Storie originali > Romantico
Segui la storia  |       
Autore: mamma Kellina    07/01/2010    1 recensioni
Primi anni del Novecento. Miniere della Sardegna sud occidentale. Il giovane ingegnere gallese Robert Forrest, vedovo con un figlio piccolo, e la sfortunata ma indomita Barbara decidono di sposarsi pur senza amarsi. Ma il loro non sarà un patto facile da mantenere perché in fondo è l’amore che vogliono, come tutti gli esseri umani. Il cammino in comune sarà difficile e forse non riusciranno a trovare ciò che cercano, ma di sicuro impareranno a riconoscere le cose che contano davvero nel rapporto tra un uomo e una donna.
Si tratta di un vero e proprio romanzo, molto intenso e drammatico. Il genere è piuttosto classico, alla Jane Austen per intenderci, ed anche se non ho la presunzione di paragonarmi ad una tale Autrice, ho cercato di dare un certo spessore psicologico ai miei protagonisti. Ho provato anche a rendere con efficacia l’epoca ed i luoghi con un accurato lavoro di ricerca. Spero di esserci riuscita. Le località minerarie sarde e la loro storia sono del tutto autentiche. Non così le vicende ed i personaggi di cui narro che sono frutto invece solo della mia fantasia e pertanto non si riferiscono, se non in maniera casuale, a persone realmente esistite e a fatti davvero accaduti.
Vi va di accompagnarmi in questo viaggio?
Genere: Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Grazie, grazie, grazie a tutte per la vostra bella accoglienza alla mia nuova storia ed un particolare benvenuto a Badkaty che si è aggiunta alle mie carissime lettrici di sempre. Vi confesserò che questo romanzone avrebbe potuto intitolarsi “La fifa nell’anima” per quanto mi preoccupava! In effetti mi preoccupa ancora perché la strada che abbiamo da percorrere è ancora lunga. Già me le sento le mie nanette che s’ incazzano con questo o con quella e la dolce Cricri che perde la pazienza per la perfidia con la quale farò soffrire qualcuno …  In compenso, ne sono certa, le passioni, le emozioni, la personalità che ho cercato di dare ai personaggi e le loro complicate vicende finiranno per intrigarvi. Per quanto riguarda gli aggiornamenti, tranquille, salute permettendo, li farò spessissimo tanto è mia abitudine pubblicare solo storie finite che hanno bisogno unicamente di una revisione (quelle non mancano mai dato che scrivo senza beta!). Anzi, visto che come vi dicevo è una  fiction è molto lunga, per farvi entrare meglio nello spirito della storia, stasera vi posterò  sia il secondo che il terzo capitolo.
Incrocio le dita sperando che questo romanzo  che ho avuto l’ambizione di scribacchiare sperando di avvicinarmi a quelli classici continui a piacervi e che magari possa attirare anche nuove lettrici.
Un bacio a tutte.

Quel colloquio era avvenuto nel mese di giugno e fino a settembre il fratello e la cognata non avevano fatto altro che ripetere ogni giorno a Barbara quanto avesse sbagliato a rifiutare la proposta dell’ingegnere.  Lei non ce la faceva più a sopportare i loro continui rimbrotti, ma doveva farlo perché non sapeva dove andare. Tra pochi giorni, esattamente il 19 settembre del 1902,  avrebbe compiuto trent’anni  ed il destino di una donna rimasta ancora zitella a quell’età era irrimediabilmente segnato. Sarebbe dovuta rimanere per tutto il resto dell’esistenza in casa di Alfredo come un’intrusa, sopportando il carattere infernale di sua moglie ed accontentandosi del po’ d’amore  riservatole dai quattro nipoti, senza alcun diritto, senza alcuna pretesa.
I genitori non le avevano lasciato nulla e se dopo la loro morte non ci fosse stato il fratello, non avrebbe avuto neanche da mangiare o da vestirsi e tanto meno un tetto sulla testa. Più volte aveva cercato di convincerlo a lasciarle trovare un lavoro, magari come governante, ma nel piccolo ambiente della loro cittadina, per lui sarebbe stata una vergogna permetterle di servire in casa di estranei. E poi Alfredo preferiva non suscitare altre chiacchiere perché tutti conoscevano bene lo sciagurato passato della sorella. Un passato che solo tredici anni di condotta irreprensibile e di abnegazione accanto ai genitori erano bastati a far dimenticare a qualcuno, ma nemmeno a tutti.     
Barbara sapeva che soltanto se si fosse maritata avrebbe potuto lasciare quella prigione, ma nonostante fosse ancora molto bella, nessuno l’aveva chiesta in moglie. Con il passare degli anni, aveva ormai perso ogni speranza di potersi creare una famiglia propria e allontanarsi da un luogo così pieno di ricordi dolorosi. Però non aveva rimpianti, aveva potuto dedicarsi ai genitori e la loro amorosa presenza era riuscita per molti anni a  colmare il vuoto della sua vita.        
Durante la lunga malattia della mamma, nelle notti insonni passate al suo capezzale a tenerle la mano o a bagnarle la fronte cocente di febbre, si era detta che forse la propria esistenza non era stata inutile perché negli occhi della moribonda aveva visto più volte un’enorme gratitudine. Anche quando la mamma era finita ed era restata con il padre, occuparsi di lui le aveva dato un enorme conforto. Tra loro c’era sempre stata un’intesa perfetta che niente aveva mai potuto spezzare. A volte, nelle sere d’inverno, mentre sedevano vicini nel salotto e lui le leggeva qualche bel libro mentre le fiamme crepitavano nel camino ed il vento faceva vibrare i vetri, si era sentita persino felice e la tranquillità così faticosamente conquistata, le era sembrata la ricompensa a tutte le sofferenze passate.  
Purtroppo anche il vecchio dottor Rispoli se n’era andato dopo qualche anno. Già nei giorni successivi al funerale, quando ancora le lacrime per la perdita dell’adorato genitore le scorrevano sul volto, Barbara aveva intuito dalle parole del fratello che il suo destino sarebbe stato ancora più amaro.

 
- Papà non ha lasciato nulla – le aveva detto  senza mezzi termini - ed io non posso consentirmi la spesa di mantenere te e questa casa. Vuol dire che verrai a stare da noi.

- Sei impazzito? Dove la mettiamo? – aveva obiettato la cognata che mal la sopportava e non aveva nemmeno mai amato i suoceri.

- Federico tra poco partirà per il servizio militare. La metteremo nella sua stanza, poi si vedrà.

- La voleva Luigino quella stanza!

- Luigino ha solo otto anni, può continuare a dormire con noi. E poi vedrai che Barbara ti sarà anche molto utile, potrà darti una mano in casa e con i bambini. Non è vero, mia cara?

Lei lo aveva guardato stralunata perché aveva intuito che da quel momento in poi doveva dire addio alla dignità ed alla sua vita privata per diventare la vecchia zia zitella, quella che si tiene in casa solo per pietà, quella che deve lavorare, silenziosa e muta, per guadagnarsi quanto le viene dato. Però non aveva altra scelta. Annuendo tra le lacrime, aveva risposto:

- Sì, certo.

Da allora erano passati due anni e tutte le più nere previsioni si erano avverate in pieno. Nonostante cercasse di rendersi utile, la cognata la considerava sempre un peso e talvolta doveva farsi forza per non risponderle a puntino.        
Una mattina di settembre, parlando dell’imminente rientro a casa di Federico che aveva terminato la leva militare, Luisa le aveva annunciato che i figli maschi avevano anch’essi bisogno di una stanza per cui lei si sarebbe dovuta adattare a dormire su di  una brandina  in salotto.    
Timidamente Alfredo aveva obiettato che la sorella avrebbe potuto dormire nella stanza delle ragazze, ma la moglie lo aveva guardato storto, zittendolo. Più tardi, mentre portava i piatti i cucina, Barbara l’aveva sentita dire al marito senza  neanche avere la creanza di non farsi udire:

- Non voglio che quella stia troppo a  contatto con le mie figlie, non è certo una buona compagnia per due ragazze che tra poco dovranno trovare marito!

La giovane donna aveva inghiottito amaro. Ricacciando indietro le lacrime,  si era augurata che almeno arrivasse presto la sera.
Era il tardo pomeriggio, infatti, l’unico momento bello della sua giornata. Andava in chiesa ad ascoltare i Vespri, poi proseguiva la passeggiata fino ai Bastioni e si sedeva lì, a guardare il mare. Se ne stava a fissare il disco del sole che lentamente calava all’orizzonte cercando di far scendere nella propria anima il silenzio e la calma.  
Quasi sempre rimaneva da sola, a volte veniva a sederle accanto Gavino, un vecchio che era stato pescatore di coralli, solido e scuro come una spranga di ferro, con il quale scambiava qualche parola. Lo conosceva sin da piccola perché era stato molto amico di  suo padre. Le era sempre  piaciuto per la sua saggezza e per i modi gentili e rispettosi. Anche se era un estraneo, le ispirava fiducia più di chiunque altro, e così un giorno aveva trovato persino il coraggio di parlargli brevemente della strana proposta di matrimonio ricevuta e subito rifiutata con tanto sdegno.  
Il vecchio non aveva commentato mai nulla, ma quella sera di settembre, quando in un momento di sconforto gli aveva confidato le proprie pene, le aveva detto:

- Avete fatto male a non accettare il matrimonio con quel forestiero, signorina mia. Se vi foste sposata, ora non dovreste fare la serva in casa di vostra cognata.

- Già, farei la serva in casa di mister Forrest! – mormorò, amara.

- Lui vi aveva offerto di essere sua moglie e a meno che non consideriate tutte le mogli delle serve…

- No, certo. Come si fa a considerarsi serve quando ciò che si fa è per il proprio uomo e per i propri figli?  Ma un matrimonio combinato, fatto solo per opportunità…no, è una cosa orribile, non è per me!

- Forse con  il tempo avreste potuto conoscervi meglio ed allora … chissà! Però, se non vi piaceva e trovavate disgustosa persino l’idea di dovergli stare vicino, avete fatto bene a rifiutare.

Barbara non trovava il coraggio di parlare perché temeva di apparire una sfacciata. Però voleva bene a Gavino e poi il vecchio pescatore conosceva la sua storia, non c’era pericolo di essere fraintesa. Aveva troppo bisogno di una parola amica così decise di confidarsi.

- È stato proprio perché mi piaceva moltissimo che non ho voluto accettare. Ho avuto paura, in realtà. Lo sapete, amico mio, non posso più mettere la mia vita nelle mani di un uomo, il lusso di innamorarmi non me lo posso più concedere.

- E perché? Il vostro padrino gli avrà sicuramente parlato della vostra vicenda e se l’ingegnere ha deciso lo stesso di chiedervi in moglie, vuol dire che non gliene importa poi tanto. Forse nel loro paese a certe cose non ci tengono. E poi, credetemi, per sposarsi non sempre l’amore è essenziale.

-  Ma come può funzionare un’unione se non c’è l’amore?

- Quello che conta è essere sinceri, desiderare di aiutarsi l’uno con l’altra, affrontare insieme la vita, crescere i figli con affetto. È questo quello che conta davvero, ragazza mia,  quello che fa diventare un uomo e una donna una famiglia, non l’amore che può anche ardere come un fuoco, ma bruciare troppo in fretta.

- Proprio a me lo dite? Forse avete ragione, ma oramai è troppo tardi. L’ingegnere avrà di certo trovato qualcuna disposta a sposarlo ed a seguirlo in quel posto sperduto. Pazienza! Vuol dire che mi rassegnerò a prepararmi il lettuccio nel salotto tutte le sere e a sperare che i miei nipoti si sposino presto, così potrò riavere finalmente una stanza per me – concluse lei con un amaro sorriso, ma decisa a convincersi di prendere la cosa con filosofia.

   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: mamma Kellina