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Autore: GoldSaints    19/11/2009    4 recensioni
Gamlehaugen non è imponente come l'Akershus, la fortezza costruita dalle mani dei vecchi re di Norvegia, antica quanto Oslo. Gamlehaugen è un castello da fiaba, circondato dalla foresta. Gamlehaugen è una cornice fatata, di un incontro che di innocuo ha solo l'apparenza. E forse neanche quella.
{MINOS/RUNE} {pre-Hades}{shonen ai implied}
{by LeFleurDuMal & Ren_chan}
Genere: Dark, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Sorpresa
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Eton, Inghilterra

“Nessuno di loro può farmi del male” alzò la voce Minos, senza nemmeno curarsi della presa al suo braccio. Invece, indicò con un ampio gesto, da banditore, le meraviglie della sua collezione di marionette. “Non lo faranno nemmeno a te, se non glielo dico io.”

Rune annuì. Non ci credeva poi tanto.

Se fosse stato altrove, avrebbe sorriso.

Ma in quella stanza era tutto molto realistico.

“Non glielo dire” gli chiese, ad ogni buon conto. Quello che non si aspettava, dopo quella richiesta, a dire il vero, era il silenzio. Minos si voltò verso di lui con un’espressione inspiegabilmente cattiva, un ghigno feroce.

“Se non mi fai arrabbiare, no.”

Allora Rune lasciò la presa di colpo, terrorizzato da quel sogghigno, e arretrò davvero.

Inciampò nel burattino. Cadde a sedere con un tonfo, e anche allora non smise di arretrare.

L’altro, con suo terrore, avanzò verso di lui di scatto, e lo prese per il braccio, forte, strattonandolo su. Rune si ritrovò in piedi, vicinissimo a lui. Scosse la testa, facendo cenno di no con la testa, gli occhi enormi. Non ti farò arrabbiare. Deglutì, senza riuscire a trovare la forza di parlare.

“Non…”                        

Ma Minos lo stava già spingendo fuori dalla stanza.

E fu un’esplosione di colori, di luce, e di una lunga risata.

 

 

 

Capitolo II
I corridoi

 

 

Inondati dalla luce calda delle lampade, era uno scenario che cambiava totalmente, come uscire strappati da un sogno, con una risata fragorosa:

“Sono leggende! Sono soltanto vecchie leggende!”

Il freddo dei corridoi pungeva la mente, come un sano risveglio. Gli addobbi natalizi che decoravano le sale, i quadri, tutto rifletteva nuove luci, più calde. Attorno era un coro di voci, passi, qualche musica lontana. Tutt’un’altra cosa. Minos rideva, trascinandosi dietro Rune, senza più quella presa di ferro sul suo braccio.

“Non ci avrai creduto?” Si voltò a guardarlo, sempre camminando, da sotto la foltissima frangia. “Il figlio del primo ministro è un vero credulone.”

Poggiò due dita sulle labbra, senza staccare lo sguardo, nascosto, dal suo giovane ospite: “Fufufu.”

Appena fuori dalla stanza, Rune sembrò capace di ristabilire un contatto con la realtà, come se il tempo avesse ripreso a scorrere, e l’ossigeno tornò ai suoi polmoni. Si rese conto di avere trattenuto il respiro, e ne prese uno bello profondo. Anche se stava quasi correndo, trascinato dal passo veloce di Minos, gli sembrò finalmente più facile inalare aria. Quando poté fermarsi, tirò via il braccio dalla presa di Minos, delicatamente, senza strattonare.

“Non ci ho creduto. Scherzavo” disse, anche se sentiva ancora il cuore in gola. Ripensò alla stanza. Erano solo bambole.

Minos parve intuire i suoi pensieri, perché gli rivolse un altro sorriso di quegli strani, che parlava di nuovo di bambole e marionette, e di spiriti che annegano nell’acqua. Ma un momento dopo quell’espressione era già spariva, e camminava con un sogghigno più neutrale, vago, per i corridoi. Pareva che sogghignare per quel ragazzo fosse più una specie di abitudine che altro. Rune ebbe un ultimo tremito, residuo dell’inquietudine di prima, e lo seguì. Fosse anche solo per allontanarsi da quella maledetta stanza.

Ma tu non dormi lì” notò diligentemente, ricordando che non c’erano letti. “È la stanza da gioco?” domandò, ingenuamente. Dopotutto era un castello di re.

“È la stanza delle bambole” fu la neutrale risposta, che lasciava intendere come un ragazzo cresciuto preferisse il collezionismo al baloccarsi.

“Capisco” rise Rune. “Ti sarò sembrato sciocco. Ma non ero mai stato in un castello come questo, prima d’ora.

La risata suonò argentina, tra quelle vecchie pareti. Tanto che Minos non rispose, proseguendo la sua camminata spedita sino alla fine del corridoio. Lo condusse, con sua pacata sorpresa, fino alle porte della sala dove Rune aveva lasciato il padre, poche ore innanzi. Il giovane lo seguiva, docilmente. Riprese a guardarsi intorno, rassicurato.

“Tu aspetta qui.” La voce dell’altro lo riscosse, quasi. “L’udienza di tuo padre terminerà a breve.”

“Sì.”

Si fermò, obbediente, mentre l’altro proseguiva per il proprio cammino, di buon passo. Lo vide imboccare quasi subito un corridoio a destra, sparendo alla sua vista. Incerto, si domandò se avesse in mente qualcosa, o se il principe avesse semplicemente lasciato intendere che aveva altro da fare. Il principe, tornò a ragionare il ragazzino, ancora senza capacitarsene. Ma era poi vero? Il suo volto non gli era noto. L’albero genealogico della famiglia reale continuava ad affacciarsi ordinato alla sua memoria, senza che il nome di quel ragazzo riuscisse a trovare una collocazione. Passò diversi minuti a questo modo, spostando lo sguardo sui soffitti alti, sugli arazzi alle pareti. Decisamente, meglio ovunque che in quella stanza, si ritrovò a pensare.

Ad un tratto dovette cessare di guardarsi svagato attorno, come il cigolio delle pesanti porte gli annunciò l’arrivo del re, vecchio e in forma, a fianco del suo primo ministro, circondati da un corteo di funzionari ed altre personalità di alto rango. Gli uomini erano preceduti dal brusio della conversazione, che, intavolata a mezzo, ancora non interrompevano. Rune aderì quasi al muro con la schiena, per non dare nell’occhio, ed accennò un inchino al passaggio del sovrano. Vide con la coda dell’occhio il padre allungare il capo, riconoscerlo, ed esibire un largo sorriso.

“Rune! Vieni qui, Rune.”

Sembrava molto soddisfatto, più del solito. Evidentemente la riunione era andata molto bene. Rune accorse, solerte, ed accennò un nuovo inchino col capo, incerto sul protocollo.

Il re si limitò a sorridere, educatamente, al ragazzino dagli occhi grandi che lo guardava come se fosse stato quell’anzianotto in persona a edificare la fortezza dell’Akershus, scavando la pietra nera ed erigendo le torri possenti a vegliare su tutta Oslo. Ad ogni buon conto, si impettì, mantenendo un’aria di studiata indulgenza; certo, era facile fare colpo sui ragazzini, ma assunse lo stesso quella posa, quella da chi potrebbe, per un ghiribizzo qualsiasi, decidere di aggiungere una torre o due, per dire. Rune ci cascò con tutte le scarpe.

“Rune, figlio mio. Io e Sua Maestà abbiamo parlato anche di te, lo sai?

“Di me?”

Il padre rise, scambiò un veloce sguardo con il re impettito, e confermò: “Pensiamo di averti trovato un compagno di giochi.”

A questo, il re rise. Parlare di compagni di giochi a quell’età era veramente buffo. Rune infatti arrossì, trovandolo ben poco divertente.

“Compagno di giochi. Mh, sì. Chissà che non possa servire, per una più stabile collaborazione tra corona e governo, un contatto tra le generazioni più giovani.

“Saggia considerazione, Vostra Maestà.”

“Rune, vero? Avvicinati, Rune. Voglio presentarti mio nipote. È un principino, sai.”

“Mi… mi lusingate, Maestà” balbettò quello, profondamente incerto, ma composto. Allora si trattava di lui? La confusione che aveva in testa non lo aiutava a reagire con il giusto tempismo. Di quale principino stava mai parlando il re di Norvegia? I suoi nipoti non raggiungevano la decina d’anni! Questo tuttavia non impedì a Sua Maestà di farsi di lato per lasciare passare e palesare il maggiore dei figli di suo figlio. Quello illegittimo, certo, e mai riconosciuto.

 

Il re, snocciolando nomi, cognomi, circostanze, titoli e formule di rito, sorrideva. Ce la mise tutta e compensò con un gran sorriso l’insopportabile, impenetrabile sogghigno del giovanotto che non si era mai impegnato particolarmente per farsi benvolere, a corte, con i suoi modi stravaganti. Ne erano tutti discretamente terrorizzati, a dire il vero. Rune per primo sbiancò e rischiò il collasso.

“Vostra Altezza.” Il Primo Ministro diede prova della sua scarsa empatia una volta di più, sorridendo come se si stesse proponendo un picnic all’aperto, e spinse avanti il sangue del suo sangue in pasto al figlio spiritato di Sua Altezza Reale: “Questo è mio figlio, Rune!”

“Ehm…”

Molto piacere, Rune.”

Sibilò Minos, tendendo avanti la mano. Perché gliela baciasse, ovviamente. E prova a darmi del tu adesso, era il messaggio del suo immancabile sogghigno. Rune rimase imbambolato per un attimo, dopo un capogiro da record. Poi, tentennante, fece quello che esattamente ci si aspettava da lui: si inchinò, e baciò la mano che gli era stata porta.

“Spero che diventeremo ottimi amici.”

 Il re ignorò il tono di voce affatto rassicurante con cui il nipote stava dando spettacolo, e il lampeggio furibondo degli occhiacci gialli. Ora che aveva visto Rune, era ottimista: sembrava così dolce e rassicurante, il compagno ideale per limare gli spigoli del carattere di quell’erede intrattabile. Che comunque erede non sarebbe mai stato, com’era stato accuratamente deciso. Il Primo Ministro, da parte sua, era ottusamente felice. Rune ritrovava l’innocente sorriso di giovane norvegese senza ombre: “Lo spero anche io.”

Una manica di poveri illusi, insomma.

Minos inclinò appena il capo di lato, senza smettere di sorridere. Come una marionetta, di nuovo. Rune rabbrividì, di un brivido involontario, ma lui pareva divertito, quindi timidamente gli ripropose un sorriso. La voce del re li interruppe, anche se era rivolta al suo primo ministro:

“Direi che possiamo anche lasciarli. Rune si ambienterà benissimo, già lo so.”

“Allora possiamo andare?” strascicò mellifluo Minos, senza onorare il nonno di alcun appellativo.

“Andate, andate!” rimase gioviale, il monarca, contando che gli era anche andata bene. “Gamlehaugen è vostro!”

Un intero pomeriggio libero si srotolava come un tappeto davanti ai due ragazzi, liberi di fare sostanzialmente tutto ciò che aggradava loro, e Minos aveva tutta l’aria di chi ha intenzione di godersi le vacanze di Natale, prima di ritornare al college. L’Inghilterra era noiosa, di quel periodo. E in più aveva trovato un nuovo giocattolo.

 

“Tanto per cominciare” ghignò spietato, il giovane principe, incedendo lungo i corridoi con finalmente un galoppino a disposizione “che ne diresti di utilizzare una forma più rispettosa, quando ti rivolgi a me?”

Rune sbatté gli occhioni e replicò, prontamente, disponibile: “Come vuoi che ti chiami?”

Era uno di quei ragazzini che non hanno mai ricevuto punizioni corporali, e che se mancano di rispetto lo fanno in buona fede. Ciò non lo salvò dall’occhiata superiore dell’altro ragazzo, e dal tono improvvisamente duro con cui lo apostrofò:

“Come ti appelleresti ad un membro della famiglia reale, Rune?

Rune sussultò. Non ci aveva pensato. Aveva creato una sorta di intimità, quel primissimo incontro, che l’altro evidentemente non condivideva. Chinò il capo, diligente, un filo di voce: “Perdonate, Vostra Altezza.”

“Così va meglio” lo gratificò soddisfatto l’altro, smettendo di camminare per godersi il risultato delle sue parole.

I suoi repentini cambi di umore disorientavano Rune, che non sapeva esattamente come porsi nei suoi confronti. Si limitò a raddrizzarsi, decidendo di lasciare a lui ogni più piccola iniziativa, e lo guardò, senza dire nulla, se non con i suoi occhi grandi. Minos li contemplò, pensando che fossero molto interessanti. Erano gli occhi di una persona innocente, innocente come non aveva mai visto nessuno, nemmeno i suoi coetanei. Soprattutto i suoi coetanei. Gli voltò le spalle, camminando a passo spedito, pensando a quale godimento gli avrebbe procurato gettare nel fango una creatura di quel genere.

 

Nelle piccole passeggiate che compirono per Gamlehaugen, quel primo pomeriggio, Rune si limitò a seguire Minos, sempre rispettosamente di un passo indietro, senza osare chiedere nulla. Ma con sua grande sorpresa Minos si limitò concludere i loro giri semplicemente al primo piano, sui quali gradini tornò a rivolgergli la parola:

“Ti hanno già fatto vedere dove dormirai?”

“Sì, in verità, Vostra Altezza” si affrettò a rispondere lui.

Mh. Immaginavo.”

“Vi ringrazio…” saltellò un paio di gradini in fretta, per affiancarlo, con un sorriso “…per questa opportunità. Per me è un grande onore crescere al fianco del principe di Norvegia.

Minos rimase in silenzio, senza sprecarsi a confermare. Dopotutto, non l’aveva nemmeno deciso lui. In quel silenzio, si limitò ad indicare una porta, poco più in là. La sua.

Interpretando il suo silenzio, Rune aprì la porta della propria camera, rimanendo però fermo sulla soglia. Minos annuì, svogliatamente, e si defilò quasi immediatamente, congedandosi laconico: “Se avrò bisogno di te, ti chiamerò.”

Ma…”

Inutile. Se ne era già andato. Rune provò a fare qualche passo e a sporgersi dalla scala: “Aspettate!”

Silenzio. Fece solo in tempo a vedere la sua ombra dileguarsi per il corridoio. Non gli rimase che entrare, decidendo di restarsene buono e fermo lì fino a nuovo ordine: per quanto lo riguardava, aveva avuto l’impressione di averlo contraddetto anche troppo, il giovane principe, per quell’oretta scarsa che avevano trascorso assieme. Inoltre ne aveva avuto abbastanza di aggirarsi da solo per i corridoi, quindi si accinse ad obbedire. Entrò in una stanza elegante e ben tenuta, la stessa che lo aveva accolto quella mattina. Rune notò anche che le sue valige erano già state fatte portare ai piedi del letto, così si risolse a disfarle, per prendere tempo, e per tenere occupate le mani mentre la testa era piena di pensieri. Chissà quando avrebbe sentito bussare alla porta, e chissà per quali nuove passeggiate sarebbe stato condotto.

 

Per aspettare, aspettò.

Aspettò tra le luci calde e le voci del castello. Aspettò tanto che si spensero.

Aspettò sino a che i lumi furono bassi, e che il cielo, già scuro, si facesse nero.

Allora rinunciò e si infilò il pigiama e si intrufolò a letto, interrotto nell’operazione solo da suo padre, che era passato per la buonanotte, e per farsi raccontare le sue impressioni sulla giornata. Avevano parlato per un po’, e il primo ministro si era dimostrato orgoglioso dell’onesto entusiasmo che il figlio lasciava trapelare: il brav’uomo temeva di aver caricato le sue esili spalle di un peso troppo grande, ma calata la sera era bello poter contemplare il suo visetto bianco animato da quel genere di sorriso capace di confortarti e rassicurarti che andava tutto bene, anche dopo una giornata passata a discutere su ogni più piccolo comma dimenticato da Dio. Gli fece una carezza affettuosa tra i capelli biondi, e lo benedisse ad alta voce, di cuore. Poi lo lasciò coricarsi, e gli spense la luce, come faceva anni prima, quando lo portava a letto già addormentato. La notte si preannunciava silenziosa.

Rune aveva chiuso gli occhi già da un pezzo, dopo che il padre l’aveva lasciato. La tempesta si era placata, i venti anche, e lui si girò sul fianco, nella morbidezza confortevole del materasso, in attesa di prendere sonno. Si accomodò. Non si stava affatto male, non fosse stato per quello spiraglio d’aria fredda sul collo. Si rannicchiò, senza nessuna intenzione di abbandonare la sua nicchia calda per andare a controllare la finestra, e si immerse nelle coperte sino al naso. Poi, quando osò abbassarle, per puro caso, si ritrovò davanti una faccia. E lanciò un urlo da svegliare l’intero castello.

 

 

 

 

 

 

 

 

~ Gamlehaugen’s corner  by Ren_chan

 

 

Povero Rune. No, sul serio. Non dovete pensare che lo dica di circostanza. Povero Rune.

Due parole sulla famiglia reale norvegese, che ho pensato bene di tirare in ballo senza troppe remore. Ecco a voi un avviso obbligatorio da leggere:

 

à QUESTA FANFICTION INCLUDE PERSONE VERE E LUOGHI VERI ß

 

Saint Seiya è ambientato nel 1986, questa fanfic prende le mosse dal 1979: Minos ha 16 anni, Rune 13.

Mi rifaccio inoltre per i miei loschi scopi a Wikipedia all’albero genealogico della famiglia reale norvegese, il cui re attualmente è Harald V di Norvegia. Harald ha ereditato il trono nel 1991 alla morte del padre, Olav V di Norvegia: all’epoca della narrazione, il re era ancora quest’ultimo, mentre il primo aveva il titolo di principe ereditario. Da ciò se ne desume che Minos, nella mia artistica ricostruzione che lo vuole figlio illegittimo di questa casata, sarebbe il primogenito di costui. È ovviamente superfluo rettificare però che l’albero genealogico e la conformazione della famiglia reale norvegese mi serve unicamente come fonte d’ispirazione; è altresì il motivo per cui non faccio nomi di persona nel corso della narrazione vera e propria, e non ne farò ogni qual volta dovrei tirare in ballo un personaggio istituzionale che all’epoca era in carica. Quindi nessun intento diffamatorio nei confronti di quei simpatici nordici, ok? Se volete ulteriori conferme della loro estraneità ai fatti potete andare a chiedere udienza a Palazzo Reale. Che però sta ad Oslo. A proposito, anche Gamlehaugen esiste. Ed è bellissimo e lo bramoh. *O*

 

 

 

Grazie a

 

Chi ha messo la fan fiction fra le seguite (Lawliet, Marluxia25, l’immancabile e adorato Shinji) e chi, dandoci subito fiducia, tra le preferite (la gentilissima Malu Lani, la nostra Ruri, Marluxia25, e shura 4 ever).

Lasciateci anche un commentino, dai, dai, dai! <3 L’esortazione non vale per Malu Lani, che ci commenta sempre e sempre con la solita gentilezza, e Shinji perché è il Dio degli Inferi. E perché recensisce puntuale come un orologio svizzero viola. Se ci è consentito di fare pubblicità, in questo minuscolo inciso, Shinji è un altro che in questo momento si sta lisciando gli specter con una longfic deliziosa e che noi amiamo come fosse nostra, Il Canto della Banshee. Guardatela e amate il protagonista. <3 Poi un grazie immenso a Stateira per il supporto dolce e tenace, e a li_l, che ci assicura che ci sono fan della coppia che ci supportano! u_u Alla prossima allora! *_*

 

   
 
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