Natalie, Natalie…gran bella ragazza, peccato abbia quella fissa di scappare di casa a mesi alterni. La incontravo quasi tutti i giorni, quando ancora reputava casa propria un posto decente in cui vivere. Da un giorno all’altro ha cominciato a darsi alla macchia senza una spiegazione plausibile e io ho cominciato a correrle dietro con il guinzaglio e la museruola.
Poco più di un metro e 65, bionda, occhi nocciola chiari…strani occhi. Violenti a volte, dolci o tremendamente sensuali quando cerca di sedurmi in quel modo goffo...il potenziale ce l’ha ma a tecnica non ci siamo: deve impratichirsi e magari, fra un paio d’anni, riuscirà anche a convincermi del contrario.
Nel complesso è una ragazza normale, ma molto molto carina. Anche troppo.
Sarà il modo che ha di sorridere o quella smorfia che fa quando mi vede, fra l’esausto e il compiaciuto…ha quel qualcosa che poche donne hanno...quel certo ‘non - so - che’ che ti fa ammutolire e comportare bene quando si è in loro presenza, che ti fa moderare il linguaggio e ti rende quasi schiavi di un loro sorriso.
Tutto questo in una ragazza di 22 anni.
22.
Quando crescerà sarà inarrestabile, spezzerà più cuori lei che l’intera popolazione femminile messa insieme.
Mi sa tanto che le piace che le corra dietro...anche a me fa piacere, lo ammetto. Mica per i soldi, lo farei anche gratis.
È una specie di nascondino scemo che facciamo da due mesi. Lei scappa e lascia tracce sufficienti a trovarla, non si premura di sparire mai del tutto e non si allontana mai dallo stato.
Mai capita…è strana, inquieta.
No, non l’inquietudine che può provare una ragazza di quell’età…più profonda e radicata, sembra quasi che soffra per i mali del mondo.
E quello sguardo che mi lancia ogni volta che la riporto a casa…intenso, dispiaciuto, ferito...
“Tanto scappo un’altra volta” mi avverte sempre prima di aprire la portiera, la testa voltata verso l’ingresso della casa.
“Tanto ti ritrovo un’altra volta” le dico di rimando come un ritornello senza neanche guardarla.
Se non fossi così come sono, penserei che si è presa una mezza sbandata per il sottoscritto. Non che sia sto granché: faccio abbastanza schifo dopo giornate passate in macchina a guidare e a domandare in giro sue notizie, con quella maledetta foto appiccicata alla mano come fosse parte integrante della pelle e dei tendini.
Certe volte penso di essermi affezionato a lei.
Certe volte me la sogno anche di notte, Natalie.
Eppure ha tutto quello che può desiderare...è ricca è ben voluta dagli amici, non le manca niente.
I genitori sono brave persone e io gli stronzi li sgamo all’istante: qualsiasi situazione torbida in quella famiglia l’avrei pizzicata subito.
Che ti passa per la testa, Natalie?
***
“NATALIE!”
La ragazza sobbalza per un breve istante, girando la testa verso la compagna “che c’è?”
“Bisogna sparecchiare i tavoli e pulire, quando i clienti se ne vanno! Ma che hai oggi?! Cerca di ricordartelo” la rimprovera allontanandosi con la sua solita camminata altezzosa che la fa ridere.
La ragazza torna ad appoggiare il mento sulle braccia, le braccia sulle ginocchia piegate, sulla panchina al centro dello spogliatoio, in una breve pausa lavorativa non consentita dalla padrona che l’ha già richiamata uan volta di troppo da quando è stata assunta.
È scappata un’altra volta, stavolta solo per far dispetto a se stessa. Se ne stava comoda a casa, ci sarebbe rimasta qualche altro giorno se non fosse stato per quella maledetta ‘visita inattesa’: l’aveva vista entrare dentro il Blockbuster dietro casa sua, nascondendosi giusto in tempo per non farsi vedere ed era stato ad osservarlo con il cuore che batteva e le dita strette attorno al dvd scelto. Canticchiava una canzoncina che s’intitolava come lei e che le aveva fatto partire un embolo nel momento stesso in cui aveva calcato sulla parola ‘Natalie’. L’aveva pronunciata con un sorriso tenero e aveva alzato gli occhi al cielo, scuotendo la testa.
Se n’era andato con il cd che conteneva la canzone in questione mentre lei se ne stava accucciata nel reparto ‘Nuovi Arrivi’ con la bocca secca e le dita molli per la sorpresa.
Mi sa che ho fatto una stupidaggine, stavolta, pensa tirando giù le gambe e sistemandosi la divisa prima di uscire dallo spogliatoio e depositare lì il suo pensiero ricorrente.
***
Alla fine lo beccai, il caro Max che si era dato alla
macchia per i troppi debiti, stressato da una ex
moglie stracciapalle e da una fidanzata che sembrava
sempre stesse sul punto di proporti una cosa a tre.
Quelle due erano insopportabili e fui ben contento di
togliermele dalle scatole, dirigendomi verso la piccola cittadina di Wundersen al confine con lo stato. Non si era allontanato
di molto perché durante la strada gli avevano fregato la macchina e si era
fermato in tutti i bar nel raggio di mille chilometri per fare rifornimento
alcolico.
Mica stupido.
Aveva una vera e propria predilezione per il whisky,
robaccia che non riesco a bere neanche adesso… e si
che di sbronze me ne sono prese un sacco nella vita. Penso di aver avuto più
birre che donne…Mh…sul numero non ci
pioveva e nessuno dei miei amici lo metteva in dubbio.
Stronzi.
Il mio problema è che riesco a farle scappare alla seconda
occhiata; eppure non sono malaccio, ho tutti i requisiti giusti per attirare le
donne.
Due braccia, due gambe e una testa sola.
Non provengo da un altro pianeta e non ho perversioni tali
da spaventare le povere fanciulle indifese.
Non che sbandieri così le mie depravazioni, precisiamolo per
il pubblico a casa.
Secondo Melissa, sono troppo arrogante e maleducato per
piacere ad una ragazza normale… e per normale lei intende tutto il genere
femminile dotato di figa – i transessuali li ha gentilmente esclusi - ma almeno
non sono uno di quelli che si aggiusta il pacco
continuamente.
Credetemi, quelli che fanno così, ce l’hanno
piccolo.
Secondo mia sorella, ho la faccia da serial killer arrapato,
soprattutto quando non mi rado e ho sonno, ma quella è una grandissima stronza
lesbica e non fa testo.
Lasciamo perdere cosa pensa mia madre: per lei sono sulla
via della perdizione e votato anima e corpo all’inferno…questo perchè a 22 anni
ha trovato un po’ di fumo nella tasca dei jeans da
lavare.
Meno male che aveva guardato la tasca giusta e non si era
addentrata nei meandri della scrivania!
Mi siedo accanto a Gershow, già
ubriaco fradicio alle cinque del pomeriggio e ordino una birra lanciandogli
un’occhiata.
Ora, non sono uno che guarda gli uomini – e vorrei ben
vedere – ma quel tipo lì non me la raccontava giusta.
Piuttosto belloccio, più alto di me anche da seduto e faccia
da bravo ragazzo. Ecco, uno come lui lo presenteresti volentieri
alla mamma.
Se ne stava in compagnia di una specie di cane che dormiva
ai suoi piedi e continuava leccare il liquore caduto a terra.
Un cane alcolizzato mi mancava proprio!
Max Gershow parlava da solo, sottovoce
e biascicava sull’essere rovinato. Non mi stupì neanche un po’: da quello che
avevo trovato su di lui, era già tanto che non si fosse tagliato le vene con un
coccio di bottiglia.
Era in pieno delirio alcolico e cianciava di gettarsi di
sotto e farla finita. Mi chiesi da dove volesse
gettarsi perché non c’era un ponte o un palazzo alto più di tre metri, in
quella cittadina dimenticata da dio ma non dai camionisti alticci che stavano
fischiando dietro la cameriera evidentemente incazzata.
Il barista gli gettò un’occhiata annoiata e mi porse la
consumazione. Mai bevuta una birra più schifosa di questa.
Lo indicò con un cenno della testa
ricominciando a pulire il bancone con uno straccio schifoso “Se ne sta
lì da due giorni. Dovrei decidermi a buttarlo fuori ma secondo
Mary è solo un poveraccio da compatire…e poi tutto quel cianciare come
un matto mi da sui nervi”
Immaginai che Mary fosse la cameriera carina e appariscente
che mi era passata accanto senza degnarmi di un’occhiata. A quel pezzo di merda
gli dava fastidio perché parlava da solo? Beh, che cazzo, io lo faccio da un bel
pezzo, ormai.
Posai la birra quasi intonsa sul tavolo e lo squadrai con
disprezzo “scommetto che il piscio di quel
cane è migliore di questa schifezza che mi hai rifilato”
Il bello del barista è che ci ha messo tre secondi di troppo
a reagire alla mia offesa. Il tempo giusto per afferrare Gershow per la collottola e tirarmelo dietro.
Stavamo andandocene senza pagare e ci eravamo
quasi riusciti, quando andai a sbattere col naso contro un camionista di quelli
giganteschi e tutti tatuati, evidentemente amico del barista.
“Togliti dai coglioni” sbottai facendo la faccia dura e
rimediandomi un cazzotto sulla faccia. E che cazzo,
l’occhio no!
Scrollai la faccia mentre il tipo grosso mi tirava su di
peso e il barista mi ficcava una doppietta su per il naso. “Immagino te la sia
presa per la birra, eh?” ridacchiai come uno scemo abbozzando un sorriso.
Sono attaccabrighe, ma non sono un codardo. Quindi mi
raddrizzai sulla schiena con la lombalgia che ricominciava a farsi sentire,
nemmeno fossi un povero vecchio acciaccato, e venni
subito rinsaccato su me stesso da un altro pugno allo stomaco.
Porca vacca, adesso
vomito il curry! Pensai maledicendomi per essermi lasciato trascinare da Pete dall’indiano la sera prima.
Lanciai un’occhiata a Max e vidi che si era riseduto e stava
scolandosi la birra facendo una bocciaccia e schiantando allo stesso tempo il
bicchiere sulla superficie “un altro!”gridò con la voce alticcia, tirando su
col naso.
S tolse un po’ di schiuma dalle labbra e la sputò a terra
con disgusto “sa di piscio di cane. Ha ragione
lui”
Proprio in quel momento, la mutazione canide
ai suoi piedi decise che non c’era niente di meglio
che farsi una sana pisciata nel locale, così alzo la gambetta
e innaffiò lo sgabello di Gershow sotto le facce
allibite del barista e dei camionisti che si erano riseduti perché non c’era
più niente da vedere.
Max ridacchiò come uno scemo e ficcò il bicchiere sotto il
getto paglierino del cane.
Quello stava più fuori di me quando si ubriacava! Cominciai
a ridere come un matto, quando lo vide barcollare verso il barista col
bicchiere teso. “Toh, assaggia”
Mi rialzai continuando ad annuire e lo spinsi contro il
bicchiere. Non mi sarei fatto fregare una seconda volta e per prevenire
qualsiasi azione da parte dei bistecconi tatuati, tirai fuori la Glock e gliela puntai contro con un sorrisetto, mostrando
allo steso tempo il distintivo falso della polizia
“Tutti indietro o vi faccio arrestare“ sibilai con la mia
migliore faccia da cazzo. Praticamente quella di
sempre.
“Ehi, scusa amico…offre la
casa” si affrettò a dire il barista
alzando le mani.
Io mi affrettati a mettere via il distintivo, prima che si
accorgessero che era una patacca e feci una smorfia all’indirizzo della pozza di urina sotto la sedia di Gershow
“ Dovrei chiamare l’istituto di igiene e far chiudere questo buco.”
Mi risedetti in silenzio adocchiando la cameriera nervosa
che stava tormentando il vassoio e la indicai col pollice “scommetto
che lavora in nero. Tira un po’ fuori la licenza. Facciamo un bel controllo”
Allungai la mano verso il barista e lui mi guardò fisso “vuole bere qualcosa, signore?”
Ecco, adesso ero diventato ‘signore’
mentre prima era solo uno stronzo da pestare…e che cavolo, approfittiamone.”Per
me una tequila e al signore qui, un whisky” gli ordinai senza guardarlo. Era
talmente fatto che non sarebbe andato da nessuna parte e ora che l’avevo
acciuffato potevo anche rilassarmi un po’.
“Grazie amico” biascicò tenendosi la testa con entrambe le
mani, il bicchiere pieno di pipì del cane accanto a se. Lo spostai prima che lo
bevesse, scambiandolo per un bel malto invecchiato e sorrisi malignamente all’idea che mi venne in mente. Cambiai
l‘ordinazione e mi feci lasciare tutta la bottiglia.
“Da quanto tempo non ti fai una doccia? Puzzi da far schifo”
gli dissi arricciando il naso e domandandomi un attimo
dopo se fosse il mio corpo ad emanare quel tanfo schifoso di sudore.
Mi diedi una rapida annusata e alzai un sopracciglio. Ero
io. Per forza la cameriera era tanto schifata.
Questa è una cosa che con le donne non ti aiuta.
Gershow era crollato addormentato
sul bancone. Il barista non guardava e avevo tutto il tempo per escogitare la
mia vendetta. Svuotai d’un sorso il bicchiere di Max, strangolandomi con quella
schifezza, lo riempii a metà con l’urina del canide e di un quarto di whisky.
“Barista” chiamai con voce dura e ancora fintamente
incazzata. Quello arrivò trafelato e ossequioso e io gongolai
“mettiamoci una pietra sopra: non ci siamo mai visti, tu ed io”
Il faccione dell’uomo si aprì in un sorriso
accondiscendente. Gli porsi il bicchiere e alzai il mio “alla goccia e
vaffanculo tutto il resto”
“A fanculo il resto!”esclamò ingoiando tutto d’un fiato.
Si! Che goduria!
Mi alzai senza neanche pensarci a mettere mano al portafogli
e caricai Max sulle spalle soddisfatto.
Mica avevo finito.
Mentre mi avviavo all’uscita, mi
girai con un sorriso strafottente “te l’ho detto che il piscio di quel cane era
più buono, amico”
Il barista sbiancò e restò a guardarmi mentre uscivo
sghignazzando come un matto. Quando misi in moto e me ne andai
in fretta, potei assistere alla meravigliosa scena del pelatone che vomitava
fuori dal locale dallo specchietto retrovisore della mia Chevrolet
del ‘57.