Storie originali > Soprannaturale > Angeli e Demoni
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Autore: solandia    23/03/2024    0 recensioni
Un diavolo malriuscito. Due zingare di periferia. E un Angelo bruno sullo sfondo del cielo lontano.
Un'inestinguibile brama di libertà. Una routine incoercibile. Una Gerarchia da sfidare.
Una fiaba dark sulla scoperta di se stessi, degli altri e dell'amore
Genere: Dark, Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Inferno, Girone III

Rosso.

Era la prima cosa da cui si veniva investiti mettendo piede al Number.

Tutto era rosso: pareti, pavimenti, serramenti e arredi; un rosso così intenso da sovrastare ogni cosa. E di rosso sembrava tingersi anche il fumo che aleggiava denso nell'aria.

Poi arrivava il fracasso.

Tanto da spappolare il cervello.

Korim non riusciva a definire «musica» quella roba assordante che gli picchiava nello stomaco anziché vibrargli nel cuore.

Per assurdo, però, quel frastuono gli consentiva di isolarsi, visto che comunicare con chi aveva attorno era pressoché impossibile. E così, lì dentro, pigiato fra la folla brulicante, si ritrovava solo col suo Lavoro.

Eh già: perché dopo il rosso, il fumo e il fracasso, arrivava sovrana la folla.

Non aveva importanza se, varcato l'ingresso, ci si dirigeva al bar, alla pista, ai cessi o ai tavolini del piano di sopra: l'ordine con cui si veniva accolti dalle infernali caratteristiche del Number era sempre lo stesso e, sempre, si finiva per smarrirsi in una bolgia di corpi sudati, bevuti, sballati, appartenenti a personaggi di un fumetto dalle vignette prive di contorni.

Perché i contorni limitano. E non c'erano limiti al Number.

Perché i contorni frenano. E non c'erano freni al Number.

Perché i contorni negano. E non c'erano NO al Number X.

Ma i contorni servono anche per posarvi i piedi e trovare un equilibrio. E infatti al Number si cadeva.

Per questo lui veniva mandato lì così spesso.

Aggirato l'angolo-bar, Korim salì le scale che conducevano al piano superiore: era tempo di cercare la sua Vittima quotidiana.

Percorse il corridoio circolare che incorniciava dall'alto la pista da ballo, passando radente i tavolini stracolmi di gente che chiacchierava, festeggiava, beveva, limonava, cantava, rideva, rideva, rideva, rideva senza gioire mai.

Le solite facce. I soliti, torbidi cuori.

Nessuno degno di nota.

Un paio di ragazze lo salutarono con gridolini estasiati e lo invitarono a sedersi accanto a loro, seducenti. Non le degnò di uno sguardo e passò oltre: in quel momento non era in vena di flirtare.

Tanto le donne non poteva averle, anche quando le desiderava fino a star male. Per quanta brama gli scorresse nelle vene, il suo corpo rifiutava ogni contatto con loro. Si bloccava, come se non fosse più suo.

A volte si sentiva una marionetta.

E non poteva farci nulla.

Arrivò infine in fondo al corridoio, in quell'oasi di fronte ai cessi dove i tavolini erano più radi, e si accostò alla grande vetrata che permetteva di avere una vista d'insieme sulla pista sottostante. Con una mano posata sul vetro appannato, lasciò vagare gli occhi sui volti dei ballerini.

Al venerdì e al sabato si potevano scovare persone mai viste, ma negli altri giorni il locale era popolato quasi esclusivamente dai suoi habitué. Eppure, fra loro, doveva esserci qualcuno di speciale, o non l'avrebbero mandato lì. Qualcuno che proprio quella sera era più fragile, più esposto, più disperato o arreso del solito.

Chi?

Vide Fix, mosca bianca fra i metallari scuri, ballare seguendo un ritmo alieno che batteva solo nella sua testa.

Vide Molotov, già alla terza vodka, sbavare dietro alle curve della cubista.

C'era Radica che vendeva il fumo nel solito angolo.

Poi Cruz, il Curdo e un paio di altri spacciatori esperti; quelli non doveva degnarli neppure di uno sguardo: erano tutti sotto la responsabilità del Diavolo Custode del loro boss. Gli obiettivi dei miseri Tentatori come lui erano quelli che non contavano niente in nessun giro, se non come polli da spennare.

Come Samantha, diciott'anni, bella. Bellissima.

Una bellezza dolce, che gli abiti sexy che indossava non riuscivano ad involgarire del tutto. Ballava e rideva con Tim, fighetto palestrato di buona famiglia che scappava al Number in Mercedes per sentirsi un ribelle. Lei doveva essere già al quarto shot, a giudicare da quanto sculettava attorno a uno che, notoriamente, detestava.

Marty, la sua migliore amica, se ne stava ai seggiolini del bar con il suo boy di turno, un fancazzista senza arte né parte se non quella di saper allungare a dovere le mani sulle curve del gentil sesso. Comunque erano ben tre settimane che stavano insieme e sembravano resistere: un vero record.

Accanto alla coppia, Cubito se ne stava semisdraiato sul bancone del bar, già perso nel mondo dei sogni; il suo compare Snake, invece, ballava come un indemoniato al centro della pista: chissà cosa s'era calato...

Circa un anno prima, rientrando fatto una domenica mattina dopo una nottata brava, Cubito si era schiantato contro un paracarro. Ne era uscito illeso. Accanto a lui c'era Cecilia, la sua ragazza: una lamiera le aveva trapassato il ventre. Morta sul colpo. Paolino, il fratello di lei, seduto dietro, aveva picchiato la testa e da allora non parlava più; se ne stava tutto il giorno su una sedia a rotelle, guardando fuori dalla finestra e cantilenando una nenia incomprensibile. Da quel giorno il loro padre aveva messo su trentacinque chili, e peregrinava ogni giorno fra psichiatri e neurologi, sperando che gli restituissero almeno il figlio sopravvissuto.

Snake, che per tutta quella fatidica serata aveva fatto bere Cubito e gli aveva pure procurato la roba, s'era solo rotto una gamba e tre costole, ma s'era rimesso in piedi in due mesi.

Almeno nel corpo.

Il quinto passeggero della macchina era Korim. Ma nessuno lo era mai venuto a sapere.

Un conato di vomito gli salì in gola. Cercò di scacciare quel pensiero: ci voleva una forza immane per andare avanti con due vite sulla coscienza, e né Cubito né Snake erano forti. Non lo erano mai stati.

E lui?

Era forte?

Era in piedi, questo sì.

O quasi.

Ma non sapeva se fosse veramente sua quella forza che non lo faceva crollare.

Scosse la testa e tornò a concentrarsi sugli avventori della discoteca. Guardandoli semplicemente in faccia non avrebbe mai scovato la sua Vittima. Così socchiuse gli occhi e guardò Oltre i corpi stravolti che ansimavano nella pista.

Vide energie dirompenti seppellite sotto il liquame della noia.

Come sempre.

Vide una fame insaziabile di senso, soffocata dall'anoressia del vivere.

Come sempre.

Vide il vuoto nella mente fatta di Snake. Come sempre.

Vide la paura di affrontare la vita nel petto squassato di Fix. Come sempre.

Vide la disillusione negli occhi di Marty.

E vide una crepa nel cuore di Samantha.

Eccola! Era lei!

Korim si mosse rapidamente, percorrendo a ritroso il corridoio e le scale. Attraversò la pista, facendosi strada a spallate fra i ballerini, finché non fu accanto alla ragazza. L'abbordò senza complimenti e, sottraendola al suo precedente cavaliere, la trascinò con sé nei vortici della danza.

Lei lo guardava con occhi vacui e si muoveva provocante. Rideva. Rideva per ogni nonnulla, ma solo con le labbra: il suo cuore non stava affatto ridendo, trapassato com'era da una crepa suppurante.

Ciò che trasudava da essa era proprio ciò che la ragazza stava disperatamente cercando di non guardare. Se glielo avesse messo davanti sarebbe crollata in un attimo.

Un Lavoretto facile.

Il Diavolo sorrise a Samantha, la prese per mano e la guidò al bancone del bar, dove ordinò due waikiki con pera.

«Sembri triste» le disse soltanto.

Lei si strusciò sensuale contro il suo petto: «Tu mi capisci, sei un vero amico» biascicò disegnando arabeschi maliziosi sui suoi pettorali.

Il barista servì loro i cocktail. Lei prese il suo bicchiere fra le dita con movenze studiate e ne morse provocante il bordo, tenendo gli occhi liquidi fissi in quelli di lui.

Korim sorrise: «Dai, tutto d'un fiato!» la esortò dolcemente.

Lei ubbidì docile.

Rhum.

Pera.

E rise.

E raccontò con voce impastata la solita storia di sempre, del primo ragazzo che aveva avuto, che lei amava tanto e che l'aveva lasciata non appena era riuscito a farsi vendere la sua verginità. E raccontò, come sempre, che da allora giocava a far impazzire gli uomini per il gusto di lasciarli a bocca asciutta.

E rise.

E raccontò che tanti le morivano dietro, ma lei li lasciava macerare e non si concedeva a nessuno.

E rise.

E pianse, perché non era vero.

Korim lasciò che bevesse anche il suo waikiki e ridesse ancora.

«E Graffio?» le chiese soltanto.

Graffio era il miglior DJ del Number. E a Samantha voleva bene, sul serio.

«È uno stronzo» replicò lei con voce rotta. E scoppiò in singhiozzi.

«Shhhht» le sussurrò Korim dolcemente, posandole un dito sulle labbra. «Tu sei bellissima e non devi soffrire per lui. Divertiti stasera, senza pensare».

La prese per mano e la condusse di nuovo a ballare.

Lei barcollava.

E rideva.

E piangeva.

Ma si lasciava guidare docile.

Tre giri di danza e fu di nuovo fra le braccia di un arrapato Tim. Non si reggeva nemmeno in piedi, ma rideva.

Korim tornò ad appoggiarsi al bancone del bar e restò a vegliarli da lontano, finché il ragazzo non se la trascinò verso i cessi.

Tutto da copione.

Sospirò e ordinò un margarida al limone.

Samantha e quelle come lei... Non sembravano eccitarsi all'idea di un rapporto, o di fronte all'avvenenza del proprio corteggiatore. Sembrava l'idea stessa di buttarsi via a farle fremere.

Il fascino della decadenza?

Forse.

Ma non solo.

Sapeva che questa era una verità, infatti la sfruttava da anni per intessere le sue Trame. Ma non la comprendeva.

Non fino in fondo.

I Diavoli avevano dipinto di nero la propria sessualità, traendone tutto il marcio possibile. Gli Angeli l'avevano candeggiata a tal punto da annullarla.

Negli esseri umani mani il bianco e il nero giocavano invece a rincorrersi.

E lui, che viveva a cavallo fra l'Inferno e il Mondo degli uomini, per anni non aveva fatto altro che far stemperare in grigio questi due estremi, per natura conviventi nel cuore di tutte le sue Vittime.

Ma doveva esserci qualcosa che andava oltre.

Ne era sicuro.

Perché, se solo avesse potuto fare l'amore col suo Angelo bruno, tanti anni prima, non sarebbe stato bianco. Non sarebbe stato nero. Ma non sarebbe stato nemmeno grigio.

Sarebbe stata un'esplosione di colori, ne era certo.

Fissò mesto la porta dei cessi: lui non aveva mai potuto nemmeno sfiorare la persona che aveva tanto amato.

All'improvviso, sentì qualcuno posargli una mano sulla spalla. Non fece in tempo a voltarsi che gli arrivò in faccia l'intero contenuto di un bicchiere da cocktail.

«Macheccazz...» cercò di inveire mentre, semiaccecato, cercava di pulirsi col dorso della mano.

«Stronzo!» gli ringhiò contro un'inviperita Marty. «È solo colpa tua!»

«Cosa?!» balbettò incredulo: era la prima volta che qualcuno lo accusava di qualcosa.

La ragazza gli stava quasi addosso, fissandolo con ira.

«Tu, bastardo, l'hai fatta bere e poi l'hai lasciata nelle mani di quel deficiente! Vai subito a riprenderla!» ordinò.

«Che?! E perché dovrei?»

Merda. Doveva proprio aver Lavorato da cani per farsi beccare tanto spudoratamente.

E da un'oca come Marty, per giunta.

«Sai cosa le farà, vero?» incalzò la ragazzetta, mentre il barista serviva a Korim la sua ordinazione.

«Ovvio. E con questo?»

La ragazza, esasperata dai suoi temporeggiamenti, afferrò il margarida appena servito e glielo schiaffò in faccia, velocissima.

«Ma sei pazza?!» urlò il Diavolo, sputacchiando.

«Lei è la mia migliore amica! VALLA A RIPRENDERE!» gridò lei per tutta risposta, afferrandolo per le spalle.

«Vacci tu» replicò lui, fermo, fissandola dritta in viso: «sta nel cesso delle donne».

Lei abbassò gli occhi e lasciò la presa: «Non posso, non mi ascolterebbe» ammise avvilita.

«Perché?»

«Non lo so. Son tre mesi che fa così. Fino a qualche tempo fa, io e lei ci divertivamo a far ammattire i ragazzi al sabato sera: era solo un gioco. Poi lei ha conosciuto uno dei DJ, Graffio; è un tipo OK, se la cava in tante cose ed è anche profondo, credo. Insomma, non stavano insieme, ma si piacevano. Solo che, come due pirla, non se lo sono mai detto. Lei lo aiutava anche a studiare, fai un po' te...»

Korim si limitò ad aggrottare un sopracciglio. In realtà conosceva bene questa storia.

Marty continuò: «Poi non so cosa sia successo. Lui aveva preparato una compilation speciale, da mettere su per la festa di qualche mese fa, ti ricordi? Voleva dedicarla a lei. Forse voleva dichiararsi così, invitandola a ballare davanti a tutto il suo pubblico, però non ho capito com'è andata a finire, non ci stavo già più di testa quella sera. So soltanto che dal giorno dopo lei non ha fatto che bere. Beveva anche prima, ma non così: prima era un gioco per divertirsi di più, adesso invece esce solo per quello. Beve e poi va con il primo che capita e io non riesco a fermarla. Poi viene da me e piange, senza dirmi il perché».

«Lui?» chiese Korim, fissando il fondo vuoto del suo bicchiere.

«Graffio?... Non ne parla. Né di lei né della sera della dedica.»

La ragazza fissò i suoi occhioni decisi su di lui: «Vai a prenderla, ti prego».

«Non hai paura che io tolga di mezzo quel fighetto per completarne l'opera?»

«No» fu la secca risposta della brunetta.

«E perché?»

Marty fece spallucce: «Tu sei onesto».

Il Diavolo trattenne a stento una risata.

Assurdo!

La gente aveva veramente una percezione schizoide di lui, roba da pazzi.

D'un tratto, però, rivide il volto pallido di Drande rivolgergli il suo grazie. E ricordò gli occhi di un Angelo bruno che lo guardavano tanti anni prima.

«E sia» rispose a Marty, mentre il braccio tornava a bruciare fastidiosamente.

Si impose di ignorarlo e si diresse verso i cessi.

Per inciso, lui sapeva cos'era successo quella sera.

Graffio aveva avviato la fantasia di sua creazione, lasciandola alle cure del DJ di supporto, ed era sceso in pista, fra la folla.

Cercava lei.

L'aveva osservata per tutta la serata dall'alto della sua postazione, attendendo trepidante quel momento; l'aveva guardata ridere, bere e ballare in compagnia di tanti altri, sognando il momento in cui sarebbe stato lui ad averla tra le braccia e a gustare il suo dolce sorriso.

Ma, ora che era sceso, non riusciva a trovarla. Non era al bar, né sulla pista, né ai tavoli. E, quel che è peggio, non vedeva in giro nemmeno l'ultimo porco che ci stava provando con lei.

Nervoso e con la mente svuotata, se ne stava in piedi al centro della pista guardandosi attorno sperduto, mentre la coreografia musicale della sua dedica avanzava inesorabile.

Solo allora Korim gli si era avvicinato.

«Se cerchi Sammy, sta nella toilette delle donne».

Il DJ vi si era diretto subito, senza neanche ringraziarlo. E, in fondo, di grazie non ne meritava davvero, visto che ce l'aveva spedita lui: gli era costato quasi due mesi di estenuante Lavoro, ma alla fine anche la dolce Samantha gli aveva ceduto.

Graffio aveva varcato trepidante la soglia del bagno ed era rimasto lì, raggelato.

Sospiri. Profondi, gutturali.

La mano del DJ si era stretta attorno alla maniglia, tremante: era lei.

Dietro la porta di una latrina con uno sconosciuto.

Sospirava. Sospirava.

Gemeva.

Vide da sotto la porta le caviglie delicate e i piedini della ragazza che amava, e le gambe di un altro, fasciate da calzoni troppo flosci per essere ancora retti in vita.

Un gemito più profondo.

Graffio era indietreggiato e aveva richiuso la porta, senza far rumore.

Con gli occhi vuoti si era diretto al bar e aveva chiesto una bottiglia di Jack Daniel's.

Poi se n'era uscito fuori, nella notte putrida, mentre le ultime note della sua dedica sfumavano nell'aria.

Aveva pianto.

Lo aveva ritrovato Sammy, qualche ora dopo: era ubriaco fradicio.

A lei doleva la testa e le veniva da piangere, ma lo aveva raccolto da terra e l'aveva portato a casa.

Quando era finalmente riuscita a sdraiarlo sul divano, lui aveva aperto gli occhi e l'aveva guardata.

Annebbiato, ferito.

Deluso.

Duro.

«Sparisci, troia» aveva biascicato soltanto.

E lei se n'era andata, senza dir nulla.

Aveva vomitato e aveva pianto.

Da allora, lui non aveva più toccato un alcolico né una pasticca. Affrontava ogni suo grigio giorno con la fredda lucidità del disincanto.

Lei invece esorcizzava l'accaduto ripetendo ogni notte lo stesso errore di quella sera.

Uno dei Lavori meglio riusciti di Korim, Bizarq non si stancava mai di ripeterglielo.

Il Diavolo contrasse il viso in un ghigno. Sì, era il suo Lavoro migliore e ora lo avrebbe distrutto!

D'improvviso l'idea lo inebriò, tanto da farlo sentire onnipotente.

Spinse la porta ed entrò nel cesso.

Luci al neon fredde, piastrelle incrostate di calcare e odore di piscio vecchio, fumo e fondotinta.

Sentì languidi sospiri.

Sentì l'odore dell'eccitazione lambirgli le narici, ma era arrivato in tempo: sembrava che Tim se la stesse prendendo comoda.

Fece per muoversi verso la coppia, ma il suo corpo non ne volle sapere. Braccia e gambe di colpo si fecero di piombo. Inerti, pesanti.

Troppo.

Riprovò ancora e poi ancora, ma non c'era verso di avanzare. Poteva indietreggiare, ma non avvicinarsi a quei due idioti nel pisciatoio.

Merda!

Non poteva aggiustare le cose.

Non poteva aiutare Sammy. Non poteva fare niente per nessuno!

Una rabbia atavica lo pervase: avrebbe spaccato il Cielo, o perlomeno quello schifo di cesso, se solo le sue mani non si fossero rifiutate di obbedirgli! Per non parlare del braccio, che sembrava stesse andando a fuoco.

Non essere padroni delle proprie azioni era la cosa più frustrante del mondo!

D'un tratto sentì Sammy chiamare il nome di Graffio, gemente. Nell'estasi dei suoi sogni sballati, c'era ancora quel ragazzo.

Si rese allora conto che, se voleva che le cose si aggiustassero, non toccava a lui fermare la ragazza.

Uscì come una furia dai cessi e sparì fra la folla. Letteralmente.

Riapparve meno di un secondo dopo nella saletta dei disc-jockey, proprio alle spalle di Graffio.

«Korim?! Come cazzo hai fatto a entrare?!» si stupì qualcuno dei presenti, ma il Diavolo non vi badò. Afferrò Graffio per un braccio e lo costrinse ad alzarsi dalla sua postazione.

«Muoviti!» sibilò perentorio, e se lo trascinò a rotta di collo giù per le scale.

«Cosa cavolo vuoi?! Dove mi stai portando?!» sbraitava l'altro.

«Non urlarmi nelle orecchie!» replicò lui per tutta risposta.

Il braccio gli faceva male da morire, tanto da togliergli il respiro ed offuscargli la vista. Gli sembrava che il roveto stesse avvinghiando le proprie spire sulle sue ossa.

Doveva arrivare a quel cesso il più rapidamente possibile.

Inciampò, ma si mantenne in piedi.

«Ma che cazzo hai? Sei ubriaco?» si stupì Graffio, abituato a vedere sempre un Korim lucido e padrone di ogni situazione.

Il Diavolo non fu in grado di replicare: stava adoperando tutto se stesso per non svenire dal dolore. Avanzava febbricitante, come in un incubo.

La porta! La porta dei bagni, rossa, lucida. Era vicina.

Ancora uno sforzo! Ancora... uno... sforzo!

Arrivò infine ad afferrarne la maniglia, ansante.

«Vai a riprendere la tua donna!» ordinò al DJ, prima di spalancare la porta e scaraventarcelo dentro, poi si accasciò contro il muro reggendosi il braccio maledetto e chiuse gli occhi.

Una trepidazione nuova lo invase: aveva aggiustato le cose.

Per una volta, anziché distruggerle, aveva aggiustato le cose!

Sentiva tanto male che i suoi occhi lacrimavano, ma ne era valsa la pena. Gli sembrava di poter respirare per la prima volta, nonostante il dolore, come se una pesante cappa di liquame fosse scivolata via dai suoi polmoni.

Ma fu solo un effimero istante.

  
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