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Autore: Korat    10/06/2010    6 recensioni
C'era una volta, in un regno lontano, una principessa addormentata in attesa del bacio del suo principe. C'era un'altra volta, in un paese vicino, un ragazzo del liceo che la risveglia dopo mille anni. Poi ci sono anche una reginetta della scuola con le sue vallette, una bambina che sa contare fino a trentaquattro, una maledizione da sconfiggere per sempre e la responsabilità di essere un'adolescente nel XXI secolo. E soprattutto, solo tre mesi di tempo per riuscire a conquistare il "per sempre felici e contenti".
Genere: Commedia, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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CAPITOLO UNO

Bacche

 

 

 

 

Una carrozza si era fermata davanti al castello, lasciando scendere due donne dall’aspetto regale, una più giovane, l’altra più anziana. Il loro abbigliamento suggeriva l’estrema importanza delle ospiti arrivate quella mattina, confermata poi dalla seguente discesa dal mezzo di un nobile signore che doveva per forza essere il tanto atteso principe del regno confinante. Per ultimo scese un giovane che dimostrava meno di vent’anni. Alto e composto in un’espressione seria, stava in piedi mostrando con orgoglio e fierezza la sua figura. I capelli erano corvini, piuttosto mossi ma corti e ordinati. Spesse sopracciglia perfettamente delineate incorniciavano gli occhi, due smeraldi incastonati in due mandorle. Gli zigomi alti, il naso dritto, la mascella squadrata: più che un uomo sembrava una splendida scultura.

«Ragazza, sai che giorno è oggi?»

«Il primo gennaio, Anno Domini 1000» rispose l’interrogata leggermente intimorita.

«Oggi» contraddisse quella «è il sedicesimo compleanno della principessa e nessuno può permettersi di oziare guardando fuori dalla finestra!»

«Io… ecco… stavo per andare a riferire l’arrivo de…» cominciò a scusarsi la domestica, ma la vecchia continuò «Ah, i giovani di oggi! E le loro fantasie… Aspettano forse che il loro lavoro si compia da solo, come per magia? Non hanno imparato che la vita non è una favola. Vaneggiano al posto di agire…»

«Chiedo scusa, ma ad ogni modo il mio compito era di avvertire quando fosse arrivato…» provò ancora la ragazza a spiegare, ma l’altra continuò «Ah! Con tutto il daffare che c’è oggi… preparare il banchetto, allestire le sale, pulire, rassettare, accogliere gli ospiti…»

«Appunto, attendevo l’arrivo degli ospiti per riferirlo ed è appena arrivato…»

«Ma voi, giovani, non ve ne occupate affatto» la interruppe nuovamente «E a chi tocca fare tutto? A me, ovviamente. A me, che è rimasto il senso del dovere, a me, che non ho mai perso vigore, a me, che non spreco il tempo a guardare il vuoto!  Che poi, cosa c’è di tanto interessante fuori, son proprio curiosa, fammi vedere… Oh, il principe! È arrivato il principe! Imbranata, perché non lo hai detto subito? Tutto io devo fare, ah, che il Signore mi aiuti! Svelta, vai ad abbassare il ponte levatoio, cosa ci fai ancora qua?»

La giovane domestica corse ad eseguire gli ordini e si accinse ad armeggiare con catene ben più pesanti di quanto la sua gracilità potesse sopportare.

«Maria?»

La ragazza si girò e incontrò lo sguardo preoccupato di un altro domestico, che si affrettò ad aiutarla.

«Lascia fare me» le sorrise, ma lei mantenne le mani ferme «È il mio compito, Marc, posso farcela.»

«Chi ti ha dato questo compito?» chiese lui, sovrapponendo le sue mani a quella di lei per prendere il posto.

«Madama Giuditta»

«Vecchia pazza!»

«Ma è tua madre!»

Risero insieme mentre lui finiva di tirare la catena.

«Grazie, Marc»

«Non c’è di che» le sorrise «Beh, devo correre a sellare i cavalli per il giovane principe e il nostro signore, che a quanto pare vuole fare una galoppata e due chiacchiere per conoscere il futuro genero».

«Non lo conosce ancora?» esclamò più che stupita la ragazza. Marc alzò le spalle. «Conosce l’ammontare dei suoi possedimenti»

«E Aurora? La principessa lo ha mai visto?»

«Cosa c’entra lei?»

Maria abbassò la testa, sconfitta dalle verità che avevano distrutto il suo mondo di fanciulla sognatrice. «Mai sentito parlare dell’amore?» sussurrò.

«Ho sentito dire che ci sono ambizioni e doveri che devono essere capaci di metterlo a tacere»

«Al di là di ciò che hai sentito dire… è davvero quello che pensi?»

Lui le alzò il mento con un dito per guardarla negli occhi «Io non possiedo niente, e perciò sono così libero da poter forse anche amare». Le posò un fugace e imprudente bacio sulla guancia e si mosse verso i suoi doveri.

Anche Maria zittì il suo battito e riconcentrò la sua mente alle mansioni da svolgere, zampettando velocemente verso gli appartamenti per assicurarsi che le camere degli ospiti fossero in ordine. Due serve, Bianca e Beatrice, stavano ancora facendo il letto in quella del figlio del principe.

«Filippo è già qui?!» strillò Bianca cominciando a compiere freneticamente i loro movimenti.

Maria era stupita che conoscesse il suo nome, ma rimase ancora più stupefatta nel sentire le chiacchiere informatissime di Beatrice sul suo conto: aveva diciotto anni, era un eccellente cavaliere, forte, coraggioso, ma al tempo stesso incredibilmente romantico. Quella sera, secondo i progetti di entrambe le coppie di regnanti, avrebbe chiesto la mano della principessa Aurora.

Mentre cianciavano, le due avevano frettolosamente finito di sistemare il letto e dopo una lunga serie di elogi intervallati da sospiri liberarono Maria, la quale proseguì il suo giro di perlustrazione nelle cucine per assicurarsi che procedesse tutto per il meglio.

«Mademoiselle!» le corse incontro un ometto baffuto dall’aria preoccupata. Maffeo, il cuoco di corte. Non l’avrebbe lasciata andare finché non avesse provato un po’ di ogni singola portata per poi farle esprimere sempre la solita affermazione di eccellenza.

«Beige o écru?» le mise davanti due fazzoletti quasi identici.

«I menestrelli non sono pagati a dovere!» attaccò un giullare con voce acuta «Non credete anche voi? Voglio dire, come vengono ripagate le nostre doti canore, di intrattenimento, lo spiccato senso dell’umorismo e anche cultura, possiamo dire, con tutte le ballate che conosciamo a memoria? E lo sforzo mnemonico, sì, possiamo aggiungere, senza contare quello fisico, sempre a saltellare… Ecco, come viene ripagato tutto questo? Una miseria! Ma sia ben chiaro che noi menestrelli non facciamo solo parole: sto organizzando un sindacato per i nostri diritti. Siete sorpresa? Pensavate che noi menestrelli fossimo buoni soltanto a sorridere? No? Sono lietissimo che appoggiate la mia causa allora! Sarà una rivoluzione, oh se sarà una rivoluzione…»

«Sono arrivati i vestiti per il ballo di questa sera!» annunciò platealmente un uomo posando una cassa sul pavimento.

E a chi toccò di trascinare il baule per la ripida rampa di scale fino alla torre della principessa?

A Maria, senza dubbio.

 

 

*

 

 

Una ruota girava vorticosamente emettendo uno strano stridio. La stanza era vuota, non c’era nessuno ad azionare quello strano marchingegno, e il freddo che la pervadeva metteva a disagio tanto quanto il silenzio troncato da quelle specie di gemiti. Un pedale faceva da leva per il macchinario, cosicché si attivasse quella ruota a cui era avvolto un filo che piano piano si dissipava dalla matassa ricomponendosi in un rocchetto. E in centro spiccava un oggetto sottile e acuminato che risplendeva di un luccichio sinistro. “Toccalo” bisbigliò una voce lontana, forse inesistente, ma dentro la giovane che osservava la scena si era insinuato un profondo desiderio di farlo. Sembrava rischioso, ma la curiosità proibita forniva il motore per convincerla a superare le angosce. Il dito sottile e aggraziato si propense verso il fuso, appena incerto ma inevitabilmente attratto in modo magnetico e pericolosamente folle. Una forte luce inondò la scena rendendo indistinguibile tutto finché gli occhi della ragazza non si ritrovarono su una nuova veduta, più reale e definita. Come da ormai molti giorni accadeva il solito sogno era stato interrotto nel momento cruciale.

Aurora si trovava nella sua stanza avvolta tra le coperte, leggermente infastidita dal fatto che le erano state spalancate le tende facendola inghiottire dalla luce mattutina. Provò a girarsi dall’altro lato coprendosi il viso con un cuscino, ma fu gentilmente rimproverata dalla dama che era venuta a svegliarla.

«Il sole è già alto da ore, non vi conviene sprecare la mattina del vostro compleanno dormendo»

«Non mi conviene neanche presentarmi con gli occhi stanchi per il troppo poco sonno»

«Permettete di dirvi che la responsabilità è anche vostra se decidete di leggere fino a tarda notte»

La giovane si alzò dal letto e si diresse verso il baule portato dalla dama nella sua stanza contenente due nuovi abiti. Uno era di uno smagliante color rosa pallido, ornato finemente con ricami dorati, l’altro era di un tenue azzurro trapuntato di perle. Rivolse uno sguardo indeciso alla ragazza che indicò quello azzurro, suggerendole che avrebbe fatto risaltare molto più i suoi occhi: lui non avrebbe potuto resisterle in alcun modo.

«Maria, di chi stai parlando?»

«Sul sorgere del sole è arrivata la sua carrozza»

Aurora sapeva che erano stati invitati nobiluomini anche da luoghi lontani e cominciò a sospettare che ce ne fosse qualcuno “di maggior riguardo”. Maria, su incoraggiamento, confermò i suoi presentimenti: «È stato invitato qui per il ballo in vostro onore il principe del regno confinante e stasera suo figlio potrebbe chiedere la vostra mano»

I suoi genitori non le avevano mai parlato di questo progetto, ma sapeva bene che le notizie viaggiavano veloci dalle cucine alle stalle, agli alloggi della servitù e dunque ciò che le stava riferendo la sua dama era molto probabilmente vero.

«Sì, questa sera… Maria, sai dirmi dove alloggerebbe?»

«La vostra curiosità vi indurrebbe forse a spiarlo?»

«No, non mi comporterei mai in modo così poco distinto» si difese irritata «E non posso credere quanto si possa essere disposti a dubitare della mia educazione» enfatizzò l’affermazione scuotendo forte la testa facendo ondeggiare così i suoi boccoli dorati. «Andrò semplicemente in biblioteca. Indossando il vestito rosa»

«Esatto, lontana dai boschi dove potreste inaspettatamente incontrare qualcuno che cavalca lì» approvò fingendo di celare una certa malizia.

«Ripensandoci…» ribatté fingendo di non averla colta «L’abito azzurro era un’ottima idea».

 

 

*

 

 

Filippo cavalcava nel roseto spoglio, schiaffeggiato da un freddo pungente che sembrava non avvertire affatto. Fino ad allora era stato un’obbediente pedina nella partita di suo padre, aveva contribuito al grande progetto di espandere il territorio di famiglia ed aspirava, un giorno, a condurre lui il gioco. Allora, sarebbe stato tutto suo. Ma era davvero ciò che voleva?

Da quella sera avrebbe dovuto accogliere le responsabilità che lo iniziavano ad un futuro che, si domandava inquieto, non sapeva se si sarebbe scritto come un incantevole sogno o come una limitante esistenza.

Voleva correre, sfuggire al tempo, e incitò il cavallo a galoppare più forte, per sentire ancora di più il vento sul corpo e lasciare che la nella sua mente gli impulsi sensoriali sopraffacessero i pensieri.

«Ehi!»

Il cavallo si arrestò di brusco impennandosi nella frenata di fronte alla fanciulla che stava per investire, nitrendo sonoramente. Filippo sbarrò gli occhi al rendersi conto della figura con sguardo terrificato ma al tempo stesso irritato che la sua distrazione aveva fatto ritirare sul bordo della strada.

«Scusate!» si affrettò a rimediare, cercando di fare un alleato del suo amabile sorriso «Non vi avevo vista».

Posò gli occhi sul viso ora più rilassato della giovane, accorgendosi della debolezza della sua ultima affermazione. Come aveva fatto a non avvistare quell’angelo?

«Oh…» emise soltanto lei, aiutandosi con la mano del principe ad alzarsi. Si lisciò il vestito mentre le sue gote si tingevano di rosa per l’imbarazzo. «Pensieri per la testa?»

«Sì… sì» rispose leggermente a disagio con quella sua informalità. «Chiedo ancora scusa»

«Niente di irrimediabile» sorrise. Come un angelo, pensò lui.

«Posso fare qualcosa che mi faccia perdonare di più utile delle scuse?» si adattò alla sua naturale e piacevole spontaneità. «Cosa stavate facendo qui?»

«Bacche» diede come istantanea risposta. Il suo viso non nascose una certa perplessità, ma poi annuì con forza «Raccoglievo delle bacche».

«Lasciate che vi protegga dai rovi, allora. Non mi perdonerei mai se vi trovaste in un altro pericolo per causa della mia noncuranza» propose gentilmente e spigliatamente Filippo. L’angelo l’aveva distolto dai turbinosi pensieri, lo faceva sentire a proprio agio. Non importava se era una contadinella, una semplice e schietta, bellissima contadinella che cercava bacche, gli aveva fatto scordare Aurora, la sua dote, la sua corona.

Non c’erano bacche commestibili, in inverno. Non disponevano neanche di un cestino in cui raccoglierle. Ma i due non vi fecero alcun caso, durante la passeggiata.

«Qual è il vostro nome?»

«Devo andare» cercò di glissare lei, voltandosi. Non sospettava minimamente chi fosse. Probabilmente non era stato il modo più signorile di incontrarsi. Forse era il caso che andasse davvero, e che lui conoscesse il suo nome nel momento appropriato.

«Aspetta! Potrò rivederti?» la trattenne per un polso.

«Mi vedrai, la prossima volta?»

Le baciò la mano prima che sfuggisse via. Come avrebbe potuto non avvistare quell’angelo, la prossima volta?

 

 

*

 

 

Le luci delle migliaia di candele sembravano danzare a tempo della musica delicata e gradevole che contribuiva a rendere speciale quella già magica serata. Aurora, dall’alto della scalinata, vedeva la sala in movimento, nell’allegro fermento degli ospiti. Le sei buone fate confondevano le loro gonne preziose fra quelle di gentildonne di ogni dove, accompagnate dai nobili consorti. Il re e la regina non potevano essere più fieri. La loro figlia scese le scale, annunciata sonoramente dall’araldo. Filippo, spinto da chi aveva vicino, le andò incontro, per invitarla a danzare. Prese tra le braccia la principessa e quando incontrò i suoi occhi riconobbe il suo angelo.

«Voi…» bisbigliò meravigliato, ammirando il timido sorriso che gli rivolse.

Aurora volteggiava, sentendosi la più felice delle fiammelle che si animavano e splendevano nella sala, senza accorgersi dello scorrere del tempo. Quando la musica si fermò la sua mente era ancora in danze, ma uno strano bagliore la attrasse da lontano. In un istante sparì tra la folla, al momento in cui Filippo avrebbe dovuto fare la proposta. L’inquietante attrazione la portò giù per le scale delle segrete, in quei luoghi umidi e freddi che solo la stregoneria avrebbe potuto far desiderare di andarvi. La ragazza era magnetizzata da una forza e non riusciva a opporsi alla smania di scoprire da dove provenisse quella luce. Si ritrovò in una stanza vuota, mentre in un attimo di lucidità un brivido le corse lungo la schiena. Era la stanza del suo sogno. E, al centro, c’era l’oggetto che la ossessionava da tempo. Quello strano marchingegno che lavorava da solo ed emetteva gemiti striduli. La ruota girava, veloce, vorticosamente. Il fuso, sottile e acuminato, ammaliante e agghiacciante, risplendeva di quel luccichio sinistro che aveva scorto da tanto lontano.

«Toccalo» echeggiò sommessamente una voce.

Aurora avvicinò un dito al fuso. Desiderava toccarlo. Non aveva idea del perché, ma sentiva di volerlo come mai aveva voluto qualcosa.

Ritrasse lievemente la mano. Follia.

«Toccalo» era persuasiva la voce.

Avvicinò nuovamente il dito. Desiderava toccarlo. Era follia. Ma voleva toccarlo.

Durò un attimo, il contatto della sua pelle con il fuso.

Il corpo della principessa era disteso a terra, in attesa di un secolo.

 

   
 
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