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Autore: Emma Speranza    11/04/2024    0 recensioni
Il Ministero è caduto, le lettere di convocazione al Censimento per i Nati Babbani sono state inviate e quando Lydia Merlin riceve la sua, sa che è arrivato il momento di nascondersi. Ma una lezione che ha imparato durante i sette anni ad Hogwarts è che i suoi piani non vanno mai come dovrebbero.
Un incontro fortuito con un ex compagno di scuola ed un bambino troppo chiacchierone le ricorderanno che la fuga non è un’opzione, e che in un mondo magico che ha dimenticato cosa sia l’umanità e la pietà, c’è ancora qualcosa per cui vale la pena combattere.
Una storia di sopravvivenza, ingiustizia e dei mostri che si annidano nei luoghi più oscuri.
Dal capitolo 39:
Perché il nome segnato accanto alla porta lo conosceva bene. Fin troppo bene. Senza sapere come, Lydia sollevò una mano e prima che potesse rendersi conto di ciò che stava realmente facendo, aprì la porta con un colpo secco.
Blake sobbalzò nel letto, ma il suo spavento si trasformò in vero e proprio stupore nel momento in cui si accorse chi era appena entrato nella sua camera d’ospedale.
Genere: Avventura, Guerra, Hurt/Comfort | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Mangiamorte, Nuovo personaggio, Ordine della Fenice, Vari personaggi
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7, Dopo la II guerra magica/Pace
Capitoli:
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Epilogo

Capitolo 37
Il prezzo della vittoria

 

 
Lydia Merlin avrebbe dato qualsiasi cosa pur di poter tornare a casa. Aveva però solo un unico problema. Non sapeva neppure lei quale fosse la sua casa ormai.
Per tutta l’infanzia aveva chiamato casa una piccola villetta a schiera in cui viveva circondata dall’amore dai suoi genitori.
Negli anni dell’adolescenza invece, aveva considerato casa un castello che sembrava uscito direttamente dalle fiabe, in cui aveva vissuto avventure straordinarie insieme ai suoi più cari amici.
Mesi prima, aveva pensato che la villetta di sua nonna sarebbe diventata la sua nuova casa.
Ma si era ritrovata in un palazzo, circondata da protezioni magiche, da una famiglia che non era la sua e da bambini che le avevano regalato i loro cuori.
Infine aveva vissuto in un piccolo appartamento, con un ragazzo che aveva perso, come lei, il suo posto nel mondo.
Ma la guerra si era presa tutto.
La villetta dei suoi genitori era stata abbandonata.
Il castello era in rovina.
La casa di sua nonna era stata accerchiata dai nemici.
Nel palazzo era stata fatta sentire come un’intrusa.
L’appartamento si era rivelato una prigione.
E Lydia si sentiva completamente persa.
 
Solo la presenza di Lance al suo fianco le permise di percorrere i corridoi intrisi di distruzione e dolore.
Solo la guida di Katherine e Duncan la aiutò a camminare sulla via che portava lontano dalla scuola.
Solo la Materializzazione del Signor O’Brien la fece apparire davanti a Casa O’Brien.
Casa O’Brien.
Quanto le era mancato quel posto.
Il giardino, l’orto, la torretta, le grandi finestre che si affacciavano sulla foresta che ne circondava i confini.
E poi si bloccò. Incapace di percorrere un altro passo.
Perché in quello stesso giardino vi erano i suoi genitori e sua nonna, sani e salvi, al sicuro da ogni male, e subito dopo comparvero decine di bambini. Urlavano, saltavano di gioia, gridavano i loro nomi. Neppure i richiami della signora O’Brien riuscivano a scalfire il loro entusiasmo. Perché la guerra era finita. E nell’immaginazione dei bambini non vi era comprensione del dolore e del lutto, solo della felicità per la sconfitta del cattivo e del ritorno dei loro eroi.
Il signor O’Brien spalancò i cancelli e Lydia si inginocchiò nel prato, lasciando che fossero i bimbi a correre da lei. Le manine si allungarono e Lydia si trovò stretta da tutti loro, in un abbraccio intriso di un amore puro che solo i bambini potevano donare. Lydia strinse a sé ognuno di loro.
Beatrix, Edrik, Mike, Matthew, Lucas, Jack, Elinor. Emily, Amelia, William, Elise, Bethany, Christine. Alexander, Jodie, Aiden, Edith, Ryland, Leonard. Lizzie, Tristan, Ewart. Simon, Daniel… Henry.
L’abbraccio di Henry fu l’ultimo, e quello che durò più a lungo. Lydia non riuscì a dire nulla, ma stringendolo a sé, cercò di riversare in quella stretta tutte le parole che non aveva il coraggio di pronunciare di persona. Che le dispiaceva, per averlo messo in pericolo, per averlo lasciato quando lui aveva più bisogno della sua presenza. Per non averlo capito, per averlo allontanato fin troppe volte. E la gratitudine che provava nei suoi confronti, per aver avuto fiducia in lei quando era troppo ferita per credere ancora nella vita.
Qualcuno la costrinse a rialzarsi. Era Caitlin. Lacrime le scorrevano sul viso. Stava pronunciando parole di scuse, ma Lydia non riusciva a comprenderle. Strizzò gli occhi, accorgendosi che le labbra di Caitlin continuavano a muoversi, ma nessuna voce giungeva alle sue orecchie, solo un fischio lontano. Anche i bambini si erano fatti silenziosi. Tutta la gioia era ancora presente, ma per Lydia era composta solo da silenzi.
Fu a quel punto che svenne.
 
«Bah. Non avete proprio fantasia, voi maghi.» Lydia socchiuse un occhio «È da giorni che questo inutile giornale blatera le stesse identiche notizie.» Sua nonna girò con rabbia una pagina della Gazzetta del Profeta che teneva posata sulla gambe, rischiando di strappare la carta sottile. «Nuovo Ministro, sanzioni, vittoria. Se non fosse per gli articoli di Katherine sarebbe carta straccia.» Lydia sbadigliò e si stiracchiò, prima di ricordarsi delle costole contuse e del fatto che si sentiva costantemente come se fosse stata calpestata da una mandria di ippogrifi impazziti.
«Sono rimasti a corto di personale, è normale che ripetano le stesse notizie per colmare i vuoti.» rispose Lance, senza distogliere lo sguardo dalla pallina che teneva in equilibrio sul palmo fasciato della mano sinistra. La fronte era corrugata, gocce di sudore scivolavano dalle sue tempie, ma nonostante lo sforzo, le dita rimasero immobili, tranne per il perpetuo tremolio involontario. Un lampo di delusione gli adombrò il volto, subito rimpiazzato da una finta indifferenza. «A proposito, Kate ha scritto che neanche stasera torna per cena, quindi tenetevi lontani da Duncan per le prossime ventiquattro ore.»
«Niente di più facile.» rispose Lydia sovrappensiero.
«Quel ragazzo borbotta troppo, parola mia.» borbottò la nonna, sistemandosi meglio sulla sua poltroncina.
A Lance sfuggì una risata.
«Cosa c’è da ridere, ragazzo?»
Al rimprovero della nonna, Lance impallidì, possibilità che Lydia pensava impossibile considerando il perpetuo pallore della sua pelle negli ultimi giorni, e si affrettò a ricomporsi. «Niente, signora, niente.»
La nonna sbuffò. «Peccato. Avevo proprio voglia di farmi una bella risata.»
Lydia non riusciva ad abituarsi alla sua nuova realtà. Le sembrava surreale trovarsi in una stanza in presenza sia di Lance che di sua nonna. Era come se i due, nella sua testa, fossero sempre appartenuti a due mondi diversi, incompatibili tra loro, anche se, dopo tutto quello che aveva scoperto nell’ultimo anno, forse quegli stessi mondi non erano poi così lontani come aveva sempre pensato.
«I tuoi genitori hanno scritto una lettera. L’ennesima.» si lamentò la nonna. «Quei due sono troppo protettivi, continuerò a ripeterlo anche nella tomba.»
Lance dovette immaginarsi la scena perché Lydia lo vide rabbrividire. Un tenue sorriso le arricciò le labbra, ma durò il tempo di un battito di ciglia prima di spegnersi.
«Sono solo preoccupati.» si costrinse a dire «E ho promesso loro che avrei scritto due volte al giorno. Ieri devo essermi addormentata prima di riuscire a spedire la lettera serale… mi sa che sono nei guai…»
«L’ho spedita io.» Lance appoggiò nuovamente la pallina sul palmo della mano «Ho riferito che stai bene e che stai rispettando l’ordine di riposo assoluto.»
«Oh. Grazie.»
«Anche se forse lo stai rispettando un po’ troppo.»
Lydia finse di non sentire.
«Dovresti rispettare anche tu la prescrizione del guaritore, giovanotto. Ero presente anche io quando ti ha detto di evitare di sforzare la mano.» Detto questo, la nonna requisì la pallina di Lance, lasciandolo a mani vuote e con un’espressione corrucciata «E non guardarmi come un cane bastonato. Contegno, ragazzo mio, contegno.»
Lance strinse le labbra e raddrizzò la schiena.
Lydia avrebbe voluto dire a sua nonna di smettere di torturarlo, essendo sua nipote ed avendo dovuto affrontare lei stessa i tormenti della nonna per anni, riusciva chiaramente a identificare il luccichio divertito che accendeva i suoi occhi ogni volta che inventava un nuovo modo per rispondere a Lance, ma se sua nonna si divertiva, allora non le avrebbe rovinato anche quell’unico svago.
Il silenzio calò di nuovo sulla stanza, mentre ognuno di loro tornava alle proprie occupazioni. La nonna a leggere il giornale, Lance a provare a stringere la presa attorno ad un’altra pallina estratta di nascosto dalla tasca, cercando al contempo di non farsi vedere dalla nonna stessa, e Lydia a perdersi nei suoi pensieri mentre combatteva il perpetuo mal di testa.
Ancora non riusciva ad abituarsi a quei momenti di calma assoluta, non dopo le ore di terrore che tutti loro avevano vissuto durante la battaglia di Hogwarts. Era come se il silenzio fosse diventato innaturale, soprattutto considerando che quella stessa quiete sembrava confinata alla sola stanza in cui si trovavano. 
Il mondo infatti non si era fermato a respirare dopo la sconfitta di Voldemort.
Alcuni Mangiamorte erano riusciti a scappare e tutti gli Auror rimasti erano dispiegati alla loro ricerca, motivo per cui anche i bambini erano ancora tutti al sicuro nelle mura di casa O’Brien.
Il Ministero doveva essere ricostruito il prima possibile per evitare crisi costituzionali o prese di potere illecite.
I feriti erano innumerevoli, il San Mungo straripava di pazienti e i guaritori erano troppo pochi. Lance aveva spedito gran parte della loro scorta di pozioni curative all’ospedale. Avrebbe voluto fare di più, ma la sua mano continuava a rimanere immobile, sorda ad ogni sua richiesta, impedendogli anche solo di maneggiare un calderone.
Anche gli altri abitanti di casa O’Brien non avevano avuto tempo per riposare. Katherine era corsa alla redazione della Gazzetta del Profeta il giorno stesso della vittoria, per reclamare il posto che era stata costretta ad abbandonare mesi prima e rimettere insieme un giornale che era stato sottoposto per troppo tempo alla coercizione e alla censura.
I signori O’Brien e Caitlin erano impegnati nel doppio sforzo di custodire i bambini e di rintracciare i loro genitori e i famigliari ancora in vita, cercando allo stesso tempo di muoversi con cautela, nel timore che i Mangiamorte fuggiaschi potessero rintracciarli. Avevano già letto troppe notizie di innocenti morti per mano di maghi e streghe che rifiutavano la sconfitta del loro padrone, in una guerra che sarebbe dovuta essere finita.
I genitori di Lydia, invece, dopo essersi accertati che loro figlia stava bene ed era in mani sicure, erano dovuti tornare a casa della nonna. Quando erano stati attaccati e costretti a rifugiarsi a casa O’Brien, avevano dovuto lasciare tutto all’improvviso, tanto che i loro datori di lavoro e gli zii e i cugini di Lydia avevano denunciato la loro scomparsa. E così i suoi genitori avevano inventato una scusa per giustificare la loro scomparsa così improvvisa, composta principalmente dal trasferimento di Lydia in Italia per proseguire i suoi studi in un’università del luogo e di una sua improvvisa emergenza medica che li aveva costretti a trasferirsi lì per alcuni mesi insieme alla nonna. Ovviamente la menzogna non avrebbe retto senza un aiuto da parte del signor O’Brien, ma dai mazzi di fiori e cioccolatini che le erano stati recapitati con l’augurio di una pronta guarigione, sembrava che gli incantesimi confondenti di Dorian avessero funzionato.
L’improvviso scricchiolio della porta risvegliò Lydia dai suoi pensieri. Caitlin entrò nella stanza in punta di piedi. «Oh, siete svegli. Volevo solo controllare se vi serviva qualcosa.»
Ecco un’altra novità a cui Lydia non riusciva proprio ad abituarsi: la nuova versione di Caitlin. L’abbraccio che le aveva riservato al suo ritorno dalla battaglia di Hogwarts si era rivelato essere solo l’inizio. Caitlin era stata infatti la persona che si era presa cura di loro più di tutti, in quei giorni, assicurandosi che non li mancasse mai niente e avessero tutte le medicine e le pozioni di cui avevano bisogno. «Sono appena passata da Duncan ma stava borbottando sull’ingiustizia di dover stare chiuso in camera come un bambino e quindi sono scappata. Giuro che se la sua gamba non guarisce in fretta, Kate potrebbe ritrovarsi vedova e il suo bambino orfano di padre prima ancora di nascere.» Forse non era cambiata proprio così tanto.
«Dovevi vedere il povero guaritore quando l’ha informato che probabilmente la sua gamba non tornerà più come prima.» disse Lance, fissando la propria mano ferita come se potesse costringere le dita a chiudersi con la sola forza del pensiero.
«Non è lo stesso guaritore che ha detto a te di non sforzare troppo i muscoli e che tu hai definito un ‘incompetente totale, senza un briciolo di professionalità’?» Caitlin si avvicinò e gli rubò la pallina, facendola immediatamente sparire nella tasca della felpa.
«Ehi!» protestò Lance «E comunque sì, era un incompetente! Voleva somministrare a Lydia una tintura di Clemens. Lo sanno tutti che i prodotti a base di erba Clemens sono altamente sconsigliati per i pazienti con traumi cranici.»
Caitlin alzò gli occhi al cielo. «Non era poi così incompetente, le costole di Lydia sono migliorate grazie ai suoi rimedi, non è vero, Lydia?»
Lydia si limitò a fare un cenno di assenso, nonostante definire un miglioramento il dolore terribile che provava ancora era un eufemismo.
«E comunque Lydia è una paziente migliore di te e Duncan messi insieme. Il guaritore le ha ordinato una settimana di riposo assoluto e guardala, non si è lamentata mai, neppure una volta.» Lance si voltò davvero a guardarla, ma con l’espressione sul volto che le stava riservando sempre di più nelle ultime ore e che non piaceva affatto a Lydia.
«Tuo papà è tornato?» Lydia formulò la prima domanda che le venne in mente, nel tentativo di distrarre Lance.
Il volto si Caitlin si oscurò. «Sì.»
«E?» Almeno era riuscita nel suo intento. Lance ora fissava con la stessa preoccupazione sua sorella.
«E niente. Continuano a voler rimanere a casa loro. Papà ha detto che è impossibile convincerli del contrario.»
«Testardi.» borbottò la nonna, che fino a quel momento era sembrata troppo concentrata sul suo giornale per prestare loro attenzione e che invece aveva ascoltato ogni singola parola. «Sono dei testardi e cocciuti. Ma sembra che sia una prerogativa di ogni singolo O’Brien.» continuò squadrando Lance e Caitlin.
«Non siamo testardi. Siamo solo molto convinti quando prendiamo delle decisioni.»
«E non è la definizione di essere testardi?»
«No, è la definizione di non lasciare che altri impongano il loro punto di vista. È diverso.» rispose tranquillamente Caitlin. «E comunque non mi sembra che i Merlin siano molto diversi da noi.»
La nonna sbuffò, e Lydia non riuscì a capire se era infastidita o divertita. «In ogni caso quei due non dovrebbero stare soli. Nessuno dovrebbe stare da solo dopo una disgrazia del genere.»
Lydia sentì il cuore stringersi in una morsa a quelle parole e tutto ciò che rappresentavano. Perché sua nonna aveva ragione. Silas e Cyril avevano bisogno di tutto l’aiuto e il sostegno possibile dopo la disgrazia che li aveva travolti.
Lydia lo aveva scoperto solo in seguito, quando aveva ripreso conoscenza ore dopo la battaglia di Hogwarts. Era stato Lance a raccontarglielo, con la voce rotta e le lacrime che scivolavano sul suo viso sporco.
Lo zio Anthony non c’era più.
Le aveva raccontato dell’arresto avvenuto al Ministero la settimana prima, dei tentativi di Silas di scoprire la verità e il luogo in cui era trattenuto suo papà. E poi aveva continuato a raccontare. Rientrati a casa O’Brien, il padre di Lance aveva chiesto a Silas e Cyril di parlare da solo con loro.
Quando erano usciti dalla cucina, nulla era stato lo stesso.
Il padre di Lance aveva rivelato loro che durante la battaglia si era scontrato con suo cugino, lo stesso che era stato la causa della fuga della famiglia O’Brien dal mondo magico durante la prima Guerra dei Maghi e nella casa di campagna nella seconda. Il duello era stato agguerrito, e i ragazzi sospettavano che il signor O’Brien non avesse raccontato tutto ciò che era avvenuto, ma era stato costretto a dire loro della parte peggiore. Di come suo cugino si fosse vantato di tutto il male che aveva causato alla loro famiglia, di quanto si fosse sinceramente fidato di Anthony e di quanto fosse rimasto ferito nello scoprire che in realtà anche lui era un traditore del suo sangue. Disse di aver chiesto di essere presente al suo arresto, di avergli dato la possibilità di redimersi rivelando l’indirizzo del loro nascondiglio. Ma Anthony si era rifiutato, e tutti loro sapevano che non era stato solo il giuramento ad impedirgli di rivelare l’indirizzo di casa O’Brien. E infine il cugino aveva sostenuto di essere orgoglioso di aver fatto parte del plotone di esecuzione di Anthony.
Lo zio Anthony era stato ucciso per tradimento il giorno stesso del suo arresto.
Nessun processo, nessuna pietà.
Era stato ucciso e il suo cadavere gettato in una fossa comune.
Lydia non poteva neanche immaginare come dovessero sentirsi Silas e Cyril. Non era giusto, non era umano. E considerando che si rifiutavano di trasferirsi nel calore di casa O’Brien, Lydia avrebbe voluto correre da loro, per offrire il suo cordoglio, il suo conforto. Eppure…
Lydia si morse un labbro per impedirsi di ricadere nei suoi pensieri, giusto in tempo per riuscire a comprendere la domanda che Caitlin le stava rivolgendo.
«Sto bene.» rispose bruscamente. Troppo bruscamente. «Davvero, sto bene. Il mal di testa va molto meglio.» mentì con un tono di voce più tranquillo.
«E come va a respirare?» chiese ancora Caitlin.
Come se avessi dei pugnali che mi trafiggono i polmoni ad ogni respiro avrebbe dovuto rispondere Lydia. «Bene.» disse invece, sforzandosi persino di fare un breve e falso sorriso «Sempre meglio.»
«Fammi controllare.» Caitlin si sedette sul bordo del letto e allungò una mano nella sua direzione.
Lydia reagì per istinto, tirando la coperta sul petto e allontanandosi da lei. «Ho detto che sto bene, davvero.»
«Voglio solo controllare.»
«Il guaritore mi ha già controllata.»
«Lo stesso guaritore che ha proposto di prendere un antistaminico per raddrizzare le tue costole?»
«A sua discolpa, le pozioni sono introvabili e non era molto esperto dei medicinali babbani.»
«Motivo per cui continuo a dire che dovreste andare tutti in un ospedale normale.»
«Nonna!»
«Voi e i vostri stupidi intrugli.» bofonchiò la nonna, sempre nascosta dietro il suo giornale.
Caitlin afferrò un lembo della coperta e lo strattonò tentando di liberarla dalla presa di Lydia. «Fatto sta che sono più competente di lui.»
«Hai solo fatto alcuni corsi di primo soccorso.» ribatté Lydia, tenendosi ben stretta la coperta e strisciando nel letto per allontanarsi dalle sue mani gelide.
«Appunto. Più di quanto abbia studiato lui.» E con un ultimo strattone riuscì a liberare la coperta dalle mani indebolite di Lydia, la quale reagì con un lamento.
«Lasciala stare. Se dice di stare bene vuol dire che sta bene.» Lydia sarebbe stata sollevata dall’intervento di Lance se non fosse stato per lo sguardo che continuava a riservarle.
Lui sapeva. Di questo ne era certa.
«E va bene!» sbottò Caitlin alzando le braccia al cielo e rialzandosi dal letto «Fate come volete. Siete adulti e se volete soffrire chi sono io per impedirvelo? Statevene con i vostri dolori e poi non venire a lamentarvi con me. Tranne lei, signora Merlin» continuò poi, rivolgendo un sorriso alla nonna «Se le serve qualcosa non esiti a chiamarmi.» E poi uscì dalla stanza con la stessa velocità con cui era entrata.
Lydia scosse la testa. «Non penso che mi abituerò mai alla versione di Caitlin che tiene al nostro benessere.» disse, più per distrarre di nuovo Lance che per fare realmente conversazione.
«Quella ragazza ha cervello.» sentenziò le nonna, voltando una pagina del giornale «Aveva solo bisogno di una spinta per imparare ad usarlo nel modo giusto.»
Visto che Lance continuava a fissare lei e non sembrava voler partecipare alla conversazione, Lydia continuò «Se avessi saputo che la spinta che le serviva eri tu, nonna, ti avrei chiesto di venire a vivere qui mesi fa. A proposito, quale stregoneria hai usato per renderla… così?»
«Le ho solo raccontato la storia di tua zia.»
«Di zia Eimhir?»
«No. Di zia Maisie.»
Fu come se il sangue di Lydia si fosse trasformato in ghiaccio. La nonna dovette accorgersi del suo improvviso pallore perché il suo tono si addolcì e si decise infine ad abbassare il giornale. «Penso che Caitlin non si sia neanche accorta del modo ingiusto in cui ha trattato tutti voi. Non lo faceva con l’intenzione di ferirvi, non sempre, almeno, o così mi ha detto.»
Lance si chinò verso Lydia. «Quando sei scomparsa ha finalmente iniziato a capire che le sue azioni avevano delle conseguenze. Ti credevamo catturata, Lydia. Uccisa o torturata. Caitlin si sentiva in colpa perché è tutto iniziato dalla vostra discussione in cucina. O almeno così penso, non mi ha mai detto nulla. So solo che da quando sei scomparsa è diventata taciturna, come la maggior parte di noi.» Lydia iniziò a giocherellare con il bordo della coperta, qualsiasi cosa pur di non guardare negli occhi Lance. Non gli aveva raccontato cosa era davvero accaduto nelle settimane che avevano trascorso distanti, non aveva avuto il coraggio di dirgli che era stata in compagnia di Blake. Non sapeva neppure il motivo per cui non riusciva a dirlo. Si era resa conto di non volerlo raccontare quando aveva provato sollievo dopo aver scoperto che i suoi genitori e sua nonna non si ricordavano neppure della presenza di Blake durante la fuga dalla casa al mare. Quello che invece l’aveva spaventata era l’assenza di qualsiasi emozione alla scoperta che Blake aveva osato usare un incantesimo Confundus sulla sua famiglia. Solo sollievo e subito dopo il vuoto, e… «Non è possibile che Caitlin sia cambiata solo perché sono scomparsa.» disse in tutta fretta, per costringere la sua mente a focalizzarsi su altro.
«Forse la tua scomparsa è stata il punto di inizio.»
«Quella ragazza aveva bisogno di qualcuno che le aprisse gli occhi.» continuò la nonna.
Lydia fece una smorfia. «Io ci ho provato e guardate come è finita.»
La nonna prese il bastone dal bracciolo della sedia e lo sbatté a terra con un colpo secco. «Sciocchezze.» Lydia sobbalzò. Quando era tornata aveva scoperto che sua nonna aveva dovuto iniziare ad utilizzare un bastone per camminare (segno che l’attacco alla sua casa l’aveva sconvolta più di quanto avesse voluto ammettere), solo che aveva scoperto anche che la nonna preferiva usarlo come arma. «Tu le hai vomitato addosso un sacco di cattiverie.» Lydia avrebbe voluto ribattere ma sua nonna non le lasciò il tempo «Ci sono modi e tempi per dire le cose. A te avrebbe fatto piacere sentire una serie di insulti tali, per quanto giusti, in un momento in cui stava affrontando anche lei un lutto?»
«No, ma…»
«Niente ma!» Un altro colpo sul pavimento «Il tuo metodo non ha funzionato, così come non ha funzionato il comportamento accondiscendente dei suoi genitori - a proposito, li viziano troppo i loro figli, quei due – o l’eccessiva gentilezza del ragazzo qui presente.» Lance borbottò delle parole che Lydia non riuscì a decifrare «Quello che le serviva era scoprire cosa sarebbe diventata se avesse continuato nelle sue convinzioni.»
«Ancora non capisco cosa c’entra zia Maisie.»
«Ragiona, ragazza mia!» Questa volta Lydia riuscì a non sobbalzare al colpo secco del bastone contro la gamba del suo letto «Caitlin era convinta che suo fratello fosse un mostro per averle rubato la magia, tua zia crede che tu lo sia per aver attirato i Mangiamorte ed aver provocato la morte di suo marito.» Lydia sentì il suo corpo irrigidirsi, la mente perdersi nell’appartamento di Blake, davanti agli occhi una piuma che diventava cenere, e poi tutto questo sparì, sostituito dal calore della mano che Lance aveva posato sulle sua.
«Per quanto io abbia passato gran parte degli ultimi anni a non sopportare mia sorella, non è la stessa cosa. Caitlin ci vuole bene, a modo suo.» Con le dita sane, Lance disegnava dei cerchi sul dorso della mano di Lydia.
«Infatti non ho mai detto che Caitlin è come Maisie, non adesso almeno. Ma il rancore ha il brutto vizio di crescere, l’odio di moltiplicarsi, fino a farti dimenticare da dove è iniziato ed impedirti di vedere i danni e il male che provoca. Se Caitlin avesse continuato a vivere nel suo risentimento, allora entro qualche anno sarebbe diventata come mia figlia. Maisie era la dolcezza fatta in persona da bambina, gentile con tutti e agguerrita nel difendere la sua famiglia, la giusta combinazione tra me e suo padre. È bastato che si instillasse in lei il rancore verso Lydia per portarla a tradire la sua stessa famiglia e condannarla a morte.»
Lydia sgranò gli occhi. Come faceva sua nonna a sapere che era stata proprio zia Maisie ad avvisare Mills e gli altri della sua presenza in casa? Lydia non lo aveva detto a nessuno.
«Non guardarmi così, bambina mia. Dovresti aver ormai imparato che sono più sveglia di quanto tutti voi crediate. Da quando sono qui ho avuto tempo per pensare a come abbiano fatto quei delinquenti ad attaccare casa mia proprio quando tu eri presente. Era una coincidenza troppo strana per essere tale. O avevano avuto il più grande colpo di fortuna della storia o avevano ricevuto una soffiata da qualcuno di noi. Per non parlare del gufo di tuo padre, è scomparso proprio durante la tua permanenza, e il padre del ragazzo qui presente» fece un cenno del capo verso Lance «L’ha ritrovato che svolazzava attorno a casa mia la sera dopo l’attacco. Tua madre non ti avrebbe mai tradito, tuo padre non sarebbe mai stato abbastanza intelligente da ideare un piano del genere, io non ero stata di sicuro e tu neanche. La conseguenza logica era che la responsabile poteva essere solo che tua zia, colei che, al tuo arrivo, ha fatto le valigie e, dopo un rapido saluto in cui mi ha ringraziato per tutto quello che ho fatto per lei, se ne è andata.»
Lydia non sapeva neppure cosa dire, solo la presenza costante di Lance le impediva di crollare. Quella e il vuoto che aveva preso il posto del suo cuore.
«A Caitlin ho solo detto che quello sarebbe stato anche il suo destino se non si fosse decisa a mettere da parte l’orgoglio e il risentimento. Condannare a morte la sua famiglia o fare loro talmente tanto male che si sarebbero stancati e avrebbero rinunciato infine a salvarla.» La voce di sua nonna vacillò, e solo allora Lydia si accorse di quanto quel tradimento dovesse pesare sulle sue spalle, e che forse era proprio per sollevare quel peso che ora stringeva un bastone tra le mani.
Aveva salva la vita, ma aveva perso sua figlia.
Il dolore e il senso di colpa allargarono il vuoto che Lydia continuava a provare.
La nonna proseguì, la sua voce ridotta ad un sussurro «Caitlin si è confidata con me, e per quanto sia difficile sradicare pensieri e sentimenti che ha nell’animo da un decennio, so anche che non farebbe mai volontariamente del male alla sua famiglia, e per quanto tu possa stentare a crederci, lei considera anche te come parte di essa.»
In un altro momento Lydia avrebbe ribattuto, sostenendo che sì, era impossibile da credere considerando che dalla morte di Paul, l’obiettivo della vita di Caitlin sembrava proprio far sentire Lydia un’emarginata, ma non ne aveva le forze. L’unica cosa che voleva fare era riposare, chiudere gli occhi e non dover più parlare, né pensare.
Per questo, quando la porta si aprì di nuovo e Henry corse nella stanza, Lydia si sentì combattuta tra il fastidio e il senso di colpa per il fastidio stesso.
«Ciao, come state? Ti fa ancora male la testa? E Lance è riuscito a muovere le dita? Fammi vedere!» Lydia si sentì sollevata nel vedere Henry buttarsi al fianco di Lance e fissare ad occhi sgranati la steccatura della sua mano «Sembra ancora morta… è morta? Bisogna tagliarla? Simon ha detto che probabilmente ti taglieranno la mano entro la fine della settimana, Daniel invece dice che ti metteranno un uncino al suo posto, ma io non penso. Una spada sarebbe molto più utile di un uncino.»
«Henry, lascia in pace Lance.» ordinò perentoria la nonna.
E lì avvenne un vero e proprio miracolo. Henry sorrise e fece un passo indietro. «Va bene, nonna.»
Durante la sua permanenza, la nonna di Lydia era improvvisamente diventata la nonna di tutti i bambini di casa O’Brien. «C’è un motivo in particolare per cui hai lasciato le tue lezioni per venire qui?» Henry prese fiato «E ricordati quello che ho detto sull’educazione e sul parlare civilmente.» Henry si sgonfiò e si fermò un istante per mettere in ordine i suoi pensieri.
«Il signor O’Brien mi ha dato il permesso di uscire dalla lezione.» rispose conciso. No, Lydia non si sarebbe mai abituata, e si accorse anche che preferiva la versione originale di Henry, quella che parlava talmente velocemente da farle venire il mal di testa ma da riempire i troppi silenzi.
«E per quale motivo ti ha dato un permesso del genere!?» sbottò la nonna, aggrottando le sopracciglia «Non conosce l’importanza della costanza nell’educazione dei bambini? Ve l’ho detto, quell’uomo vizia troppo i suoi figli.»
«Gliel’ho chiesto io! Prima ho visto che nell’orto sono cresciute le rose arcobaleno!» esclamò Henry, tornando alla sua solita vitalità ad ogni parola pronunciata sempre più velocemente «Quelle che abbiamo piantato tutti insieme questo inverno!» Lydia ricordava quel pomeriggio di dicembre, quando Lance aveva trascinato lei e tutti i bambini nel prato per piantare i bulbi delle rose nel terreno ghiacciato. Lydia aveva borbottato per tutto il tempo, ma era stato uno dei pomeriggi che si era impresso nel suo cuore. «Sono finalmente sbocciate, e sono davvero bellissime, di tutti i colori dell’arcobaleno proprio come dicevi tu, Lance! E poi ho pensato che voi non le avete ancora viste, e invece dovete proprio vederle, e l’ho detto al signor O’Brien, e lui allora mi ha dato il permesso di uscire dalla classe per portarvi con me giù nell’orto a vederle!»
Lydia si morse un labbro e distolse lo sguardo dal bambino, indirizzandolo per l’ennesima volta alla coperta del letto.
Nella sua esitazione, fu Lance il primo a rispondere. «Le ho viste stamattina, Henry. Sono davvero bellissime come dici tu.» Lydia gli lanciò un’occhiata di sottecchi ed intravide il sorriso stanco che gli tirava il volto.
Sapeva che Lance si recava nell’orto ogni mattina all’alba e rimaneva lì, fermo immobile al suo ingresso. Lo sapeva a causa dell’insonnia che l’aveva colpita dalla battaglia di Hogwarts. Nelle innumerevoli ore di velia, guardare fuori dalla finestra le dava conforto, soprattutto perché la aiutava a convincersi che il mondo esisteva ancora. Quella mattina aveva visto Lance entrare nell’orto, stringendo tra le mani qualcosa, rimanere immobile diversi minuti a fissare quello che era il suo regno, e poi chinarsi proprio davanti alle rose. L’oggetto nelle sue mani si era rivelato essere un paio di cesoie, con cui Lance aveva provato a recidere uno stelo delle rose, senza alcun successo. La mano sana non era agile quanto quella ferita, e Lydia aveva visto il ragazzo cercare di fare un taglio preciso senza riuscirci, provare con la bacchetta senza alcun risultato ed infine strappare quelle stesse rose con una disperazione che per un istante aveva spinto Lydia a convincersi ad uscire dalla sua stanza e correre da lui, per promettergli che tutto sarebbe tornato alla normalità, e che se anche non fosse stato possibile, avrebbero trovato un altro modo, insieme. Ma poi Lance si era fermato, lo aveva visto guardarsi intorno e vedere la distruzione che aveva causato, e poi rialzarsi e raccogliere ogni singolo stelo ed ogni petalo che si era staccato nella foga, per poi uscire dall’orto e scomparire dalla sua vista.
«Va bene, Lance le ha già viste, ma tu no, Lydia! Quindi puoi venire con me!» Henry le allungò una mano, con un sorriso enorme ad illuminargli il volto.
Lydia si sentì un verme quando rispose «Non posso, Henry.»
Il sorriso del bambino si incrinò.
«Devo stare a riposo.» si affrettò ad aggiungere Lydia, per la paura di deluderlo di nuovo «Ordini del guaritore.»
«Che sciocchezze.» sbottò la nonna «Quel presunto dottore ti ha detto di riposarti, sì, ma non di restare tutto il giorno, tutti i giorni a letto.»
Lydia rimase senza parole, la sua mente che correva frenetica alla ricerca di una risposta. «Non mi sento molto bene.» Si maledisse nell’istante stesso in cui pronunciò la frase, ma ormai era troppo tardi per tirarsi indietro. Si sistemò meglio sui cuscini per evitare di dover guardare Henry, o sua nonna, o Lance. «Ho ancora delle fitte di mal di testa. Preferirei non muovermi. Ma sono sicura che le rose sono bellissime, e ti prometto che nei prossimi giorni le vedremo insieme.» Si voleva mordere la lingua. Erano passate settimane eppure il vizio di fare promesse a Henry che non avrebbe mantenuto le era rimasto. E si odiò per quello.
«Oh.» rispose semplicemente il bambino, la bocca spalancata e un pizzico di delusione che Lydia percepì chiaramente anche in quella semplice sillaba. Continuò a fissare il copriletto. Aveva combattuto nella battaglia di Hogwarts ma le mancava il coraggio di guardare negli occhi un bambino di cinque anni.
La nonna scosse la testa, e poi, con un sospiro, fece leva sul bastone per riuscire ad alzarsi dalla sua poltroncina. «Vieni, mio caro, se ti accontenti della compagnia di una vecchia signora verrò io a vederle con te.»
«Sì, sì, nonna!» La delusione di Henry per il rifiuto di Lydia fu subito dimenticava e soppiantata da una vera ed autentica gioia «Vedrai, ti piaceranno tantissimo! Hanno dei colori bellissimi, e poi voglio provare a disegnarle! Ho già preparato sulle scale i fogli e i pastelli, se vuoi ce ne sono anche per te!»
Questa volta la nonna non lo rimproverò, anzi, il suo volto fu sollevato da uno dei suoi rari dolci sorrisi, mentre spettinava i ricci del bambino. «Mi piacerebbe tantissimo. Sai, ho sempre avuto una passione per le rose.»
Quando la nonna e Henry uscirono, il silenzio invase nuovamente la stanza. Lydia riuscì a sopportarlo due minuti prima di sbottare. «Avanti, dillo.»
Ma Lance si limitò ad appoggiarsi allo schienale della sedia. «Non so a che cosa ti riferisci.»
«Sto bene, se è questo che ti preoccupa.»
«Come fai a dire che sono preoccupato?»
Dalla ruga sulla tua fronte, avrebbe voluto rispondere. Non lo fece, si morse il labbro per impedirsi di pronunciare quelle parole, senza saperne realmente il motivo. «E comunque è vero.» disse invece «Sto bene.»
Ma entrambi erano consapevoli che si trattava di una menzogna.
 
L’indomani mattina, Lydia si svegliò dai suoi incubi con il cuore che batteva all’impazzata e l’assoluta certezza che la guerra non fosse ancora finita. Voldemort era morto, i nemici sconfitti, cercò di convincersi mentre i mostri della notte si dissolvevano nella calda luce del giorno che filtrava dalla finestra. Eppure… a volte, negli ultimi anni, aveva sognato ad occhi aperti a come sarebbe stato la sua vita se solo la guerra fosse finita a loro favore. Aveva immaginato la gioia, le giornate spensierate, l’infinito sollievo. E allora perché le sembrava di essere ancora bloccata in un incubo?
Il materasso si abbassò quando qualcuno si sedette accanto a lei.
«Ciao.» bisbigliò Lydia.
«Ciao.» rispose Lance.
Come accaduto il giorno precedente, Lydia si trovò a fissare un punto imprecisato della finestra per non dover guardare Lance, mentre il silenzio si protraeva infido. Aprì la bocca per dire qualcosa, qualsiasi cosa, quando Lance la interruppe. «Non dirlo.»
Lydia corrugò la fronte e si trovò a guardare Lance. «Cosa?»
La luce dell’alba avvolgeva il ragazzo, donandogli un’aurea dorata. Le sue labbra erano tese in un triste sorriso. «Che stai bene.» Lydia provò a controbattere ma Lance fu più veloce «Non stai bene. E lo so perché ti conosco, Lydia. E perché neanche io sto bene.» Fu il dolore che permeava ogni sua parola a far drizzare Lydia per avvicinarsi a lui. Gli occhi di Lance erano intrisi di lacrime che aveva trattenuto dal giorno della battaglia, o forse anche da prima. «Non sto bene, Lydia. Perché la guerra è finita ma io non riesco ad esserne contento, perché sì, ne sono felice, ma poi mi viene in mente tutto quello che abbiamo perso. Ho perso Paul, Lydia. Ho perso il mio migliore amico, l’unico che mi è stato vicino quando i miei genitori, Caitlin e Duncan mi hanno volontariamente o involontariamente allontanato.» Le lacrime iniziarono a scorrere sulle sue guance, e per Lydia fu naturale allungare la mano per asciugarle con una carezza «È stato ucciso, e ogni giorno penso che avrei potuto salvarlo, che se solo fossi rimasto con lui, allora sarebbe ancora qui con noi.» Un’altra lacrima, un’altra carezza «Ho perso lo zio. Anche lui assassinato per aver avuto il coraggio di andare contro il Ministero e i suoi Mangiamorte. E penso che se avessimo insistito di più nel convincerlo a nascondersi da noi, allora anche lui sarebbe ancora qui con noi. Con Silas e Cyril.» Lydia si accorse che per ogni lacrima che asciugava sul volto di Lance, ve ne era una che lei stessa versava. Un singhiozzo la scosse, risvegliando il dolore alle costole. «E non sto bene perché ho perso questa.» Lance sollevò la mano paralizzata, stretta nel tutore ed insensibile ad ogni stimolo «Continuo a dire che non mi importa, che se è un piccolo prezzo da pagare per la nostra vittoria allora ne vale la pena, ma non è vero, Lydia, non è vero.» Lydia avvolse le braccia attorno a Lance e lo strinse, bagnandogli la spalla con le sue lacrime mentre lui continuava a sussurrare nei suoi capelli «Cosa sono io se non posso essere un pozionista? Era l’unica cosa che volevo essere. L’unica che mi faceva sentire utile in tutti questi anni di guerra, e adesso me l’hanno tolta. E poi ripenso a Paul, allo zio, a tutti quelli che sono morti, e penso che dovrei essere grato per essere ancora qui. Ma non ci riesco, Lydia. Non ci riesco. E allora mi sento ancora peggio perché sono un ingrato, e forse loro meriterebbero più di me di essere sopravvissuti.»
«No, no.» Lydia lo strinse ancora più forte, nella mente l’immagine di un futuro senza Lance. E fu più terribile dei suoi peggiori incubi.
«E poi ci sei tu, Lydia.» La voce di Lance si era ridotta ad un sussurro «Quando è scattato l’allarme della tua passaporta, quando siamo arrivati al rifugio e c’era la tua famiglia ma non tu, quando nessuno di loro sapeva dirci dove eri finita, o perché te ne eri andata, ho pensato di averti persa. Tu eri scomparsa; nessuno lo voleva dire, ma tutti erano convinti che eri stata presa, rapita, che ti stavano torturando e che probabilmente era già troppo tardi per salvarti, e a volte lo credevo anche io. E allora pensavo che avrei preferito morire piuttosto che saperti nelle loro mani. Pensavo al fatto che avevamo stretto un patto, tanti mesi fa, che quando tu avresti voluto raccontarmi della tua cicatrice, io ti avrei raccontato del perché io e Duncan non ci sopportavamo. E allora immaginavo di potertelo finalmente dire, di poterti raccontare della mia gelosia nei confronti di Duncan da quando ho compiuto undici anni, da quando Caitlin ha smesso di parlarmi e trascorreva tutto il suo tempo con lui, tagliandomi fuori, e a come lui glielo lasciava fare, come tutti loro glielo permettevano. E che invece lui ha iniziato ad infuriarsi con me perché era convinto che io non stessi facendo abbastanza per sistemare le cose con Caitlin, che mi fossi arreso troppo presto. Immaginavo di potertelo raccontare, perché se quel giorno, questo giorno, fosse davvero arrivato significava che tu non eri morta, e che io non ero morto con te. E poi ripensavo a quando dopo la morte di Paul tu bussavi alla mia porta e io non ti aprivo, perché stavo troppo male e non volevo che tu mi vedessi così, perché sapevo che anche tu saresti stata male per me, e non volevo che tu soffrissi. E pensavo che se invece avessi aperto quella dannata porta, allora tu saresti stata ancora con me. Quando ti ho ritrovata ad Hogwarts, ero così felice, così completo, ma poi ho scoperto che non è così semplice. Che nei miei incubi tu continui a scomparire, a finire nelle loro torture, e io non riesco ad aiutarti. Tutte le notti gli stessi incubi, ed ogni giorno devo convincermi che è questa la verità, che tu sei davvero di nuovo qui con me, eppure ogni notte continuo a perderti e mi sveglio con l’assoluto convinzione che tu non ci sei più. Come lo zio. Come Paul. E allora ripenso a loro, ed è tutto un circolo vizioso da cui non riesco ad uscire. Incubi su incubi che continuano a ripetersi.»
Lance si scostò dal suo abbraccio e posò la mano destra sulla guancia di Lydia, i volti a soli pochi centimetri di distanza. «E quindi no, non sto bene, Lydia, ma non stai bene neanche tu.»
E per Lydia questa volta fu impossibile negarlo, mentre nuove lacrime scivolavano sulle sue guance, dritte nella mano di Lance. «Sono così stanca.» Era la pura e semplice verità.
Quella stessa stanchezza che l’aveva assalita quando aveva visto la piuma bruciare nell’appartamento di Blake continuava a tenerla imprigionata nelle sue spire. Era stanca, non sapeva neanche lei di cosa, e forse era proprio quello che la spaventava così tanto. Perché era così stanca che non voleva alzarsi, non voleva parlare, non voleva pensare. E se per un istante aveva sperato che con la vittoria quella stanchezza se ne sarebbe andata, aveva ormai constatato che non era così. E quello che più la spaventava era proprio il pensiero che quella stessa stanchezza l’avrebbe accompagnata per il resto della sua vita.
«Lo so.» rispose semplicemente Lance, e Lydia gliene fu grata. Non tentò di consolarla, di trovare motivi per cui doveva essere felice. «Per questo ti ho preso un regalo.»
Lo stupore fermò le lacrime di Lydia.
«Ho avuto l’idea dopo la visita di ieri di Henry. E Katherine mi ha accompagnato a prenderlo.» Lance estrasse dalla tasca della felpa una scatolina d’argento. Ancora sorpresa, Lydia la prese e sollevò il coperchio con delicatezza. E nuove lacrime le velarono gli occhi.
Era un braccialetto d’oro. Una catena sottile con al centro un ciondolo a forma di piuma. Non una piuma qualsiasi. La stessa che Lydia aveva visto diventare cenere.
«Ad Hogwarts, hai detto che Blake aveva un legame con la fine della tua piuma. Non so cosa sia successo e me lo racconterai solo quando, e se, sarai pronta. Ma so quanto era importante per te, per tutti noi.» La tristezza gli spezzò la voce. «Paul… la sua piuma riposa insieme a lui, Alice, sono sicuro che l’ha portata con sé al Ministero, e quando la troveremo, perché la troveremo, l’avrà ancora. Ho pensato di regalarti la mia, ma non sarebbe stata la stessa cosa.» Le mani di Lydia tremavano così Lance la aiutò, per quanto vi riuscisse con una mano sola, ad allacciare il braccialetto attorno al polso. L’oro rifletté la luce dell’alba. «E poi ieri mi è tornato in mente il nostro doblone, ricordi? Quello che abbiamo trovato all’inizio delle vacanze invernali al terzo anno.» Certo che Lydia lo ricordava, come avrebbe mai potuto dimenticarlo? «Non avevamo ancora trovato il modo di spenderlo, dovevamo farlo insieme. Ho pensato che era questo il modo migliore per farlo. L’ho portato da un gioielliere, ha fuso l’oro del doblone e l’ha usato per creare il braccialetto. Sono sicuro che anche Paul e Alice avrebbero approvato.»
Le lacrime e le emozioni impedivano a Lydia di parlare, così si gettò tra le braccia di Lance e lo strinse, sperando di potergli far capire la gratitudine che stava provando. Ovviamente Lance comprese.
E probabilmente sarebbero rimasti così, stretti l’uno all’altra per ore se non fosse stato per il lieve scricchiolio alla porta. Henry fece un timido passo nella stanza. «Non riesco a dormire.» disse solamente, lo sguardo a terra e negli occhi l’ombra degli incubi che avevano disturbato anche i suoi sogni.
Lydia sorrise tra le lacrime e tese una mano verso di lui. «Vieni. Ci siamo noi adesso.» E per una volta, era una promessa che poteva mantenere, pensò mentre si sdraiava sul letto, con Lance al suo fianco ed Henry stretto tra di loro.
 




Note: Ricordo che nonostante sia inserito nella parte denominata 'Epilogo' questo non è l'ultimo capitolo della storia ma ve ne saranno altri due oltre all'epilogo vero e proprio!
Grazie a tutti,
Un abbraccio!

Emma Speranza <3


 

'Piume di Cenere' è disponibile anche su Wattpad
Per informazioni o anticipazioni visitate la pagina Instagram ufficiale: @piumedicenere
 
   
 
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