(Note: Capitolo ripubblicato perché l’editor
di EFP fa i capricci. Applicate solo modifiche minori)
[Kae]
Socchiudo
la porta della cella alle mie spalle, appoggio la darkrariana
seduta contro la parete. Fatica a mantenere gli occhi aperti, è fredda, muove
appena il petto per respirare. Al ferale, devo trovare quella mistura il prima
possibile. La lascio qui e mi muovo da sola: se ci sono così tanti evasi non si
preoccuperanno di una detenuta traslocata.
Apro
la cella, uno scoppio fa tremare le fondamenta dell’edificio, mi aggrappo alle
sbarre per non cadere. Strale deve aver raggiunto il serraglio. Stacco la sferzatenebre dalla cintura e la lascio accanto alla
ragazza. “Resisti, torno subito.”
Mi
alzo ed entro nel salone di corsa. “È in corso un’evasione di massa!”
Ignoro
le balestre che mi sono state puntate contro dai mercenari e corro verso
l’altro lato della stanza, il vociare proveniente alle mie spalle annuncia
l’arrivo dei detenuti liberati da Arial e Strale. A giudicare dal clangore,
sono passati per l’armeria in qualche modo. Meglio, terranno occupati per più
tempo gli scagnozzi di Fion.
Fortunatamente
il maniero di Lastgard è rimasto invariato negli
anni. Se hanno mantenuto anche i laboratori per i voltici delle misture nello
stesso punto, li troverò a breve. Se non trovo nulla che possa aiutarmi lì,
punterò direttamente al serraglio.
Non
solo era il magazzino, ma è possibile che Fion sia in
possesso di qualche creatura con capacità curative o una qualche sua parte sia
ingrediente importante per una mistura di guarigione.
Spalanco
la porta con la spalla. La luce della sferzatenebre
appesa al soffitto sfarfalla. Scatole ribaltate, sostanze schiumose sparse sul
pavimento. Mi addentro nella stanza prestando attenzione a non mettere i piedi
sopra alle pozze sinistre, con un salto raggiungo l’unica scatola rimasta
dritta.
Stringo
la presa su una delle assi, i guanti scintillano, la lancio alle mie spalle con
uno strappo secco, un odore pungente metallico mi pizzica le narici. Mi sposto
dalla luce per vedere meglio l’interno: boccette da mezzo litro piene di
liquido scarlatto, scartoffie, qualche amuleto sospetto. Nessuna mistura di
guarigione.
Prendo
un paio di quei fogli e uno degli amuleti, risolta questa storia li controllerò
meglio; sembra qualcosa per cui potrebbero mettere dentro il nobilotto e gettare via la chiave.
Sposto
la scatola e apro quella sotto, il contenuto è identico. Per quanto
interessante ficcare il naso negli affari di Fion,
non è la mia priorità al momento, mi serve quella mistura. Mi guardo intorno,
mi abbasso sotto il tavolo nella speranza che qualche boccetta sia rotolata lì.
Incrocio un paio di occhi rossi brillanti, una bambolina coperta da stracci e
corda tiene tra le mani uno di quegli amuleti. Emette un verso raschiato e
scatta verso la porta. Quello era un costrutto di fortuna, che ci sia un voltico tra i prigionieri?
Lascio
la stanza di corsa. La prossima meta è il serraglio. Mentre corro tendo
l’orecchio, gli scontri rimbombano per tutto l’edificio, spero che il mio
diversivo non mi si ritorca contro.
[Strale Khanterz]
Apro
le porte del serraglio. Davanti mi si presenta una stanza stravolta: diversi
dei piedistalli ribaltati, corpi disseminati come in un campo di battaglia,
scatole rovesciate a terra. Mi avvicino a una delle guardie e le metto una mano
sotto le narici, l’aria mi passa tra le dita, respira. Buon per lui, ora dove
si trova chi ha steso così tanta gente in una volta? Voglio affrontarlo.
Una
brezza scende dal soffitto. Alzo la testa, cenere incandescente cade dolcemente
dalla voragine che mostra il cielo buio. La darkrariana
è diventata loksh. Ora si che si inizia a ragionare.
Senza
perdere altro tempo mi dirigo verso l’entrata della stanza, le porte si
spalancano prima che possa toccarle. Clark sbarra gli occhi e mi punta l’arma
contro. Mi abbasso, lo scoppio mi fa fischiare le orecchie.
Clark
alza il fucile. “Ma sei cretino!?”
Mi
tiro su. “Dovrei dirlo io a te che entri in una stanza e non guardi a chi
spari!” Lo sposto col braccio e lo oltrepasso. “Non posso fermarmi, ho una darkrariana da combattere io!” Riprendo la mia corsa,
raggiungo le scale e salgo gli scalini due a due.
“Sai
di non avere possibilità da solo vero?”
Ah,
sì. Non crede che possa farcela, ora si che mi sento motivato. “Seguimi, così
vedi quanto ti sbagli!”
Non
parla finché non raggiungo la cima della scala. “Almeno usa un’arma vera.”
Mi
volto, è ancora all’inizio della rampa. Agito il tubo di ferro con il
chiavistello ancora attaccato. “Eh, mi sono affezionato. E poi fa più figo se
vinci con un’arma non arma, inoltre ho la spada di Lewis, proprio qui.”
Picchietto il dito contro l’arma.
“No,
non è figo, è stupido! Prendi quella spada in mano. Già che l’hai rubata.
Volevo dire, presa in prestito. Presa in prestito, sì…” Clark tossicchia, si
sistema il cappello. “Dammi il tempo di accertarmi delle condizioni delle
persone qui sotto e ti raggiungo.”
“Cosa
ti dice che non avrò finito con lei mentre perdi tempo?”
“Più
facile il contrario.” Clark si distacca dalla scalinata e torna verso il
serraglio.
La
sala principale è un campo di battaglia. Sono tentato di inserirmi tra la
mischia, ma una rissa posso farla tutti i giorni, un combattimento con una
rappresentante del terrore del passato è un’occasione più ghiotta. Raggiungo
con uno scatto l’ingresso della prigione e spalanco le porte.
La
brezza marina trasporta l’odore di salsedine, la scia di sferzatenebre
che illumina l’unica strada conduce al porto, unica altra struttura dell’isola.
Se non è già scappata, si sarà sicuramente fermata lì. Vorrei avere un modo per
raggiungere la spiaggia più in fretta.
“Nagh!”
Drizzo
le orecchie. Quel verso stupido lo riconoscerei ovunque. Mi volto di lato. Il
manto della creatura bipede è un insolito rosso. Batte la zampa contro il
terreno e lo spazza con la coda folta. Mi avvicino. “Vuoi darmi un passaggio,
bello?”
Il
dodot mi lecca la faccia, la guancia mi si congela,
ci sfrego la mano sopra, i cristallini di saliva rimasti attaccati alla pelle
si staccano e cadono a terra. “Lo prendo come un sì.” Ci giro attorno e gli
salto in groppa. “Andiamo!”
Stringo
la pelliccia attorno al collo per tenermi. Non si muove. Mi sporgo. “Ehi.” Il dodot si volta con i suoi grandi occhi azzurri, caccia
fuori la lingua dello stesso colore, una goccia di saliva gli cade e si congela
a terra.
“Partiamo?”
“Nagh.”
Non
mi capisce. Proviamo a parlare la sua lingua. Inspiro a pieni polmoni. “NAGH!”
“Naaagh!” L’animale si volta e si mette a correre. Le sferzatenebre nella strada schizzano veloci a lato.
Dopo
aver lasciato libero il dodot estraggo la spada
trafugata dall’armeria e spalanco la porta del magazzino portuale.
“So
che sei qui, è l’unico posto in cui potevi nasconderti!” Ruoto il polso con la
spada un paio di volte per saggiarne il peso. Non ci sono molte casse
abbastanza grandi per nascondersi dietro o dentro. Non si sta muovendo, sento
solo i miei passi nella stanza, è solo questione di tempo prima che la trovi.
Una
mela rotola al centro di uno dei corridoi, deve trovarsi lì. Svolto l’angolo a
spada tratta, è in ginocchio davanti ad una cassa di frutta con alcune assi
divelte, non sembra essersi accorta di me.
Lo
scrocchio della mela riempie il silenzio. “Ferale.”
La
darkrariana si volta di scatto, braccio puntato verso
di me, una fiammella sfarfalla sul suo palmo, l’altra mano tiene stretta il
torsolo di una mela.
Appoggio
la punta della spada a terra e piazzo le braccia sull’elsa. “Prego, non ti
disturbo ancora.”
I
suoi occhi spalancati sono rossi. E brillano. Come la loro pelle candida e
luminosa. Questa gente è una tribù di sferzatenebre
viventi. Non mi sorprende che l’abbiano trovata.
La
darkrariana lascia cadere il torsolo e allunga la
mano a tentoni sulla frutta, credo stia cercando di riconoscere un frutto
specifico. Il tutto senza smettere di puntarmi o guardarmi.
“Se
vuoi un’altra mela devi spostarti a destra. Non la tua, la mia.”
Lei
si gira, mette la mano sul frutto e si volta immediatamente. “Grazie.”
Mi
gratto la testa. Non sono sicuro che sia la stessa darkrariana
che ho incontrato nei giorni precedenti. È quasi amichevole. A meno che non
fosse la fame a renderla nervosa. “Da quanto non mangiavi?”
“Quasi
due settimane.” Risponde per poi affondare i denti sul frutto.
Sapevo
che dovevo arrivare prima con la carne, altro che frammentatori.
Ora non avrebbe senso batterla perché sarebbe debilitata per la fame, non
voglio vantaggi del genere. Un momento.
“…Ti
abbiamo lasciato le nostre provviste quella volta.”
La
darkrariana ruota la mela. Inspira. “Non le ho
mangiate. Potevano essere avvelenate. Sono diventata paranoica, vi basta?”
Le
danno la caccia da un po’ probabilmente. Vero. “Quindi… considerando che non
sei l’unica darkrariana in giro, e probabilmente non
ti piace essere chiamata così tutto il tempo… Hai un nome?”
Si
strozza con il succo, tossisce un paio di volte, lascia il frutto e si batte il
pugno sul petto. L’altra mano continua a puntarmi. “Non vedo l’utilità nel
dirvelo.”
Voglio
sapere il nome di chi sconfiggerò, in futuro. “Strale. Il mio nome è Strale.”
Lei
sbatte le palpebre, scuote appena la testa. “Non vedo l’utilità nel dirmelo.”
Scrollo
le spalle. “Potresti aver bisogno di aiuto in quanto fuggitiva, avrai dei
contatti. Hai un nome almeno?”
Sbuffa.
“Non ho bisogno dell’aiuto di nessuno. Tantomeno di un ragazzetto infantile in
cerca di una morte dolorosa.”
“Dici?
Tutti hanno bisogno di qualcuno. Sono un’attaccabrighe ma senza armatura sarei
morto da parecchio.” Tiro il colletto, il dito sfrega contro una delle mie
cicatrici che metto in mostra. “Questa me la sono fatta a sedici anni, mi hanno
aizzato contro un behar durante una serata di gala.
Da quel giorno mi sono sempre assicurato di avere qualche placca addosso.”
“…Quindi
puzzate anche in circostanze normali?”
Stavo
per mostrarle il taglio sul braccio che mi sono procurato la settimana scorsa,
ma ha preferito darmi una stilettata in pieno petto. Quasi quasi la affronto lo
stesso. “Io non puzzo.”
“Emettete
fragranze intossicanti.”
“Non
vedo l’utilità nel dirmelo.”
La
darkrariana ritrae la testa, piccata. “Non usate le
mie parole contro-!” Scuote la testa. Afferra una manciata di bacche da una
cassetta e se le caccia in bocca. Assottiglia gli occhi come se volesse
fulminarmi. Chissà se può farlo. “Lasciatemi mangiare in pace.”
Sento
artigli che grattano, il suono ci mette in allerta. Mi alzo e impugno la spada,
i frammenti di cenere incandescente che girano attorno alla darkrariana
vorticano rapidi.
Dalla
cima della cassa si allunga una mano tozza di legno con le dita staccate dal
dorso, poi un’altra, infine una testolina nera con due grandi occhi rosso
brillante spunta in mezzo ad esse. Ci fissiamo qualche istante. Ma è la
bambolina di pezza che avevo visto in cella!
La
indico. “TU!”
La
bambolina si tira su, ha un oggetto strano tra le mani. Lo punta in nostra
direzione. La cenere smette di vorticare. La darkrariana
si volta verso di me, lascia cadere il frutto che aveva in mano, crea una sfera
infuocata su entrambe le mani.
“Ehhh, darkrariana?”
La
bambola si appoggia con il braccio all’aggeggio che ha in mano, la gemma rosa
su di esso emana un’aura sinistra, incrocia le gambe e agita le dita come per
salutarmi.
La
ragazza mi placca, sbatto contro il muro ma lei continua a spingermi finché il
legno non cede. Rotolo qualche metro, quando mi fermo ho una visuale perfetta
del carcere. E della bambola a cavallo del dodot
rosso che corre in quella direzione. Mi ha pure fregato il passaggio, bastardo.
Ma da un lato dovrei ringraziarlo, ha convinto la darkrariana
ad affrontarmi, la Guardiana solo sa come.
Mi
rialzo in piedi, spada in pugno, guardo verso l’alto: la darkrariana
ha un paio d’ali dietro la schiena e mi fissa vacua con i suoi occhi rosa. Gli
sono cambiati?
Ruoto
il braccio armato. “Era dalla prima volta che ci siamo visti che volevo farlo.
Ti sei convinta?”
La
darkrariana si volta verso la prigione, sbatte le ali
e scatta in direzione della struttura.
“…Oh
andiamo!” Rinfodero l’arma e mi metto a correre.
[Karin Alden]
Cosa dovrei capire da quello che ho
letto? Cosa sto cercando esattamente? Mi mancano dei punti. O li ho
dimenticati. Possibile? Non posso fare altro in questo posto e mi scordo
l’unica cosa che sto facendo! Lamentarsi non serve a un cazzo. Sento una risatina
al di fuori dalla porta.
È là dietro la bastarda. “MYRA!”
Una testa spunta dalla porta, una
ragazzina con una coda laterale e un copricapo con una croce sopra. Avvicina il
dito alle labbra. “C’è gente che cerca di riposare, abbassa la voce o usa il
tasto apposito per chiamare qualcuno.”
Tossicchio appena, vero, siamo in un
dannatissimo ospedale. Come l’ho scordato? Tutta questa lettura non mi fa
ragionare come si deve. Faccio un cenno con il capo. L’infermiera esce dal mio
campo visivo, poco dopo l’elfa stronza si affaccia.
“Ti mancavo così tanto?”
Sto per tirarle il libro in faccia.
“Entra e no, non mi mancavi così tanto.”
L’elfa si avvicina con un sorrisetto. “Tsundere.”
“Porta quel culo su questa sedia. E
dimmi cosa ancora devo cercare.”
Myra si siede poggiando le mani sul
grembo. “A che capitolo sei?”
“…Ottavo?”
“Ahhh
ancora troppo presto allora. Devi comprendere prima l’ambientazione.”
Storco il naso, mi sta facendo
perdere tempo di sicuro. “Stronzate.”
Gonfia una guancia scocciata. Qui
quella che si è rotta di non sapere che devo fare sono io. “Ok, sì. Ma vogliamo
evitare di influenzarti, e sono sicura che farti leggere di Strale ti farà
capire cose di te stessa.”
“…Cosa dovrei capire di me stessa?”
Non starà insinuando…
“Dimmi tu, Strale.” Dice alzandosi e
correndo verso la porta.
Alzo il libro e glielo scaglio
contro. Il tomo sbatte contro lo stipite. “NON PARAGONARMI A QUEL COGLIONE!”