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Autore: Melanyholland    28/05/2005    14 recensioni
Per non perdere per sempre la sua Ran, stavolta Shinichi dovrà combattere la battaglia più dura: quella contro se stesso
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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22. Against the Shadows

Shinichi chiuse per un momento gli occhi, lasciando che il vento freddo della notte gli sferzasse il viso accaldato, le ciocche di capelli bruni della frangetta che gli accarezzavano la fronte, mentre tutto il suo corpo si rilassava per la frescura. Aprì gli occhi, continuando a camminare silenziosamente, Heiji al suo fianco e, fortunatamente, alla sua stessa altezza. Dio, come gli era mancato essere adulto, sentirsi di nuovo forte, senza il bisogno degli strani aggeggi del professore, poter guardare negli occhi la gente senza farsi venire il torcicollo, provare di nuovo cosa significava essere davvero se stessi. Era una sensazione che gli dava coraggio. Avrebbe sicuramente affrontato quella situazione con tutt’altro umore se avesse dovuto agire con la testa a poco più di un metro dal terreno: anche considerando che il contraccolpo di un’eventuale pistola avrebbe potuto farlo volare via. Ridacchiò: forse stava esagerando.

“Beato te che sei allegro…” mormorò Heiji al suo fianco.

Shinichi gli scoccò un’occhiata in tralice: “Perché, tu non lo sei?”

“Chi, io?” Heiji sorrise. “Sempre.”

Si addentrarono nel complesso di case popolari; lì l’atmosfera era decisamente molto meno leggera: le abitazioni sembravano abbandonate, ma qua e là si udivano dei rumori poco rassicuranti, mentre nell’aria c’era un pesante odore di fogna e muffa. I due cercarono di camminare nelle zone più in ombra, attenti a fare meno rumore possibile, consci che ragazzi liceali della loro età non sarebbero passati inosservati, se fossero stati scorti. Passarono accanto al corpo di un uomo accasciato in malo modo contro una parete, vittima di alcool o di chissà quale altra sostanza poco raccomandabile. Non sembrava del tutto sveglio, ma nemmeno addormentato: i suoi occhi erano vacui, ebbero un guizzo quando si posarono su di loro ma nulla di più. Aveva un grosso rigonfiamento sul labbro inferiore.

Lo superarono dopo essersi scambiati un’occhiata a metà fra il disgusto e la pietà. Dopo qualche minuto videro un angolo ben riparato e deserto, accanto ad una delle case malconce, e vi si rifugiarono, lontani da occhi indiscreti. Shinichi tirò fuori dalla tasca i familiari occhiali di Conan, spinse il pulsante accanto alla lente e comparve il radar, con una lucetta lampeggiante. “Ora che siamo così vicini, possiamo seguire la trasmittente di Gin anche con questi; il professore mi ha regolato la frequenza giusta.” Spiegò Shinichi in un sussurro, Heiji annuì. Il detective dell’est seguì la traccia del radar, guidando il suo collega che era subito dietro di lui, a coprirgli le spalle in caso di pericolo. La lucetta era ferma in un solo luogo, probabilmente il punto dove Gin e Vodka aspettavano il loro corrispondente, e loro vi si stavano avvicinando risoluti, accantonando ogni paura e incertezza. Non era quello che i detective facevano abitualmente?

“Ci siamo.” Bisbigliò Shinichi, indicando con un cenno del capo una casupola davanti a loro, che sembrava un magazzino, con i muri dipinti di un grigio sporco. Entrambi si scambiarono un ultimo cenno di assenso, poi si diressero verso il loro obiettivo, mentre dietro di loro una figura con un cappotto lungo fino ai piedi non staccava gli occhi da loro un istante.

Aggirarono l’entrata principale, cercando un qualche sbocco secondario per non dare nell’occhio. Sulla parete posteriore esterna trovarono quello che faceva al caso loro, una finestrella con il vetro inesistente; con un po’ di fatica e aiutandosi l’un l’altro riuscirono ad insinuarsi attraverso quell’angusta entrata, e si ritrovarono a camminare gattoni sulle assi di legno del tetto, lentamente, attenti a non perdere l’equilibrio e a farle scricchiolare il meno possibile. Scorsero dall’alto tre figure scure, ma l’intero magazzino era buio ed era difficile stabilire di chi si trattasse. Shinichi sperò intensamente che a nessuno dei tre venisse voglia di alzare lo sguardo, si erano arrampicati piuttosto in alto, questo sì, ma aveva l’impressione che la visuale fosse la stessa da entrambe le parti: forse non li avrebbero riconosciuti, ma avrebbero capito che c’era qualcuno.  Le ginocchia cominciavano a dolergli, a causa del forzato contatto con il legno rigido delle assi, e anche le braccia soffrivano un po’. Non sapeva quanto avrebbe potuto resistere, pregava che tutto si svolgesse più in fretta possibile…

“È in ritardo.” Constatò una delle voci, che Shinichi riconobbe come quella di Vodka.

Udì a fatica un ghigno sommesso. “Forse.” Rispose Gin, e l’intonazione gli fece intuire che aveva stirato le labbra, cosa che non gli piacque affatto. In effetti, tutta quella breve conversazione aveva un che di sinistro. La terza figura cominciò ad allontanarsi dai due uomini, con un ticchettio basso che Shinichi accostò senza difficoltà a scarpe con il tacco.

“Vermouth” sibilò, e come se l’avesse udito la donna in questione prese parola.

“I’m boring…credo che andrò a fare un giretto.” Annunciò con la sua voce melodiosa, continuando la sua marcia verso la porta.

“Attenta piccola, potresti perderti la festa.” La avvertì Gin, sempre con quel tono placido e divertito che a Shinichi metteva i brividi. Sentiva che doveva alzare la guardia, che qualcosa di brutto stava per accadere. Ma come poteva essere?? Gin non avrebbe mai potuto immaginare che…

“Oh, di questo non mi preoccupo. Ho l’impressione che il party si protrarrà…” aprì la porta “…più del previsto. Bye”

Perché improvvisamente si sentiva così a disagio? In fondo erano loro stessi che tenevano le redini del gioco, avevano spiato le loro conversazioni, preparato un piano, chiamato la polizia…avrebbe dovuto essere calmo. Beh, okay, forse non così calmo, ma decisamente non tanto agitato. Il fatto era che il modo in cui stavano parlando i suoi avversari, Gin e Vermouth soprattutto, faceva suggerire che sapevano più di quello che lui avesse creduto all’inizio. Ma era una cosa impossibile, no?

Impossibile? Lo credi veramente??

Ciliegina sulla torta, ecco di nuovo la voce di suo padre, che lo apostrofava in tono scettico e quasi canzonatorio. Si trattenne dal sbuffare, cercando di ignorare il moto di scompenso che quelle parole nella sua mente gli avevano infuso. Avrebbe voluto rispondere un ‘sì’ deciso, ma purtroppo sapeva che non era poi così impossibile. E c’erano numerosi altri punti che, adesso che esaminava sotto una nuova luce, erano piuttosto sospetti. Come per esempio la sua fortuna sfacciata: appena il giorno dopo che gli aveva applicato la trasmittente, aveva ottenuto informazioni tali da avere l’occasione di catturarli. Il luogo dell’incontro, certamente più favorevole agli Uomini in Nero che a lui e al suo compagno, in caso di scontro; e poi Vermouth, fingendo di essere Yukiko e aggirandosi per la casa del dottor Agasa aveva capito molte cose, e avrebbe potuto riferirle ai suoi colleghi. Finora lo aveva escluso perché non aveva captato nessuna conversazione di quel genere dalla cimice, ma era anche vero che c’erano stati lunghi periodi di silenzio alternati ai discorsi e poteva essere che…

Gin sapesse della cimice

Il cuore ebbe un tuffo, Shinichi sbarrò gli occhi e impallidì di colpo. Non era così assurdo, i congegni erano sotto la sua scarpa e se se la fosse sfilata la sera, per andare a letto, avrebbe potuto scorgerla e capire, perché Gin non era uno sciocco. Ma se così fosse quella sarebbe stata

Una trappola

Si voltò, cercando lo sguardo del suo collega, pronto a spiegargli tutto, quando un rumore forte lo costrinse a guardare di nuovo in giù. Gin aveva appena sbarrato la porta.

“Bene Vodka…è ora di occuparsi del nostro ospite…”

“È  già qui?”

“Oh sì…da un bel po’, ormai.”

 

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“Io qui non vedo nessuno stupido ragazzino che si crede un detective, Ran” borbottò Kogoro, le mani in tasca. La ragazza camminava decisa, addentrandosi nell’ombra senza alcun timore, voltando la testa di qua e di là, cercando di penetrare l’oscurità e di scorgere il viso tanto conosciuto. Kazuha era accanto a lei e imitava i suoi gesti, sebbene stesse cercando un altro ragazzo, facendo ciondolare la coda di cavallo tenuta stretta con il nastro regalatole da Heiji.

Dove ti sei cacciato Shinichi? Ti prego fa che lo trovi…

Lo stomaco cominciava di nuovo a contorcersi in modo doloroso, ma lei lo ignorò: doveva restare lucida e calma. Sebbene la speranza di trovarlo stesse affievolendosi ad ogni passo sempre di più, non le sarebbe stato di alcun aiuto buttarsi giù: dannazione alla sua emotività! Perché i suoi sentimenti dovevano essere sempre così pressanti e scomodi? Avrebbe tanto voluto essere più fredda, di fronte alle situazioni…

Così forse a quest’ora l’avrei già dimenticato...anche se…solo immaginare di farlo uscire dalla mia vita…mi fa stare così male…

Sussultò, strappata ai suoi pensieri dalla stretta poderosa di una mano intorno al suo polso: si voltò, incontrando lo sguardo penetrante e scuro di suo padre, il viso imbronciato in una smorfia di impazienza e irritazione.

“Basta, ti avevo detto che se non l’avessimo visto subito ce ne saremmo andati. Ti ho permesso persino di scendere dall’auto…” brontolò, ben sapendo che non era stata una vera e propria permissione, visto che Ran era sgattaiolata in fretta fuori dalla macchina non appena aveva accostato “…e qui intorno non c’è traccia di lui. E’ tardi, sono stanco e questo posto non mi piace. Andiamo v…”

“Detective! Non sapevo partecipasse anche lei a questa missione!” Uno strano uomo, avvolto in un lungo cappotto blu scuro di feltro e con in testa un capello ben calcato sulla fronte, si avvicinò a loro dal buio di un vicolo. Kogoro spostò la figlia dietro la schiena in un una rapida mossa protettiva e quasi inconscia. “Chi è lei? Cosa vuole?” tuonò.

“Oh, mi scusi!” L’uomo alzò un po’ il cappello per permettergli di vederlo in faccia, e tutti e tre spalancarono la bocca: “Detective Takagi!? Che ci fa qui!?” chiese Ran quasi senza fiato, mentre il cuore ebbe un sussulto: se l’agente era là, e come aveva detto prima era in corso un’azione di polizia, era probabile che quello che le aveva riferito la voce al telefono era vero, e cioè…

“Shinichi è con voi?” domandò con voce spezzata, prima che l’uomo avesse il tempo di rispondere alle altre domande. Kazuha fece un passo avanti. “E Heiji? Hattori, intendo…”

Takagi le fissò per qualche momento, sbattendo le palpebre, poi aprì la bocca per rispondere ma Kogoro lo interruppe.

“Che genere di missione state attuando?” domandò non senza una punta di preoccupazione.

“Dobbiamo arrestare dei trafficanti. Ci sarà uno scambio di sostanze stupefacenti stasera, in questo complesso. Ci sono altri agenti qui intorno travestiti come me.” spiegò bisbigliando. “Aspettiamo un segnale per agire…se fossi in lei allontanerei le ragazze da questo posto” suggerì, e dall’intonazione si capiva perfettamente la sua perplessità all’idea che l’investigatore avesse portato due diciassettenni in piena notte in un luogo malfamato. Kogoro annuì, cercando di nuovo di afferrare la figlia per il polso, ma Ran riuscì a divincolarsi e si avvicinò all’agente di polizia. “La prego, mi risponda…” lo supplicò con gli occhi lucidi, e Takagi arrossì visibilmente, sebbene il travestimento coprisse gran parte del volto. “Beh, ecco…io non ne so molto…” disse timidamente “…ma mi pare di aver capito che…sia stato proprio lui ad avvertire l’ispettore Megure e ad organizzare questa retata.”

Sembrò che il cuore smettesse di batterle, il respiro si arrestò. Dunque era vero, la donna non aveva mentito…Shinichi si trovava là…dopo tanto tempo, aveva la possibilità di rivederlo, di parlare con lui…sentì che la sua anima si riempiva di un sentimento che per molto tempo le era stato precluso: la vera speranza.

“Lui dov’è?” insisté, afferrando per il braccio Takagi. Udiva a malapena i rimproveri di Kogoro dietro di lei, tutta la sua attenzione era rivolta al giovane uomo che le stava davanti e che le aveva regalato una così bella sensazione. “Dov’è??”

“Io…io non…”

Il rombo acuto di uno sparo squarciò il silenzio della notte. Tutti e quattro rimasero immobili, spaventati e sorpresi da quel rumore improvviso, che il loro cervello riconobbe solo dopo qualche secondo. La ricetrasmittente di Takagi si attivò, e data la sua vicinanza Ran poté sentire cosa disse la voce dell’ispettore Megure.

Attenzione, qualcuno ha aperto il fuoco sul lato nord del complesso, non abbiamo ancora capito da che parte provengano gli spari, chi si trova nel settore nord ci comunichi immediatamente il luogo esatto dello sparo

Qui Sato, settore nord” trasmise il congegno “lo sparo proveniva da una costruzione abbandonata sulla terza strada, non ho visto nessuno uscire.

Ricevuto Sato, a tutti gli agenti, abbandonare le proprie posizioni e dirigersi verso l’obiettivo comunicato, ripeto, dirigersi tutti verso l’edificio abbandonato sulla terza strada…fate attenzione…i trafficanti sono armati e pericolosi.”

“Qui Takagi, ricevuto” rispose l’agente di polizia, impugnando la pistola. “Devo andare, voi mettetevi al riparo.”

“No, io vengo con lei!!” protestò Ran, e al suo fianco Kazuha annuì decisa.   

 “Niente da fare! Non è roba per ragazzine come voi!” proruppe Kogoro infuriato, visibilmente in ansia per la situazione in cui aveva cacciato sua figlia e la sua amica. Dannazione! Non avrebbe mai dovuto accettare di accompagnarle!! L’agente approfittò della distrazione di Ran per andare ad obbedire agli ordini senza portarla con sé. Non aveva alcuna intenzione di mettere in pericolo quella ragazza così dolce, sebbene ammirasse profondamente il suo coraggio.

“No!! Io-“ un altro scoppio, e tutti sobbalzarono di nuovo. “devo andare da lui!” gridò Ran, cominciando a correre verso il luogo che aveva udito dalla trasmittente. Era minimamente conscia del fatto che dietro di lei Kogoro le urlava di tornare indietro e Kazuha la seguiva di corsa. Avrebbe dovuto essere prudente, fermarsi e dare retta a suo padre,  le disse la parte razionale della sua mente, ma l’altra, quella a cui poi dava inevitabilmente ascolto suo malgrado, le ripeteva un’altra cosa:

è quello che avrebbe fatto Shinichi per te. Se avesse sentito gli spari, e avesse saputo che tu eri in pericolo, avrebbe fatto esattamente così.

Giusto. Lei non si sarebbe tirata indietro, non più. Doveva raggiungere il suo amico d’infanzia, stare al suo fianco, se lui era in pericolo. Non voleva e non poteva immaginare che gli fosse accaduto qualcosa, scacciava decisa le immagini truculente che gli spari avevano suggerito al suo cervello. Accelerò l’andatura, senza timore, e qualche passo indietro, un accanito fumatore con almeno una trentina di anni più di lei sulle spalle, cominciò a boccheggiare e a perderla di vista nell’oscurità sempre più pressante della notte.

Ran macinò in pochissimo tempo la distanza che la divideva dall’edificio, arrivando alla terza strada e cercando con occhiate disperate di individuare la costruzione: se aveva sperato di vedere una folla di agenti di polizia, con giubbotti antiproiettili e pistole, barricati dietro una fila scomposta di automobili della polizia con le sirene blu accese, come succedeva nei film, restò amaramente delusa. Il luogo, sebbene meno tranquillo di come l’aveva visto appena scesa dalla macchina, conservava tutta la sua lugubre calma: nel buio vedeva strane figure allontanarsi in fretta da quei vicoli, alcuni spaventati, altri semplicemente scocciati, ma nel complesso regnava ancora quel pesante silenzio che gelava l’anima. La ragazza procedette cautamente, il cuore in gola, sentendo improvvisamente rumorosissimo ogni passo che avanzava. D’un tratto, scorse finalmente attraverso il buio una fila di uomini appoggiati al muro, con circospezione,  che impugnavano una pistola, pronti a quel che sembrava a sfondare la porta di un edificio grigio fumo per farvi irruzione. Attenta a non farsi vedere, decise di osservare la scena da un punto distaccato: se si fossero accorti di lei, l’avrebbero trascinata via, e voleva vedere se Shinichi si trovava lì dentro.

Si nascose nel buio, trattenendo il respiro quando gli uomini sfondarono la porta.

 

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“Coraggio, vieni fuori… non è il caso di farsi pregare.” Gracchiò Gin, estraendo dal cappotto la pistola. Sapeva che il suo avversario era in quel magazzino, nascosto nell’ombra, troppo vigliacco per farsi vedere…dannazione, poteva quasi sentirlo… fiutare l’odore ripugnante della sua presenza. Sorrise crudelmente: quel povero sciocco aveva pensato di poterlo ingannare, di tendergli una trappola con quello stupido giocattolino che gli aveva attaccato sotto la scarpa? L’aveva sottovalutato, decisamente. Ma era stato così divertente poter sfruttare i mezzi del suo avversario a proprio favore...durante le conversazioni che gli aveva fatto ascoltare aveva dovuto trattenersi dallo scoppiare a ridere improvvisamente. Per fortuna era un professionista, sapeva controllarsi...al contrario del suo collega. Vodka avrebbe potuto rovinare tutto, se l’avesse avvertito, era stata una mossa saggia nascondergli gran parte del suo piano. Perché se il bastardo che aveva osato andargli contro l’aveva sottovalutato, lui non avrebbe commesso lo stesso errore: per essere un dannato codardo che non aveva nemmeno il coraggio di farsi vedere in faccia, quel ragazzo era in gamba, oh sì. Altrimenti non avrebbe mai potuto metterlo k.o. durante il loro ultimo scontro, una cosa che gli bruciava maledettamente ancora adesso. L’avrebbe pagato caro, quell’affronto: avrebbe implorato il suo perdono vomitando sangue dalla bocca, il verme schifoso. “Vedrai che farò in fretta…non ti accorgerai quasi di morire.” Mentì, non che sperasse che uscisse dal suo nascondiglio. Era più divertente così: chissà come tremava, spaventato, accorgendosi di essere in trappola come un ratto. Udì un leggero rumore sopra la testa, ma disgraziatamente fu coperto dalla voce baritonale e nasale di Vodka: “Ehm…sei certo che…”

“Zitto!” Tuonò, e il suo collega sussultò, aggiustandosi meccanicamente gli occhiali suo viso, che continuavano a cadergli a causa della fasciatura che gli copriva il naso, impedendo alla montatura di sistemarsi a dovere. Aveva sentito qualcosa, sopra di lui. Lo scricchiolio di un’asse, forse? Alzò la testa, scorgendo nonostante l’ombra marcata due figure appollaiate sulle assi del tetto. Il sorriso s’intensificò, scoprendogli i denti. “Ma guarda…abbiamo due bei piccioni lassù…”

Puntò l’arma e fece fuoco.

 

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“Vedrai che farò in fretta…non ti accorgerai quasi di morire.”

Udì la voce canzonatoria dell’uomo chiamato Gin sotto di lui e si sentì gelare. Come erano stati stupidi! Credevano davvero che sarebbe filato tutto liscio, che avevano in mano loro le redini del gioco? Oh, Kudo aveva ragione: questi criminali erano decisamente ad un livello più alto di quelli che affrontavano di solito. Avrebbero dovuto aspettarselo, o come minimo essere più prudenti, valutare tutte le possibilità prima di agire. Adesso erano in trappola, per di più in una posizione scomodissima: non potevano fare dietro-front e scappare, e se gli Uomini in Nero li avessero scorti avrebbero potuto centrarli entrambi con una pallottola senza troppa difficoltà. L’unica soluzione era…

Sospirò impercettibilmente, alzando lo sguardo, e si accorse che Kudo lo stava guardando, con quegli occhi blu così intensi e profondi, sotto le sopracciglia scure inarcate, cercando di comunicargli un messaggio a cui lui stesso era già arrivato, sebbene la cosa non gli piacesse per niente. Sapeva benissimo che si trattava di spietati assassini, ma l’idea di ferire, di far del male volontariamente…insomma, era ciò contro cui combatteva ogni giorno. Tuttavia, sapeva che non aveva scelta, se volevano uscire vivi da lì. Era sempre meglio che aspettare di essere colpiti da loro come bersagli fissi al luna park. E poi era convinto che Kudo non glielo avrebbe mai chiesto se non fosse stato assolutamente necessario. Dannazione, doveva mollarla proprio a lui quella stupida arma??

Si mosse, spostando il suo peso su una mano sola per estrarre con l’altra la Ruger, e strinse i denti con un sussulto quando udì sotto di lui l’asse di legno scricchiolare pericolosamente. Per fortuna, proprio in quel momento, la voce di Vodka, deformata dalla benda sul naso per la lezione che gli aveva dato Kudo il giorno prima, disse titubante: “Ehm…sei certo che…”

“Zitto!” tuonò l’altro assassino, Heiji capì che doveva aver sentito qualcosa, ma sperava che almeno non avesse compreso da che parte proveniva il rumore. Poi Gin alzò la testa, e sentì tutte le sue illusioni morire con un gemito agonizzante. La sua mente era portata a formare immagini davvero strane quando era davvero teso.

“Ma guarda…abbiamo due bei piccioni lassù…” cantilenò Gin, e lui seppe che se doveva fare qualcosa, quello era il momento. Nello stesso istante in cui l’uomo alzò la pistola e premette il grilletto, Heiji fece lo stesso, pregando inconsciamente di non colpire nessuna parte vitale.

Gli spari, partiti in un solo tempo, si unirono in un solo assordante rumore. Heiji sentì che la pallottola lo sfiorava, senza colpirlo, e contemporaneamente vide Gin reagire come se si fosse scottato, con un balzo all’indietro. Si svolse tutto in pochissimi secondi. Lanciò un’occhiata a Kudo, lui era riuscito a voltarsi e lo guardava stringendo i denti.

“Dobbiamo andarcene subito” mormorò con voce roca, ma sotto di loro Gin aveva di nuovo puntato la pistola; Heiji teneva ancora in mano la sua, cavolo, gli sembrava quasi di sentire la canna bollente per lo sparo, l’odore del sangue. Si preparò a sparare di nuovo, pur sapendo che loro erano più vulnerabili ai colpi rispetto agli avversari, e che adesso che anche Vodka li aveva individuati e si preparava a sparare, erano due contro uno, e ci sarebbe voluto un miracolo per sfuggire entrambi di nuovo alle pallottole.

“Siete morti!” Gridò Gin, e Heiji seppe che stava per sparare di nuovo. Mirò a sua volta, cercando di colpire il suo braccio, ma l’oscurità gli impediva di vedere bene quanto desiderava. Sapeva che entrambe le vite, sue e del suo migliore amico, dipendevano da lui. Kudo era inerme finché restavano lì, erano troppo lontani perché l’orologio spara-anestetico funzionasse, dunque la loro sopravvivenza dipendeva unicamente dalla sua abilità nell’usare l’arma. Tanto bastava per farsi prendere dal panico, ma fortunatamente riuscì a restare lucido. Proprio quando stava per sparare, un suono di vetri rotti e un ennesimo scoppio lo fecero sobbalzare. Gin ruggì rauco, colpito alle spalle, e si voltò verso la finestrella rotta dietro di sé, il suo ansimare percepibile anche dalla loro posizione. Anche Vodka, sorpreso, si voltò, e i due ragazzi approfittarono della situazione per allontanarsi da lì, ripercorrendo in fretta l’asse di legno fino alla fessura da cui erano entrati. Heiji con un salto fu fuori dal magazzino, sospirando, dicendo a se stesso con sollievo che non si sarebbe più cacciato là dentro per nulla al mondo. Si voltò e si accorse con orrore che Kudo non c’era. Fece per ri-arrampicarsi e tornare indietro: per nulla al mondo, sì, tranne il suo migliore amico.

“Ma guarda un po’, cosa abbiamo qui…” lo interruppe una voce, si voltò stupito e si ritrovò faccia a faccia con la canna di un revolver, puntata contro di lui da un uomo sulla quarantina, la barba ispida e due occhietti scuri come quelli di una serpe, completamente vestito di nero. Il naso era arcuato, le labbra erano così chiare che sembrava quasi non averne, che avesse solo un lungo taglio sotto le narici, i capelli erano ingrigiti vicino all’attaccatura. Non aveva un aspetto rassicurante, l’immagine in sé bastava a far venire i brividi: la luce della luna infondeva alla sua pelle un pallore cadaverico, smorto.  

“Magnifico” borbottò, gli occhi fissi sull’arma.

“Sai, ero convinto di dover affrontare qualcuno di importante, vista tutta l’organizzazione di questa serata, e invece…” fece una smorfia, mostrando i denti ingialliti dal fumo, e lo fissò da capo a piedi “…mi ritrovo con un moccioso che va ancora a scuola. Se avessi saputo, avrei occupato meglio il mio tempo. Con qualche bambino, ad esempio.” Il taglio al posto della bocca si stirò in quello che era il sorriso più mostruoso che avesse mai visto, e al sentire le ultime parole Heiji ribollì di rabbia, nonostante la tensione.

“Lei mi fa schifo.” Ringhiò, scatenando nient’altro che una risata divertita dal suo interlocutore, una risata che gelava il sangue.

“Così dicono tutti, ma poi, quando cominci…non fanno altro che piagnucolare, e lamentarsi, e strillare…ed è quello che farai anche tu, molto presto.”

Heiji capì che aveva bisogno di un piano, sentiva gocce di sudore gelido imperlargli la  fronte. Due volte in pericolo mortale in pochissimi minuti, cavoli, era iniziata proprio bene. Ripensandoci, più che di un piano, avevano bisogno di un miracolo.

 

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Takagi e Chiba sfondarono la porta, il volto tirato per la tensione, le pistole in pugno. Dietro di loro, gli agenti confluirono nell’edificio, le armi pronte all’uso. L’ispettore Megure era a capo del gruppo, e non appena si furono disposti urlò: “Polizia! Gettate le armi a terra e…” si bloccò, l’abitazione era vuota e all’apparenza tranquilla. Fece cenno a due uomini di perlustrare le altre stanze, senza abbassare la guardia, mentre gli altri aspettavano, pronti all’azione. Se c’etra una cosa che aveva imparato durante la sua carriera, era che nulla era mai come sembrava, l’insidia poteva essere dietro ogni angolo, nascosta nell’ombra, pronta a colpire. Da un momento all’altro avrebbe dovuto agire. I due poliziotti tornarono scuotendo la testa: “La casa è vuota, signore” lo informò uno dei due, e Megure aggrottò la fronte perplesso. “Davvero strano. Se sono scappati, non possono essere andati lontano: squadra B, perlustrate i dintorni, chiunque abbia l’aria sospetta sia fermato e perquisito. Squadra A, cercate segni di colluttazione e di colpi di arma da fuoco qua dentro.” la cosa era piuttosto strana, aveva cercato di mettersi in contato col giovane Kudo senza riuscirci, e adesso si ritrovavano in quella casa vuota. Possibile che i colpevoli si fossero dileguati così in fretta? Rifletté un momento: e se il luogo non fosse stato quello giusto? “Sato, sei certa che gli spari venissero da qui?” chiese, cercandola con lo sguardo fra gli uomini imbottiti di giubbotti antiproiettili sotto gli abiti borghesi. Nessuna risposta. Nessun segno di lei, a dir la verità.

“Sato? Qualcuno ha visto l’agente Sato?”

Takagi ora si guardava intorno agitato, gli occhi che guizzavano velocemente da un agente all’altro. Anche gli altri sembravano perplessi e in ansia. “Credevamo fosse con noi…questo era il settore assegnato a lei.” balbettò uno dei poliziotti. Ora Takagi era più che agitato: era nel panico totale. Era impallidito di colpo, e Megure sapeva che se non avesse fatto subito qualcosa l’agente avrebbe commesso una qualche sciocchezza. “Takagi, Chiba, andate a cercare la vostra collega. E state attenti. Squadra A, non c’è più bisogno di controllare la casa, cercheremo i malviventi in un altro settore.”

Era evidente che qualcosa non andava. Erano stati ingannati.

  

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Ran era perplessa. Credeva ci sarebbe stata più azione, colpi di pistola, grida, e invece…sembrava tutto tranquillo. Sospirò, avvicinandosi ancora di più alla casa, cercando di scorgere al di là dei vetri malridotti delle finestre il volto del suo amico d’infanzia, senza molta fortuna. Possibile che fossero arrivati troppo tardi? Che Shinichi se ne fosse già andato?

Spero solo che non gli sia accaduto nulla…Shinichi…dove sei?

Rabbrividì, abbottonandosi il cardigan rosa: ora che le sue speranze erano di nuovo scomparse non poteva fare a meno di provare di nuovo paura. Gli orrori che aveva dovuto subire i giorni passati tornarono a farsi strada nella sua mente, il sapore dello straccio imbevuto del narcotico che Mori le aveva premuto sulla bocca, il ruvido delle corde che gli segava i polsi, il calore acre del suo fiato…e poi i due uomini vestiti di nero, gli occhi gelidi e spietati del biondo, la morsa dolorosa della sua mano sui propri capelli, l’odore dolciastro del sangue, i gemiti dell’uomo che avevano torturato…non poté fare a meno di rivivere mentalmente quel passato così terribile e si spaventò, si spaventò perché aveva seminato suo padre e Kazuha, si spaventò perché era di nuovo sola, abbandonata a se stessa, si spaventò perché ancora una volta Shinichi non era al suo fianco. La tentazione di raggiungere i poliziotti e farsi portare in salvo ora le premeva dentro insistente. Il suo amico d’infanzia non c’era, lei non era un’eroina, voleva solo tornarsene a casa. Se Shinichi avesse voluto vederla, in fondo, sarebbe venuto lui a trovarla…  

…Ciò significa che hai decifrato il codice e sei corso a salvare la tua ragazza, il che conferma le mie supposizioni…

La tua ragazza…

Strano come certi pensieri vengano nei momenti più strani. Lei, la ragazza di Conan? Perché il giornalista aveva apostrofato il bambino in quel modo? Per di più, non aveva mostrato alcuna delusione nel vederlo arrivare. Insomma, lui si aspettava di veder venire Shinichi, giusto? Eppure, non aveva battuto ciglio all’arrivo di un bambino delle elementari, al suo posto. Però, lo stabile era buio, poteva darsi che Mori avesse semplicemente sentito arrivare qualcuno e avesse creduto che fosse il suo amico d’infanzia, invece che Conan. Era la spiegazione più logica che riusciva a trovare. Se non fosse che poi…

Chi sei? Dov’è Ran?

Non Ran-neechan. Ran. Quel tono di voce autoritario, carico di energia…conosceva solo una persona che potesse assumerlo. L’aveva sempre affascinata e colpita, per anni. Ma sembrava così stupido pensarci…quante volte l’aveva ipotizzato ed era stata smentita dai fatti? Alla sua recita, non aveva visto chiaramente Conan e Shinichi nella stessa stanza contemporaneamente? E non era una prova sufficiente?? Ciò che pensava era assurdo, fantascientifico…

Ti amo, Ran

L’aveva sentito realmente? O era solo una proiezione dei suoi desideri inconsci?? Quella sera era così disperata…

Scrollò la testa. Non era il momento di perdersi in congetture. Era in pericolo, dannazione!! Era decisamente meglio che si facesse vedere dai poliziotti. Uscì dall’ombra, pronta a raggiungere il suo porto sicuro. Kogoro si sarebbe davvero infuriato, stavolta, aveva paura solo a pensarci. Scorse Takagi e aprì la bocca per chiamarlo, ma una mano guantata di nero le si fermò sulla bocca, mentre un altro braccio, sottile ma forte, le circondò la vita, trascinandola indietro. Ora aveva davvero paura, tutto il suo corpo si tese, il cuore che le sfondava il petto, mentre le sue narici furono inondate da un profumo forte e intenso, nonostante tutto gradevole.   

“My sweet Angel…you know, it’s dangerous here…[1]” Ran cercò di divincolarsi, ma la stretta era decisa, sebbene non tanto da farle male veramente. Non poteva vedere chi la stava trattenendo, e dalla sua bocca potevano uscire solo mugolii senza senso, ma poteva scorgere con la coda dell’occhio una massa di capelli biondi. Chiunque fosse, doveva essere straniera: Ran sapeva abbastanza inglese da capire cosa le stava sussurrando all’orecchio con il suo tono suadente e caldo. Con uno strattone più forte riuscì a farle mollare la presa, arcuò la schiena pronta a farle perdere l’equilibrio colpendole le caviglie con i piedi e a scaraventarla a terra, mossa degna della karateka che era, ma a quanto sembrava anche la sua assalitrice era in gamba, perché riuscì ad ostacolare la mossa e a bloccarla di nuovo, contro il muro stavolta, impedendole altre azioni di quel tipo. “Hai una bella grinta, angioletto...” sussurrò in giapponese stavolta, divertita e per nulla arrabbiata. Ran non sapeva il perché, ma questa donna aveva qualcosa di familiare.

 “Don’t worry, my dear. I’ll take care of you, I promise…and of your boyfriend as well, of course.[2]”

Le sussurrò la strana donna, togliendole la mano dalla bocca per accarezzarle dolcemente i capelli lunghi. Ran riprese fiato con un paio di respiri profondi, mentre le parole di lei le facevano breccia nella mente e nel cuore.

“Cosa intende dire?? Chi è lei? E cosa c’entra Shinichi? È…è stata lei a chiamarmi stasera?”” chiese, cercando con la coda dell’occhio di guardare la sua assalitrice. Chissà se era la stessa donna che le aveva telefonato…eppure non ricordava l’accento straniero.

“Mmm…my name’s Sheila Geller. Sono un’agente di polizia, partecipo all’operazione di stasera, promossa dal giovane Kudo, per questo sono qui. Un ragazzo in gamba, davvero…” disse, mollando anche la presa sulla vita. Ran se la massaggiò lievemente, voltandosi, e finalmente poté vedere in volto la donna; non riuscì a fare a meno di rimanere profondamente colpita dalla sua bellezza, gli occhi grigio-verdi intensi, la folta chioma bionda che le ricadeva sulle spalle con una raffinata eleganza, le labbra fini, ben delineate, rosso fragola. Tuttavia, la palese ammirazione che stava provando non la fece essere meno cauta: “Come faccio a crederle?” replicò con voce dura.

Lei sorrise cordiale; estrasse dalla tasca del suo costoso cappotto nero di cachemire un distintivo della polizia e glielo mostrò.  “Ora sei soddisfatta?”

Ran sbatté le palpebre, indecisa. In fondo poteva essere falso…

“Se lei è della polizia, perché mi ha aggredito?”

“Oh, I’m so sorry…” disse lei, con aria davvero mortificata “Ti ho vista e ti ho bloccata d’istinto…è pericoloso girare qui intorno per una graziosa liceale come te, soprattutto mentre è in corso una pericolosa azione di polizia. Ammetto che sono stata un po’ brusca, e mi dispiace tanto…ti ho fatto male?”

“Oh, no…non si preoccupi” si affrettò a dire Ran. La donna, che inizialmente l’aveva messa in soggezione, ora le faceva quasi tenerezza. Sembrava davvero amareggiata per quello che era successo. Tuttavia, i suoi genitori le avevano insegnato a non fidarsi delle apparenze, e lei non era ancora disposta a lasciarsi persuadere completamente.

“Mi scusi…ma come faceva a sapere che Shinichi è il mio…” si sentì arrossire e abbassò gli occhi. In effetti, Shinichi non era il suo ragazzo. Insomma, uscivano spesso insieme –almeno prima- ma…non c’era stato mai nulla di ufficiale. E poi…lui magari la considerava solo un’amica. Comunque, avevano una qualche specie di relazione, e se la donna l’aveva chiamato il suo “boyfriend” significava che era a conoscenza della loro rapporto. Ma come poteva, se non si erano mai viste?

“Oooh…” la sentì esclamare “…me l’ha detto Sato.”

Ran alzò lo sguardo. “Lei conosce l’agente Sato?”

“Siamo ottime amiche!” confermò la donna con un sorriso radioso. “È lei che mi ha indirizzata a questo distretto. Sai, prima lavoravo in America, avrai notato che sono straniera. Sato mi ha aiutata ad inserirmi e ad imparare la vostra lingua.”

Ora Ran era decisamente più tranquilla. Se conosceva Sato, non poteva essere una cattiva persona. Ricambiò il sorriso, annuendo.

“Ma ora è meglio che ti porto via di qui, it’s too dangerous for you.” Aggiunse seriamente.

“Sì…dovrei tornare da mio padre, mi sta cercando qui intorno.” La informò, Sheila annuì, proponendosi di accompagnarla, e camminarono fianco a fianco per un po’. Ran si sentiva più tranquilla con la poliziotta al suo fianco, era una guardia del corpo perfetta. Certo, era amareggiata per non aver trovato Shinichi, dopo tutto quello che aveva passato, ma in fondo al cuore sperava ancora di poterlo incontrare, finita l’operazione.

Ti prego Shinichi…se sei qui vieni da me…ho bisogno di vederti…di vedere lo sguardo dolce e carico di tepore che rivolgi soltanto a me, di sentire la tua voce calda e rassicurante…ho bisogno di te…

“Senti…cosa intendevi dire quando mi hai chiesto se ero la donna che ti aveva chiamata questa sera? Quale donna?”

Chiese ad un tratto lei, interrompendo i suoi pensieri e facendola sussultare lievemente. Era indecisa se raccontarle della telefonata o no, quindi restò in silenzio per un po’. Stabilito che era un’informazione tutto sommato innocua, si risolse a rivelarglielo. “Beh, ho ricevuto una telefonata da una donna che mi informava di questa operazione…ehm, cioè, non proprio: mi ha detto soltanto che avrei potuto trovare qui Shinichi.”

“Mmm.” L’agente assunse un’aria meditabonda, arcuando le sopracciglia perfette, ma non chiese altro sull’argomento. Si addentravano sempre di più nel caseggiato, Ran cominciò a guardarsi intorno allarmata. Perché pensava che avrebbe potuto trovare suo padre in quel postaccio? Cominciava a sentirsi di nuovo impaurita.

“Ehm…mi scusi…dove stiamo andando?”

Lei le sorrise. “Where you want. [3]”

“Ha visto mio padre da queste parti?” Chiese Ran, più scettica che perplessa, bloccandosi.

La donna non batté ciglio, né smise di sorridere.  “I said where you want, not where you asked for, my dear Angel. A promise is a promise, after all.” [4]

 

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[1] Mio dolce angelo…lo sai, è pericoloso qui…

[2] Non preoccuparti, mia cara. Mi prenderò cura di te, promesso…e anche del tuo ragazzo, naturalmente

[3] Dove vuoi.

[4] Ho detto dove vuoi, non dove mi hai chiesto, mio caro angelo. Una promessa è una promessa, dopotutto.

 

Note dell’Autrice: ciao a tutti!! Di nuovo mille scuse per l’estremo ritardo, é __ è lo so, ultimamente sono una frana in quanto a velocità. In parte per colpa della scuola, visto che i prof  ci stanno letteralmente bombardando di compiti in classe e interrogazioni, facendo fondere le mie fragili meningi, +__+ un po’ per colpa mia, visto che quando sto a casa e miracolosamente non ho molti compiti da fare mi crogiolo nell’ozio più puro. Ehi, anche il cervello merita una vacanza ogni tanto, no? Mi dispiace comunque che a rimetterci sia la stesura della storia, credetemi, piacerebbe anche a me avere più tempo per scrivere. Ma sapete cosa vi dico? Dopo il 10 giugno, sarò libera dalla tirannide, e spero di riprendere un ritmo di scrittura abbastanza decente.  ^__^

Allora, lasciando perdere la mia vita stressata e tornando alla storia…che ne pensate di quest’ultimo capitolo? Ho affrontato il primo momento di vera azione in questa seconda parte della storia (per chi non se ne è accorto, ho suddiviso la storia in due parti: la prima si è conclusa con il capitolo 16, l’altra è ancora in corso…se ben notate, sono praticamente due piccole avventure riunite in una sola trama, la prima era quella del giornalista, con tutta l’azione al Tropical Land eccetera, la seconda è questa contro l’Organizzazione. Sono contorta, eh?) e sinceramente non so davvero come me la sono cavata. Insomma, mi trovo molto più a mio agio con le scene tranquille, l’azione vera e propria mi ha sempre spaventata, e adesso che l’ho affrontata non so se posso dire di esserne uscita illesa. Spero che anche che non ci siano errori nell’intreccio, se sì fatemelo notare, mi raccomando. Ditemi cosa ne pensate, anche critiche costruttive, che mi aiutino a migliorare la ff, se credete. Potete essere diretti, ma non spietati, per piacere:  ultimamente, causa l’essere sotto pressione, sono più fragile del solito. ^^” Allora, avrete notato che ho tradotto in italiano le frasi pronunciate da Vermouth in inglese. Ho preferito fare così per permettere di capire anche a chi non è molto ferrato con la lingua. Certo, mi sono limitata a spiegare le più articolate: credo che tutti voi sappiate tradurre “My name’s…” no? ^ _ -- Per il resto non credo di avere nulla da aggiungere (dico credo perché ultimamente, come vi ho già detto, il mio cervello si prende dopo la scuola lunghi periodi di out of business, appendendo fuori dalla porta un cartello “fuori servizio”, il che spiega anche la metafora ^^”). Passo a ringraziare quelle persone meravigliose che mi commentano, vi amo, vi adoro…siete grandissimi!! #^^#

Sabry1611: ciao! Grazie mille dei tuoi continui commenti…sei un angelo! Sono felicissima che lo scorso capitolo ti sia piaciuto, nonostante non fosse poi così corposo di avvenimenti. Anche a me piaceva molto la scena fra Ran e Kogoro in macchina...povera Ai, ho notato che sono in molti ad avercela con lei…e io mi accorgo di non migliorare la situazione ultimamente!^^” Avevi ragione, niente va mai tutto liscio…Heiji e Shinichi non danno propriamente il meglio di loro in questo chap, ma sta’ tranquilla, gli darò modo di riscattarsi e “fare gli eroi”…spero che il capitolo non ti abbia delusa, non sono sicura che sia venuto bene. Fammi sapere, eh? Un bacione, e  scusa per l’attesa!!

Ersilia: ciao! Ti ringrazio dei complimenti, sei dolcissima…^//^ dopo tutto il tempo che ti ho fatto aspettare, spero che il capitolo sia stato di tuo gradimento…mi dispiacerebbe moltissimo averti deluso! Naturalmente, non farti scrupoli a dirmelo se è così: farei di tutto per migliorare! Baci, alla prossima.

Yuki: salve. Ran ha avuto il suo spazio in questo chap, il prossimo sarà destinato a Kazuha…vedremo cosa succederà! Non avercela troppo con Ai, in fondo tira acqua al suo mulino…non molto etico, ciò che ha fatto, lo ammetto, ma è pur sempre un’ex criminale…

S: m?

Sere: grazie, spero continui a piacerti!^^

Hoshi: Povero Kogoruccio…va bene che tante volte anch’io ho moti di odio nei suoi confronti, come quando si vanta delle sue deduzioni e raccoglie i frutti del lavoro del povero Conan, o lo picchia impunemente…però alla fin fine è un bravo papà per Ran, le vuole bene davvero. E se si impegna, riesce a sorprendere. Beh, Ran si è cacciata in un pasticcio, ma in questa ff, non so perché, la maltratto sempre più spesso…povera…e dire che l’adoro. Pensa se la odiavo!

APTX4869: ciao! Ho buttato tutti nella mischia…spero di non aver fatto un disastro! Dimmi cosa ne pensi, eh? Sono in ansia con questo capitolo, spero che ti sia piaciuto. Kiss!

Ginny85: salve! Scurissima per il ritardo, so che ti ho fatto penare di nuovo tanto, ma come ho già spiegato non è del tutto colpa mia. Sorry! Mi ha fatto molto piacere leggere il tuo commento, e sono contenta che il far tornare Shinichi adulto ti abbia entusiasmata, in quanto alla pazzia…benvenuta nel club!^^ sai che non mi ero quasi accorta di non aver descritto fisicamente Shinichi? All’inizio era voluto, anche per quello ho descritto la scena dal punto di vista di Heiji, volevo che restasse il dubbio ancora per un po’, finché il ragazzo di Osaka non ci ripensava. Io stessa mi immaginavo quella scena con Shinichi sul sedile posteriore, avvolto nell’ombra e poco visibile. In seguito, mi è passato di mente… per la tua gioia, ho inserito una breve descrizione all’inizio, e vari riferimenti durante il chap…ma non è finita qui, promesso! ^ __ ~ far fare qualcosa di maligno ad Ai era stata la mia aspirazione fin dall’inizio della storia…così quando mi sono chiesta “Come diavolo ci faccio entrare Ran e Kazuha nell’azione se quei due non se le porteranno mai appresso..?” mi è venuto in mente lo scherzetto del telefono. Ran continua a pensare alla cassetta…ricorda che ce l’ha ancora con lei, eh! Spero di non aver deluso le tue aspettative, fammi sapere cosa ne pensi del capitolo, ok? Un bacione, spero di poter aggiornare prima!

Marghe: ciao! Sono felice che la mia storia ti piaccia, ti ringrazio tantissimo della recensione e dei complimenti…spero di risentirti e che la mia ff continui ad essere di tuo gusto.

Ruka88: salve! Mi fa piacere che tu abbia deciso di commentare la mia ff, e soprattutto che ti piaccia. Grazie mille dei complimenti, spero che continui a seguirmi e che quest’ultimo capitolo non faccia crollare le tue aspettative sulla storia!

Meila: Ciao! Come ho già detto, io adoro sia Ran che Ai…quindi non sono contraria  né a storie che siano Shinichi/Ran (d’altronde lo è anche la mia) né a storie Conan/Ai…il ragazzo ha successo!

Akemichan: salve! Fa sempre piacere ricevere commenti da scrittrice di gialli così ferrate e in gamba…ci tengo molto ad una tua opinione su questo capitolo d’azione, sebbene, più che un giallo, sia un thriller! Beh, io ho parlato di desiderio di vendetta infatti… :p Ai tende a sopravvalutarsi in quanto a cattiva….contentissima che tu sia d’accordo con me su Kogoro. Uhm…la cosa di Praga è sorprendente, magari siamo perfino partite insieme, chi può dirlo? ^^ Sarebbe davvero tutto da ridere se ci fossimo parlate o roba del genere. Bella città, vero? L’orologio con i segni zodiacali mi è piaciuto particolarmente…il cibo faceva schifo, tutte le sere pasta scotta e carne disgustosa…e poi si sorprendono che uno si rifugia a pranzo da “Pizza Capri”! Un bacione, spero di risentirti. E complimentosi per la tua ff, è stupenda!!

Lili: Grazie! Sono contenta che lo scorso chap ti sia piaciuto, e che sia riuscita a trasmetterti quelle sensazioni. Era proprio il mio intento!!^^ Dimmi cosa ne pensi anche di quest’ultimo, eh! A Praga sono stata bene, mi sono divertita moltissimo, a parte il cibo, chiaramente. Ma si sa, da nessuna parte si mangia bene come in Italia! Tra l’altro lì i costi sono veramente bassi, mi sono comprata un paio di magliette di marca a prezzi incredibili!! (w gli obiettivi culturali). La città era bella, ma di sera girava brutta gente…andare nei pub sole sarebbe stato un suicidio, i prof dovevano scortarci, per fortuna che poi se ne stavano in disparte (ci siamo fatti accompagnare dai più ‘buoni’, mica siamo scemi!)

A presto, un bacio.

Mareviola: grazie! Ho postato il prima possibile, spero di non deluderti!

Kiara:  ti ringrazio della recensione e dei complimenti, spero di risentirti! Smack!

Questo è tutto per oggi. Ancora scusate per il ritardo, farò del mio meglio con il prossimo aggiornamento, promesso! Fatemi sapere le vostre opinioni su questo chap, ci terrei veramente, perché ho trovato un bel po’ di difficoltà a districarmi in mezzo al caos che ho creato io stessa. “Chi è causa del suo mal, pianga se stesso” , praticamente.

ciao

-Melany

 

 

  
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