CAPITOLO UNO
Bacche
Una carrozza si era fermata davanti
al castello, lasciando scendere due donne dall’aspetto regale, una più giovane,
l’altra più anziana. Il loro abbigliamento suggeriva l’estrema importanza delle
ospiti arrivate quella mattina, confermata poi dalla seguente discesa dal mezzo
di un nobile signore che doveva per forza essere il tanto atteso principe del
regno confinante. Per ultimo scese un giovane che dimostrava meno di vent’anni.
Alto e composto in un’espressione seria, stava in piedi mostrando con orgoglio
e fierezza la sua figura. I capelli erano corvini, piuttosto mossi ma corti e
ordinati. Spesse sopracciglia perfettamente delineate incorniciavano gli occhi,
due smeraldi incastonati in due mandorle. Gli zigomi alti, il naso dritto, la
mascella squadrata: più che un uomo sembrava una splendida scultura.
«Ragazza, sai che giorno è oggi?»
«Il primo gennaio, Anno Domini 1000»
rispose l’interrogata leggermente intimorita.
«Oggi» contraddisse quella «è il
sedicesimo compleanno della principessa e nessuno può permettersi di oziare
guardando fuori dalla finestra!»
«Io… ecco… stavo per andare a
riferire l’arrivo de…» cominciò a scusarsi la domestica, ma la vecchia continuò
«Ah, i giovani di oggi! E le loro fantasie… Aspettano forse che il loro lavoro
si compia da solo, come per magia? Non hanno imparato che la vita non è una
favola. Vaneggiano al posto di agire…»
«Chiedo scusa, ma ad ogni modo il
mio compito era di avvertire quando fosse arrivato…» provò ancora la ragazza a
spiegare, ma l’altra continuò «Ah! Con tutto il daffare che c’è oggi… preparare
il banchetto, allestire le sale, pulire, rassettare, accogliere gli ospiti…»
«Appunto, attendevo l’arrivo degli
ospiti per riferirlo ed è appena arrivato…»
«Ma voi, giovani, non ve ne occupate
affatto» la interruppe nuovamente «E a chi tocca fare tutto? A me, ovviamente.
A me, che è rimasto il senso del dovere, a me, che non ho mai perso vigore, a
me, che non spreco il tempo a guardare il vuoto! Che poi, cosa c’è di tanto interessante
fuori, son proprio curiosa, fammi vedere… Oh, il principe! È arrivato il
principe! Imbranata, perché non lo hai detto subito? Tutto io devo fare, ah,
che il Signore mi aiuti! Svelta, vai ad abbassare il ponte levatoio, cosa ci
fai ancora qua?»
La giovane domestica corse ad
eseguire gli ordini e si accinse ad armeggiare con catene ben più pesanti di
quanto la sua gracilità potesse sopportare.
«Maria?»
La ragazza si girò e incontrò lo
sguardo preoccupato di un altro domestico, che si affrettò ad aiutarla.
«Lascia fare me» le sorrise, ma lei
mantenne le mani ferme «È il mio compito, Marc, posso farcela.»
«Chi ti ha dato questo compito?»
chiese lui, sovrapponendo le sue mani a quella di lei per prendere il posto.
«Madama Giuditta»
«Vecchia pazza!»
«Ma è tua madre!»
Risero insieme mentre lui finiva di
tirare la catena.
«Grazie, Marc»
«Non c’è di che» le sorrise «Beh,
devo correre a sellare i cavalli per il giovane principe e il nostro signore,
che a quanto pare vuole fare una galoppata e due chiacchiere per conoscere il
futuro genero».
«Non lo conosce ancora?» esclamò più
che stupita la ragazza. Marc alzò le spalle. «Conosce l’ammontare dei suoi
possedimenti»
«E Aurora? La principessa lo ha mai
visto?»
«Cosa c’entra lei?»
Maria abbassò la testa, sconfitta
dalle verità che avevano distrutto il suo mondo di fanciulla sognatrice. «Mai
sentito parlare dell’amore?» sussurrò.
«Ho sentito dire che ci sono
ambizioni e doveri che devono essere capaci di metterlo a tacere»
«Al di là di ciò che hai sentito
dire… è davvero quello che pensi?»
Lui le alzò il mento con un dito per
guardarla negli occhi «Io non possiedo niente, e perciò sono così libero da
poter forse anche amare». Le posò un fugace e imprudente bacio sulla guancia e si
mosse verso i suoi doveri.
Anche Maria zittì il suo battito e
riconcentrò la sua mente alle mansioni da svolgere, zampettando velocemente
verso gli appartamenti per assicurarsi che le camere degli ospiti fossero in
ordine. Due serve, Bianca e Beatrice, stavano ancora facendo il letto in quella
del figlio del principe.
«Filippo è già qui?!» strillò Bianca
cominciando a compiere freneticamente i loro movimenti.
Maria era stupita che conoscesse il
suo nome, ma rimase ancora più stupefatta nel sentire le chiacchiere
informatissime di Beatrice sul suo conto: aveva diciotto anni, era un
eccellente cavaliere, forte, coraggioso, ma al tempo stesso incredibilmente
romantico. Quella sera, secondo i progetti di entrambe le coppie di regnanti,
avrebbe chiesto la mano della principessa Aurora.
Mentre cianciavano, le due avevano
frettolosamente finito di sistemare il letto e dopo una lunga serie di elogi
intervallati da sospiri liberarono Maria, la quale proseguì il suo giro di
perlustrazione nelle cucine per assicurarsi che procedesse tutto per il meglio.
«Mademoiselle!» le corse incontro un ometto
baffuto dall’aria preoccupata. Maffeo, il cuoco di
corte. Non l’avrebbe lasciata andare finché non avesse provato un po’ di ogni
singola portata per poi farle esprimere sempre la solita affermazione di
eccellenza.
«Beige o écru?» le mise davanti due fazzoletti
quasi identici.
«I menestrelli non sono pagati a
dovere!» attaccò un giullare con voce acuta «Non credete anche voi? Voglio
dire, come vengono ripagate le nostre doti canore, di intrattenimento, lo
spiccato senso dell’umorismo e anche cultura, possiamo dire, con tutte le
ballate che conosciamo a memoria? E lo sforzo mnemonico, sì, possiamo
aggiungere, senza contare quello fisico, sempre a saltellare… Ecco, come viene
ripagato tutto questo? Una miseria! Ma sia ben chiaro che noi menestrelli non
facciamo solo parole: sto organizzando un sindacato per i nostri diritti. Siete
sorpresa? Pensavate che noi menestrelli fossimo buoni soltanto a sorridere? No?
Sono lietissimo che appoggiate la mia causa allora! Sarà una rivoluzione, oh se
sarà una rivoluzione…»
«Sono arrivati i vestiti per il
ballo di questa sera!» annunciò platealmente un uomo posando una cassa sul
pavimento.
E a chi toccò di trascinare il baule
per la ripida rampa di scale fino alla torre della principessa?
A Maria, senza dubbio.
*
Una ruota girava vorticosamente
emettendo uno strano stridio. La stanza era vuota, non c’era nessuno ad
azionare quello strano marchingegno, e il freddo che la pervadeva metteva a
disagio tanto quanto il silenzio troncato da quelle specie di gemiti. Un pedale
faceva da leva per il macchinario, cosicché si attivasse quella ruota a cui era
avvolto un filo che piano piano si dissipava dalla
matassa ricomponendosi in un rocchetto. E in centro spiccava un oggetto sottile
e acuminato che risplendeva di un luccichio sinistro. “Toccalo” bisbigliò una
voce lontana, forse inesistente, ma dentro la giovane che osservava la scena si
era insinuato un profondo desiderio di farlo. Sembrava rischioso, ma la
curiosità proibita forniva il motore per convincerla a superare le angosce. Il
dito sottile e aggraziato si propense verso il fuso, appena incerto ma
inevitabilmente attratto in modo magnetico e pericolosamente folle. Una forte
luce inondò la scena rendendo indistinguibile tutto finché gli occhi della ragazza
non si ritrovarono su una nuova veduta, più reale e definita. Come da ormai
molti giorni accadeva il solito sogno era stato interrotto nel momento
cruciale.
Aurora si trovava nella sua stanza
avvolta tra le coperte, leggermente infastidita dal fatto che le erano state
spalancate le tende facendola inghiottire dalla luce mattutina. Provò a girarsi
dall’altro lato coprendosi il viso con un cuscino, ma fu gentilmente
rimproverata dalla dama che era venuta a svegliarla.
«Il sole è già alto da ore, non vi
conviene sprecare la mattina del vostro compleanno dormendo»
«Non mi conviene neanche presentarmi
con gli occhi stanchi per il troppo poco sonno»
«Permettete di dirvi che la
responsabilità è anche vostra se decidete di leggere fino a tarda notte»
La giovane si alzò dal letto e si
diresse verso il baule portato dalla dama nella sua stanza contenente due nuovi
abiti. Uno era di uno smagliante color rosa pallido, ornato finemente con
ricami dorati, l’altro era di un tenue azzurro trapuntato di perle. Rivolse uno
sguardo indeciso alla ragazza che indicò quello
azzurro, suggerendole che avrebbe fatto risaltare molto più i suoi occhi: lui non avrebbe potuto resisterle in
alcun modo.
«Maria, di chi stai parlando?»
«Sul sorgere del sole è arrivata la
sua carrozza»
Aurora sapeva che erano stati
invitati nobiluomini anche da luoghi lontani e cominciò a sospettare che ce ne
fosse qualcuno “di maggior riguardo”. Maria, su incoraggiamento, confermò i
suoi presentimenti: «È stato invitato qui per il ballo in vostro onore il
principe del regno confinante e stasera suo figlio potrebbe chiedere la vostra
mano»
I suoi genitori non le avevano mai
parlato di questo progetto, ma sapeva bene che le notizie viaggiavano veloci dalle cucine alle stalle, agli alloggi della servitù e dunque ciò che le stava
riferendo la sua dama era molto probabilmente vero.
«Sì, questa sera… Maria, sai dirmi
dove alloggerebbe?»
«La vostra curiosità vi indurrebbe
forse a spiarlo?»
«No, non mi comporterei mai in modo
così poco distinto» si difese irritata «E non posso credere quanto si possa
essere disposti a dubitare della mia educazione» enfatizzò l’affermazione
scuotendo forte la testa facendo ondeggiare così i suoi boccoli dorati. «Andrò
semplicemente in biblioteca. Indossando il vestito rosa»
«Esatto, lontana dai boschi dove
potreste inaspettatamente incontrare qualcuno
che cavalca lì» approvò fingendo di celare una certa malizia.
«Ripensandoci…» ribatté fingendo di
non averla colta «L’abito azzurro era un’ottima idea».
*
Filippo
cavalcava nel roseto spoglio, schiaffeggiato da un freddo pungente che sembrava
non avvertire affatto. Fino ad allora era stato un’obbediente pedina nella
partita di suo padre, aveva contribuito al grande progetto di espandere il
territorio di famiglia ed aspirava, un giorno, a condurre lui il gioco. Allora,
sarebbe stato tutto suo. Ma era davvero ciò che voleva?
Da
quella sera avrebbe dovuto accogliere le responsabilità che lo iniziavano ad un
futuro che, si domandava inquieto, non sapeva se si sarebbe scritto come un
incantevole sogno o come una limitante esistenza.
Voleva
correre, sfuggire al tempo, e incitò il cavallo a galoppare più forte, per
sentire ancora di più il vento sul corpo e lasciare che la nella sua mente gli
impulsi sensoriali sopraffacessero i pensieri.
«Ehi!»
Il
cavallo si arrestò di brusco impennandosi nella frenata di fronte alla
fanciulla che stava per investire, nitrendo sonoramente. Filippo sbarrò gli
occhi al rendersi conto della figura con sguardo terrificato ma al tempo stesso
irritato che la sua distrazione aveva fatto ritirare sul bordo della strada.
«Scusate!»
si affrettò a rimediare, cercando di fare un alleato del suo amabile sorriso
«Non vi avevo vista».
Posò
gli occhi sul viso ora più rilassato della giovane, accorgendosi della
debolezza della sua ultima affermazione. Come aveva fatto a non avvistare
quell’angelo?
«Oh…»
emise soltanto lei, aiutandosi con la mano del principe ad alzarsi. Si lisciò
il vestito mentre le sue gote si tingevano di rosa per l’imbarazzo. «Pensieri
per la testa?»
«Sì…
sì» rispose leggermente a disagio con quella sua informalità. «Chiedo ancora
scusa»
«Niente
di irrimediabile» sorrise. Come un angelo,
pensò lui.
«Posso
fare qualcosa che mi faccia perdonare di più utile delle scuse?» si adattò alla
sua naturale e piacevole spontaneità. «Cosa stavate facendo qui?»
«Bacche»
diede come istantanea risposta. Il suo viso non nascose una certa perplessità,
ma poi annuì con forza «Raccoglievo delle bacche».
«Lasciate
che vi protegga dai rovi, allora. Non mi perdonerei mai se vi trovaste in un
altro pericolo per causa della mia noncuranza» propose gentilmente e
spigliatamente Filippo. L’angelo l’aveva distolto dai turbinosi pensieri, lo
faceva sentire a proprio agio. Non importava se era una contadinella, una
semplice e schietta, bellissima contadinella che cercava bacche, gli aveva
fatto scordare Aurora, la sua dote, la sua corona.
Non
c’erano bacche commestibili, in inverno. Non disponevano neanche di un cestino
in cui raccoglierle. Ma i due non vi fecero alcun caso, durante la passeggiata.
«Qual
è il vostro nome?»
«Devo
andare» cercò di glissare lei, voltandosi. Non sospettava minimamente chi
fosse. Probabilmente non era stato il modo più signorile di incontrarsi. Forse
era il caso che andasse davvero, e che lui conoscesse il suo nome nel momento
appropriato.
«Aspetta!
Potrò rivederti?» la trattenne per un polso.
«Mi
vedrai, la prossima volta?»
Le
baciò la mano prima che sfuggisse via. Come avrebbe potuto non avvistare
quell’angelo, la prossima volta?
*
Le
luci delle migliaia di candele sembravano danzare a tempo della musica delicata
e gradevole che contribuiva a rendere speciale quella già magica serata. Aurora,
dall’alto della scalinata, vedeva la sala in movimento, nell’allegro fermento
degli ospiti. Le sei buone fate confondevano le loro gonne preziose fra quelle
di gentildonne di ogni dove, accompagnate dai nobili consorti. Il re e la
regina non potevano essere più fieri. La loro figlia scese le scale, annunciata
sonoramente dall’araldo. Filippo, spinto da chi aveva vicino, le andò incontro,
per invitarla a danzare. Prese tra le braccia la principessa e quando incontrò
i suoi occhi riconobbe il suo angelo.
«Voi…»
bisbigliò meravigliato, ammirando il timido sorriso che gli rivolse.
Aurora
volteggiava, sentendosi la più felice delle fiammelle che si animavano e
splendevano nella sala, senza accorgersi dello scorrere del tempo. Quando la
musica si fermò la sua mente era ancora in danze, ma uno strano bagliore la
attrasse da lontano. In un istante sparì tra la folla, al momento in cui
Filippo avrebbe dovuto fare la proposta. L’inquietante attrazione la portò giù
per le scale delle segrete, in quei luoghi umidi e freddi che solo la
stregoneria avrebbe potuto far desiderare di andarvi. La ragazza era
magnetizzata da una forza e non riusciva a opporsi alla smania di scoprire da
dove provenisse quella luce. Si ritrovò in una stanza vuota, mentre in un
attimo di lucidità un brivido le corse lungo la schiena. Era la stanza del suo
sogno. E, al centro, c’era l’oggetto che la ossessionava da tempo. Quello
strano marchingegno che lavorava da solo ed emetteva gemiti striduli. La ruota
girava, veloce, vorticosamente. Il fuso, sottile e acuminato, ammaliante e
agghiacciante, risplendeva di quel luccichio sinistro che aveva scorto da tanto
lontano.
«Toccalo»
echeggiò sommessamente una voce.
Aurora
avvicinò un dito al fuso. Desiderava toccarlo. Non aveva idea del perché, ma
sentiva di volerlo come mai aveva voluto qualcosa.
Ritrasse
lievemente la mano. Follia.
«Toccalo»
era persuasiva la voce.
Avvicinò
nuovamente il dito. Desiderava toccarlo. Era follia. Ma voleva toccarlo.
Durò
un attimo, il contatto della sua pelle con il fuso.
Il
corpo della principessa era disteso a terra, in attesa di un secolo.