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Autore: mamma Kellina    27/03/2010    6 recensioni
Nei primi anni del Novecento, Robert, un giovane ingegnere minerario vedovo e con un figlio piccolo e Barbara, una ragazza sarda con un triste passato che la condannava a restare zitella, hanno deciso di sposarsi solo per reciproca convenienza. Ben presto però i sentimenti e l’attrazione fisica hanno trasformato il loro patto in una situazione molto difficile da sopportare soprattutto perché nessuno dei due vuole accettare che, malgrado tutto, l’amore sta entrando a poco a poco nelle loro esistenze.
Eccovi dunque la seconda parte di questa vicenda che si svolge nelle miniere della Sardegna sud occidentale. Spero che chi ha già seguito la prima parte avrà piacere di vedere come si conclude il romanzo ma non dispero nemmeno di trovare ancora nuovi lettori. A tutti prometto una storia vivace, intrigante, meno drammatica di quella narrata finora, ma che, mi auguro, saprà ugualmente emozionare e coinvolgere.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Storico
Capitoli:
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Capitolo 30

 

Barbara era andata a prendere la bimba ancora in lacrime e se l’era messa in braccio, ritornando a sedersi. Maria Neve avrebbe voluto essere un po’ consolata, ma poiché la mamma non lo faceva, rivolse la sua attenzione al libro abbandonato sul bracciolo del divano e subito l’afferrò,  mettendosi a giocare con esso. Le lacrime le bagnavano ancora il visino paffuto e qualche singhiozzo la faceva sussultare di tanto in tanto, però smise di piangere.

Intanto la donna osservava assorta il fuoco nel camino e con gli occhi della mente vedeva la scena che doveva essersi svolta qualche mese prima tra Sean e Robert. Probabilmente il primo gli aveva riferito delle sue profferte amorose con la solita ironia, sottolineandone il lato comico e l’altro  doveva aver sospirato, un po’ mortificato per la figuraccia fatta dalla moglie, ma tutto sommato indifferente. Forse si era scusato, spiegandogli che quella misera paesana non aveva ancora capito di non essere neanche lontanamente all’altezza delle donne da loro amate in precedenza. Allora il dottor Hopkins, sempre senza peli sulla lingua, doveva averlo invitato a darsi un po’ da fare per calmarne i bollenti spiriti e Robert doveva aver fatto uno dei suoi sorrisini divertiti, promettendogli di tenerla buona per il futuro, almeno per evitare che rivolgesse le sue proposte ad altri uomini più disposti ad approfittare della situazione.  D’altronde, ora che il dolore per la perdita di Julie non era più così cocente ed avvertiva impellente il bisogno di riprendere una normale vita sessuale, non gli sarebbe costato alcuno sforzo rivolgerle le sue attenzioni. In fondo lei era carina e se c’era qualcuno a cui spettava goderne, questi era unicamente suo marito. La conosceva bene e sapeva che gli sarebbe caduta ai piedi come una scema non appena si fosse messo a recitare la parte dell’innamorato. Forse ci aveva anche provato gusto nel farlo, ridendo dentro di sé per quelle sue ridicole resistenze.

Si era illusa di nuovo. Ora capiva che solo di un’illusione si era trattata: se il marito davvero l’avesse amata, non sarebbe stato capace di prendere la sua sbandata per un altro uomo con tanta freddezza. Era tutto inutile, per Robert sarebbe stata sempre e soltanto un ripiego, così come per Sean era stata solo una goffa ragazzotta di paese un po’ esaltata  e per Filippo, tanto tempo prima, un piacevole passatempo.

Si riscosse dai pensieri passandosi una mano sulla fronte. Solo allora vide come la figlia aveva ridotto il suo povero libro, oramai tutto bagnato di saliva e con molte pagine strappate.  Era un romanzo di Jane Austen, la sua autrice preferita, dei cui scritti si era nutrita con avidità sin da quando era ragazza.  Facilmente si immedesimava con le protagoniste, condividendone la modesta condizione e  provando la loro stessa costrizione alle rigide regole sociali che ne soffocavano la vita ed i sentimenti. Eppure sempre in quelle storie, per quanto difficile potesse essere stato, alla fine l’amore trionfava, ripagandole  di tutte le sofferenze patite. La vita non era così, perlomeno non la sua. Aveva sempre sbagliato a leggere simili sciocchezze buone solo per far letteratura. 

Con un gesto deciso prese il libro dalle mani della figlia e lo gettò nel fuoco, rimanendo a guardarlo mentre bruciava, poi si alzò ed andò a preparare la pappa alla bambina.   

 

Le stava ancora dando da mangiare quando Robert e il figlio ritornarono. Dalle loro voci contente pareva che la scenata di poco prima non si fosse mai svolta. L’uomo era rimasto in maniche di camicia e l’azzurro intenso del tessuto faceva risaltare il bel viso abbronzato e sorridente. Il suo maglione con qualcosa avvolto dentro lo teneva in mano Charles che si affrettò a correre tutto allegro dalla mamma.

- Guarda che abbiamo trovato! – le disse scostando la stoffa per mostrarle il suo prezioso tesoro.

Barbara, occupata ad imboccare Neve, si voltò abbastanza distrattamente ed ebbe un sussulto alla visione di un animaletto marrone e peloso.

- Un topo! – urlò inorridita.

- Ma no – la tranquillizzò il marito ridendo – è uno scoiattolo. Con la tempesta di stanotte deve essere caduto dal suo albero.

- Non ce lo voglio qui! Portatelo fuori.

- No, è mio! – protestò il bambino stringendoselo al petto.

- Ti ho detto che non lo voglio qui, portalo fuori – ripeté con un tono che non ammetteva repliche e talmente alto che la bambina se ne spaventò e ricominciò a piangere.

- No, no, Pallino sta con me, è mio! – strillò Charles mettendosi a piangere anche lui.

- Barbara, per favore, è solo uno scoiattolino, lasciaglielo tenere un poco, si è già affezionato – intervenne il padre, calmo come sempre.

 - No! – urlo di nuovo lei.

- Non vedi che lo fai piangere così?

- Non sono io a farlo piangere, sei stato tu uno stupido a consentirgli di raccogliere un animale selvatico. Chissà quali infezioni può portare in casa! Mettetelo fuori.

- Già, sono stato uno stupido, però non avrei mai immaginato una tua reazione così esagerata. Si vede che sei molto nervosa stasera.

Il tono di Robert era decisamente sarcastico e l’allusione alla  loro precedente conversazione era molto chiara.

- Non dovrei esserlo secondo te? – gli rispose la moglie,  raccogliendo la provocazione.

- Forse, ma non devi prendertela con me ed i bambini se gli uomini di cui t’innamori  se ne scappano a gambe levate appena  fai capire loro che li vuoi!

Era nervoso e irritato anche lui e si era sfogato mettendo consapevolmente una buona dose di malignità nelle parole. Comprese di averle fatto del male quando la vide farsi bianca in volto e se ne pentì subito. Avrebbe voluto chiederle scusa, ma lei non gli diede il tempo di aggiungere null’altro. Prese la bambina e se ne andò in camera da letto a cambiarla senza commentare.

Più tardi riapparve in cucina. Charles e Robert, incuranti della sua richiesta, stavano giocando con lo scoiattolo che avevano messo in una scatola accanto al fuoco. Lei lo notò, ma non disse nulla e li esortò ad andare a lavarsi per la cena, poi apparecchiò con due soli piatti.

- Tu non mangi? – le chiese il marito, desideroso di far pace.

- Non ho fame.

Trascorse tutto il resto della serata a pulire la casa in un’attività  quasi febbrile tanto che Robert ad un certo punto la invitò a smettere.

- Non c’è bisogno di far tante pulizie se domani ce ne dobbiamo andare! – commentò irritato.

- Le sto facendo proprio per questo. Voglio lasciare la casa pulita.

- Provvederà Teresa a farlo, la pagheremo per questo.

- Io sono una persona pulita e mi piace lasciare le cose pulite.

 - Stai facendo una fatica inutile!

- Appunto, la sto facendo io, non tu. Lasciami fare, per favore.   Robert avrebbe voluto parlare ma con lei che sfaccendava a destra e a manca ed i bambini presenti non era affatto facile.

Maria Neve fu la prima ad essere messa a letto e poi la mamma tornò a prendere anche Charles per spogliarlo e farlo coricare. L’uomo sperò che una volta rimasti da soli avrebbe potuto rabbonirla ma il piccino, appena fu pronto per la notte, scappò di nuovo in cucina per riprendersi la scatola con lo scoiattolo.

- Dove credi di andare con quel coso? – gli chiese Barbara nel notare che lo stava portando  in camera da letto.

- Io vado a dormire soltanto se Pallino sta con me!

- Neanche per sogno, non ce lo voglio nella mia stanza!

- Non ci dormo senza di lui – la sfidò il piccolo battendo i piedi e sul punto di piangere di nuovo.

- Bene, allora ti metterai a dormire con tuo padre in uno dei lettini – gli disse severa.

- Insomma smettila – la invitò Robert perdendo la calma - Guarda che non è una tigre, è uno scoiattolo pauroso ed infreddolito. Non uscirà neanche dalla scatola.

- Mi fa impressione tenerlo dentro mentre dormo e poi ti avevo già pregato di sbarazzartene. Evidentemente non t’importa niente di quello che voglio io – gli rispose e poi se ne andò senza dargli il tempo di replicare nulla.

Robert ci mise del bello e del buono a convincere il bambino a lasciare  in cucina lo scoiattolo e quando finalmente ci riuscì, lo prese in braccio per metterlo a dormire accanto alla madre, ma trovò la porta scorrevole  chiusa con il lucchetto. Scoraggiato, si passò una mano tra i capelli ed al figlio che gli chiedeva se la mamma fosse arrabbiata, rispose:

- Sì, piccino, è molto arrabbiata. Per stanotte dormi con papà.

- Allora ci portiamo Pallino a dormire con noi?

- Sì, ce lo portiamo.

 

La mattina dopo si mossero davvero di buon’ora perché Rinaldo venne a prenderli con il carrozzino quasi alle prime luci dell’alba. Notando come se ne stessero tutti mogi, il buon uomo li incoraggiò:

- Vi vedo  molto tristi. È  perché è finita la vacanza?

- Già – gli rispose sorridendo Robert seduto dietro insieme alla moglie ed alla figlia mentre il piccolo Charles era accanto al guidatore a cassetta.

- Potrete tornarci quando volete! Vi farò una confidenza: mia cognata si preoccupava un po’ perché si  poteva rovinare qualcosa di proprietà dei Walker ed invece è rimasta così contenta  di come la signora Forrest le ha lasciato la casa, che mi ha detto di dirvi che vi aspetta anche tutte le settimane.

- Grazie, Rinaldo, magari qualche volta ne approfitteremo ancora. Non è vero Barbara?

Lei non gli rispose ed al suo silenzio ostinato ingenuamente Charles rivelò:

- Mammina è molto arrabbiata! Sono stato io a farla arrabbiare.

- Davvero? E che hai fatto? – gli chiese l’uomo incuriosito.

- Ho preso lui e me lo voglio tenere.

Così dicendo gli mostrò lo scoiattolo nella scatola che portava in grembo. L’animaletto si era alquanto ripreso ed ora appariva sicuramente più vivace.

- Non puoi tenerlo,  la mamma ha ragione, è un animale selvatico e non può stare in casa con te.

- Infatti, appena sarà guarito lo libereremo su un albero. Non è così, piccolo? – gli domandò il padre.

- No, no, Pallino è mio! Sei cattivo anche tu, come mamma – protestò il bimbo, incominciando piagnucolare.

Rinaldo sorrise e provò a convincerlo a sua volta.

- Il povero Pallino, come lo chiami tu, è nato per vivere libero, non per stare chiuso in una scatola. Per te ci vorrebbe un animaletto domestico, come ad esempio un gattino. Mia sorella ha una gatta che ha appena fatto degli splendidi micini. Se ne vuoi uno, te lo porto.

Il piccino rimase un po’ interdetto e lo guardò perplesso. L’altro proseguì per convincerlo:

- O magari preferisci un cucciolo? Ne ho uno che è un vero amore, è bianco e nero con un musino assai simpatico. È l’ultimo  rimastomi dei figli della mia cagna e lo avevo tenuto per farlo diventare un bravo cane da caccia come la madre. Però se lo vuoi, te lo regalo volentieri così quando crescerai potrai andare a caccia con lui.

- Io sono “pessc-catore” – rispose il piccolo con la sua consueta comicità nello storpiare le parole e vedendo Rinaldo e Robert ridere, si mise a ridere anche lui, aggiungendo poi, felice – però un cagnolino mi piacerebbe assai!

- Allora è fatta, te lo porto.

- Non devi privartene, Rinaldo – obiettò il padre.

- Mi fa piacere, ingegnere, davvero.

- Bene, quand’è così gli costruiremo una bella cuccia in giardino così non sporcherà in casa e la mamma ci consentirà di tenerlo. Non è così, mamma?

Ancora una volta lei non rispose, restandosene silenziosa ed assorta a guardare il panorama. Non disse una sola parola fino a quando giunsero a casa ed aveva un’aria molto abbattuta. Kate, che si era affrettata ad andare loro incontro, notò lo strano atteggiamento della nuora ed il disappunto sul viso del figlio. Ne fu molto dispiaciuta. Dopo averli salutati,  prese i bambini con sé dando loro modo di salire i bagagli in casa.

Robert lasciò la valigia con i suoi vestiti nella stanza di Barbara.

- Adesso devo andare alla miniera e non ho tempo, ma appena torno sistemo i miei vestiti per bene nell’armadio – le disse cercando di apparire disinvolto.

- No – lo corresse la moglie – è meglio se te ne ritorni a dormire nella stanzetta. Non ho nessuna intenzione di riprendere la commedia del maritino e della mogliettina innamorati.

L’uomo aveva cercato di mantenere la calma in ogni modo, ma  oramai non ce la faceva più.

- Ed io non ho nessuna intenzione di riprendere la battaglia, invece. Sono stufo del tuo caratteraccio, cerca di smetterla! – sbottò.

Ma era innamorato ed ancora una volta provò a cercare il colloquio.

- Ascolta – aggiunse dopo qualche momento – ci siamo detti che non avremmo più lasciato cadere il silenzio tra noi, perché non proviamo a parlarne?

- Non abbiamo niente da dirci, non dopo il modo in cui ti sei comportato – gli rispose lei mentre toglieva i propri vestiti dalla valigia.

A questo punto il marito ritenne che avesse passato ogni segno. Un velo di rabbia gli offuscò la vista e lui, di solito così calmo e misurato, l’afferrò per le spalle, la fece girare per guardarla in faccia e cominciò a scuoterla forte.

- Il mio comportamento? – le urlò – Sei tu che dovresti vergognarti del tuo e chiedermi scusa invece di fare l’arrogante come stai facendo. Vergognati!

- Mi vergognavo infatti ed ero intenzionata a chiederti perdono, ma evidentemente non ce n’era bisogno. Pare che la cosa non ti abbia interessato più di tanto.

- Cosa dovevo fare, sentiamo? Saresti stata più contenta se ti avessi picchiato? Dimmi, è questo che volevi? – oramai fuori di sé la stava quasi maltrattando scuotendola con violenza – O magari preferivi che ti cacciassi di casa?  Volevi di nuovo fare la figura della sgualdrina con tutti ed andare a chiedere pietà ancora una volta a tuo fratello?

Barbara si sentì indignata e, liberandosi dalla sua stretta, gli urlò con  rabbia:

- Non sarai tu a cacciarmi di casa, me ne andrò da sola e non certo da Alfredo!

- E dove andrai se non hai né arte né parte?

- Chiederò al capitano Borghero di portarmi a Genova, lì c’è ancora un fratello di mia madre. Sicuramente potrà darmi ospitalità per un po’, almeno fin quando non avrò trovato un lavoro come governante o come cameriera. Questo lo so fare, non trovi? Persino tu dovrai darmene atto.

- Tu sei pazza, pazza! Lasciare la tua famiglia per andare a fare la serva! Non ti sopporto più quando dici simili assurdità!

- Bene, allora ti farà piacere che tolga il disturbo. Non incaricarti di quello che farò, ingegnere, qualsiasi cosa è meglio dello stare qui con te a farmi umiliare ancora, persino andare a pulire le latrine!

In un moto d’ira lui le afferrò il viso in una mano, serrandoglielo come in una morsa. Costringendola a guardarlo in faccia, le disse stravolto:

- No, mia cara, non ti lascerò rovinare la mia vita e quella dei miei figli. Hai preso un impegno con me e ora lo devi rispettare, ti piaccia o meno.

Poi la lasciò talmente  bruscamente da farle perdere quasi l’equilibrio e andò via sbattendo forte la porta.  Barbara non l’aveva mai visto così adirato e non lo aveva udito mai urlare in quel modo. Probabilmente anche per Kate era così perché la sentì nel corridoio che gli chiedeva qualcosa ma il figlio, ancora alterato, le rispose bruscamente.  Dopo un po’ l’anziana signora si affacciò sotto la porta della stanza con la piccola Neve in braccio.

- Barbara, che c’è? È successo qualcosa? – osò chiederle.

Solo allora la giovane si accorse di avere il viso rigato di lacrime. Asciugandosele in fretta, le rispose:

- Sì, Kate, è successo qualcosa. Vi abbiamo coinvolto nella nostra assurda vita ed oramai è venuto il momento che voi sappiate la verità. Ve ne parlerò, ma non ora, ora mi sento troppo male. Perdonatemi.

La brava donna la guardò con molta mestizia e la incoraggiò con i suoi modi dolci.

- Non ti preoccupare, cara, aspetterò quando starai meglio. Adesso però approfitta che la piccina ha sonno e  riposati un po’ insieme a lei. Baderò io a Charles.

Barbara annuì e prese in braccio la bambina che  si stava stropicciando gli occhietti con le manine grassottelle. La mise sul letto e dopo essersi spogliata, le si distese accanto tenendola stretta.

Sperava di potersi addormentare anche lei almeno per un poco. Giusto il tempo di avere una piccola tregua dalla pena che si sentiva dentro.

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Meno male, mi aspettavo che mi avreste presa a parolacce ed invece mi sembra che anche voi concordiate sul fatto che qualche altra cosina Robert e Barbara debbano impararla ancora. Non devono prendersela con la loro autrice, ma a volte ho l’impressione che i loro caratteri, mio malgrado, si siano quasi autodefiniti nel corso dell’evolversi di questa storia ed io per prima mi sono resa conto che il “santo” Robert ha sempre avuto la tendenza a dire e a fare cose terribili che quasi distruggono quella poveretta della moglie e poi pretendere  che tutto ritorni come prima, in piena calma e tranquillità, come se niente fosse successo. Del resto anche Barbara è troppo impulsiva e permalosa e spesso diventa eccessivamente bisbetica quando le cose non vanno come si era aspettata. Tutt’e due poi, come avete notato anche voi,  devono imparare a dialogare, a non nascondersi dietro le mura del silenzio e del risentimento senza aprirsi reciprocamente e soprattutto a dirsi la verità. Allora, anche se li ho fatti soffrire ancora un po’, spero di averli aiutati a riflettere e a ravvedersi prima dell’immancabile happy  end che arriverà nell’ultimo capitolo. Però prima dovrà succedere ancora una cosa che li … Stop! Non vi dico più nulla che non sia: non perdetevi il prossimo capitolo…



   
 
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