata la superficie dell’acqua con la punta del piede, la magia si spezzò facendola precipitare rovinosamente con un tuffo.
“Vi prego ditemi che sono vivi.”, mormorò Gisèle senza avere il coraggio di voltarsi mentre tutti i possibili peggiori scenari prendevano vita davanti ai suoi occhi, una mano nervosamente premuta contro le labbra.
“Mi sembrano vivi e vegeti. Andiamo Abel.”
Dopo aver gettato una rapida occhiata ad Annika, Leticia, Nerea ed Etienne, tutti bagnati fradici mentre galleggiavano ridendo insieme ai loro ombrelli in mezzo all’acqua, Guillaume aprì il suo e fece cenno ad Abel di seguirlo per saltare insieme all’amico vantando una calma e un sangue freddo che Gisèle, voltatasi giusto in tempo per guardare il cugino saltare, si ritrovò ad invidiargli. Anche se non l’avrebbe ammesso a voce alta nemmeno sotto tortura.
Seppur scettico Milad si avvicinò a sua volta alla sporgenza per guardare in basso inarcando un sopracciglio, giusto in tempo per vedere la caduta dei due compagni di Casa rallentare fino a che Abel e Guillaume non ebbero sfiorato l’acqua. Tutta quella faccenda alla Mary Poppins gli sembrava un tantino bizzarra da quando ne aveva sentito parlare dai compagni ad inizio anno, ma in fondo chi era lui per giudicare o mettere in discussione una tradizione più che consolidata?
“Sarai felice di sapere Gisèle, più o meno, che anche Abel e tuo cugino sono incolumi… Ci vediamo giù.”
Milad aprì il suo ombrello e dopo aver gettato un’ultima e rapida occhiata ai tre compagni rimasti in cima alla cascata saltò facendo precipitare vertiginosamente lo stato d’ansia di Gisèle, che prese a rigirarsi nervosamente l’ombrello ancora chiusa tra le mani mentre si avvicinava con cautela alla sporgenza: il suo turno di saltare si era fatto ormai drammaticamente vicino.
Intuito cosa volesse fare Antoine le consigliò con tono allarmato di non guardare giù, ma appena un istante troppo tardi: scorti i compagni nuotare una quindicina di metri più in basso si sentì investire da un violento senso di vertigini, portandola ad allontanarsi di scatto facendo un passo indietro prima di voltarsi scuotendo il capo verso Antoine e Icaro:
“Sapete che c’è? Io non penso che salterò. No, penso che tornerò giù a piedi… Non ho la bacchetta, quindi non mi posso Smaterializzare, ma posso andare a piedi, o rotolare… O magari resterò a vivere qui in cima. Di sicuro non salto. No, perché Guillaume potrebbe avermi fatto il malocchio all’ombrello, e di finire con due vertebre spezzate senza poter ballare per il resto della vita non mi va… Bene, voi andate pure.”
Gisèle si allontanò dalla sporgenza per riavvicinarsi ad Antoine, incrociando le braccia al petto ed evitando categoricamente di ricambiare lo sguardo dell’amico quando lo sentì circondarle le spalle con un braccio:
“Gisèle, Guillaume non ti ha manomesso l’ombrello. Ok, è stronzo, ma non uno psicopatico! Credo che in fondo, molto molto in fondo, ti voglia anche bene.” Gisèle aveva seri dubbi a riguardo, ma si limitò ad un lieve accenno di risata sarcastica mentre Icaro apriva il suo ombrello esibendosi in una pigra e noncurante stretta di spalle:
“Credo che tu debba chiederti se vuoi vivere tutta la tua vita pensando a quel giorno in cui non hai avuto il coraggio di fare qualcosa che tuo cugino ha fatto… Io non lo sopporterei.”
Per qualche strano motivo, tuttavia, le parole di Icaro non portarono Gisèle a pensare a suo cugino, bensì a sua nonna. La sua amatissima nonna che da bambina nascondeva altri esseri umani sotto le assi del pavimento e che in sedia a rotelle rubava bottiglie da una cantina. All’improvviso Gisèle si chiese che cosa avrebbe detto di lei sua nonna vedendola in quel preciso istante, e provò quasi un profondo senso di vergogna nel paragonarsi a lei.
“Ok. Ma aspettatemi, non lo faccio da sola.” Anche se certa che di lì ad una manciata di istanti se ne sarebbe pentita Gisèle afferrò un sorpreso Antoine sottobraccio e lo costrinse a seguirla verso Icaro e la sporgenza, fermandosi per aprire finalmente il suo ombrello tenendo la mano sinistra ben stretta in quella del suo migliore amico.
“D’accordo. Se muoio dite a Nerea che può tenersi i miei vestiti… A Guillaume invece dite che sono migliore di lui. E tu dovresti ricomprarmi la schiuma,” asserì voltandosi verso Icaro, “ma se muoio puoi anche evitare.”
“Che dramma, non morirà nessuno! Ma se anche fosse giuro solennemente che non ti infangherò dicendo a Guillaume che ieri sera stavi guardando B…”
Antoine ebbe appena il tempo di voltarsi accigliato per gettare un’occhiata perplessa al compagno di Casa prima di vederlo fare il salto nel vuoto e precipitare con un allarmato grido di sorpresa che lo portò a chiedersi se Gisèle non lo avesse volontariamente spinto, ma quel pensiero durò solo per un istante, poi Gisèle strinse i denti e saltò trascinandolo con sé verso l’acqua.
 
 
divisore
 
 
Esattamente come Nicholas Lefevre aveva previsto le 15 di quella fredda domenica si avvicinarono precipitosamente e dopo aver pranzato sulle sedie pieghevoli disposte sul prato tutti si ritrovarono a riporre le proprie cose negli zaini e a smontare le tende in fretta e furia rischiando di perdere la Passaporta che li avrebbe riportati a Beauxbâtons. Come chiunque – il loro insegnante in primis – avrebbe potuto immaginare Milad fu il primo ad essere pronto per tornare a scuola, tanto da ritrovarsi ad aspettare con impazienza i compagni stando in piedi vicino alla riva del lago tenendo la palla da tennis scolorita in mano.
“Sapete, non penso che Lefevre sarebbe molto felice di dovervi venire a prendere personalmente.”, si premurò di far notare a voce alta il belga mentre faceva rimbalzare gli occhi scuri da Nerea, che aveva già smontato la tenda e stava rimpicciolendo una dietro l’altra le sedie da campeggio per infilarle nello zaino magicamente ampliato con l’aiuto di Leticia, ad Icaro, che stava facendo avanti e indietro per la terza volta lamentando la misteriosa sparizione dei suoi calzini prediletti.
“Icaro, li ha Etienne i tuoi calzini.” Milad sospirò mentre si accertava di aver riposto la bussola nella tasca della giacca e gettava al contempo l’ennesima occhiata impaziente al proprio orologio da polso, implorando mentalmente i compagni di darsi una mossa mentre Guillaume e Abel riponevano gli ombrelli all’interno della cavità ai piedi del pino in cui li avevano trovati il giorno prima.
“Perché cazzo ha i miei calzini?! Ti avevo detto di portartene due paia!”, sbottò l’italiano sbuffando prima di dirigersi a grandi passi verso il punto in cui l’amico e Antoine stavano cercando di infilare in fretta e furia tutti i componenti della tenda nello zaino del Bellefuille: Etienne sapeva anche fin troppo bene che se ne avesse perso qualche pezzo compromettendo tutto l’incantesimo che la teneva in piedi suo fratello lo avrebbe personalmente aspettato sulla soglia di casa per suonargliele una volta tornato per le vacanze di Natale.
“Eccomi, sono pronta.” Annika fu la prima a raggiungere Milad con un ampio sorriso sulle labbra sottili e con lo zaino lilla chiuso sulle spalle, tanto da guadagnarsi uno dei rari sorrisi del belga mentre Nerea e Leticia cercavano faticosamente di chiudere lo zaino stracolmo e apparentemente sul punto di esplodere dell’italiana:
“Ma che ti sei portata, tutta la dispensa di Beauxbâtons?”, sbottò la spagnola sbuffando mentre Gisèle si dirigeva verso Milad e la riva del lago in tutta calma e sbadigliando con aria annoiata.
“Non si sa mai, non volevo che nessuno patisse la fame! Qualcuno ci dà una mano?” Nerea smise di cercare di chiudere le cinghie dello zaino per gettare un’occhiata implorante a chi le circondava, ritrovandosi a sorridere grata e quasi commossa ad Abel quando il ragazzo si avvicinò sospirando e le fece cenno di spostarsi per lasciar fare a lui.
“Non vorrei mettervi ansia, ma mancano tre minuti alle 15…” Milad si inginocchiò al suolo per posare a terra la pallina fissandola accigliato, non del tutto certo che sarebbero riusciti a toccarla in dieci viste le dimensioni ridotte – forse Lefevre aveva scelto un oggetto così piccolo sapendo che non sarebbero mai stati tutti pronti in tempo? – mentre Icaro e Guillaume si univano a lui, Annika e Gisèle.
“Io sono pronto.” Annunciò Guillaume con tono annoiato mentre si voltava in direzione di Abel, forse chiedendosi se sarebbe riuscito a prendere la Passaporta mentre l’amico riusciva finalmente a chiudere lo zaino di Nerea.
Peccato, speravamo avessi deciso di darti alla vita selvaggia e di restare qui.”, commentò la cugina aggiustandosi distrattamente il berretto col frontino sulla testa mentre si inginocchiava accanto ad Annika, ignorando l’occhiata truce che Guillaume le scoccò mentre Leticia sfrecciava verso di loro seguita a poca distanza da Nerea, Abel e i rispettivi zaini. Grazie alle sue quotidiane corse insieme a Gisèle Antoine invece li superò con un energico scatto, intimando ad Etienne di darsi una mossa prima di affrettarsi ad inginocchiarsi accanto all’amia.
“Non vi azzardate neanche a partire senza di noi!” La spagnola quasi si buttò a terra accanto al gruppo per paura di perdere la Passaporta, affrettandosi a farsi spazio vicino ad Annika mentre Icaro, esattamente come il giorno prima, si chiedeva che cosa avessero fatto per far incazzare Lefevre e avere una Passaporta tanto scomoda e minuscola: forse i loro ultimi temi non erano stati affatto di suo gradimento, rifletté l’italiano mentre sollevava la testa per cercare Etienne con lo sguardo, sospirando quando lo vide ad una quindicina di metri di distanza.
“Sbrigati, se poi Lefevre deve venirti a prendere come minimo si andrà a lamentare con tuo fratello!”
Etienne non aveva nessuna intenzione di superare il record di Strillettere stabilito nel corso dell’anno precedente e corse verso Passaporta e compagni come non aveva mai fatto prima, nemmeno quando a tredici anni aveva accidentalmente scambiato il lucido per la costosissima scopa da corsa di Basile con della colla. Si buttò a terra finendo in realtà parzialmente addosso ad Icaro a causa del poco spazio rimasto, ma ignorò le conseguenti imprecazioni dell’amico mentre allungava l’indice verso la palla da tennis e la toccò appena in tempo per sentirsi strappare bruscamente dal suolo.
Il weekend fuori dai confini di Beauxbâtons di Etienne finì esattamente come era cominciato, quando pochi istanti dopo si sentì di nuovo precipitare al suolo atterrando di faccia e trattenendo di conseguenza a fatica un gemito, ma riuscì comunque a sentire perfettamente le parole che il loro insegnante, in piedi a due metri di distanza dal punto in cui erano atterrati e con un orologio da taschino in mano, pronunciò con tono sinceramente colpito:
“Caspita, siete in dieci. Questa sì che è una sorpresa.”



 
 
 
 
 
 
 
(1): Una tetralogia è un’opera costituita da quattro elementi legati da un filo conduttore, come trama e personaggi comuni. In ambito musicale la Tetralogia di Wagner, L’anello del Nibelungo, è la tetralogia per antonomasia, tanto che spesso viene chiamata semplicemente con questo nome. Le quattro opere che la costituiscono sono L’oro del Reno, La Valchiria, Sigfrido e Il crepuscolo degli dei, ed eseguirne una parte provoca all’incirca una sofferenza paragonabile a quella dovuta ad un dito sbattuto contro lo spigolo di una cassettiera per una ventina di volte consecutive.
(2): Imperatore del Sacro Romano Impero, prezzemolo di tutti gli esami di storia
(3): Opera di Giuseppe Verdi
(4): Étoile dell’Het Nationale Ballet
 
 
 
 
 
 
 
 
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Angolo Autrice
 
Salve a tutte!
Riappaio con questo capitolo lunghissimo dopo all’incirca dodicimila anni, perdonatemi T.T
Questo capitolo è un’enorme reference a forse l’episodio più iconico di Gilmore Girls, You Jump, I Jump, Jack (5x07), in italiano appunto La Brigata della Vita e della Morte. Se qualcuno non ha visto la serie e si sta chiedendo il perché degli ombrelli in realtà un motivo non c’è, è semplicemente una citazione❤️
Ora, una questioncina: in un capitolo precedente, credo il VI, ho introdotto il personaggio di Clelia scrivendo che frequentava il V anno, mentre qui diventa improvvisamente compagna di stanza delle ragazze del VI. Bri qualche tempo fa mi ha infatti proposto di aggiungerle un anno in più in modo da renderla coetanea di Diego e tutti gli altri, quindi è “diventata” effettivamente una studentessa del VI anno e più avanti, avendo eliminato Marguerite dalla storia, prenderà anche il suo posto come membro della Brigade.
Fatta questa doverosa spiegazione ne occorre un’altra: mi rendo conto che la reazione di Daphné, ma anche quella collettiva, dovuta al dover imparare a suonare relativamente in breve tempo le opere di Wagner possa risultare eccessiva (e in fondo Daphné è innegabilmente una drama queen), ma posso assicurare che quasi nessuno in questo campo è capace di suscitare isteria e panico collettivi quanto lui, alla vista del cui nome su uno spartito è possibilissimo scorgere gente mettersi in fuga neanche stesse evitando un Basilisco.
Detto ciò, nel prossimo capitolo ci sarà la prima gitarella scolastica dei ragazzi e nel frattempo ci si avvicina anche a Natale e al Ballo, non temete vi ammorberò presto l’esistenza con le domande di rito✨
Vi avviso già che pretendo le foto degli outfit, quindi andate e rendetemi fiera.
Baci baci,
Irene
   
 
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