*
Davide
Arrivammo con un quarto d’ora
d’anticipo.
Non ci vennero ad aprire la porta,
ricevemmo in risposta solo un “Avanti, entrate” gridato
frettolosamente. Aprii la porta incerto e trovando il salotto deserto presi coraggio:
entrai trascinandomi dietro Andrea e prendemmo posto a sedere su un divano.
Era una bella casa: su due piani, con
quell’aria di condominio antico. Si sentiva per tutta la casa una
sensazione di fretta: a un certo punto ci passò davanti di corsa Mirko, quasi
pronto, che accennò un saluto con la mano prima di chiudersi in un’altra
stanza, forse il bagno.
Sentii Andrea ridacchiare:
- Di solito non sono solo le ragazze a
farsi aspettare?-
Ignorai la sua domanda, concentrato su
una musica che proveniva dal piano di sopra: dieci a uno che la camera di
Ilaria era lì. Fui fortemente tentato di alzarmi e salire, ma quando stavo per
entrare in azione Mirko uscì dal bagno, ormai pronto, e sorridente venne verso
di noi. Guardò l’orologio e sospirando si accasciò su una sedia:
-
Ah, siete voi in anticipo! Credevo fossimo in ritardo! Tu sei?-
L’ultima domanda era rivolta ad
Andrea che entusiasta si presentò. Era eccitato come un bimbo a Natale.
Non li stavo ascoltando ma sentendo più
volte il mio nome nella conversazione iniziai a prestare maggiore attenzione:
stava parlando Andrea:
- Oh, sì non puoi immaginare come fosse
nervoso Davide! Fai conto che in macchina, mentre venivamo, ha fissato per
tutto il tempo un pacchetto di sigarette che tiene come monito sul cruscotto.
Ha smesso di fumare più di un anno fa, ma ti giuro temevo che stesse per
accendersene una tanto era irrequieto!-
Irritato smisi di ascoltarli nuovamente,
e concentrai la mia attenzione alle scale: doveva pur scendere.
Non passò molto che la mia richiesta
venne esaudita: spuntarono in cima alla rampa di gradini due scarpe nere con un
piccolo tacco, sollevai pian piano lo sguardo lungo due gambe stupende che non
avevo mai notato, sempre nascoste dai jeans. Continuai a studiare la figura appena
apparsa: un vestitino rosso, che le avvolgeva il busto per poi sciogliersi
languidamente sulle cosce. Le metteva perfettamente in risalto tutte le curve.
Le spalline erano scese, a lasciarle scoperte le spalle, ed i capelli erano
sciolti, a coprirle il collo. Non era molto truccata, giusto un po’ di
colore ad evidenziarle i magnifici occhi nocciola e del lucidalabbra.
Altro colore non serviva: era stupenda
così.
Come avevo fatto a non rimanere
abbagliato fin dall’inizio dalla sua bellezza?
Come avevo potuto non accorgermi di
quello che avevo sempre avuto sotto gli occhi?
Di solito non succedeva così:
normalmente, rimanevo colpito prima dall’aspetto fisico e poi da quello
che erano veramente le ragazze. Questa volta era successo il contrario: prima
avevo scoperto che persona magnifica fosse e poi l’avevo vista
realmente… se possibile, l’attrazione fu mille volte più potente
del solito.
A mala pena riuscii ad aspettare che
scendesse la scale per affrettarmi a prenderle la mano ed accompagnarla fuori.
Venne in macchina con me, non mi
preoccupai neanche di chiedere il parere dei nostri due altri compagni né
tantomeno loro sembrarono interessarsi a noi.
Arrivammo al ricevimento molto dopo
rispetto agli altri invitati e fu colpa mia: non volevo perdere un istante di
quella serata , volevo passare più tempo possibile con lei, solo con lei.
Quella sera non parlammo tanto: lei mi
sembrava leggermente in imbarazzo, io semplicemente non avevo niente da dire,
l’unica cosa che riuscivo a fare era guardarla.
Studiavo ogni suo movimento, ogni sua
più piccola espressione, cercando di capire a cosa stesse pensando; sperando,
completamente folle, che pensasse a me, solo ed unicamente a me.
E quando capitava che incontrassi il suo
sguardo, andavo letteralmente a fuoco: roso dal desiderio di stringerla a me.
Smanioso di poterla osservare da vicino, di poterne sentire il profumo, di
poterla guardare negli occhi e di avere la possibilità di perdermi in essi.
Feci la conoscenza di non so quanti suoi
parenti: fra zie, zii, cugini… normalmente quella sola idea mi avrebbe
terrorizzato, ma in quel momento non mi toccò minimamente. Cercavo anzi di fare
il bravo ragazzo.
Ignorando le occhiate incredule di
Andrea, tentai di fare un’ottima impressione su ogni singola persona lì
presente, con l’unico scopo di impressionare lei.
Lei che sorrideva a tutti.
Lei che veniva chiamata da ogni parte
della sala, invitata sempre a ballare, ad unirsi a foto di gruppo… lei
che mi sfuggiva sempre.
Ed era una cosa che non riuscivo a
tollerare.
Ero abituato ad ottenere quello che
volevo sempre e comunque: in qualsiasi caso.
Com’era possibile allora che lei
mi sembrasse così distante? Così lontana dalla mia portata?
Di solito era il mio nome a fare
scalpore, a fungermi da apripista: ero Davide D’Amico, per la
miseria!
Ma in quel momento il mio nome non
esisteva più: non ero nessuno.
Lei riusciva ad annullarmi
completamente.
A distrarmi dai miei pensieri fu una
mano che mi venne poggiata sull’avambraccio: alzai veloce lo sguardo
sperando fosse lei, ma non era così. Era la zia di Ilaria, quella che
festeggiava l’anniversario e che ora mi sorrideva serafica: una signora
sulla sessantina, bassina e ben proporzionata, molto simpatica. Mi porse la
mano e mi chiese di ballare. Sorpreso riuscii appena ad annuire: non mi era mai
capitata una cosa simile.
Portai la signora sulla pista da ballo
ed iniziammo a ballare; ogni qualvolta mi aveva a portata di voce, mi chiedeva
qualcosa di me, della mia famiglia, dei miei amici… poi mi chiese anche
di Ilaria e la vidi sorridere con aria saputa davanti al mio improvviso
arrossimento. Feci per negare, cercando di distoglierla da ciò a cui
sicuramente stava pensando, quando le parole mi morirono in gola: avevo appena
visto Ilaria.
Era fra le braccia di Andrea e ballavano
assieme, lui le disse qualcosa all’orecchio e lei scoppiò a ridere. Tornò
poi a guardarlo e rispose al suo sorriso scuotendo la testa. Cosa…?
Serrai i denti, sopraffatto da una
rabbia immotivata.
Non capii più niente per qualche
istante; a riportarmi in me fu la risata della signora al mio fianco: abbassai
un attimo lo sguardo sulla zia e la vidi farmi l’occhiolino:
- Avevo capito che eri cotto, giovane.
Ma non credevo fino a questo punto! Su, vai… conquistala.-
Non me lo feci ripetere due volte: rapido
la raggiunsi.
Lanciai ad Andrea uno sguardo che doveva
essere d’avvertimento: non sapeva cosa lo aspettava; quindi afferrai
Ilaria per un braccio e la trascinai con me attraverso la sala fino alla
finestra che dava sul balcone:
- Ti va di venire a prendere una boccata
d’aria?-
Lei mi fissò irritata e rispose
tagliente:
- Immagino che il mio parere non faccia
alcuna differenza. Se non l’hai notato stavo ballando con…-
Continuando a non guardarla sbuffai e
senza ascoltarla la portai fuori con me.
Tirava un po’ di vento, non troppo
né tanto freddo, però la temperatura era bassa: a mala pena dovevano esserci
dieci gradi. In quel momento ad ogni modo era il clima perfetto per me: mi
sentiva avvampare.
Un po’ per la rabbia, un po’
per il solo fatto di sentire la presenza di Ilaria a così poca distanza da me.
Mi appoggiai al parapetto, cercando di
concentrarmi sul paesaggio che avevo di fronte: eravamo in alto ed avevamo gran
parte della città sotto di noi. Per quanto mi sforzassi però, i miei pensieri
erano tutti per lei.
- Lari…-
La voce mi morì in gola: che potevo
dirle?
“Lari non me lo so spiegare ma non
riesco a fare altro che pensare a te, ma non solo al tuo corpo come tutti,
compreso me, potrebbero credere. No, sono totalmente ed incredibilmente affascinato
da te: da Lari. E non posso assicurarti niente, l’unica cosa che so è che
in questo momento sei la persona per cui… che so, mi butterei di
sotto!”
Potevo mai dirle questo? Sarei mai stato
in grado di scoprirmi in questo modo? Di lasciarmi andare completamente e
mettere a nudo i miei sentimenti, così?
Ero ancora talmente concentrato da non
accorgermi di come Ilaria si fosse avvicinata, fino a quando non sentii la sua
mano stringermi l’avambraccio. Era alle mie spalle e mi fissava con le
pupille dilatate.
Mi ricordava un cucciolo impaurito e mi
venne da ridere all’idea che era di me che aveva paura: l’ironia
della situazione, lei aveva paura a causa del mio silenzio che non riusciva a
spiegarsi.
Se le avessi detto quello che mi passava
per la testa che avrebbe fatto?
Sarebbe scappata via credendomi un pazzo
maniaco? Probabile.
Si leccò le labbra, come faceva quando
era indecisa. Chiuse un attimo gli occhi, quindi li riaprì di scatto e si
allontanò di un po’. Incrociò le braccia sul petto, rabbrividendo, e poi
iniziò a parlare:
- Davide? Ti senti bene?-
Fece per continuare ma si fermò un
attimo, prendendo fiato.
Io non dissi nulla. Stavo bene? No, non
direi proprio. Non avevo intenzione di mentirle né tantomeno di affrontare
l’argomento, così rimasi in silenzio.
- Io… stasera non ti riconosco.
Hai uno sguardo strano. Mi guardi come non mi hai mai guardato. E… e ti
arrabbi senza motivo e mi trascini via come un forsennato e ti aggrappi al
parapetto con tanta forza da farti sbiancare le nocche… e mi hai fatto
paura sai? Sembrava quasi che tu volessi buttarti di sotto, a un certo punto!
Ma che diamine ti prende? Ti droghi forse? Cioè, se non ti andava di venire
potevi anche dirlo… o se hai cambiato idea, che so, puoi andare via quando
vuoi, non c’è nessuna costrizione! Davvero, io non…-
Aveva detto tutto d’un fiato,
sempre guardandomi negli occhi, stringendo sempre più le braccia man mano che
andava avanti con il discorso.
Non riuscivo quasi a muovermi: come
faceva a pensare cose simili?
Credeva che mi drogassi, roba da pazzi!
Semmai era lei la mia droga…
L’avevo addirittura spaventata! Se
ci fossi riuscito, forse mi sarei dovuto picchiare da solo…
Sentii le mie labbra arcuarsi in quello
che doveva essere un sorriso, quando realizzai che quella era la cosa che più
si avvicinava alla corte ad una ragazza che avessi mai fatto: bei risultati che
ottenevo!
“Non c’è nessuna
costrizione”
Come era possibile che non capisse? Era
le che mi costringeva a rimanere: solo lei.
Non lo capiva.
Mi avvicinai di qualche passo. Feci per
allungare una mano verso di lei, ma si allontanò ancora.
Scuoteva la testa ora e teneva gli occhi
bassi. Faceva così solo quando non voleva che capissi cosa stava provando e
quindi credeva di star provando le cose sbagliate.
- Davide, ma che ti prende? Davvero, D.
credevo che… e stasera non ti stacchi un attimo e…-
Mi avvicinai in fretta, con pochi passi,
fermandole le labbra con un dito.
Con l’altra mano presi la sua: era
fredda, quasi tremante.
Speravo con tutto il cuore che a farla
rabbrividire non fosse solo il freddo.
Una cosa in particolare mi aveva colpito
nel suo discorso confuso:
- Come mi hai chiamato?-
Lei strinse leggermente gli occhi,
cercando di capire a cosa mi riferissi.
- Io… ti ho chiamato D. non ti
piace? Se ti da fastidio…-
Sorrisi e scossi la testa, quasi in modo
impercettibile.
Mi avrebbe portato alla pazzia quella
ragazza.
- No. No, mi piace. Mi piace tantissimo.
D. Io quindi sono il tuo D.?-
Lei sorrise e arrossì di colpo,
ritraendosi da me. Ma io subito ricoprii quella piccola distanza.
Non doveva allontanarsi.
Non poteva starmi lontana, o forse, non
potevo stare io lontano da lei.
In ogni caso, il risultato era lo
stesso.
A furia di arretrare, eravamo quasi arrivati
a sbattere contro il muro della sala, allora continuai a spingerla
delicatamente, fino a farla appoggiare con la schiena alle mattonelle bianche.
Poggiai la mia mano destra sul muro, a meno di due centimetri dal suo collo,
mentre la sinistra stringeva ancora quella fredda di Lari.
- Lari… non mi hai risposto-
Sussurrai, sovrastandola.
Mi persi nel suo profumo, sapeva di
cannella e… ero fuori. Tanto fuori da non capire più niente.
Le orecchie mi fischiavano e sentivo un
battito fortissimo: non riuscii ad identificare se fosse il mio cuore o quello
di Ilaria. Forse erano entrambi. Qualcuno comunque, rischiava di avere un
infarto.
Presi ancora un respiro, tanto vicino da
sentire il suo respiro sul collo e ripetei la domanda:
- Lari, sono il tuo D.?-
Lei non rispose. Sentii il suo respiro
accelerare e poi rallentare, diventando sconnesso.
La mano stretta nella mia era diventata
se possibile ancora più fredda.
Iniziai a chiedermi se non funzionasse
al contrario anche in quel senso: e le mani invece di sudarle, nei momenti di
tensione, le si facessero ghiacciate. Conoscendola, non era un’ipotesi da
eliminare.
Mi avvicinai ancora di più, solo con il
viso però: non potevo rischiare di toccarla di più, non sarei stato padrone
delle mie azioni altrimenti.
Riuscivo unicamente a fissarle le
labbra. Non avevo mai desiderato tanto qualcosa.
Erano rosse, vive, e quando le vidi
dischiudersi, fu come se avessi ricevuto un tacito consenso a fare quello che
stavo solo sognando.
Ma mi sbagliavo.
Ero ormai lì, quando una mano si poggiò
sul mio torace, spingendo, come a farmi allontanare.
Non era una spinta forte. Non
c’era quasi niente in quella resistenza.
Eppure mi lasciò una ferita bruciante.
Era come se mi avesse marchiato a fuoco
in quel punto.
Non ero mai stato respinto, ma dubito
che mai un rifiuto avrebbe potuto ferirmi di più.
Il battito del cuore aveva rallentato
fin quasi a fermarsi e faticavo a respirare.
Perché?
Avevo sbagliato qualcosa? Avevo fatto
qualcosa di male?
Abbassai lo sguardo, cercando i suoi
occhi. E li trovai lucidi, dilatati.
La sua mano era ancora sul mio petto.
Non premeva più. Ma era come un monito: non dovevo avvicinarmi.
Feci per dire qualcosa ma lei fu più
veloce.
Il suo fu poco meno di un sussurro,
esile e fugace come il vento che ci colpiva.
Dovetti concentrarmi per capire.
- Non è ancora il momento-
Non sapevo cosa voleva dire,
l’unica cosa che contava, l’unica a cui riuscii ad aggrapparmi con
tutto me stesso, era che non significava no.
Non aveva detto no.
Strinse la presa sulle mie dita e
sgusciandomi da sotto mi trascinò verso l’entrata alla sala.
Erano le dieci e mezza.
Per un’altra ora non ci separammo
nemmeno per un attimo: ballammo, ridemmo, chiacchierammo… e poi ancora a
ballare. E fra cocktail e sospiri smarriti, persi completamente la fiducia in
me stesso.
Iniziai a sentirmi come un ragazzino al
suo primo appuntamento: non avevo niente da offrirle: un sorriso era tutto
quello che avevo.
Fu lei poi ad avvicinarsi a me,
bisbigliandomi all’orecchio.
Probabilmente non si rendeva conto
dell’effetto che aveva su di me ogni suo più piccolo movimento, non
poteva quindi immaginare lo sconvolgimento che mi procurò chiedendomi
dolcemente:
- Mi accompagni a casa, D.?-
Mi sorpresi a pensare che non avrei
potuto negarle niente in quel momento.
E la scortai alla macchina, rubandola ai
suoi parenti, incapace di credere che fosse la semplice idea di poterla avere
al mio fianco ancora per un po’, a rendermi tanto felice.
Guidai piano, stando attento a non
superare i limiti di velocità, e anzi probabilmente se mi avessero fermato,
avrebbero potuto farmi una multa per intralcio al traffico. Certo non
c’erano macchine, ma andavo talmente al rilento da poter tranquillamente
essere superato da un moccioso in triciclo.
Non sarei comunque potuto andare più
veloce di così: i miei occhi non guardavano la strada, fissavano lei.
Lei che, seduta al mio fianco, con la
cintura ben allacciata, impregnava quel piccolo spazio con il suo profumo.
Lei che aveva accavallato le gambe e che
dondolava leggermente il piede.
Lei che si mordeva il labbro inferiore,
concentrata nello scegliere una stazione radio che le andasse a genio.
Si accomodò sul sedile quando ormai,
anche volendo lasciar andare avanti la macchina per inerzia, mancavano pochi
minuti all’arrivo. Aveva lasciato la radio RDS, che aveva appena finito
di dare la pubblicità.
“Ed ora cari ascoltatori, diamo il
via alla nostra sequenza mixata. Con questa daremo inizio al nuovo giorno,
signori e signore! Ascoltiamo un successo di qualche anno fa: She will be
loved”
La canzone incominciò quando io avevo
già fermato la macchina.
Ilaria si era sganciata la cintura e
aveva allungato la mano per aprire la portiera.
Quel semplice gesto mi aveva stretto il
cuore in una morsa atroce: se ne stava andando.
Poi però si fermò un secondo ed
allungandosi di nuovo verso la radio alzò il volume, di tanto.
Aveva alzato così tanto che riuscii a
capire cosa aveva detto solo leggendole il labiale:
- Mi accompagni fino alla porta D.?-
Non me lo sarei fatto ripetere neanche
mezza volta ancora.
In un baleno ero al suo fianco, e
l’avevo presa per mano. Avevo lasciato lo sportello aperto e nella fretta
non avevo permesso nemmeno a lei di chiudere bene il suo, perciò la musica si
sentiva benissimo anche all’esterno, e fin anche al portone, seppur come
un soffuso sottofondo, era ancora lì, a rendere quel momento ancora più magico.
Non c’era la luna, anzi il cielo era coperto a chiazze da scuri nuvoloni.
La luce era poca, giusto quella che arrivava da un palo poco distante.
Nonostante tutto, continuo a ricordare
quella serata come una delle più belle in assoluto.
Non la guardai negli occhi, neppure un
attimo: timoroso di leggervi un invito ad andarmene.
Scorsi con lo sguardo la figura del suo collo,
risalendo pian piano, soffermandomi su ogni punto, su ogni suo respiro. Il
vento soffiava alle sue spalle, agitandole i capelli, facendoglieli finire in
viso. Mossi una mano per scostarne alcuni e glieli misi dietro
l’orecchio. Nell’atto incontrai i suoi occhi: erano belli, come non
mai.
Addolciti da un qualche pensiero che
avevo paura ad indovinare.
Non ero più io, non ero più Davide.
In quel momento ero solo D.
Un D. non abbastanza sicuro di sé da
ritenere che fosse lui a farla sorridere.
I miei occhi erano bloccati nei suoi,
incapaci di uscirne.
Mi concentrai sulla musica, cercando la
forza di volontà per girare i tacchi ed andarmene.
I don't mind spending everyday
Out on your corner in the pouring rain
Look for the girl with the broken smile
Ask her if she wants to stay awhile
And she will be loved
And she will be loved
La canzone che poi sarebbe diventata la
nostra canzone.
Lei mi guardava con quegli enormi occhi
color nocciola ed il mio cuore si sciolse assieme al suo sorriso.
A voce così bassa che a mala pena la
sentii, sussurrò:
- Ora è il momento-
Non stetti un secondo a cercare un
significato alle sue parole, inconsciamente le stavo aspettando con tutto me
stesso. Per qualche istante quasi credetti di essermele solo immaginate quelle
parole, ma poi un po’ del vecchio, audace Davide, tornò a prevalere: e se
anche fosse?
Mi avvicinai ancora di più e mi piegai
leggermente su di lei, verso le sue labbra, curioso ed affascinato.
Morivo dalla voglia di vedere che
effetto mi avrebbe fatto, come sarebbe stato poterla finalmente baciare.
Avevo mai aspettato tanto?
Avevo mai faticato, sofferto, desiderato
tanto un bacio?
No, assolutamente no.
Ed era per questo che avevo paura. Paura
di sbagliare qualcosa, di fare un passo falso…
… e di rovinare tutto.
Fu lei a venirmi incontro.
Aveva uno strano sbrilluccichio negli
occhi: divertito ed emozionato allo stesso tempo.
Lentamente posò la sua mano dietro il
mio collo, facendomi venire la pelle d’oca.
Non ebbe bisogno di fare altro.
Non avrei potuto resistere un attimo di
più.
Mi sarei aspettato di tutto: dai fuochi
d’artificio ad uno scontro di treni, come si vedeva nei film, ma mai,
dico mai, mi sarei aspettato tanto.
Fu come se non avessi mai baciato
nessuna prima.
Un primo bacio a dir poco ultraterreno.
Un bacio… indescrivibile.
Un bacio con Ilaria.
Un bacio con Lari.
Un bacio con lei.
La strinsi a me, sopraffatto
dall’emozione, ed iniziai a giocare con le sue labbra.
Le succhiai il labbro superiore,
cercando di farle aprire la bocca e lei rispose mordendo giocosamente il mio.
Poi però schiuse le labbra, lasciandomi entrare, rendendo il bacio più
appassionato, se possibile ancora migliore. Mi lasciò la mano per farla salire
fino ai miei capelli, che iniziò a stringere, accarezzandoli delicatamente.
Quando mi morse di nuovo, la mia lingua prese l’iniziativa, senza
chiedere alcun parere ad altri
- Ti amo-
Nell’idillio in cui ero immerso,
riuscii lo stesso a stupirmi delle mie stesse parole.
La mia meraviglia comunque non eguagliò
minimamente quella di Ilaria, che si pietrificò fra le mie braccia.
Le labbra prima bollenti, le diventarono
velocemente fredde.
Si allontanò, di quel tanto che le mie
mani le consentirono.
Mi guardò fisso negli occhi, e qualcosa
la fece ridere e scuotere la testa:
- Non stai correndo troppo D.?-
Io non sorrisi.
Era una cosa seria quella.
Non ero mai stato tanto deciso come in
quel momento.
Le parole che seguirono erano state
pienamente approvate dal me cosciente, che ne era assolutamente convinto:
- Non sono mai andato tanto a rilento,
piccola-
Le sorrisi vedendo che mi credeva e la
tirai di nuovo a me.
Rubandole un altro interminabile bacio.
Poi con uno sforzo immane di volontà mi
allontanai, voltandole le spalle, e corsi alla macchina.
Salii ed accesi il motore.
Feci inversione e gridai, fuori di me:
- ‘Notte piccola! Ci vediamo
domani-
E partii a tutta velocità.
Cercando di mettere la maggiore distanza
possibile fra di noi.
Quella che prima non volevo e che ora era
necessaria per farmi tornare con i piedi per terra.
La voce squillante della speaker alla
radio mi distrasse:
“E con questa si conclude la
nostra sequenza di grandi successi, in cui c’erano Neffa, Ne-yo, Sum41 e
Maroon 5. E’ mezzanotte e tre minuti carissimi ascoltatori ed è
appena…-
Non l’ascoltavo più.
La mia mente si era bloccata su un
pensiero: avevo appena dato il più bel bacio della mia vita.
Un bacio che non avrei mai dimenticato.
Un bacio di mezzanotte.
*