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Autore: Afaneia    21/03/2010    3 recensioni
Febe, quattordici anni, studentessa toscana, iscritta al liceo classico. Una stravagante quarta alfa, tra professori troppo belli per essere veri e presidi dal look alternativo. Una vita buia, immersa nella sua solitudine, vissuta cercando di ignorare il senso di vuoto infinito che la sopprime. Perché di giorno ci sono lo splendore del sole e le risate, e di notte il pallore della luna e un'esistenza cupa di cui nessuno si accorge mai. Il contrasto estremo: serenità e malinconia.
Genere: Comico, Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
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Okay

Okay, questo capitolo è davvero tremendo, ma ho promesso alla mia amica Paddy che l'avrei fatto e l'ho postato. Sono in calo stilistico, perciò chiedo scusa anticipatamente; spero di riprendermi presto... se può servire come scusa, dinanzi a me si prospettano due settimane d'inferno. Ringrazio affettuosamente Smolly_sev e Amaerize che continuano a recensire e tutti coloro che in generale persistono nella lettura. Un grazie inoltre a Paddy che mi ha spronato a scrivere questo capitolo.

Bene, vi lascio alla lettura. Buon divertimento!

 

Niccolò ci aveva detto che se volevamo fare una gita decente dovevamo stabilire presto sia la meta che gli insegnanti accompagnatori, così da non ritrovarci all’ultimo momento a decidere. Disse che la sua vecchia classe, l’attuale V alfa, si era ritrovata a scegliere tardissimo e, alla fine, erano rimasti tutti a studiare. Poiché non volevamo che lo stesso capitasse anche a noi, nella prima metà di novembre tenemmo un’assemblea di classe durante l’ora della Corsi per decidere.

I nostri rappresentanti erano Lapi e Moriani, ovviamente: Niccolò perché aveva più esperienza, e Letizia perché era sicuramente l’altra persona più affidabile della classe, oltre a lui. Guardandoli il giorno dell’assemblea, così com’erano chini lui sul regolamento scolastico, lei sulla circolare riguardante le gite, pensai che ero contenta che fossero loro i rappresentanti. Intelligenti com’erano, entrambi col volto serio e segnato da qualcosa che non si poteva spiegare, qualcosa che però si capiva, traspariva…sarebbero stati dei bravi rappresentanti.

- Gente, un po’ di silenzio! La Corsi è qua fuori e se c’è casino si riprende l’ora. Perciò state zitti!

- Allora, abbiamo qui il foglio delle mete dell’anno scorso- disse Letizia alzandosi in piedi dietro la cattedra. – Il problema qui è dove si va.

- Amsterdam!- suggerì Oscar che non pensava tanto al punto di vista urbanistico e artistico della città.

- Ad Amsterdam si va in terza, quando siamo maggiorenni, Oscar! In terza ci fanno fare quello che vogliamo. Che senso ha andarci in quarta?- protestò Italia che aveva compreso pienamente a cosa si riferiva Oscar.

- Scusate, perché non andiamo a Praga?- Questa era Sara, che nessuno riusciva a sopportare.

- Che palle di città che è Praga- replicò Oscar facendole il verso.

- Però la birra costa poco- gli fece notare Letizia. – Meno dell’acqua.

- Il problema è che non ci lasciano nemmeno il tempo di comprarla- spiegò Niccolò. –Avete idea di quanto sia stressante una gita?

- Monaco- disse allora Michela.

- Monaco è una palla come Praga, forse di più!

- Qui c’è scritto Venezia…costa anche poco- disse Letizia.

- Venezia di marzo?- protestò Sandra e si toccò i capelli per simulare il volume dell’increspatura causata dalla pioggia.

- Oddio, neanche Venezia vi va bene! Napoli, allora!

- Figlioli, io ci sono bell’e stata in gita a Napoli! Cioè, voi non vi rendete conto di che gita è!- e qui la Morini iniziò un sermone che nessuno ascoltava su argomenti che a nessuno interessavano, accompagnandolo con la sua brutta risata sguaiata (aveva dei difetti la Morini. Non era antipatica ed era affettuosa quando voleva, tanto che non si notava che parlava male e aveva una risata orribile; però era tanto, tanto egoista.) A Letizia che la guardava parlare, Niccolò disse a bassa voce: - Leva anche Napoli.

- Figlioli, ma perché non si va in settimana bianca?- chiese Valentina con la sua parlata strascicata.

- Perché costa un culo di soldi- la rimbeccò Moriani parlando allo stesso modo.

- Macché, trecentocinquanta euro…

- E ti pare poco? Guarda che non se li possono permettere tutti. Oltretutto, non si impara niente e poi ci devi aggiungere il noleggio del materiale, il pranzo che là costa parecchio, la cioccolata calda che nessuno è capace di negarsi…

- Però la settimana bianca è bellissima- protestò Chiara che andava a sciare tutti gli inverni.

- Scrivila alla lavagna, Niccolò- ordinò Letizia, che non sopportava le discussioni. – Col prezzo accanto, e il numero dei giorni.- Moriani obbedì. – Altre mete? Proposte, figlioli! Tirate fuori proposte!

- La Grecia?- suggerì Michela speranzosa. – V’immaginate?

Moriani scosse il capo. – Siamo nel biennio, non possiamo né prendere l’aereo né fare gite più lunghe di tre giorni, a parte la settimana bianca.

- Ischia! Ischia è bellissima! E costa pure poco: centottanta…

- Allora lo scrivo, Ischia: tre giorni, centottanta.

- Torino?

- Macché Torino, è una gita da elementari.

- Le terme!- saltò su Raffaele scoppiando a ridere.

- Le terme? Ma una gita va motivata…perché dovrebbero portarci alle terme? Eppoi non c’è neppure nella lista!- esclamò Niccolò.

- I Romani frequentavano le terme, e i Romani li dobbiamo studiare quest’anno- osservò Alberto. – Moriani, segnalo!

- Ma non esiste una gita alle terme!

- Segna, segna- sbottò Letizia. – Non saranno contenti finché non l’avrai scritto. Tanto il gesso non lo paghiamo mica!
- Bah- borbottò lui scrivendo alla lavagna. – Fate voi, per me…

Le proposte erano finite, nessuno ne aveva nuove. Era il momento del pro e contro. Per esempio, la settimana bianca costava troppo. Ischia nessuno sapeva dove si trovasse. E le terme?

- Alle terme ci toccherebbe vedere la Corsi in costume- osservò Raffaele candidamente.

Ci fu un momento di silenzio.

- Cancella, cancella subito- esclamò Letizia precipitandosi a passare la cimosa a Niccolò.

Erano rimaste solo due mete possibili, alla fine: Ischia e Settimana bianca. Decidemmo di votare per alzata di mano. I risultati furono nove per la settimana bianca, dodici per Ischia, tre assenti. Stava per suonare. I due rappresentanti stabilirono di scendere in segreteria a chiedere un preventivo per quanto riguardava la gita a Ischia. Nel mentre che loro erano giù, noi ci preparavamo per uscire.

A mezzogiorno meno dieci, la porta si spalancò e Niccolò e Letizia rientrarono tutti affannati come se si fossero fatti tutta la scuola a corsa.

- Che avete fatto, vi siete trovati un angolo appartato?- domandò Oscar con la sua solita grazia e finezza. I due non lo cagarono nemmeno.

- Un momento di silenzio! C’è una cosa importante da dire!- gridò Letizia cercando di farsi sentire.

Avevano entrambi una sorta di ansia nella voce…forse fu questo che ci convinse a fare subito silenzio e a guardarli.

- Allora…abbiamo parlato col preside, che dice che se viene tutta la classe e se troviamo gli insegnanti accompagnatori…- Letizia prese fiato – Ci firma l’autorizzazione per mandarci in Grecia!

 

Tornai a casa tutta stranita, con la testa che mi rimbombava di: sette giorni, gita in Grecia, quinta alfa, trecentosessanta euro. Pensavo. Quando glielo chiesi, la mamma disse che se volevo mi dava senza problemi i soldi, anche qualora fosse venuto a costare più della settimana bianca e che avrebbe preferito anche in quel caso mandarmi là: disse che la Grecia va vista a tutti i costi almeno una volta nella vita, sia dal punto di vista artistico e naturalistico che da quello dell’impatto a livello personale. Sostenne che camminare sul suolo greco e pensare: questa era la terra di Socrate, di Platone, di Senofonte, di Aristofane, e poi di Pericle, di Leonida, di tutti quelli che noi studiamo a scuola, vedere le stesse montagne che forse i soldati delle battaglie famose vedevano morendo, è un’esperienza che tutte quelle persone dotate di un minimo di intelligenza e capacità di ragionamento devono fare.

- Sei una ragazza troppo intelligente per non vedere Atene. Vedrai che quando ci sarai capirai quello che voglio dire.

Io e mia mamma non sempre ci capivamo, questo era vero, e io avevo disapprovato troppo spesso le scelte che aveva fatto, i comportamenti che aveva, le cose che diceva. Una cosa però sapevo di lei: era una donna superiore, intelligente, molto intelligente, una di quelle persone che parlando ti affascinano, di quelle che criticano le persone stupide ma che s’innamorano delle altre. Solo questo ammiravo in lei…solo questo.

Ho detto che pensavo. In tutta quella storia c’era qualcosa che non mi tornava, ma non capivo cosa fosse. La mamma aveva detto di sì; non c’erano problemi; io stessa morivo dalla voglia di andare a visitare la Grecia; e allora cosa c’era che non mi tornava?

Finalmente, dopo averci riflettuto durante tutta l’ora che la versione di latino mi portò via, trovai la soluzione. La Lapi aveva detto che Leo era disposto a mandarci in Grecia a condizione che ci fossimo tutti e che avessimo due insegnanti accompagnatori. Era proprio questo che non mi tornava. Presi il cellulare e chiamai Niccolò.

- Bella fica, come ti butta? Ti serve la versione, vero?

- No, le scuse di chi t’ha promosso all’esame di terza media.

- Meno male, perché volevo chiederti se me la mandi via mail perché mi stava fatica…Dimmi tutto.

- Senti, la Lapi oggi ha detto che il preside ci manda in gita solo se abbiamo due insegnanti accompagnatori, giusto?

- Giusto.

- Ma noi ce li abbiamo due insegnanti accompagnatori? Chi è disposto a portarci, lo sappiamo già?

- Ah…- iniziò Moriani con l’aria di volermi rispondere con sicurezza, quindi s’interruppe e restò zitto modulando un motivetto per qualche secondo. Per finire: - Cazzo, hai ragione!

Era raro che Niccolò dicesse una parolaccia, ma quando ne diceva una significava che era preoccupato e che, soprattutto, c'era un motivo serio. In quinta alfa si diceva: quando fu bocciato, Moriani bestemmiò perché sapeva di non meritarsi la bocciatura; ma quella fu l’unica volgarità che disse in tutto l’anno.

Il problema c’era, eccome. Ci servivano due insegnanti accompagnatori; la Corsi aveva detto che era disposta a portarci in gita dove volevamo, perché tutti i suoi figli avevano almeno vent’anni e pertanto sopravvivevano anche senza di lei, a patto che ci comportassimo bene. La Bini portava una classe dello scientifico. La Dell’Amore aveva una figlia di un anno e mezzo e non poteva muoversi da casa per più di un giorno. Il Meoni, ovviamente, andava in settimana bianca.

- E il Napo?

- Non ci ha detto due giorni fa che gli hanno chiesto di andare in settimana bianca visto che sa sciare?

Cadde un lungo momento di silenzio. A un certo punto sentii che, dall’altra parte del telefono, Moriani apriva la bocca covando un’idea.

- No.

- Ma non sai neppure cosa ti sto per chiedere!

- Già il fatto che tu abbia detto di volermi “chiedere” qualcosa m’illumina.

- Ma hai capito cosa volevo dirti?

- Niccolò, io non ci vado!

- Sì, hai capito.

- Appunto.

- Febe, per amor di Dio, domani è sabato, se non glielo chiediamo ora non possiamo prenotarlo prima di lunedì e figurarsi se non avrà già dato la disponibilità per la settimana bianca!

- Tanto io non ci vado.- dissi seriamente. Ero decisa. Quei diciassette gradini non m’avrebbero tratto in inganno.

- Doria, mi spieghi cosa ti costa? Ti pesa così tanto il culo?

- Tantissimo- risposi.

- Dimmi quello che vuoi. Le versioni tutto l’anno? Parli con quello che l’anno scorso aveva nove a greco e otto a latino.

- Moriani, non me ne frega delle tue versioni! Lo vedi che ore sono?

- L’ora di muovere quel didietro per andare dall’elfo del piano di sopra.

- Sono le sette, fava! E se è già a cena?

- Va bene, fai come ti pare. Se ti vuoi prendere la responsabilità di non portare in gita la classe perché il prof sta cenando…

- Oddio, no! Ora non ci provare col senso di colpa. Moriani, non attacca.

- Va bene, ciao allora, non importa.- E mi attaccò in faccia. Ci rimasi di marmo.

Moriani non avrebbe mai riappeso in faccia neppure al professore che l’anno precedente lo aveva fatto bocciare, mai, io lo conoscevo ed ero sicura che in quinta mi avrebbero detto la stessa cosa. Era una di quelle persone che se sono arrabbiate ti prendono per il culo, velatamente o spudoratamente a seconda del caso, ma non reagirebbero mai in maniera così bassa e vile. Infuriata, mi alzai in piedi e iniziai a sbattere i libri in cartella, dicendomi: tanto ho ragione io.

Forse avevo davvero ragione, non lo so. Dopotutto, se la classe non si era organizzata in tempo, perché io avrei dovuto pagare al posto loro? Però accidenti, io in Grecia ci volevo andare. E se si fosse saputo in classe che potevo fare qualcosa, ma non l’avevo fatto? E se mi avessero fatto notare, magari con quel tono ipocrita che non sopportavo, che in effetti quei diciassette scalini in fondo li potevo anche salire…?

Chiusi la cartella e mi passai la mano sulla faccia. Guardai l’orologio. Erano le sette e un quarto. Turbata, mi dissi che sicuramente per mantenere quel sedere divino cenava presto e che sarebbe stato tremendo bussare e trovarlo a tavola… tirai un calcio allo zaino. Sospirando, mi toccai il naso e trovai che era lucido. Andai di corsa in bagno e m’incipriai. Quindi, tirando maledizioni a destra e a manca, presi le chiavi, salii le scale e andai a suonare il campanello.

Sentivo il cuore che mi batteva fortissimo. Se non fossi stata così tremendamente lucida anche in quel momento, penso che sarei scappata e avrei fatto finta di niente. Invece rimasi lì. Come una cretina.

- Chi è?

- Sono…Doria, professore.

Aprì la porta. Com’era bello con quella tuta e i capelli portati indietro da una fascia! Dio, com’era bello! Rimasi lì a guardarlo cercando di trovare qualcosa di intelligente da dire per giustificare la mia intrusione.

-Dimmi. Ti serve qualcosa?

- Ah…ah…io…sono venuta a…a…

Mi guardava. Porco cane, com’era bello anche quando la sua espressione sembrava voler dire “cosa diamine vieni a bussarmi a casa all’ora di cena se non hai nulla da dirmi”! Cercai di farmi coraggio.

- Ehm… scusi se la disturbo a quest’ora, prof…è che…volevo chiederle se ha già dato la disponibilità per andare in settimana bianca.

Esitò per un momento, riflettendoci su. – Perché…voi dove vorreste andare?

Sospirai. Almeno il suo non era un no deciso. – Il preside dice che se abbiamo due insegnanti accompagnatori è disposto a mandarci in Grecia.

Ci rimase a bocca aperta. – Ma siete ancora nel biennio…

- Se abbiamo tutte le carte in regola è disposto a mandarci anche se il regolamento dice di no- dissi implorante.

Doveva esserci qualcosa nell’espressione supplice dei miei occhi, o più probabilmente nella prospettiva di un viaggio in Grecia, che lo mise a dura prova. Tentennava, toccandosi i capelli.

- Ascolta, ho detto ad Aldo che potevo venire in settimana bianca…certo che non sarò di sicuro l’unico in tutta la scuola a saper sciare…

- Certo che no- gli dissi per invogliarlo a prendere in considerazione l’ipotesi. Soggiunsi: - Non potrebbe chiedergli di cercare qualcun altro e, se proprio non trova nessuno…

- Sai, sono quasi tutti già impegnati.

Allargai le braccia perché questo era vero: sarebbe stato assurdo che gli dicessi che non era così. Mi guardava indeciso, giocherellando con la fascia che gli tirava indietro i capelli mettendo in risalto quelle orecchie così dannatamente elfiche… alla fine si decise.

- Facciamo così: stasera lo chiamo e gli dico di cercare qualcun altro. Se trova qualcuno che prende il mio posto vengo con voi, in caso contrario…

Mi venne da ridere. Avete presente quando siete così nervosi che non riuscite a parlare e l’aria vi esce dalla bocca sotto forma di risata?

- Grazie prof…molto gentile.

- Di nulla. Povera Doria! Cosa ti tocca fare per far contenti i tuoi compagni!
- Eh eh…già- dissi ridendo nervosamente come una stupida per darmi un contegno. Mi mossi verso le scale. – In tal caso io vado…

- Che maleducato, ti ho tenuta sulla porta come un creditore…non ti ho neppure chiesto se volevi accomodarti- soggiunse cercando di comportarsi in maniera cortese. Rabbrividii.

- Si figuri, prof…per due parole…e poi devo studiare…a lunedì- dissi tutto d’un fiato prima di precipitarmi al piano di sotto, senza dargli la possibilità di replicare.

Mi rifugiai in camera mia a smaltire l’emozione seduta alla finestra, respirando affannosamente per cercare di calmarmi e stramaledicendo Moriani e la mia classe disorganizzata…Moriani, già. Presi il cellulare.

Li ho fatti quei 17 gradini, fava. Dice che parla col Meoni per trovare un altro che vada in settimana bianca. Tu preparati perché voglio tutte le versioni di quest’anno.

Due minuti dopo, il classico bip bip dell’sms ricevuto. Andai a leggerlo e, leggendo, mi venne da sorridere.

Ti stimo, bellissima. A domani.

   
 
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