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Autore: miseichan    05/01/2010    31 recensioni
"Per quanto forte, potente e indistruttibile tu sia, devi sapere che i ricordi avranno sempre la meglio!” Il che non sempre è un male, ci sono volte in cui anzi è piacevole, gratificante. Purtroppo in altre occasioni ricordare è doloroso: ad esempio quando l'oggetto dei ricordi è qualcosa, o più precisamente qualcuno, che non è più al tuo fianco. Un qualcuno di cui semmai eri anche follemente innamorato, un qualcuno per cui avresti dato tutto te stesso. Sempre lo stesso qualcuno che ora vorresti solo vedere morto... o quantomeno riuscire a dimenticare. STORIA SOSPESA PER VACANZE ( brevi )… scusate!!
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Midnight Lovers'
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18 bacio

 

 

 

*

 

Davide

 

Arrivammo con un quarto d’ora d’anticipo.

Non ci vennero ad aprire la porta, ricevemmo in risposta solo un “Avanti, entrate” gridato frettolosamente. Aprii la porta incerto e trovando il salotto deserto presi coraggio: entrai trascinandomi dietro Andrea e prendemmo posto a sedere su un divano.

Era una bella casa: su due piani, con quell’aria di condominio antico. Si sentiva per tutta la casa una sensazione di fretta: a un certo punto ci passò davanti di corsa Mirko, quasi pronto, che accennò un saluto con la mano prima di chiudersi in un’altra stanza, forse il bagno.

Sentii Andrea ridacchiare:

- Di solito non sono solo le ragazze a farsi aspettare?-

Ignorai la sua domanda, concentrato su una musica che proveniva dal piano di sopra: dieci a uno che la camera di Ilaria era lì. Fui fortemente tentato di alzarmi e salire, ma quando stavo per entrare in azione Mirko uscì dal bagno, ormai pronto, e sorridente venne verso di noi. Guardò l’orologio e sospirando si accasciò su una sedia:

 - Ah, siete voi in anticipo! Credevo fossimo in ritardo! Tu sei?-

L’ultima domanda era rivolta ad Andrea che entusiasta si presentò. Era eccitato come un bimbo a Natale.

Non li stavo ascoltando ma sentendo più volte il mio nome nella conversazione iniziai a prestare maggiore attenzione: stava parlando Andrea:

- Oh, sì non puoi immaginare come fosse nervoso Davide! Fai conto che in macchina, mentre venivamo, ha fissato per tutto il tempo un pacchetto di sigarette che tiene come monito sul cruscotto. Ha smesso di fumare più di un anno fa, ma ti giuro temevo che stesse per accendersene una tanto era irrequieto!-

Irritato smisi di ascoltarli nuovamente, e concentrai la mia attenzione alle scale: doveva pur scendere.

Non passò molto che la mia richiesta venne esaudita: spuntarono in cima alla rampa di gradini due scarpe nere con un piccolo tacco, sollevai pian piano lo sguardo lungo due gambe stupende che non avevo mai notato, sempre nascoste dai jeans. Continuai a studiare la figura appena apparsa: un vestitino rosso, che le avvolgeva il busto per poi sciogliersi languidamente sulle cosce. Le metteva perfettamente in risalto tutte le curve. Le spalline erano scese, a lasciarle scoperte le spalle, ed i capelli erano sciolti, a coprirle il collo. Non era molto truccata, giusto un po’ di colore ad evidenziarle i magnifici occhi nocciola e del lucidalabbra.

Altro colore non serviva: era stupenda così.

Come avevo fatto a non rimanere abbagliato fin dall’inizio dalla sua bellezza?

Come avevo potuto non accorgermi di quello che avevo sempre avuto sotto gli occhi?

Di solito non succedeva così: normalmente, rimanevo colpito prima dall’aspetto fisico e poi da quello che erano veramente le ragazze. Questa volta era successo il contrario: prima avevo scoperto che persona magnifica fosse e poi l’avevo vista realmente… se possibile, l’attrazione fu mille volte più potente del solito.

A mala pena riuscii ad aspettare che scendesse la scale per affrettarmi a prenderle la mano ed accompagnarla fuori. Venne in macchina con  me, non mi preoccupai neanche di chiedere il parere dei nostri due altri compagni né tantomeno loro sembrarono interessarsi a noi.

Arrivammo al ricevimento molto dopo rispetto agli altri invitati e fu colpa mia: non volevo perdere un istante di quella serata , volevo passare più tempo possibile con lei, solo con lei.

Quella sera non parlammo tanto: lei mi sembrava leggermente in imbarazzo, io semplicemente non avevo niente da dire, l’unica cosa che riuscivo a fare era guardarla.

Studiavo ogni suo movimento, ogni sua più piccola espressione, cercando di capire a cosa stesse pensando; sperando, completamente folle, che pensasse a me, solo ed unicamente a me.

E quando capitava che incontrassi il suo sguardo, andavo letteralmente a fuoco: roso dal desiderio di stringerla a me. Smanioso di poterla osservare da vicino, di poterne sentire il profumo, di poterla guardare negli occhi e di avere la possibilità di perdermi in essi.

Feci la conoscenza di non so quanti suoi parenti: fra zie, zii, cugini… normalmente quella sola idea mi avrebbe terrorizzato, ma in quel momento non mi toccò minimamente. Cercavo anzi di fare il bravo ragazzo.

Ignorando le occhiate incredule di Andrea, tentai di fare un’ottima impressione su ogni singola persona lì presente, con l’unico scopo di impressionare lei.

Lei che sorrideva a tutti.

Lei che veniva chiamata da ogni parte della sala, invitata sempre a ballare, ad unirsi a foto di gruppo… lei che mi sfuggiva sempre.

Ed era una cosa che non riuscivo a tollerare.

Ero abituato ad ottenere quello che volevo sempre e comunque: in qualsiasi caso.

Com’era possibile allora che lei mi sembrasse così distante? Così lontana dalla mia portata?

Di solito era il mio nome a fare scalpore, a fungermi da apripista: ero Davide D’Amico, per la miseria! 

Ma in quel momento il mio nome non esisteva più: non ero nessuno.

Lei riusciva ad annullarmi completamente.

A distrarmi dai miei pensieri fu una mano che mi venne poggiata sull’avambraccio: alzai veloce lo sguardo sperando fosse lei, ma non era così. Era la zia di Ilaria, quella che festeggiava l’anniversario e che ora mi sorrideva serafica: una signora sulla sessantina, bassina e ben proporzionata, molto simpatica. Mi porse la mano e mi chiese di ballare. Sorpreso riuscii appena ad annuire: non mi era mai capitata una cosa simile.

Portai la signora sulla pista da ballo ed iniziammo a ballare; ogni qualvolta mi aveva a portata di voce, mi chiedeva qualcosa di me, della mia famiglia, dei miei amici… poi mi chiese anche di Ilaria e la vidi sorridere con aria saputa davanti al mio improvviso arrossimento. Feci per negare, cercando di distoglierla da ciò a cui sicuramente stava pensando, quando le parole mi morirono in gola: avevo appena visto Ilaria.

Era fra le braccia di Andrea e ballavano assieme, lui le disse qualcosa all’orecchio e lei scoppiò a ridere. Tornò poi a guardarlo e rispose al suo sorriso scuotendo la testa. Cosa…?

Serrai i denti, sopraffatto da una rabbia immotivata.

Non capii più niente per qualche istante; a riportarmi in me fu la risata della signora al mio fianco: abbassai un attimo lo sguardo sulla zia e la vidi farmi l’occhiolino:

- Avevo capito che eri cotto, giovane. Ma non credevo fino a questo punto! Su, vai… conquistala.-

Non me lo feci ripetere due volte: rapido la raggiunsi.

Lanciai ad Andrea uno sguardo che doveva essere d’avvertimento: non sapeva cosa lo aspettava; quindi afferrai Ilaria per un braccio e la trascinai con me attraverso la sala fino alla finestra che dava sul balcone:

- Ti va di venire a prendere una boccata d’aria?-

Lei mi fissò irritata e rispose tagliente:

- Immagino che il mio parere non faccia alcuna differenza. Se non l’hai notato stavo ballando con…-

Continuando a non guardarla sbuffai e senza ascoltarla la portai fuori con me.

Tirava un po’ di vento, non troppo né tanto freddo, però la temperatura era bassa: a mala pena dovevano esserci dieci gradi. In quel momento ad ogni modo era il clima perfetto per me: mi sentiva avvampare.

Un po’ per la rabbia, un po’ per il solo fatto di sentire la presenza di Ilaria a così poca distanza da me.

Mi appoggiai al parapetto, cercando di concentrarmi sul paesaggio che avevo di fronte: eravamo in alto ed avevamo gran parte della città sotto di noi. Per quanto mi sforzassi però, i miei pensieri erano tutti per lei.

- Lari…-

La voce mi morì in gola: che potevo dirle?

“Lari non me lo so spiegare ma non riesco a fare altro che pensare a te, ma non solo al tuo corpo come tutti, compreso me, potrebbero credere. No, sono totalmente ed incredibilmente affascinato da te: da Lari. E non posso assicurarti niente, l’unica cosa che so è che in questo momento sei la persona per cui… che so, mi butterei di sotto!”

Potevo mai dirle questo? Sarei mai stato in grado di scoprirmi in questo modo? Di lasciarmi andare completamente e mettere a nudo i miei sentimenti, così?

Ero ancora talmente concentrato da non accorgermi di come Ilaria si fosse avvicinata, fino a quando non sentii la sua mano stringermi l’avambraccio. Era alle mie spalle e mi fissava con le pupille dilatate.

Mi ricordava un cucciolo impaurito e mi venne da ridere all’idea che era di me che aveva paura: l’ironia della situazione, lei aveva paura a causa del mio silenzio che non riusciva a spiegarsi.

Se le avessi detto quello che mi passava per la testa che avrebbe fatto?

Sarebbe scappata via credendomi un pazzo maniaco? Probabile.

Si leccò le labbra, come faceva quando era indecisa. Chiuse un attimo gli occhi, quindi li riaprì di scatto e si allontanò di un po’. Incrociò le braccia sul petto, rabbrividendo, e poi iniziò a parlare:

- Davide? Ti senti bene?-

Fece per continuare ma si fermò un attimo, prendendo fiato.

Io non dissi nulla. Stavo bene? No, non direi proprio. Non avevo intenzione di mentirle né tantomeno di affrontare l’argomento, così rimasi in silenzio.

- Io… stasera non ti riconosco. Hai uno sguardo strano. Mi guardi come non mi hai mai guardato. E… e ti arrabbi senza motivo e mi trascini via come un forsennato e ti aggrappi al parapetto con tanta forza da farti sbiancare le nocche… e mi hai fatto paura sai? Sembrava quasi che tu volessi buttarti di sotto, a un certo punto! Ma che diamine ti prende? Ti droghi forse? Cioè, se non ti andava di venire potevi anche dirlo… o se hai cambiato idea, che so, puoi andare via quando vuoi, non c’è nessuna costrizione! Davvero, io non…-

Aveva detto tutto d’un fiato, sempre guardandomi negli occhi, stringendo sempre più le braccia man mano che andava avanti con il discorso.

Non riuscivo quasi a muovermi: come faceva a pensare cose simili?

Credeva che mi drogassi, roba da pazzi! Semmai era lei la mia droga…

L’avevo addirittura spaventata! Se ci fossi riuscito, forse mi sarei dovuto picchiare da solo…

Sentii le mie labbra arcuarsi in quello che doveva essere un sorriso, quando realizzai che quella era la cosa che più si avvicinava alla corte ad una ragazza che avessi mai fatto: bei risultati che ottenevo!

“Non c’è nessuna costrizione”

Come era possibile che non capisse? Era le che mi costringeva a rimanere: solo lei.

Non lo capiva.

Mi avvicinai di qualche passo. Feci per allungare una mano verso di lei, ma si allontanò ancora.

Scuoteva la testa ora e teneva gli occhi bassi. Faceva così solo quando non voleva che capissi cosa stava provando e quindi credeva di star provando le cose sbagliate.

- Davide, ma che ti prende? Davvero, D. credevo che… e stasera non ti stacchi un attimo e…-

Mi avvicinai in fretta, con pochi passi, fermandole le labbra con un dito.

Con l’altra mano presi la sua: era fredda, quasi tremante.

Speravo con tutto il cuore che a farla rabbrividire non fosse solo il freddo.

Una cosa in particolare mi aveva colpito nel suo discorso confuso:

- Come mi hai chiamato?-

Lei strinse leggermente gli occhi, cercando di capire a cosa mi riferissi.

- Io… ti ho chiamato D. non ti piace? Se ti da fastidio…-

Sorrisi e scossi la testa, quasi in modo impercettibile.

Mi avrebbe portato alla pazzia quella ragazza.

- No. No, mi piace. Mi piace tantissimo. D. Io quindi sono il tuo D.?-

Lei sorrise e arrossì di colpo, ritraendosi da me. Ma io subito ricoprii quella piccola distanza.

Non doveva allontanarsi.

Non poteva starmi lontana, o forse, non potevo stare io lontano da lei.

In ogni caso, il risultato era lo stesso.

A furia di arretrare, eravamo quasi arrivati a sbattere contro il muro della sala, allora continuai a spingerla delicatamente, fino a farla appoggiare con la schiena alle mattonelle bianche. Poggiai la mia mano destra sul muro, a meno di due centimetri dal suo collo, mentre la sinistra stringeva ancora quella fredda di Lari.

- Lari… non mi hai risposto-

Sussurrai, sovrastandola.

Mi persi nel suo profumo, sapeva di cannella e… ero fuori. Tanto fuori da non capire più niente.

Le orecchie mi fischiavano e sentivo un battito fortissimo: non riuscii ad identificare se fosse il mio cuore o quello di Ilaria. Forse erano entrambi. Qualcuno comunque, rischiava di avere un infarto.

Presi ancora un respiro, tanto vicino da sentire il suo respiro sul collo e ripetei la domanda:

- Lari, sono il tuo D.?-

Lei non rispose. Sentii il suo respiro accelerare e poi rallentare, diventando sconnesso.

La mano stretta nella mia era diventata se possibile ancora più fredda.

Iniziai a chiedermi se non funzionasse al contrario anche in quel senso: e le mani invece di sudarle, nei momenti di tensione, le si facessero ghiacciate. Conoscendola, non era un’ipotesi da eliminare.

Mi avvicinai ancora di più, solo con il viso però: non potevo rischiare di toccarla di più, non sarei stato padrone delle mie azioni altrimenti.

Riuscivo unicamente a fissarle le labbra. Non avevo mai desiderato tanto qualcosa.

Erano rosse, vive, e quando le vidi dischiudersi, fu come se avessi ricevuto un tacito consenso a fare quello che stavo solo sognando.

Ma mi sbagliavo.

Ero ormai lì, quando una mano si poggiò sul mio torace, spingendo, come a farmi allontanare.

Non era una spinta forte. Non c’era quasi niente in quella resistenza.

Eppure mi lasciò una ferita bruciante.

Era come se mi avesse marchiato a fuoco in quel punto.

Non ero mai stato respinto, ma dubito che mai un rifiuto avrebbe potuto ferirmi di più.

Il battito del cuore aveva rallentato fin quasi a fermarsi e faticavo a respirare.

Perché?

Avevo sbagliato qualcosa? Avevo fatto qualcosa di male?

Abbassai lo sguardo, cercando i suoi occhi. E li trovai lucidi, dilatati.

La sua mano era ancora sul mio petto. Non premeva più. Ma era come un monito: non dovevo avvicinarmi.

Feci per dire qualcosa ma lei fu più veloce.

Il suo fu poco meno di un sussurro, esile e fugace come il vento che ci colpiva.

Dovetti concentrarmi per capire.

- Non è ancora il momento-

Non sapevo cosa voleva dire, l’unica cosa che contava, l’unica a cui riuscii ad aggrapparmi con tutto me stesso, era che non significava no.

Non aveva detto no.

Strinse la presa sulle mie dita e sgusciandomi da sotto mi trascinò verso l’entrata alla sala.

Erano le dieci e mezza.

Per un’altra ora non ci separammo nemmeno per un attimo: ballammo, ridemmo, chiacchierammo… e poi ancora a ballare. E fra cocktail e sospiri smarriti, persi completamente la fiducia in me stesso.

Iniziai a sentirmi come un ragazzino al suo primo appuntamento: non avevo niente da offrirle: un sorriso era tutto quello che avevo.

Fu lei poi ad avvicinarsi a me, bisbigliandomi all’orecchio.

Probabilmente non si rendeva conto dell’effetto che aveva su di me ogni suo più piccolo movimento, non poteva quindi immaginare lo sconvolgimento che mi procurò chiedendomi dolcemente:

- Mi accompagni a casa, D.?-

Mi sorpresi a pensare che non avrei potuto negarle niente in quel momento.

E la scortai alla macchina, rubandola ai suoi parenti, incapace di credere che fosse la semplice idea di poterla avere al mio fianco ancora per un po’, a rendermi tanto felice.

Guidai piano, stando attento a non superare i limiti di velocità, e anzi probabilmente se mi avessero fermato, avrebbero potuto farmi una multa per intralcio al traffico. Certo non c’erano macchine, ma andavo talmente al rilento da poter tranquillamente essere superato da un moccioso in triciclo.

Non sarei comunque potuto andare più veloce di così: i miei occhi non guardavano la strada, fissavano lei.

Lei che, seduta al mio fianco, con la cintura ben allacciata, impregnava quel piccolo spazio con il suo profumo.

Lei che aveva accavallato le gambe e che dondolava leggermente il piede.

Lei che si mordeva il labbro inferiore, concentrata nello scegliere una stazione radio che le andasse a genio.

Si accomodò sul sedile quando ormai, anche volendo lasciar andare avanti la macchina per inerzia, mancavano pochi minuti all’arrivo. Aveva lasciato la radio RDS, che aveva appena finito di dare la pubblicità.

“Ed ora cari ascoltatori, diamo il via alla nostra sequenza mixata. Con questa daremo inizio al nuovo giorno, signori e signore! Ascoltiamo un successo di qualche anno fa: She will be loved”

La canzone incominciò quando io avevo già fermato la macchina.

Ilaria si era sganciata la cintura e aveva allungato la mano per aprire la portiera.

Quel semplice gesto mi aveva stretto il cuore in una morsa atroce: se ne stava andando.

Poi però si fermò un secondo ed allungandosi di nuovo verso la radio alzò il volume, di tanto.

Aveva alzato così tanto che riuscii a capire cosa aveva detto solo leggendole il labiale:

- Mi accompagni fino alla porta D.?-

Non me lo sarei fatto ripetere neanche mezza volta ancora.

In un baleno ero al suo fianco, e l’avevo presa per mano. Avevo lasciato lo sportello aperto e nella fretta non avevo permesso nemmeno a lei di chiudere bene il suo, perciò la musica si sentiva benissimo anche all’esterno, e fin anche al portone, seppur come un soffuso sottofondo, era ancora lì, a rendere quel momento ancora più magico. Non c’era la luna, anzi il cielo era coperto a chiazze da scuri nuvoloni. La luce era poca, giusto quella che arrivava da un palo poco distante.

Nonostante tutto, continuo a ricordare quella serata come una delle più belle in assoluto.

Non la guardai negli occhi, neppure un attimo: timoroso di leggervi un invito ad andarmene.

Scorsi con lo sguardo la figura del suo collo, risalendo pian piano, soffermandomi su ogni punto, su ogni suo respiro. Il vento soffiava alle sue spalle, agitandole i capelli, facendoglieli finire in viso. Mossi una mano per scostarne alcuni e glieli misi dietro l’orecchio. Nell’atto incontrai i suoi occhi: erano belli, come non mai.

Addolciti da un qualche pensiero che avevo paura ad indovinare.

Non ero più io, non ero più Davide.

In quel momento ero solo D.

Un D. non abbastanza sicuro di sé da ritenere che fosse lui a farla sorridere.

I miei occhi erano bloccati nei suoi, incapaci di uscirne.

Mi concentrai sulla musica, cercando la forza di volontà per girare i tacchi ed andarmene.

 

I don't mind spending everyday
Out on your corner in the pouring rain
Look for the girl with the broken smile
Ask her if she wants to stay awhile
And she will be loved
And she will be loved

 

La canzone che poi sarebbe diventata la nostra canzone.

Lei mi guardava con quegli enormi occhi color nocciola ed il mio cuore si sciolse assieme al suo sorriso. 

A voce così bassa che a mala pena la sentii, sussurrò:

- Ora è il momento-

Non stetti un secondo a cercare un significato alle sue parole, inconsciamente le stavo aspettando con tutto me stesso. Per qualche istante quasi credetti di essermele solo immaginate quelle parole, ma poi un po’ del vecchio, audace Davide, tornò a prevalere: e se anche fosse?

Mi avvicinai ancora di più e mi piegai leggermente su di lei, verso le sue labbra, curioso ed affascinato.

Morivo dalla voglia di vedere che effetto mi avrebbe fatto, come sarebbe stato poterla finalmente baciare.

Avevo mai aspettato tanto?

Avevo mai faticato, sofferto, desiderato tanto un bacio?

No, assolutamente no.

Ed era per questo che avevo paura. Paura di sbagliare qualcosa, di fare un passo falso…

… e di rovinare tutto.

Fu lei a venirmi incontro.

Aveva uno strano sbrilluccichio negli occhi: divertito ed emozionato allo stesso tempo.

Lentamente posò la sua mano dietro il mio collo, facendomi venire la pelle d’oca.

Non ebbe bisogno di fare altro.

Non avrei potuto resistere un attimo di più.

Mi sarei aspettato di tutto: dai fuochi d’artificio ad uno scontro di treni, come si vedeva nei film, ma mai, dico mai, mi sarei aspettato tanto.

Fu come se non avessi mai baciato nessuna prima.

Un primo bacio a dir poco ultraterreno.

Un bacio… indescrivibile.

Un bacio con Ilaria.

Un bacio con Lari.

Un bacio con lei.

La strinsi a me, sopraffatto dall’emozione, ed iniziai a giocare con le sue labbra.

Le succhiai il labbro superiore, cercando di farle aprire la bocca e lei rispose mordendo giocosamente il mio. Poi però schiuse le labbra, lasciandomi entrare, rendendo il bacio più appassionato, se possibile ancora migliore. Mi lasciò la mano per farla salire fino ai miei capelli, che iniziò a stringere, accarezzandoli delicatamente. Quando mi morse di nuovo, la mia lingua prese l’iniziativa, senza chiedere alcun parere ad altri

- Ti amo-

Nell’idillio in cui ero immerso, riuscii lo stesso a stupirmi delle mie stesse parole.

La mia meraviglia comunque non eguagliò minimamente quella di Ilaria, che si pietrificò fra le mie braccia.

Le labbra prima bollenti, le diventarono velocemente fredde.

Si allontanò, di quel tanto che le mie mani le consentirono.

Mi guardò fisso negli occhi, e qualcosa la fece ridere e scuotere la testa:

- Non stai correndo troppo D.?-

Io non sorrisi.

Era una cosa seria quella.

Non ero mai stato tanto deciso come in quel momento.

Le parole che seguirono erano state pienamente approvate dal me cosciente, che ne era assolutamente convinto:

- Non sono mai andato tanto a rilento, piccola-

Le sorrisi vedendo che mi credeva e la tirai di nuovo a me.

Rubandole un altro interminabile bacio.

Poi con uno sforzo immane di volontà mi allontanai, voltandole le spalle, e corsi alla macchina.

Salii ed accesi il motore.

Feci inversione e gridai, fuori di me:

- ‘Notte piccola! Ci vediamo domani-

E partii a tutta velocità.

Cercando di mettere la maggiore distanza possibile fra di noi.

Quella che prima non volevo e che ora era necessaria per farmi tornare con i piedi per terra.

La voce squillante della speaker alla radio mi distrasse:

“E con questa si conclude la nostra sequenza di grandi successi, in cui c’erano Neffa, Ne-yo, Sum41 e Maroon 5. E’ mezzanotte e tre minuti carissimi ascoltatori ed è appena…-

Non l’ascoltavo più.

La mia mente si era bloccata su un pensiero: avevo appena dato il più bel bacio della mia vita.

Un bacio che non avrei mai dimenticato.

Un bacio di mezzanotte.

 

*

 

 

   
 
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